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PROLUSIONE DELL'ARCIVESCOVO RENATO RAFFAELE MARTINO
PER L'INAUGURAZIONE DEI LAVORI DEL XIII COLLOQUIO
INTERNAZIONALE DI MARIOLOGIA A SIRACUSA

Lunedì, 29 settembre 2003  

 

 

Ringrazio sentitamente di avermi invitato a partecipare a questo XIII Congresso Internazionale di Mariologia, opportunamente organizzato per commemorare il 50° anniversario della lacrimazione di Maria a Siracusa, chiedendomi di tenere una prolusione sul tema "Siracusa: il mistero di un pianto". Ai ringraziamenti voglio aggiungere i miei complimenti per una iniziativa di studio tanto puntuale e di alto profilo sul piano teologico, spirituale e pastorale. Nel proporvi qualche riflessione sul tema indicatomi, cercherò, soprattutto, di evidenziare uno degli aspetti più rilevanti e paradossali della fede cristiana, ossia il rapporto intrinseco tra il dolore e l'amore.

Il dolore e l'amore: senso di un rapporto

Il problema del male e della sofferenza, particolarmente della sofferenza degli innocenti, è un mistero che sfida da sempre il pensiero degli uomini, e che tante volte sfocia nello scandalo e nella diffidenza verso Dio: se il mondo è opera dell'amore divino, come si spiega la realtà del male e del dolore? è Dio impotente o è forse un sadico che si rallegra dell'afflizione umana?

La fede cristiana e la retta ragione attestano che Dio non solo è sommamente buono e onnipotente, ma è pure sapienza infinita. Questa consapevolezza, però, invece di risolvere la questione, sembra acuirla: se il Signore sa ciò che è bene per noi, può farlo, e la sua bontà lo inclina a realizzarlo, allora perché il male? Qui la ragione non può rispondere; lo fa soltanto la fede: l'origine del male si trova nel peccato, quello dei progenitori e nei peccati di tutti gli uomini. E, appunto, Dio sa perfettamente, vuole amorevolmente e realizza provvidenzialmente la sconfitta del peccato tramite l'amore: il peccato, che è l'origine del male, deriva dall'egoismo; la santità, che è l'origine del bene, deriva dall'amore oblativo. Un amore non soltanto a parole, ma coi fatti e nella verità (cfr 1 Gv 3, 18), cioè un amore che propende a cercare il bene altrui prima del bene proprio. "Se il peccato, rifiutando l'amore, ha generato la "sofferenza" dell'uomo che in qualche modo si è riversata su tutta la creazione (cfr Rm 8, 20-22), lo Spirito Santo entrerà nella sofferenza umana e cosmica con una nuova elargizione di amore, che redimerà il mondo" (Giovanni Paolo II, Enc. Dominum et vivificantem, n. 39).

L'intimo legame tra sofferenza e amore è evidente anche nei rapporti umani: il vero amore si dimostra nella disposizione a sacrificarsi per la persona amata. Chi non è disposto al sacrificio, non ama veramente. Perciò Gesù insegna: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15, 13). In definitiva, il dolore è la pietra di paragone dell'amore, è la prova indiscussa dell'amore autentico. Inoltre, il conseguimento dei beni umani comporta, di norma, sforzo e privazione: lavorare con intensità, rinunziare a determinati piaceri per mantenere la salute, fare esercizi per essere in forma, e tanti altri.

Ma qui bisogna capir bene: il dolore o la sofferenza per sé non sono appetibili, né possono dirsi beni o fonti di bene, poiché contrastano diversi ambiti della vita umana: la pace, il benessere, la salute, ecc. Perciò non è tanto il dolore o la sofferenza, quanto piuttosto l'atteggiamento interiore con cui li si accetta che può convertire tali mali in sorgente di bene, anzi di un bene molto più alto del male sofferto. Il Signore Gesù ci promette: chi rinunzia ai beni di questa terra a causa del Vangelo, riceverà già al presente il cento per uno e nel futuro la vita eterna (cfr Mc 10, 29-30); e Paolo può scrivere: "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1, 24).

