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INTERVENTO DELLA SANTA SEDE
AL DIBATTITO DELL'ASSEMBLEA DELLE NAZIONI UNITE SUL TEMA

«THE UNITED NATIONS AT 70: THE ROAD AHEAD FOR PEACE SECURITY AND HUMAN RIGHTS»

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO PAUL RICHARD GALLAGHER,
SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI

New York
Venerdì, 2 ottobre 2015

 

Signor Presidente, facendo eco ai sentimenti di Papa Francesco, che ha recentemente visitato questa sede delle Nazioni Unite, rinnovo le congratulazioni della Santa Sede per la Sua elezione alla Presidenza della settantesima sessione dell’Assemblea Generale. Saluto pure tutti i partecipanti qui convenuti, con l’augurio di un lavoro proficuo che dia nuovo slancio all’impegno per un mondo che possa vivere in pace e sicurezza, nel rispetto dei diritti umani e che offra a tutti le condizioni necessarie per uno sviluppo umano integrale. In modo molto significativo, il 24 di questo mese si celebrerà il settantesimo anniversario dell’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite.

L’Agenda 2030

Il vertice dei capi di Stato e di Governo appena concluso ha adottato un piano di azione per la prosperità dei popoli e del pianeta, e per rafforzare la pace nel godimento di un’ampia libertà. A tale scopo, i firmatari dell’Agenda 2030 hanno preso l’impegno di dare all’economia mondiale un ritmo stabile e sostenibile (cfr. Transforming our World: the 2030 Agenda for Sustainable Development, Preambolo). La Santa Sede non può che rallegrarsi, insieme con tutti i Governi che hanno partecipato al processo di redazione dell’Agenda e ai loro cittadini. Vorrei qui ricordare che, già prima della fine dei negoziati, il Santo Padre ha affermato che la nuova Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è un importante segno di speranza per tutta l’umanità.

Guerre e conflitti

Contrasta con le fondate speranze suscitate dall’Agenda 2030 e dalla Action Agenda della terza Conferenza internazionale sul finanziamento dello sviluppo (Addis Abeba, luglio 2015) il doloroso panorama delle guerre. Risulta ovvio che, se i conflitti non vengono dovutamente risolti, falliranno tutti gli sforzi per debellare la povertà. La Santa Sede ha perciò una seria preoccupazione per le conseguenze globali dei conflitti ma, soprattutto, sente un profondo dolore per le innumerevoli vittime dei medesimi e vuole associare la sua voce al grido di tutti coloro che soffrono.

Si deve riconoscere che durante i passati settanta anni le Nazioni Unite sono riuscite ad evitare una grande conflagrazione globale e lo scoppio di molte guerre fra gli Stati membri. Parimenti, hanno arginato o risolto numerosi conflitti regionali e complesse situazioni di guerra civile. Tuttavia, ci sono almeno cinquanta conflitti o situazioni di conflitto latenti, alle quali si aggiungono le azioni di organizzazioni internazionali terroristiche e criminali, costituite come quasi-stati e come una sorta di comunità internazionale “alternativa”. Abbiamo purtroppo davanti agli occhi l’immane tragedia della guerra in Siria, con le sue migliaia di morti, i milioni di profughi e le tremende conseguenze per la stabilità della Regione. Parimenti, devono rimanere al centro dell’attenzione della comunità internazionale le difficoltà della Libia, dell’Africa centrale, della regione dei Grandi Laghi, del Sud-Sudan. Né bisogna dimenticare la drammatica situazione in Ucraina, come pure tanti altri conflitti minori o più limitati, le violazioni del diritto umanitario e le guerre atipiche del narcotraffico e di altre forme di criminalità.

C’è poi il gravissimo conflitto del Medio Oriente, che si protrae dai primi anni di esistenza delle Nazioni Unite. Questa regione, culla delle civiltà, si trova immersa in una situazione che amalgama in sé ogni forma di conflitto e ogni possibile soggetto dei medesimi: attori statali e non statali, gruppi etnici e culturali, terrorismo e criminalità, ecc.

Le «atrocità e le inaudite violazioni dei diritti umani che caratterizzano gli odierni conflitti sono diffuse dappertutto dai media in tempi reali» (Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio “Cor Unum”, 17 settembre 2015), rischiando di generare, per la loro stessa ampia diffusione e ripetizione, una paralizzante assuefazione e indifferenza. Da parte sua, la comunità internazionale deve sentire la grave responsabilità di muoversi con risolutezza, rinnovando le sue strutture politiche e giuridiche, per poter limitare e sanare rapidamente ed efficacemente, nella misura del possibile, gli effetti delle presenti crisi belliche.

