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CONGRESSO PROMOSSO DALL'UNIONE CRISTIANA
IMPRENDITORI DIRIGENTI (UCID)
NEL 60° ANNIVERSARIO DI ATTIVITÀ

INTERVENTO DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE

Torino
Sabato, 6 ottobre 2007

"Responsabilità e creatività come impegno del cristiano;
l'insegnamento della Dottrina Sociale della Chiesa;
l'intuizione del Cardinale Siri nella costituzione dell'UCID"

 

Eminenze Reverendissime,
Illustri Autorità,
Signor Presidente
e cari amici dell'UCID!

1. Un Convegno su tematiche urgenti e attuali

Non è la prima volta che ho contatto con voi, cari amici dell'UCID. Conosco bene le vostre attività e vi sono grato per quest'invito, che ho accolto molto volentieri, ad offrire un contributo alla riflessione di questo Congresso, che affronta una tematica di urgente attualità. Grazie per la vostra cordiale accoglienza e permettete innanzitutto che vi saluti tutti con affetto. In primo luogo saluto l'Arcivescovo di questa Città che ci ospita, il Cardinale Severino Poletto e l'Arcivescovo di Firenze, il Cardinale Ennio Antonelli, Assistente Ecclesiastico dell'UCID. Il mio saluto si estende alle Autorità e alle Personalità presenti, ai promotori e agli organizzatori del Convegno, al Presidente e ai membri della vostra attiva Unione Cristiana di Imprenditori e Dirigenti, la quale a 60 anni dalla sua fondazione si interroga su come rendere il proprio impegno ancor più proficuo e la sua testimonianza evangelica sempre coerente e profetica. "Responsabilità e creatività come impegno del cristiano; l'insegnamento della Dottrina Sociale della Chiesa; l'intuizione del Cardinale Siri nella costituzione dell'UCID". Questo il tema che mi avete affidato e cercherò di svilupparlo avvalendomi anche di ricordi ed esperienze personali legati a precedenti incontri che ho avuto con voi quando ero Arcivescovo di Genova, città che ebbe come pastore l'indimenticabile Cardinale Siri. Avrò modo di ritornare in seguito su questa grande figura della Chiesa e della società italiana, che fu guida coraggiosa ed illuminata del Popolo di Dio, e gran parte ebbe nella fondazione della vostra Associazione.

2. Il saluto del Santo Padre

Mi preme a questo punto farmi portavoce del saluto che Sua Santità Benedetto XVI invia a tutti voi, come pure del suo incoraggiamento a proseguire nell'attività che da 60 anni svolge l'UCID nel vasto e complesso panorama imprenditoriale italiano. Come ebbe a fare in occasione dell'udienza a voi concessa il 4 marzo dello scorso anno, Egli vi invita anche ora a "tendere ad un'etica che vada oltre la semplice deontologia professionale". Ed è proprio da quest'esortazione del Sommo Pontefice che prende avvio la mia prolusione conclusiva, traendo ispirazione anche dalle seguenti parole contenute nel primo punto della premessa del Rapporto UCID 2007: "La "cultura dell'offerta" rappresenta la dimensione espressiva di chi, come cristiano, risponde alla chiamata di Dio ("Sono Io che ho scelto Voi perché portiate frutti", Gv 15, 16) per testimoniare nella vita la Fede". Parole che manifestano la percezione e l'immagine che voi avete del vostro lavoro: la vostra attività imprenditoriale è cioè un servizio, che pur seguendo la logica e le leggi del mercato, le regole del profitto e degli affari, intende connotarsi anzitutto come risposta alla "chiamata" di Cristo a seguirlo, ad essere suoi veri discepoli, cooperando, secondo le vostre specifiche modalità, all'opera creatrice e redentrice di Dio. Ciò comporta da parte vostra che coltiviate un acuto senso di responsabilità e un profetico spirito creativo.

