Index

  Back Top Print

INTERVENTO DELLA SANTA SEDE
IN OCCASIONE DEL TERZO FORUM SU IMPRESE E DIRITTI UMANI, NEL CORSO DEL DIBATTITO D'ALTO LIVELLO SUL RAFFORZAMENTO DEI LEGAMI TRA L'ARCHITETTURA ECONOMICA GLOBALE E L'AGENDA DELLE IMPRESE E DEI DIRITTI UMANI

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO SILVANO M. TOMASI,
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE PRESSO L'UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE E ISTITUZIONI SPECIALIZZATE

Ginevra
Mercoledì, 3 dicembre 2014

      

Permettetemi di iniziare ringraziando gli organizzatori del Terzo Forum sul commercio e i diritti umani delle Nazioni Unite per l’opportunità di presentare alcune osservazioni e la prospettiva di Papa Francesco sul rapporto tra imprese e diritti umani, aspetto della dottrina sociale della Chiesa cattolica che la Santa Sede propone come suo contributo al dibattito in corso.

Signor Presidente,

1. L’interazione tra imprese e diritti umani offre una buona occasione per umanizzare ulteriormente l’economia. La comunità internazionale è impegnata in questo compito e le aziende, la società civile, i rappresentanti politici si sono adoperati per far crescere la consapevolezza che, a lungo andare, anche il rispetto dei diritti umani è un buon affare. Tra le misure pratiche adottate ci sono i Principi guida su imprese e diritti umani: “proteggere, rispettare e rimediare”. I Principi sono stati largamente approvati, indicando un forte impegno politico. Tuttavia, sono ancora indispensabili sforzi mirati per diffonderli con successo in tutto il mondo tra tutte le parti in causa. Inoltre, l’esperienza dimostra che sono necessari altri passi nella costruzione di un regime imprenditoriale e  di diritti umani più forte, che includano lo sviluppo di piani d’azione nazionali sulle imprese e i diritti umani e  rimedi efficaci a quelle pratiche commerciali la cui violazione dei diritti umani produce conseguenze negative. La crisi finanziaria ha dimostrato la difficoltà di affidarsi a una autoregolamentazione volontaria da parte delle imprese. In particolare, gli Stati deboli e poveri subiscono le conseguenze di una asimmetria nel sistema internazionale, dove le i diritti delle aziende sono sorretti da leggi rigide e da meccanismi attuativi forti, mentre i loro obblighi sono sostenuti solo da leggi morbide, come le linee guida volontarie. Poi, “[s]ono numerosi coloro, specialmente immigrati, che, costretti a lavorare “in nero”, mancano delle più elementari garanzie giuridiche ed economiche” (Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti al Congresso mondiale dei Commercialisti, 14 novembre 2014). Un’altra preoccupazione riguarda l’abilità delle società internazionali a sfuggire parzialmente la territorialità e ricavare per se stesse un’esistenza “in mezzo” che si sottrae alla legislazione nazionale. La loro mobilità in termini di Paese di incorporazione, gestione, produzione e flussi finanziari permette loro di manovrare le legislazioni nazionali, approfittare dell’arbitraggio normativo e scegliere le giurisdizioni che offrono loro un miglior guadagno in termini di profitto. Ma il profitto non può essere l’unico obiettivo razionale dell’attività imprenditoriale, come ci dicono Papa Francesco e altri leader religiosi. Quando si trascurano i diritti umani, si produce un’esclusione sistemica delle persone vulnerabili. Il Papa sottolinea che si verifica un nuovo sviluppo: “Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma  di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono ‘sfruttati’ ma rifiuti, ‘avanzi’” (Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 53). Su questo sfondo, uno strumento vincolante eleverebbe gli standard morali, cambierebbe il modo in cui le imprese internazionali intendono il proprio ruolo e la propria attività e aiuterebbe a chiarire gli obblighi extraterritoriali degli Stati riguardo alle azioni delle loro imprese in altri Paesi. A tale proposito, è stato suggerito che la sinergia tra imprese del settore pubblico e di quello privato potrebbe costituire un’altra forma emergente di impresa economica che si preoccupa del bene comune senza rinunciare al profitto (Papa Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 46: “Considerando le tematiche relative al rapporto tra impresa ed etica, nonché l'evoluzione che il sistema produttivo sta compiendo, sembra che la distinzione finora invalsa tra imprese finalizzate al profitto (profit) e organizzazioni non finalizzate al profitto (non profit) non sia più in grado di dar conto completo della realtà, né di orientare efficacemente il futuro. In questi ultimi decenni è andata emergendo un'ampia area intermedia tra le due tipologie di imprese […]. Non si tratta solo di un ‘terzo settore’, ma di una nuova ampia realtà composita, che coinvolge il privato e il pubblico e che non esclude il profitto, ma lo considera strumento per realizzare finalità umane e sociali. Il fatto che queste imprese distribuiscano o meno gli utili oppure che assumano l'una o l'altra delle configurazioni previste dalle norme giuridiche diventa secondario rispetto alla loro disponibilità a concepire il profitto come uno strumento per raggiungere finalità di umanizzazione del mercato e della società […]. Esse, senza nulla togliere all'importanza e all'utilità economica e sociale delle forme tradizionali di impresa, fanno evolvere il sistema verso una più chiara e compiuta assunzione dei doveri da parte dei soggetti economici”).