Migrazioni, rifugiati e profughi

È un amaro paradosso che proprio durante il settantesimo anniversario dell’Onu si assista a un esodo di popolazioni che è il più grande mai visto dopo quelli causati dalla seconda guerra mondiale. Intere popolazioni si spostano, cercando di fuggire dalla guerra, dalle persecuzioni, dallo sfruttamento e dalla povertà. Queste ondate di migrazioni, purtroppo, richiamano più l’attenzione per il carico addizionale e inatteso di problemi che causano ai Paesi di passaggio o di arrivo, che per il tributo della vita stessa pagato da milioni di persone innocenti.

Inoltre, come risposta a tali spostamenti di massa, alla paura del terrorismo e ad altre problematiche locali, è riapparsa la pratica di costruire muri e barriere tra le popolazioni. È un triste fenomeno di disumanità, una improvvisata e inefficace soluzione di sicurezza, che gli eventi della fine degli anni Ottanta del secolo scorso sembravano aver definitivamente destinato all’oblio.

La Santa Sede, allo stesso tempo, vuole rivolgere un forte appello agli Stati affinché superino qualsiasi forma di egoismo nazionalistico e, soprattutto, riconoscano l’unità della nostra famiglia umana e abbiano fiducia nella persona umana. La storia lontana e recente ci insegna che i migranti, anche nelle situazioni più drammatiche di dislocamento, sono stati sempre un contributo positivo per il Paese ospite, ma ancor prima, essi sono donne e uomini che, in quanto tali, hanno un diritto universale ed erga omnes alla vita e alla dignità.

Linee di riflessione e d’impegno delle Nazioni Unite

Insieme con l’accoglienza, il dramma attuale fa sì che diventi urgentissimo l’impegno per sanare le cause che obbligano le popolazioni a fuggire e prendere decisioni vere, effettive e generose per la pace e per lo sviluppo umano integrale. Perciò il solenne impegno di attuare l’Agenda 2030 è quanto mai opportuno e deve essere portato avanti con coraggio. Occorre, comunque, essere consapevoli che senza pace tra i popoli e tra le nazioni sarà impossibile dare seguito a tale Agenda.

A questo scopo, la Santa Sede vorrebbe suggerire quattro linee di riflessione offrendo anche la sua collaborazione per il necessario discernimento. Si tratta dell’esercizio della “responsabilità di proteggere”, del rispetto del diritto internazionale, del disarmo e della protezione dell’ambiente.

Responsabilità di proteggere

La “responsabilità di proteggere” e la “responsabilità di compiere il diritto internazionale in vigore” devono essere considerati strumenti necessari, sia per assolvere l’obbligo immediato di accogliere i profughi senza apporre ingiuste barriere, sia per l’attuazione universale dell’Agenda 2030 e anche per la protezione dell’ambiente.

Il principio della “responsabilità di proteggere” tutte le popolazioni dalle atrocità massive, dal genocidio, dai crimini di guerra, dalle pulizie etniche e dai crimini contro l’umanità è oggi riconosciuto e accettato da tutti. Tale “responsabilità”, com’è noto, spetta innanzitutto ai Governi nazionali e poi alla comunità internazionale o ai gruppi regionali di Stati, ma sempre in accordo con il diritto internazionale. Tuttavia la realtà è che non risulta facile metterla in opera, anche perché la sua attuazione spesso si scontra con un’interpretazione letterale e stretta del principio di non intervento sancito dal paragrafo settimo dell’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, e con il sospetto, storicamente fondato, che si voglia usare la scusa di un intervento umanitario per calpestare il principio di sovrana eguaglianza dei membri dell’Onu, stabilito dal paragrafo secondo dello stesso articolo della Carta.

Tuttavia, atteso l’inaccettabile costo umano dell’inazione, la ricerca di effettivi mezzi giuridici per l’attuazione del principio deve essere una delle più urgenti priorità centrali delle Nazioni Unite. A tale scopo, servirebbe che gli Stati presenti in quest’Assemblea generale, nel Consiglio di Sicurezza e negli altri organi delle Nazioni Unite, potessero discernere criteri chiari ed efficaci per l’applicazione del principio e per la relativa integrazione del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Anche facendo leva sulla ricca esperienza in materia di peacekeeping, di peacebuilding e di altri interventi umanitari delle Nazioni Unite e delle Agenzie dipendenti si dovrebbero trovare modi efficaci e rapidi per attuare le eventuali decisioni relative alla “responsabilità di proteggere”.

