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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE
DEL MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
XXXVIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. RENATO RAFFAELE MARTINO

Giovedì, 16 dicembre 2004

 

Premessa

Sono lieto di trovarmi con voi, per la presentazione del Messaggio di Sua Santità Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale della Pace 2005. Per questa circostanza, il Santo Padre ha scelto e proposto come tema di riflessione un versetto della Lettera ai Romani di San Paolo: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male» (12,21). Con la tipica incisività, il grande Apostolo invita a un discernimento, personale e comunitario, circa le decisive questioni del male e della sua drammatica influenza nella vita degli uomini e ammonisce a farsi carico, con matura responsabilità, del bene e della sua diffusione. Utilizzando come retroterra ispirativo e orientativo la Lettera ai Romani, ampiamente citata nella prima parte del documento, tutto il Messaggio papale affronta il tema della pace, collocandolo dentro un’articolata e complessa riflessione sul bene e sul male. Afferma il Santo Padre: «La prospettiva delineata dal grande Apostolo pone in evidenza una verità di fondo: la pace è il risultato di una lunga e impegnativa battaglia, vinta quando il male è sconfitto con il bene» (n. 1). In questo contesto la pace viene definita come un «bene da promuovere con il bene: essa è un bene per le persone, per le famiglie, per le Nazioni della terra e per l’intera umanità; è però un bene da custodire e coltivare mediante scelte e opere di bene» (n. 1).

Il Messaggio papale si presenta strutturato in tre parti, in cui il tema della pace viene progressivamente trattato in relazione ai vari aspetti e livelli del bene. Nella prima parte, la pace è considerata nel suo rapporto con il bene morale; nella seconda, la pace viene vista nel suo rapporto con un principio tipico della dottrina sociale della Chiesa, il principio del bene comune; nella terza, la pace viene trattata in stretto collegamento con l’utilizzo dei beni della terra e con un riferimento molto pertinente a un altro grande principio della dottrina sociale, quello della destinazione universale dei beni. La pace, quindi, proprio perché un bene, viene presentata nella sua stretta connessione con il bene morale, il bene comune e i beni della terra.

Il male e il bene: loro connotazione morale

Al centro del dramma del male c’è un protagonista: l’uomo con la sua libertà e il suo peccato. Il male non potrebbe accadere se la persona umana non fosse radicalmente libera. La libertà umana è al centro del dramma del male e ad esso si accompagna sino alla fine. Con la valorizzazione della libertà umana, il Santo Padre rifiuta tutte quelle letture e interpretazioni della vicenda storica dell’uomo caratterizzate dalla visione del male come «una forza anonima che opera nel mondo in virtù di meccanismi deterministici e impersonali». Per delineare il profilo morale del male, il Papa si esprime con parole di grande efficacia e forte impatto: «Il male ha sempre un volto e un nome: il volto e il nome di uomini e donne che liberamente lo scelgono» (n. 2). Il male - che il pensiero filosofico ha descritto come una «privatio boni», come una privazione del bene, di fatto è un movimento negativo che la volontà umana compie «quando abbandona ciò che le è superiore e si volge a qualcosa di inferiore»1. A un’attenta considerazione del male è facile rintracciare in esso e nel suo manifestarsi un movimento peccaminoso della volontà umana che mette in causa le relazioni fondamentali della persona con Dio e con le altre persone. Afferma il Santo Padre: «Il male è, in definitiva, un tragico sottrarsi alle esigenze dell’amore»2, mentre il bene morale viene considerato strettamente collegato all’amore perché «nasce dall’amore, si manifesta come amore ed è orientato all’amore» (n. 2).

Dopo questi riferimenti, brevi ma densi, alla connotazione morale del bene e del male, il Santo Padre si sofferma su un punto assai importante e decisivo se considerato nell’orizzonte complessivo dell’insegnamento sociale cattolico: per far fronte alle molteplici manifestazioni sociali e politiche del male, l’umanità di oggi deve far tesoro del comune patrimonio di valori morali ricevuti in dono da Dio. In questa parte del Messaggio il Santo Padre ripropone e rilancia il Suo magistero sulla legge naturale che, nel 1995, avevo sentito esporre nel Discorso all’Assemblea Generale della Nazioni Unite, con il quale richiamava tutti, con coraggio e con lungimiranza profetici, a far riferimento, nel comune servizio alla pace, alla grammatica della legge morale universale, l’unica in grado di unire gli uomini tra loro, pur nella diversità delle culture.