Signor Presidente,

2. In diversi ambiti della vita sono stati compiuti progressi significativi che hanno migliorato il benessere delle persone: assistenza sanitaria, educazione, comunicazioni. L’attività imprenditoriale moderna ha svolto un ruolo fondamentale nel produrre questi cambiamenti, stimolando e sviluppando le immense risorse dell’intelligenza umana. Tuttavia, continuiamo a doverci confrontare con problemi come il degrado ambientale, i conflitti violenti, il reinsediamento forzato, la rapida fluttuazione dei prezzi dei beni e dei prodotti agricoli, le risorse abbandonate e le catastrofi naturali causate dal cambiamento climatico e le cicliche crisi politiche ed economiche. La perdita di benefici come assicurazioni e pensioni, che nel mondo sviluppato di solito sono associati all’impiego, ha ulteriormente aumentato l’incertezza e la precarietà che ora deve affrontare il ceto medio.  Nel nostro mondo globalmente interconnesso, le persone che vivono in povertà sono acutamente consapevoli,  attraverso la loro esposizione ai mass media e ai media sociali, che il loro benessere spesso è determinato da decisioni prese da leader e da legislatori che esse hanno poca possibilità di influenzare. Alla radice di questa situazione c’è una ideologia individualista, che Papa Francesco ha descritto come “un’economia dell’esclusione e della inequità” (Evangelii gaudium, n. 53). Si fonda sulla “presunzione” che gli esseri umani sono per natura egoisti e sulla capacità automatica di un mercato libero, non ostacolato da norme, di generare una maggiore efficienza e una crescita complessiva. Tale ideologia descrive il futuro non in termini di incertezza, bensì di rischio basato sulla probabilità. Le conseguenze di ogni azione possono essere valutate razionalmente e il bilancio finale è determinato dalla massimizzazione dei profitti.

Certo, le imprese commerciali sono importanti  per questioni di sostenibilità, non soltanto perché sono pilastri fondamentali del settore privato, ma anche perché possono soddisfare molti bisogni umani fornendo beni e servizi. Hanno una responsabilità sociale laddove, attraverso “la licenza sociale di operare” che viene concessa loro dal proprio governo, devono lavorare non soltanto per il proprio legittimo profitto, ma anche per il bene comune, nel rispetto degli standard dei diritti umani.

3. Di fatto, ciò che occorre è un senso di responsabilità rinnovato, profondo e allargato. L’impegno totale di tutti gli attori importanti, specialmente le imprese, è essenziale: “dato che le grandi multinazionali sono diventate attori economici e politici rilevanti che influenzano sia le relazioni internazionali sia lo sviluppo sociale, esse svolgono un ruolo molto importante nell’affrontare le sfide sociali globali. Pertanto, serve una migliore comprensione di come le multinazionali si integrano nell’ambiente tradizionale internazionale e interno per creare valore condiviso”.

Anzitutto, come dice chiaramente Papa Francesco, dobbiamo tener presente che: “La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita” (Evangelii gaudium, n. 203). La comunità imprenditoriale internazionale può contare su molti uomini e donne di grande onestà e integrità personale, il cui lavoro è ispirato e guidato da alti ideali di correttezza, generosità e preoccupazione per lo sviluppo autentico della famiglia umana. Papa Francesco prosegue: “L’economia e la finanza sono dimensioni dell’attività umana e possono essere occasioni di incontri, di dialoghi, di cooperazioni, di diritti riconosciuti e di servizi resi, di dignità affermata nel lavoro. Ma per questo è necessario porre sempre al centro l’uomo con la sua dignità, contrastando le dinamiche che tendono ad omologare tutto e pongono al vertice il denaro. Quando il denaro diventa il fine e la ragione di ogni attività, di ogni iniziativa, allora prevalgono l’ottica utilitaristica e le logiche selvagge del profitto che non rispetta le persone, con la conseguente diffusa caduta dei valori della solidarietà e del rispetto per la persona umana. Quanti operano a vario titolo nell’economia e nella finanza, sono chiamati a fare scelte che favoriscano il benessere sociale ed economico dell’intera umanità, offrendo a tutti l’opportunità di realizzare il proprio sviluppo” (Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti al Congresso mondiale dei Commercialisti, 14 novembre 2014).

La Santa Sede crede fermamente che possa prendere forma una nuova mentalità politica e imprenditoriale, capace di guidare tutta l’attività economica e finanziaria, nell’orizzonte di un approccio etico che non esclude il profitto ma lo trascende. Il Papa avverte che “[n]on basta dare risposte concrete ad interrogativi economici e materiali; occorre suscitare e coltivare un’etica dell’economia, della finanza e del lavoro; occorre tenere vivo il valore della solidarietà – questa parola che oggi rischia di essere cacciata via dal dizionario – la solidarietà come atteggiamento morale, espressione dell’attenzione all’altro in ogni sua legittima esigenza” (Ibidem).

Ci viene chiesto, soprattutto, di costruire un futuro significativo per le generazioni a venire. “Se vogliamo consegnare migliorato, alle generazioni future, il patrimonio ambientale, economico, culturale e sociale che abbiamo ereditato – dice Papa Francesco –, siamo chiamati ad assumerci la responsabilità di operare per una globalizzazione della solidarietà. La solidarietà è un’esigenza che scaturisce dalla stessa rete di interconnessioni che si sviluppano con la globalizzazione” (Ibidem).

Per concludere, l’interazione tra i diritti umani e l’economia, il mondo degli affari in particolare, diventerà più produttiva se questi procederanno a doppia banda. Anzitutto, l’attuale situazione di inuguaglianza e di esclusione, che colpisce tante persone, deve essere affrontata con urgenza ed efficacia. Poi, una società pacifica e creativa è possibile quando l’economia viene posta in un contesto in cui le persone umane hanno la priorità, in cui sono libere di contribuire con le loro capacità e in cui viene giustamente riconosciuta la loro dignità.