I grandi fini e principi del Preambolo e dell’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite sono una guida sicura per l’interpretazione e l’applicazione di tutte le successive disposizioni della Carta. Perciò i solenni impegni di «salvare le generazioni dal flagello della guerra, riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo [e] nella dignità e nel valore della persona umana (cfr. Carta, Preambolo), promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti» (cfr. Carta, art.1, paragrafo 3°), non solo giustificano l’attuazione della “responsabilità di proteggere”, ma anche obbligano la comunità internazionale a trovare i modi di attuarla. Altrimenti si ridurrebbe la grande costruzione della Carta delle Nazioni Unite ad un mero meccanismo di mantenimento dell’equilibrio mondiale e di soluzione delle controversie. Ciò significherebbe tradire non solo gli estensori della Carta, ma anche il sangue versato da milioni e milioni di vittime nei grandi conflitti bellici del secolo scorso.

Responsabilità di adempiere il diritto internazionale in vigore

Il secondo elemento richiamato dai conflitti attuali e dalla crisi umanitaria da essi causata è ciò che possiamo chiamare la “responsabilità di adempiere il diritto in vigore” nelle risposte alle crisi globali o regionali. Ciò esige, innanzitutto, una sincera e trasparente applicazione dell’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite. Il principio di non intervento, sancito dal paragrafo settimo di tale articolo, insieme con i paragrafi terzo e quarto, esclude ogni azione unilaterale di forza contro un altro membro delle Nazioni Unite ed esige il pieno rispetto dei Governi costituiti e riconosciuti secondo diritto.

L’articolo 2, tuttavia, non può diventare un alibi per i gravi attentati ai diritti umani. L’esperienza dei settant’anni di vita dell’Onu ha dimostrato sufficientemente che le gravi mancanze contro la dignità umana da parte dei Governi possono raddrizzarsi e risolversi tramite un’azione pacifica di denuncia e di persuasione, portata avanti dalla società civile e dagli stessi Governi. In caso, poi, che gli attentati contro i diritti umani persistano e si veda necessario qualche ulteriore intervento, non vi è altra strada che l’applicazione delle misure dei capitoli VI e VII della Carta delle Nazioni Unite.

Inoltre, l’adesione alla Carta dell’Onu nonché il principio cardine del diritto internazionale “pacta sunt servanda” — il quale non è una tautologia ma è l’affermazione della supremazia del diritto — hanno bandito definitivamente concetti quali la “guerra preventiva” e, molto più ancora, i tentativi di ridisegnare intere aree geografiche e la distribuzione dei popoli in funzione di pretesi principi di sicurezza. Parimenti, la più palese e accessibile comprensione del paragrafo quarto dell’articolo 2 della Carta esclude ogni intervento di Stati terzi a favore dell’uno o l’altro gruppo in una situazione di conflitto civile.

Occorre un serio esame di coscienza per assumersi la parte di responsabilità che certi interventi unilaterali possono aver avuto nella crisi umanitaria che oggi colpisce il mondo. Come ha recentemente ricordato Papa Francesco: «non mancano gravi prove delle conseguenze negative di interventi politici e militari non coordinati tra i membri della comunità internazionale» (Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 25 settembre 2015). La crisi attuale, pertanto, mobilita a un rinnovato impegno per applicare il diritto in vigore e per sviluppare nuove norme, anche per poter debellare il fenomeno del terrorismo internazionale nel pieno rispetto del diritto.

Disarmo

L’azione multilaterale a favore della pace e della sicurezza collettiva può trovare una sua efficace realizzazione attraverso un altro strumento riconosciuto dalla Carta delle Nazioni Unite e preso spesso in considerazione in quest’Assemblea delle Nazioni Unite: il disarmo. Anche in questo caso siamo in presenza di zone di luce e zone d’ombra, con la prevalenza, purtroppo, di queste ultime. Ne è un significativo esempio il fallimento della Conferenza di riesame delle parti del Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari nel maggio scorso. Di fronte a tale impasse, è ancora più importante che la comunità internazionale e gli Stati più coinvolti in tale processo diano un chiaro segnale di una reale volontà nel perseguire l’obiettivo condiviso di un mondo libero dalle armi nucleari, «applicando interamente il Trattato di non proliferazione, nella lettera e nello spirito, verso una totale proibizione di questi strumenti» (ibid.).

Come affermato da Papa Francesco in vari fori, la deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca assicurata sono inconciliabili e contraddittorie con un’etica di fraternità e di pacifica coesistenza tra i popoli e gli Stati. La corsa al nucleare e, più in generale tutte le corse agli armamenti, con il relativo dispendio di risorse umane ed economiche, si appoggiano, in ultima analisi, sulla negazione della dignità umana dei potenziali nemici e, persino, della propria dignità e sopravvivenza. Perciò, il processo volto ad approfondire le conseguenze umanitarie delle armi di distruzione di massa e in particolare di quelle nucleari diventa un esercizio non solo degno d’incoraggiamento, ma necessario in tale ottica.