Nella considerazione del valore della grammatica della legge morale universale, il Santo Padre si sofferma a condannare la violenza in genere e a stigmatizzare quattro situazioni di violenza tipiche del nostro tempo: i conflitti in Africa, la pericolosa situazione della Palestina, il terrorismo che sembra spingere il mondo intero verso un futuro di paura e di angoscia; il dramma iracheno che moltiplica incertezza e insicurezza. Quale risposta alla violenza, definita un male inaccettabile? Il Santo Padre, riprendendo alcuni temi del Messaggio per la Giornata mondiale della Pace dello scorso anno, sollecita una grande opera educativa delle coscienze capace di aprire per tutti, soprattutto per le giovani generazioni, i vasti orizzonti dell’umanesimo integrale e solidale (n. 4).

Pace e bene comune

In questa parte del messaggio il Santo Padre associa la promozione della pace al bene comune, di cui ripropone in nota la definizione che ne dà la Costituzione conciliare Gaudium et spes al n. 26. Quando si coltiva il bene comune si coltiva la pace: è questa l’affermazione di fondo, da cui parte tutta la riflessione papale nel proporre il valore del bene comune come un bene che – per riprendere su questo specifico punto il n. 164 del Compendio della dottrina sociale della Chiesa da poco pubblicato – «non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro». Si può affermare che il bene comune costituisce la dimensione sociale e comunitaria del bene morale.

Dopo aver sollecitato l’impegno di tutti per il bene comune e, soprattutto, l’impegno delle pubbliche autorità, il Santo Padre lega la promozione del bene comune al rispetto della persona e dei suoi diritti fondamentali, come pure al rispetto dei diritti delle Nazioni in una prospettiva universale, chiedendo l’avvio di una vera cooperazione internazionale. Questa parte del Messaggio si chiude con l’avvertenza a non ridurre il bene comune a semplice benessere socio-economico. Questo è possibile se il bene comune resta aperto alla dimensione trascendente. A questo proposito, il già citato Compendio della dottrina sociale contiene affermazioni molto chiare: «Il bene comune della società non è un fine a sé stante; esso ha valore solo in riferimento al raggiungimento dei fini ultimi della persona e al bene comune universale. Dio è il fine ultimo delle sue creature e per nessun motivo si può privare il bene comune della sua dimensione trascendente, che eccede ma anche dà compimento a quella storica» (n. 170).

Il bene della pace e i beni della terra

La terza parte del Messaggio è tutta dedicata all’uso dei beni della terra, che il Santo Padre tratta nel contesto del principio della dottrina sociale della destinazione universale degli stessi. Per cogliere in profondità la forza profetica di questa parte del Messaggio vale la pena di riportare il brano della Gaudium et spes che descrive il principio richiamato: «Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all’uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità» (n. 69). Questo brano del documento conciliare ci consente di cogliere tutta la portata e il valore innovativi di un passaggio del Messaggio papale che illustra, per la prima volta nella dottrina sociale, il principio della cittadinanza mondiale. I due principi – quello della destinazione universale dei beni della terra e quello della cittadinanza mondiale – si illuminano a vicenda e costituiscono, per così dire, due potenti fari capaci di illuminare le scelte politiche della comunità internazionale per la promozione dello sviluppo dei popoli in una prospettiva etica e culturale proiettata verso uno sviluppo integrale e solidale dell’umanità. Vale la pena di leggere questo denso brano del Messaggio papale: «L’appartenenza alla famiglia umana conferisce ad ogni persona una specie di cittadinanza mondiale, rendendola titolare di diritti e di doveri, essendo gli uomini uniti da una comunanza di origine e di supremo destino. Basta che un bambino venga concepito perché sia titolare di diritti, meriti attenzioni e cure e qualcuno abbia il dovere di provvedervi. La condanna del razzismo, la tutela delle minoranze, l’assistenza ai profughi e ai rifugiati, la mobilitazione della solidarietà internazionale nei confronti di tutti i bisognosi non sono che coerenti applicazioni del principio della cittadinanza mondiale» (n.6).