3. Responsabilità e creatività

La "cultura dell'offerta" è un orientamento di fondo che dovrebbe abbracciare e guidare l'intera esistenza del cristiano. Se viene assunto con consapevole maturità umana e spirituale, questo orientamento spinge i credenti a collaborare con il Creatore nel rispondere alle attese e ai bisogni degli altri, in modo responsabile e creativo, mediante strutture ed interventi adeguati alle varie necessità. "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero" (Gv 5, 1-17), dice Gesù nel Vangelo rispondendo ai Giudei che lo criticavano per i prodigi compiuti in giorno di sabato. Seguendo l'esempio di Cristo, ogni cristiano nel suo agire mantiene costante la consapevolezza di essere chiamato a cooperare con il suo lavoro alla realizzazione del progetto di Dio nel mondo. Ognuno di noi è parte vitale di un organismo vivo, che si alimenta di quell'amore che ha spinto il Padre a sacrificare sulla Croce il suo Figlio Unigenito perché anche noi, a nostra volta, realizziamo noi stessi nell'amore, che è dono totale di noi stessi a Lui e servizio generoso al prossimo. Questa attitudine evangelica, che dovrebbe illuminare l'intera esistenza del cristiano, si traduce in scelte operative nei diversi campi dell'attività umana. I successi della ricerca, i progressi della tecnica, le conquiste dell'ingegno umano sono considerati allora, come si dovrebbe, il frutto di una misteriosa e quanto mai proficua cooperazione tra Dio, che opera sempre, e l'uomo docile suo fedele collaboratore. La fede ci aiuta a crescere in questa consapevolezza; ci rende sensibili ai bisogni degli altri, responsabili e creativi nel venire loro incontro. Afferma, a tale proposito, il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes:  "I cristiani, dunque, non solo non pensano di contrapporre le conquiste dell'ingegno e della potenza dell'uomo alla potenza di Dio, quasi che la creatura razionale sia rivale del Creatore; ma, al contrario, essi piuttosto sono persuasi che le vittorie dell'umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile disegno. E quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità individuale e collettiva". E continua ancora il testo conciliare: "Il messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo, lungi dall'incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più pressante" (1).

4. L'insegnamento della Dottrina Sociale

La Chiesa, nel suo insegnamento, ha sempre sottolineato che l'uomo, con il proprio lavoro, partecipa non soltanto all'opera della creazione, ma anche alla redenzione del mondo. In tale prospettiva, il lavoro da vivere e considerare come mezzo di santificazione e di animazione delle realtà terrene (2), diventa espressione della piena umanità dell'uomo. Con la sua azione libera e responsabile, l'uomo rende visibile la profonda relazione che lo lega al Creatore. Questa visione antropologica, proposta dalla Dottrina Sociale della Chiesa, apre un nuovo orizzonte di senso, costruito su una comprensione dell'intera verità dell'uomo. È cioè l'antropologia della creatura amata da Dio, Creatore e Padre.

Proprio per questo la Chiesa non può tacere quando le visioni massificanti e riduttive dell'uomo e i comportamenti, che ad esse si ispirano, offuscano e confliggono con la verità sull'uomo, che la Chiesa custodisce come un tesoro prezioso affidatole da Cristo stesso. Gli insegnamenti della Dottrina Sociale della Chiesa, nella nostra epoca contemporanea, pongono in evidenza la consapevolezza della missione propria della Chiesa, che "è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (3).

L'evidente precarietà e ogni limite quotidiano dell'esistere non esonerano l'uomo dall'impegno costante del lavoro, poiché il lavoro è parte essenziale della sua condizione terrena. E la Scrittura più volte torna a ricordare che il cristiano, appartenendo ad una comunità fraterna che ha come sua caratteristica la somma regola della carità, non può sentirsi in diritto di non lavorare e di vivere a spese degli altri (2 Ts 3, 6-12). Ognuno invece è esortato a farsi un punto di onore e un obbligo morale nel guadagnarsi il giusto sostentamento lavorando con le proprie mani, come ricorda l'apostolo Paolo ai Tessalonicesi (1 Ts 4, 11-12), praticando una solidarietà anche materiale con chi è privo del necessario e si trova in grave necessità.

