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30° CONFERENZA INTERNAZIONALE
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE
«LA CULTURA DELLA SALUS E DELL'ACCOGLIENZA
AL SERVIZIO DELL'UOMO E DEL PIANETA»
[CITTÀ DEL VATICANO, 19-21 NOVEMBRE 2015]

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO PAUL RICHARD GALLAGHER,
SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI *

Venerdì, 20 novembre 2015

 

Tra pochi giorni comincerà a Parigi la XXI sessione della conferenza degli Stati parte della convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, meglio nota come Cop21. Il suo obiettivo principale è di adottare un accordo, che coinvolga tutti i Paesi, con lo scopo di ristabilire un equilibrio tra le emissioni globali di gas effetto serra e la capacità della Terra di assorbirle.

Il fine principale di questo processo non è, infatti, quello di risolvere il problema del cambiamento climatico, bensì attenuarne gli effetti. Gran parte della comunità scientifica concorda che la temperatura media globale è aumentata rispetto ai livelli pre-industriali a causa delle maggiori emissioni di gas serra generate da attività antropiche; la temperatura crescerà ulteriormente indipendentemente da quanto verrà deciso alla Cop21. L’auspicio è che le decisioni che verranno prese a Parigi limitino tale aumento.

Va ricordato che l’attuazione della convenzione Onu sul clima riguarda un processo di lungo periodo, che si può dire essere iniziato nel 1992 con l’adozione del suddetto testo giuridico; in tale prospettiva, Parigi non è né un momento di arrivo di tale processo, né un punto di partenza per una nuova fase di sviluppo.

La Cop21 rappresenta, infatti, un’importante tappa in cui dare un segnale significativo, che orienti gli investimenti dei prossimi anni verso il rafforzamento delle tecnologie e delle capacità in grado di rispondere adeguatamente alle sfide dell’adattamento ai — e della mitigazione dei — cambiamenti climatici. Non mancano divergenze tra gli Stati su come rendere chiaro ed efficace questo segnale. Tra le principali questioni su cui vertono siffatte divergenze possiamo ricordare: il livello di ambizione degli impegni assunti dagli Stati, le modalità e periodicità dei controlli dell’adempimento di tali impegni, i criteri da adottare per una differenziazione tra gli stessi Stati, il finanziamento e il trasferimento di tecnologie. Si tratta, ovviamente, di elementi essenziali per un’attuazione efficace del nuovo auspicato accordo.

Tuttavia è bene ricordare che il fenomeno del cambiamento climatico chiama in causa aspetti non solo scientifici, ambientali o socio-economici, ma anche e soprattutto etico-morali. L’attuazione di elementi normativi o strutturali e le sole forze di mercato, specie se prive di un adeguato orientamento etico, non sono sufficienti a risolvere le crisi interdipendenti concernenti il riscaldamento globale e la povertà. Il problema fondamentale del riscaldamento globale è indissolubilmente legato alla ricerca non solo di uno sviluppo a basso contenuto di carbonio, ma anche e forse soprattutto di un autentico sviluppo umano integrale. In questo senso, il cambiamento climatico diventa una questione di giustizia, di rispetto, di dignità; e richiede di consolidare quella profonda e lungimirante reimpostazione dei modelli di sviluppo e degli stili di vita, per correggerne le numerose disfunzioni e distorsioni, auspicata dalla Caritas in veritate (n. 32).

In siffatta prospettiva, da tempo la Santa Sede è impegnata a offrire il proprio apporto a tale processo, che avviene in due direzioni: da una parte, attraverso il contributo diretto al negoziato in corso da parte della delegazione della Santa Sede durante i vari incontri del gruppo di lavoro della convenzione incaricato di negoziare l’accordo da adottare a Parigi. Dall’altra parte, sia con varie e differenziate attività di riflessione e approfondimento della Santa Sede in tale ambito, sia attraverso l’incoraggiamento della Santa Sede agli organismi della Chiesa cattolica ad apportare il loro contributo nel campo in oggetto. Un interessante esempio in quest’ambito è l’appello alle parti negoziali della Cop21, firmato dalle Riunioni internazionali delle conferenze episcopali il 26 ottobre scorso.