Dentro questo contesto etico-culturale, il Santo Padre affronta una serie di urgentissime questioni, tutte presenti nell’agenda della comunità internazionale. Si tratta di questioni la cui soluzione, in genere, viene conseguita con la congiunta affermazione del diritto alla pace e del diritto allo sviluppo.

a) La prima questione riguarda l’utilizzo e la destinazione di quei nuovi beni che sono il frutto della conoscenza scientifica e del progresso tecnologico. Il Santo Padre afferma che anche questi nuovi beni hanno una destinazione universale, per cui la proprietà di essi – comunemente chiamata al giorno d’oggi proprietà intellettuale – deve avere, come qualsiasi altra proprietà, una funzione di carattere sociale. Si tratta di beni che vanno posti al servizio dei bisogni primari dell’uomo, dentro un quadro giuridico di corresponsabilità internazionale che ne liberi le enormi potenzialità, con l’abbattimento di barriere e monopoli.

b) La seconda questione affrontata dal Santo Padre è quella relativa ai cosiddetti beni pubblici, di quei beni cioè dei quali tutti i cittadini godono automaticamente senza aver operato scelte precise in proposito e che sono, comunque espressione di interessi comuni. Il Santo Padre ne richiama alcuni: "Basti pensare alla lotta alla povertà, alla ricerca della pace e della sicurezza, alla preoccupazione per i cambiamenti climatici, al controllo per la diffusione delle malattie. A tali interessi, la Comunità internazionale deve rispondere con una rete sempre più ampia di accordi giuridici, atta a regolamentare il godimento dei beni pubblici, ispirandosi agli universali principi dell’equità e della solidarietà" (n. 7).

c) La terza questione messa a tema dal Santo Padre è la lotta alla povertà, che resta l’obiettivo principale dell’azione della Comunità Internazionale in questo inizio di millennio e che, la Chiesa, deve affrontare nella prospettiva di un altro principio della dottrina sociale, quello dell’amore preferenziale per i poveri.

Nella trattazione del drammatico problema della povertà, il Santo Padre si sofferma su tre concretissimi nodi, bisognosi di essere sciolti quanto prima.

1) Il primo nodo da sciogliere riguarda il debito estero dei Paesi poveri. Il Santo Padre riconosce i progressi fatti, ma, nello stesso tempo, deve constatare con amarezza che "la questione non ha ancora trovato adeguata soluzione"(n. 8). Dopo l’impegnativa campagna sul debito estero condotta in prima persona dal Santo Padre prima e durante il Grande Giubileo del 2000, sembrava che la questione del debito fosse finita, irrisolta, nel dimenticatoio. Così non è per Giovanni Paolo II che, con tenacia e determinazione, la rilancia rimettendola al centro di tutte le agende che avvertono l’urgenza morale di doversi impegnare per la lotta alla povertà.

2) La lotta alla povertà implica anche un rinnovato impegno internazionale sul fronte del finanziamento allo sviluppo, "unico rimedio veramente efficace per consentire agli Stati di affrontare la drammatica questione della povertà" (n. 9). Dopo aver sollecitato una mobilitazione morale ed economica, il Santo Padre si sofferma su due questioni particolari: la prima riguarda l’Aiuto Pubblico alla Sviluppo - accompagnata dall’invito a rispettare gli impegni presi di destinare lo 0.7 del PIL allo sviluppo - e la seconda riguarda le nuove proposte di finanziamento allo sviluppo – incoraggiate vivamente a passare dai progetti ai fatti concreti. Nel trattare di questi temi, il Santo Padre offre tutto il suo appoggio e il suo incoraggiamento e quello della Chiesa intera alla numerose agenzie cattoliche di aiuto e di sviluppo per la loro preziosa opera nei fronti più drammatici in cui si combatte la lotta alla miseria e alla povertà.