Tutto ciò si può comprendere profondamente soltanto se si guarda alla Passione e Morte di Gesù Cristo. Egli accetta liberamente la sofferenza per amore del Padre e dei Suoi fratelli, gli uomini.

Tutta la storia della salvezza attesta le parole di Giovanni: "Dio è amore" (1 Gv 4, 8.16); ma il grado dell'amore di Dio per noi si può intravedere soltanto nell'evento Cristo e, particolarmente, nella Sua Passione e Morte (Gv 3, 16). Come diceva Paolo VI un Venerdì Santo: "Chi ha dato al dolore dell'uomo il suo carattere sovrumano, oggetto di rispetto di cura e di culto, è Cristo paziente, il grande fratello d'ogni povero, d'ogni sofferente. V'è di più: Cristo non mostra soltanto la dignità del dolore; Cristo lancia una vocazione al dolore. Questa voce, figli e fratelli, è fra le più misteriose e le più benefiche che abbiano attraversato il quadro della vita umana. Gesù chiama il dolore a uscire dalla sua disperata inutilità e a diventare, se unito al suo, fonte positiva di bene, fonte non solo delle più sublimi virtù - che vanno dalla pazienza all'eroismo e alla sapienza -, ma altresì alla capacità espiatrice, redentrice, beatificante propria della Croce di Cristo. Il potere salvifico della Passione del Signore può diventare universale, e immanente in ogni nostra sofferenza, se - ecco la condizione - se accettata e sopportata in comunione con la sua sofferenza. La "compassione" da passiva si fa attiva; idealizza e santifica il dolore umano, lo rende complementare a quello del Redentore" (Insegnamenti II, 1964, p. 212).

Non va però dimenticato che non è il dolore né, pertanto, la Passione e Morte di Gesù il volere diretto e l'ultima parola di Dio:  esse sono un mezzo, vale a dire il passo obbligato per arrivare alla Risurrezione e alla Glorificazione. La croce è un evento pasquale di vita e di risurrezione che, tramite la sofferenza, porta alla piena felicità. E ciò non soltanto per Gesù di Nazareth, ma anche per tutti coloro che vogliono essere Suoi discepoli e, di conseguenza, che vogliono identificarsi con Lui. Come insegna la Prima Lettera di Pietro: "Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme" (2, 21). L'esempio di Gesù - in modo particolare le Sue sofferenze, patite per ognuno di noi - ci fa comprendere la necessità di una donazione al prossimo senza riserve, l'esigenza di vivere una solidarietà universale, il bisogno di amare e di perdonare tutti gli uomini e particolarmente (poiché umanamente è più difficile) quelli che ci osteggiano o rifiutano.

Il dolore e l'amore di Maria

Maria, la prima discepola di Gesù, capì molto bene la realtà del dolore e perciò seppe accettare con amore tutte le sofferenze che comportò la sua vita terrena. Lo fece in un'unione così intima con Gesù e seguendo così valorosamente le Sue orme, da essere veramente Madre, accanto a Cristo sulla Croce, di tutti gli uomini. Così lo ricorda il Vaticano II: "Concependo, generando, nutrendo, presentando Cristo al Padre nel tempio, soffrendo con il Figlio suo morente sulla croce, ha cooperato in modo tutto speciale all'opera del Salvatore con l'obbedienza, la fede, la speranza e l'ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo motivo fu per noi madre nell'ordine della grazia" (Lumen gentium, n. 61).

I cristiani di tutti i tempi hanno inteso e sperimentato l'evento salvifico nascosto nella sofferenza e nell'amore della Madonna, uniti alle sofferenze e all'amore del Suo Figlio. Difatti il mistero della Beata Vergine Maria Addolorata è uno dei punti del Vangelo che la pietà dei fedeli ha recepito con più forza e ha vissuto con più intensità. Le sette spade che di solito vengono raffigurate nelle immagini dell'Addolorata ricordano sette passi del Vangelo in cui viene esplicitamente testificata la presenza di Maria o in cui i cristiani hanno intuito la Sua partecipazione. Si tratta della devozione ai Sette dolori di Maria, che è opportuno riproporre alla considerazione del popolo di Dio.