Oggi mi vorrei soffermare sul primo aspetto, il contributo diplomatico della Santa Sede nel negoziato della Cop21, che può essere sintetizzato in tre punti: ancorare l’accordo a un chiaro orientamento etico, promuovere il conseguimento di tre obiettivi tra di loro concatenati, attenuare l’impatto dei cambiamenti climatici, contrastare la povertà e far fiorire la dignità dell’essere umano; mantenere lo sguardo verso il futuro.

È chiaro che la Laudato si’  ha offerto numerosi spunti di riferimento e di riflessione per declinare in maniera adeguata questi tre punti durante i lavori preparatori alla Cop21.

Cominciamo con il primo punto: ancorare l’accordo a un chiaro orientamento etico. Entriamo qui nell’ambito delle finalità e dei principi etici che devono orientare tale accordo, dei “perché” quest’ultimo è tanto importante. Vi è la consapevolezza che, come ha detto il Santo Padre nel suo messaggio alla Cop20 di Lima, che ha preceduto nel dicembre 2014 la Cop21, il processo in oggetto «incide su tutta l’umanità, in particolare sui più poveri e sulle generazioni future. Ancor più, si tratta di una grave responsabilità etica e morale (…). Le conseguenze dei cambiamenti climatici, che già si sentono in modo drammatico in molti Stati, soprattutto quelli insulari del Pacifico, ci ricordano la gravità dell’incuria e dell’inazione. Il tempo per trovare soluzioni globali si sta esaurendo, possiamo trovare soluzioni adeguate soltanto se agiremo insieme e concordi».

Durante i lavori preparatori della Cop21, la Santa Sede è impegnata affinché vengano riconosciuti e condivisi alcuni concetti base che hanno raccolto un certo consenso: l’imperativo etico ad agire in un contesto di solidarietà globale; la responsabilità collettiva ma differenziata di fronte all’urgenza di una situazione che richiede la più ampia collaborazione possibile per un piano comune (Laudato si’, 164); il richiamo a un’attenzione particolare verso le generazioni future (ibidem 159-161) e i gruppi più vulnerabili della generazione attuale.

Quest’ultimo aspetto ci permette di passare al secondo punto: promuovere il conseguimento di tre obiettivi tra di loro concatenati. Attenuare l’impatto dei cambiamenti climatici, ma nello stesso tempo contrastare la povertà e far fiorire la dignità dell’essere umano (ibidem 172). Sono oramai evidenti i forti legami esistenti tra la lotta al cambiamento climatico e quella alla povertà estrema; tali legami mettono in evidenza anche che la minaccia del cambiamento climatico e la risposta a essa può realmente diventare un’interessante opportunità, l’opportunità di avviare un nuovo modello di sviluppo, di migliorare la salute, il trasporto, la sicurezza energetica e a creare nuove possibilità di lavoro. D’altronde: sebbene le tecnologie imperniate sui combustibili fossili siano ancora centrali nel sistema energetico attuale, va riconosciuto che si sta sviluppando sempre più la tecnologia necessaria per perseguire un’economia a basso uso di carbonio e il costo per il suo accesso sta gradualmente decrescendo; si assiste a una dinamica molto interessante di nuove politiche a livello nazionale e regionale in tale contesto; vi è una crescente consapevolezza delle numerose e diverse opportunità che offre tale processo a livello economico e imprenditoriale, così come di autorità locali, soprattutto in ambito urbano, e nazionali.