3) Al centro della lotta alla povertà, con un invito pressante all’esercizio di una nuova fantasia della carità, il Santo Padre colloca il Continente africano, ostacolato nel suo sviluppo da tanti e delicati problemi: conflitti armati, malattie pandemiche, condizioni di miseria, instabilità politica e insicurezza sociale. La pagina del Messaggio papale sull’Africa possiede le tonalità espressive tipiche del linguaggio solenne che rivela la consapevolezza morale che si stanno trattando questioni storiche cruciali per il futuro dell’umanità. Vale la pena di proporla questa pagina nella sua interezza: "Sono realtà drammatiche che sollecitano un cammino radicalmente nuovo per l’Africa: è necessario dar vita a forme nuove di solidarietà, a livello bilaterale e multilaterale, con un più deciso impegno di tutti, nella piena consapevolezza che il bene dei popoli africani rappresenta una condizione indispensabile per il raggiungimento del bene comune universale. Possano i popoli africani prendere in mano da protagonisti il proprio destino e il proprio sviluppo culturale, civile, sociale ed economico! L’Africa cessi di essere solo oggetto di assistenza, per divenire responsabile soggetto di condivisioni convinte e produttive! Per raggiungere tali obiettivi si rende necessaria una nuova cultura politica, specialmente nell’ambito della cooperazione internazionale" (n. 10). La strada indicata per avviare la soluzione dei problemi dell’Africa è quella che si richiama al rispetto delle promesse relative all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo, ad un sostanzioso alleggerimento del peso del debito internazionale, all’apertura dei mercati e all’incremento degli scambi commerciali. Riprendendo l’insegnamento della Sollicitudo rei socialis (cf. n. 17), il Santo Padre afferma che "lo sviluppo o diventa comune a tutte le parti del mondo, o subisce un processo di retrocessione anche nelle zone segnate da un costante progresso".

Conclusione

Di fronte ai terribili scenari disegnati dalla presenza del male, il Santo Padre invita tutti ad alzare lo sguardo a Dio che, nella morte e risurrezione di Gesù Cristo, ha reso possibile per tutti vincere il male con il bene. L’universalità del male è vinta dall’universalità della salvezza di Cristo. In questa prospettiva, "fondandosi sulla certezza che il male non prevarrà, il cristiano coltiva un’indomita speranza che lo sostiene nel promuovere la giustizia e la pace…insieme ad una ferma fiducia nella possibilità di costruire un mondo migliore" (n. 11). Riprendendo gli accenti iniziali del Messaggio dove si presenta il bene morale nel suo legame con l’amore, il Santo Padre afferma che "quando il bene vince il male, regna l’amore e dove regna l’amore regna la pace. I cristiani …sappiano mostrare con la loro vita che l’amore è l’unica forza capace di condurre alla perfezione personale e sociale, l’unico dinamismo in grado di far avanzare la storia verso il bene e la pace" (n. 12). La via charitatis e la via pacis hanno nel sacramento dell’Eucaristia il luogo della loro piena verità e la fonte della loro efficacia. Nell’anno dedicato all’Eucaristia, il Santo Padre chiude il suo Messaggio presentando le valenze sociali del sommo Sacramento dell’amore: "…è in virtù della partecipazione allo stesso Pane e allo stesso Calice che possiamo sentirci ‘famiglia di Dio’, e insieme recare uno specifico ed efficace contributo all’edificazione di un mondo fondato sui valori della giustizia, della libertà e della pace" (n. 12).

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(1) Agostino, De Civitate Dei, XII, 6.

(2) A questo proposito Agostino afferma: «Due amori hanno dunque fondato due città: l’amore di sé, portato fino al disprezzo di Dio, ha generato la città terrena; l’amore di Dio, portato fino al disprezzo di sé, ha generato la città celeste», De Civitate Dei, XIV, 28.

 

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