1) Il primo dolore contempla la Presentazione di Gesù nel Tempio quaranta giorni dopo la Sua nascita. Il vecchio Simeone profetizza non soltanto che Gesù sarà segno di contraddizione, cioè di contrapposizione e di sofferenza, ma che Maria parteciperà a tali sofferenze: "Anche a te una spada trafiggerà l'anima" (Lc 2, 35). Una profezia tanto solenne in un momento così importante svela che il dolore della Madonna sarà un dolore particolare, intenso e profondo, che farà di Lei un'immagine perfetta di Gesù.

2) Poco dopo comincia ad avverarsi la profezia: la Sacra Famiglia deve fuggire in Egitto (cfr Mt 2, 13-14). Forse con un pensiero terra terra ci si potrebbe domandare: non poteva Iddio risolvere il problema di Erode in modo più facile e comodo per Gesù, Maria e Giuseppe? Certamente poteva, ma non era opportuno: occorreva che coloro che erano amati in modo particolare dal Padre celeste percorressero la via che molti uomini dovevano percorrere nella propria vita.

3) L'episodio di Gesù dodicenne che "si perde" per tre giorni a Gerusalemme (cfr Lc 2, 43.46) è raccolto tra i misteri gioiosi del Rosario; ma è pure un mistero drammatico di sofferenza che rivela la volontà di Cristo di donarsi pienamente alle cose del Padre e mostra la radicalità di vita propria dei Suoi discepoli; radicalità che pone in crisi anche i vincoli più cari della persona come sono quelli familiari; crisi e sofferenza che dobbiamo essere disposti ad accogliere benché non sempre le capiamo, sull'esempio di Maria e di Giuseppe che "non compresero le sue parole" (Lc 2, 50) anche se dai fatti si evince che le accolsero.

4) Molti altri momenti della vita di Cristo adolescente e della vita pubblica del Signore hanno comportato dolore per la Madre: la lontananza di Gesù, l'incredulità dei propri parenti (cfr Gv 7, 5), i tentativi di ucciderlo a Nazareth (cfr Lc 4, 29) e a Gerusalemme (cfr Gv 7, 25), ecc. Tuttavia la pietà popolare considera come quarta spada di dolore l'incontro di Gesù e Maria sulla via del calvario. Certamente tale scena non appare esplicitamente nei Vangeli, ma molti autori pongono Maria tra le pie donne di cui parla Luca (23, 27), e la tradizionale devozione della Via Crucis annovera tale incontro in una delle stazioni. Non ci vuole molta immaginazione per capire la sofferenza della Madonna nel vedere Suo Figlio sfigurato dalle piaghe: Egli è veramente l'uomo dei dolori che ben conosce il patire di cui parla Isaia (53, 3).

5) Il punto culminate della sofferenza della Vergine Maria è, senza dubbio, la Sua presenza accanto alla croce di Gesù. E proprio perché è il momento di più grande dolore è anche il momento in cui Ella mostra in modo egregio la Sua fede, la Sua speranza e il Suo amore. Così insegna il Concilio:  "Anche la Beata Vergine progredì nel cammino della fede e conservò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, stette ritta (cfr Gv 19, 25), soffrì intensamente con il suo Unigenito e si associò con animo materno al suo sacrificio, amorosamente consenziente all'immolazione della vittima da lei generata; e finalmente, dallo stesso Cristo Gesù morente in croce fu data come madre al discepolo con queste parole: Donna, ecco il tuo figlio (cfr Gv 19, 26-27)" (Lumen gentium, n. 58). Non è, pertanto e come già detto, la sofferenza di per sé ciò che ha valore, bensì l'accettazione amorevole di tale sofferenza. Ed è appunto manifestando questo amore - che si manifesta mediante il dolore - che Gesù, e Maria intimamente unita al Suo Figlio, ci ha redento e ci ha salvato dal peccato che è l'origine di ogni male e dolore.

6) e 7) La pietà mariana considera anche altri due dolori della Madonna: l'abbraccio a Gesù esanime deposto dalla croce e la Sua sepoltura. Come non commuoversi di fronte a questi eventi che pittori e scultori hanno raffigurato in modi tanto belli e pietosi?