Chiamando in causa l’aspetto umanitario, è doveroso anche menzionare la Convenzione per la messa al bando delle mine antiuomo e quella sulle munizioni a grappolo. Si tratta di due strumenti di disarmo e di adattamento del diritto umanitario alla complessità della realtà contemporanea, volti a stigmatizzare e a interdire questi terribili ordigni che hanno un impatto devastante e indiscriminato sulla popolazione civile. La Santa Sede si unisce a tutti coloro che lavorano per un’efficace attuazione di tali strumenti, auspicando una rapida adesione ad essi da parte degli Stati che non lo hanno ancora fatto.

L’effettivo e pieno vigore dei principi della Carta delle Nazioni suppone di sostituire la logica del rigetto dell’altro, della sfiducia e della paura con l’etica della responsabilità. Ciò richiede anche una riflessione sul significato del concetto di sicurezza collettiva, che chiama in causa non solo la dimensione bellico-militare, ma anche quelle economico-finanziaria, etico-sociale e umanitaria, in genere.

Cambiamento climatico

Guardando avanti, vi è un’altra importante responsabilità, di altissimo rilievo, sia per un’effettiva attuazione dell’Agenda 2030 che per la stessa pace, che è l’auspicato accordo sul cambiamento climatico da adottare alla Conferenza di Parigi nel dicembre 2015. Il clima è un bene comune globale, responsabilità di ognuno di noi, soprattutto nei confronti sia dei gruppi più vulnerabili della generazione presente sia delle generazioni future. Una responsabilità che non può che essere trasversale e richiede un’efficace collaborazione multilaterale così come interdisciplinare, ciascuno secondo le proprie capacità e caratteristiche, ma uniti nel farci interpellare dalla domanda: «Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?» (Laudato si’, n. 160).

La Conferenza di Parigi rappresenta una tappa rilevante nel processo volto a ristabilire un equilibrio tra le emissioni globali di gas effetto serra e la capacità della Terra di assorbirle. A tal fine, è urgente l’adozione di un accordo globale e legalmente vincolante che sia giusto e trasformazionale, capace di dare un segnale significativo all’intera comunità internazionale in favore sia di una rapida transizione energetica verso uno sviluppo a basso contenuto di carbonio, sia di una forte spinta nel far leva sui legami esistenti tra due obiettivi: sradicare la povertà e facilitare gli effetti del cambiamento climatico. Tali legami mettono in evidenza che la minaccia del cambiamento climatico e la nostra risposta ad essa possono diventare un’interessante opportunità, volta a migliorare la salute, il trasporto, la sicurezza energetica e a creare nuove opportunità di lavoro.

Un accordo effettivo su questi temi, oltre all’importante valore che hanno in se stessi, non potrà non contribuire alle intese generali tra gli Stati sullo sviluppo umano integrale, sulla responsabilità di proteggere, sulla pace, sul disarmo e sul rispetto del diritto internazionale.

Conclusione

Signor Presidente, la percezione delle limitazioni della Carta delle Nazioni Unite di fronte a nuove situazioni di crisi o, purtroppo, i segnali della mancata osservanza delle sue prescrizioni, non significano proclamare e lamentare l’insuccesso dell’Organizzazione. Esse sono piuttosto le ombre inevitabili del grande quadro del primo progetto globale di pace e di cooperazione internazionale, che è felicemente durato settant’anni, e un incoraggiamento al pieno rispetto del diritto in vigore e a un approfondimento della fiducia e della cooperazione. La Santa Sede, perciò, si augura che questo settantesimo anniversario, segnato dalla solenne adozione dell’Agenda 2030, sia l’inizio di un’armonica e approfondita cooperazione per il bene di tutta l’umanità.

Come affermarono nelle loro visite i Papi Benedetto XVI, nel 2008, e Paolo VI, cinquant’anni fa in occasione del ventesimo anniversario dell’Organizzazione, le Nazioni Unite sono chiamate a «servire sempre più come segno di unità fra Stati e quale strumento al servizio di tutta l’umana famiglia» (Benedetto XVI, Discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, 18 aprile 2008) e, perciò, rappresentano «la via obbligata della civiltà moderna e della pace mondiale» (Paolo VI, Discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965). Le Nazioni Unite, perciò, devono diventare il luogo di ritrovo e di sviluppo di una vera famiglia delle Nazioni e dei popoli, in cui ogni tipo di guerra e d’intervento unilaterale siano definitivamente banditi, non solo a parole, ma soprattutto, nell’animo e nelle intenzioni di tutti i governanti. Grazie, Signor Presidente.