Questi aspetti mettono in evidenza come sembri oramai inevitabile la transizione verso un’economia a basso contenuto di carbonio; di ciò sono consapevoli anche le industrie più “inquinanti” che stanno implementando strategie per una loro ristrutturazione. La dinamica di questa transizione dipenderà anche da quanto gli Stati si impegneranno per rafforzare il quadro di investimento a favore di questa stessa transizione, e la Cop21 potrà dare, come detto un contributo significativo a ciò. In tale prospettiva, la Santa Sede, prendendo spunto anche dalla Laudato si’, ha più volte sostenuto l’importanza di favorire la suddetta transizione attraverso attività che promuovano le energie rinnovabili (ibidem, 26 e 164), l’efficienza energetica (26, 164 e 180), la dematerializzazione (26 e 180), una gestione adeguata del trasporto (26 e 180), dei rifiuti e delle foreste (164), un modello circolare dell’economia (22); attraverso programmi capaci di affrontare seriamente il grave problema dello spreco del cibo e di garantire una sicurezza alimentare sufficiente, sana, accessibile e nutriente con sistemi di agricoltura appropriati, sostenibili e diversificati (164 e 180); attraverso il rafforzamento delle risorse finanziarie da impiegare in tali ambiti e lo sviluppo di strumenti finanziari alternativi, con particolare attenzione all’individuazione di incentivi, all’eliminazione di sussidi e a evitare speculazioni (171). È qui che deve adoperarsi quell’ingegno umano capace di far fiorire la dignità umana.

Certo, il nuovo accordo non può entrare nel dettaglio dei suddetti programmi e attività, ma dovrebbe essere formulato in modo tale da ispirare la loro corretta ed efficace attuazione. In tale ambito, e questo rappresenta una delle parti centrali dell’implementazione del futuro accordo, i Paesi sviluppati dovrebbero dare il buon esempio e prendere l’iniziativa (ibidem, 172) nel limitare in modo importante il consumo di energia non rinnovabile e soprattutto nel promuovere una collaborazione a favore dello sviluppo e del trasferimento di tecnologie appropriate per l’adattamento e la mitigazione, soprattutto per i gruppi più vulnerabili. È anche questo un modo per contribuire a risolvere quel «debito ecologico» denunciato dalla Laudato si’, «soprattutto tra il Nord e il Sud [e] connesso a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni Paesi» (ibidem, 52).

Chiamando in causa la collaborazione tra i Paesi è bene ricordare che essa dovrebbe essere ancorata a una prospettiva lungimirante di lungo periodo, capace di mantenere lo sguardo verso il futuro. Ed eccoci arrivati al terzo punto. Un accordo con un’ampia prospettiva temporale come quella in oggetto dovrebbe da una parte prevedere dei processi di revisione degli impegni e di follow-up trasparenti, efficaci e dinamici, in grado di aumentare progressivamente il livello di ambizione, nonché garantire un adeguato controllo (ibidem, 167). Dall’altra parte, dovrebbe essere compreso e “adottato” dalle popolazioni locali; ciò richiederebbe che fosse garantita la partecipazione nei processi decisionali delle popolazioni locali, comprese quelle indigene (ibidem, 143-146). In tale prospettiva, è bene ribadire anche che una modifica dei modelli di produzione e di consumo (ibidem, 180) non può essere sufficiente se non è accompagnata anche dal cambiamento degli stili di vita. In questa direzione, entra in campo un altro elemento importante: l’educazione a stili di vita sostenibili (ibidem, 164 e 206) e a una consapevolezza responsabile (ibidem, 202 e 231). Ciò vuol dire cogliere l’opportunità del problema dei cambiamenti climatici per intensificare i nostri sforzi formativi ed educativi, soprattutto a favore dei giovani, verso l’assunzione del senso di responsabilità nei confronti del creato e di un autentico sviluppo umano integrale per tutti i popoli, presenti e futuri. L’attuale stile di vita, con la sua cultura dello scarto, è insostenibile e non deve avere spazio nei nostri modelli di sviluppo. La Santa Sede continua a richiamare questi aspetti nel processo verso la Cop21 e a offrire importanti contributi a questo riguardo. In tutto il mondo, numerose istituzioni educative cattoliche sono impegnate a promuovere questa educazione alla responsabilità ambientale, che dovrebbe essere sempre più ancorata nel rispetto di quella ecologia integrale ampiamente analizzata da Papa Francesco nella sua ultima lettera enciclica.

Questa, come ci avverte la Laudato si’, «è una sfida culturale, spirituale ed educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione» (ibidem, 202); una sfida che va molto al di là della Cop21 e che si pone di fronte a ciò che accadrà dopo la Cop21 di Parigi.

 

* L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.271, 26/11/2015