La contemplazione di questi dolori della Beata Vergine Maria fa comprendere un punto importantissimo per la vita dei cristiani e di tutti gli uomini: Maria soffre per le sofferenze del Suo Figlio. Questi dolori della Madonna non si riferiscono a mali che la riguardano in modo immediato e che, di sicuro, non mancarono nella sua vita; sono piuttosto sofferenze che scaturiscono dal Suo amore materno, prima per Gesù e, dopo il Calvario, per tutti noi che siamo stati affidati a Lei da Gesù morente. E ciò illumina in modo specialissimo il mistero delle lacrime della Madonna. Infatti, non va dimenticato, come diceva Giovanni Paolo II nell'omelia pronunciata nel Santuario della Madonna delle Lacrime il 6 novembre 1994, che queste, "sono lacrime di dolore per quanti rifiutano l'amore di Dio, per le famiglie disgregate o in difficoltà, per la gioventù insidiata dalla civiltà dei consumi e spesso disorientata, per la violenza che tanto sangue ancora fa scorrere, per le incomprensioni e gli odi che scavano fossati profondi tra gli uomini e i popoli" (Insegnamenti XVII/2, 1994, p. 640).

Il mistero di un pianto

Tuttavia, se Maria Santissima è in Paradiso ed è pienamente Beata, cioè felice, come si spiegano le Sue lacrime nella storia postpasquale? Senza pretendere di risolvere il problema di quanto si è chiamato la "sofferenza" di Dio e dei Santi nella Gloria, possiamo però trovare qualche luce chiarificatrice ricordando di nuovo che il dolore è la pietra di paragone dell'amore. In un'Esortazione diretta al Congresso Mariano di Sicilia del 1954 e facendo riferimento al "segno" delle lacrime di Siracusa, Pio XII diceva: "Senza dubbio Maria è in cielo eternamente felice e non soffre né dolore né mestizia; ma Ella non vi rimane insensibile, che anzi nutre sempre amore e pietà per il misero genere umano, cui fu data per Madre, allorché dolorosa e lacrimante sostava ai piedi della croce, ove era affisso il Figliuolo" (AAS 46, 1954, p. 660). L'amore di Cristo e di Sua Madre per gli uomini è così profondo da far loro scegliere di soffrire nella vita terrena per tutti i mali umani, lungo l'arco di tutta la storia. L'amore implica compassione (con-passione: patire insieme ai sofferenti): l'amore di Gesù e di Maria si estende a tutta l'umanità, perciò essi hanno voluto patire con e per tutti gli uomini di tutti i tempi. Le lacrime della Madonna sono un segnale che manifesta tale compassione e tale amore.

Ma queste lacrime sono per noi anche una chiamata. Il dolore di Maria, evidenziato dalle Sue lacrime, ci sprona a un impegno per superare il male e la sofferenza; in primo luogo a lottare contro l'origine del male che è il peccato, contando sempre sulla grazia di Dio. È bello ricordare che questo era l'auspicio dell'allora Arcivescovo di Siracusa Mons. Baranzini, pochi mesi dopo la lacrimazione della Madonna: "Se la Madonna ha pianto, primo nostro dovere è di consolarla col mostrare frutti degni di penitenza, ossia di pentimento delle nostre colpe, di sincera conversione dei nostri cuori, di vero orientamento della nostra volontà alla santa legge divina, così che non avvenga che il Cuore materno di Maria sia contristato dalle offese al suo Gesù" (Messaggio 29 gennaio 1954). E in modo molto simile si esprimeva Giovanni Paolo II lo scorso 31 agosto, nel cinquantenario del pianto della Madonna di Siracusa: "Quanto misteriose sono queste lacrime! Esse parlano di dolore e di tenerezza, di conforto e di misericordia divina. Sono il segno di una presenza materna, e un appello a convertirsi a Dio, abbandonando la via del male per seguire fedelmente Gesù Cristo" (L'Osservatore Romano, 1 e 2-IX-2003).

Un invito alla conversione personale e sociale

Sicché le lacrime della Vergine sono un invito pressante a una radicale conversione, a essere in Cristo e in Maria una "nuova creatura"; e ciò deve cominciare per ognuno di noi:  frequentando il sacramento del perdono, pregando con assiduità, calpestando l'orgoglio e la concupiscenza, evitando la prepotenza, ecc. Inoltre, così come Maria ha voluto lasciare un "segno forte" qui a Siracusa, le Sue lacrime ci chiedono che personalmente siamo, allo stesso modo, per gli altri uomini "segni" di vita cristiana, luce e sale del mondo (cfr Mt 5, 13-14):  dobbiamo perciò annunziare la "buona novella" del perdono, incoraggiandoli a vivere con maggiore impegno la vita cristiana. Oltre a ciò bisogna ricordare che la fede in Cristo comporta che le realtà create siano vissute secondo il Suo spirito:  dobbiamo quindi, per quanto ad ognuno sia possibile, appoggiare quelle strutture, istituzioni e leggi sociali che favoriscono il bene umano integrale e cercare di smantellare le strutture di peccato che si trovano all'origine di tante sofferenze umane; ossia non dobbiamo arrenderci di fronte a leggi ingiuste e immorali, non dobbiamo accettare comportamenti che possono favorire il malcostume, non dobbiamo collaborare - neppure indirettamente - con organizzazioni malavitose. In questa terra benedetta di Sicilia ancora risuonano dolorosamente ammonitrici le gravi parole di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento contro "la cultura della mafia, che è una cultura di morte, profondamente disumana, antievangelica, nemica della dignità della persona e della convivenza civile" (Agrigento, 9 maggio 1993, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XVI, I, pag. 1155).

Tale impegno a cui ci spronano le lacrime della Madonna avrà una base salda e dei risultati positivi se sorretto su un punto fermo: la profonda convinzione del valore di ogni essere umano per cui Gesù ha dato la vita e Maria ha sofferto più delle madri di questa terra. Difatti, parlando della contemplazione dei misteri dolorosi del Rosario, il Santo Padre ricorda:  nella Passione "è rivelato non soltanto l'amore di Dio, ma il senso stesso dell'uomo. Ecce homo: chi vuol conoscere l'uomo, deve saperne riconoscere il senso, la radice e il compimento in Cristo, Dio che si abbassa per amore "fino alla morte, e alla morte di croce" (Fil 2, 8). I misteri del dolore portano il credente a rivivere la morte di Gesù ponendosi sotto la croce accanto a Maria, per penetrare con Lei nell'abisso dell'amore di Dio per l'uomo e sentirne tutta la forza rigeneratrice" (Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, n. 22). Se Dio e Sua Madre hanno voluto patire - e in modo così intenso - per ogni persona che abita in questo mondo, noi non possiamo non compatire il nostro prossimo sofferente, non possiamo essere insensibili di fronte ai patimenti di un altro uomo.

Certamente non è possibile evitare tutti i dolori umani ed ognuno di noi è molto limitato nell'aiuto che può offrire al prossimo. Ma appunto tali limiti devono essere uno stimolo per compiere tutto ciò che siamo in grado di fare, senza chiuderci in noi stessi o in un numero troppo ristretto di persone.

Bisogna, pertanto, sensibilizzarsi con la sofferenza altrui. Ma non con una sensibilità vuota, che non fa niente e presto si dimentica; bensì con una sensibilità fine, che considera le proprie possibilità di aiuto e le mette in pratica:  alle volte sarà solo una parola affettuosa, dedicare un tempo a persone sole, ...; altre volte potrà essere un impegno economico o di volontariato; altre, infine, sarà uno sforzo di mobilitazione delle coscienze e delle istituzioni per risolvere i disagi di un gruppo sociale:  bambini, emigranti, esclusi, ecc.

Queste opere sono così intrinseche alla vita cristiana che, lungo la storia della Chiesa, si contano moltissime e diversissime iniziative di questo genere. E sempre saranno necessarie. Così ricordava il beato Giovanni XXIII:  "Vi è sempre una vasta gamma di situazioni dolorose e di bisogni delicati e nello stesso tempo acuti, che le forme ufficiali dell'azione pubblica non possono attingere che comunque non sono in grado di soddisfare. Per cui rimane sempre aperto un vasto campo alla sensibilità umana e alla carità cristiana degli individui. Infine va pure osservato che per la promozione dei valori spirituali sono spesso più feconde le molteplici iniziative di singoli o di gruppi, che l'azione dei pubblici poteri" (Mater et Magistra, n. 108). Difatti, anche se necessarie, le istituzioni pubbliche e private non bastano per alleviare la sofferenza delle persone:  "L'uomo deve sentirsi come chiamato in prima persona a testimoniare l'amore nella sofferenza. Le istituzioni sono molto importanti ed indispensabili; tuttavia, nessuna istituzione può da sola sostituire il cuore umano, la compassione umana, l'amore umano, l'iniziativa umana, quando si tratti di farsi incontro alla sofferenza dell'altro. Questo si riferisce alle sofferenze fisiche, ma vale ancora di più se si tratta delle molteplici sofferenze morali, e quando, prima di tutto, a soffrire è l'anima" (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Salvifici doloris, n. 29).

Occorre, quindi, far leva in prima istanza sugli impegni spirituali e morali delle persone concrete, poiché la rettitudine delle istituzioni dipende dalla rettitudine delle persone che le formano. Tuttavia, "la priorità riconosciuta alla conversione del cuore non elimina affatto, anzi impone l'obbligo di apportare alle istituzioni e alle condizioni di vita, quando esse provochino il peccato [e, conseguentemente, la sofferenza], i risanamenti opportuni, perché si conformino alle norme della giustizia e favoriscano il bene anziché ostacolarlo" (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1888).

Avviandomi verso la fine della prolusione, ritengo possa essere opportuno indicare alcuni ambiti di particolare interesse per la Dottrina Sociale della Chiesa, proprio perché in essi si sviluppa e si spiega gran parte del bene umano. Tali ambiti - se vissuti in modo distorto - possono essere origine di molte sofferenze. Li elenco anche perché potrebbero servire come punto di riferimento in cui dispiegare l'impegno di compassione, cioè di profonda vita cristiana, a cui siamo sollecitati dalle lacrime di Maria: 

- la promozione dell'autentica dignità di ogni persona:  essa è il bene più prezioso che l'uomo possiede; perciò tale promozione costituisce il compito centrale del servizio che siamo chiamati a rendere all'umanità;

- la difesa dell'inviolabile diritto alla vita, dal concepimento sino alla morte naturale e in ogni sua condizione, diritto primo e sorgivo, condizione per tutti gli altri diritti della persona;

- la tutela del diritto alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa, ricordando che la sua pratica effettiva, per l'alto bene che protegge, va annoverato tra i doveri più gravi di ogni società che si proponga seriamente il bene umano;

- la tutela del valore e dei diritti delle famiglie, con la consapevolezza che una sana costituzione della famiglia è condizione necessaria per lo sviluppo ordinato della società e della stessa Chiesa;

- la sollecitazione alla carità e alla solidarietà con tutti gli uomini, particolarmente con i più deboli, tenendo conto che le forme antiche e sempre nuove delle opere di misericordia corporali e spirituali costituiscono l'impegno più fecondo dei fedeli per vincere il male e la sofferenza;

- la partecipazione attiva alla vita "politica" nei suoi molteplici livelli e nei suoi svariati ambiti, con l'imperativo categorico di promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune, la giustizia, lo spirito di servizio, il dialogo e la pace;

- la collocazione dell'uomo al centro della vita economico-sociale, il che significa un'organizzazione del lavoro degna della persona, il rispetto della destinazione universale dei beni, del diritto di proprietà privata e della sua intrinseca funzione sociale, ecc.;

- l'animazione di una cultura ispirata ai valori umani e cristiani, che possa dare risposte valide alle ineludibili richieste di verità e di bene insite nel cuore umano.

Conclusione

Le lacrime della Madonna di Siracusa non sono soltanto un miracolo da ammirare e di cui ringraziare Dio, ma anche un appello del Signore, tramite Maria Santissima, a tutti gli uomini e, mi sia consentito dirlo, principalmente ai Siracusani:  un appello alla conversione e ad impegnarsi seriamente con tutte le proprie possibilità per alleviare le sofferenze umane, particolarmente quelle dei più bisognosi.

  

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