I Padri della Chiesa hanno sempre affermato che attraverso il lavoro l'uomo collabora con Dio nel governare il mondo; ricordano al tempo stesso quanto l'attività umana giovi al corpo e allo spirito e quanto invece l'ozio pregiudichi l'essere stesso dell'uomo. Ogni essere umano è allora chiamato a lavorare non solo per procurarsi il cibo, ma anche per rendersi sollecito verso le necessità dei poveri. "Ciascun lavoratore - afferma Sant'Ambrogio - è la mano di Cristo che continua a creare e a fare del bene" (4).

Cambiano le forme storiche in cui si esprime il lavoro umano, ma non possono cambiare le sue esigenze permanenti, che si riassumono nel rispetto dei diritti inalienabili dell'uomo al lavoro, e dell'uomo che lavora. Quanto più profondi sono i cambiamenti, tanto più deciso deve essere l'impegno dell'intelligenza e della volontà per tutelare il diritto al lavoro, soprattutto dei giovani (si vedano le recenti statistiche in merito) e la dignità del lavoro, rafforzando, ai diversi livelli, le istituzioni interessate.

5. Impegni urgenti e qualificanti

Da parte di ogni comunità cristiana occorre oggi una responsabile assunzione di alcuni impegni. In primo luogo, la maturazione di un'adeguata presa di coscienza, delle conseguenze connesse ai cambiamenti sociali, economici, politici e culturali in atto. Il periodo di difficoltà e di incertezza che attraversa anche l'Italia, da questo punto di vista, può diventare per i cattolici occasione di nuovo slancio, se attrezzandosi maggiormente sul piano culturale, essi sapranno valorizzare il patrimonio della Dottrina Sociale della Chiesa nel contesto sia nazionale che locale. Si rende poi quanto mai necessaria un'elaborazione culturale sostenuta da un'adeguata capacità critica, condizione essenziale per dare respiro all'opera educativa e formativa, che da sempre caratterizza la Chiesa italiana nelle sue espressioni e di cui si avverte, in questo tempo, tutta l'urgenza. In terzo luogo, emerge sempre più l'utilità di acquisire competenza e professionalità competitive sul mercato da parte del volontariato cattolico e il sostegno comunitario, variamente esprimibile, delle nostre imprese no-profit. L'azione, unita e coerente, dei cattolici sul piano politico, nella prospettiva della crescita dell'etica della responsabilità e del recupero della moralità sociale, rappresenta una delle condizioni essenziali per rinsaldare l'identità nazionale e alimentare nel nostro Paese uno sviluppo economico globale e perciò significativo e importante nel contesto europeo e mondiale (5). Di fronte alle società industriali che talvolta vanificano o dimenticano i valori morali, senza essere in grado di sostituirli, pur avendone bisogno per la loro stessa sopravvivenza, la Chiesa non può tacere. E, da parte sua, ogni singolo cristiano impegnato nella vita civile ed economica ha il dovere di adempiere la propria missione evangelica, concorrendo attivamente con l'aiuto della grazia di Dio all'affermazione, nel contesto sociale, economico e politico, dei fondamentali valori della solidarietà, della responsabilità, della gratuità.

6. L'Intuizione del Card. Siri nella costituzione dell'UCID

A questo punto non possiamo non soffermarci a delineare alcuni tratti della figura e dell'opera di colui che è stato l'iniziatore dell'importante esperienza che ha dato vita all'UCID:  mi riferisco al Cardinale Giuseppe Siri, mio insigne predecessore nella guida dell'Arcidiocesi di Genova. Il magistero sociale di questo illustre Porporato occupa due grossi volumi dell'edizione completa delle sue Opere. In essi spiccano fra l'altro tre lettere pastorali, dodici prolusioni ai Congressi Nazionali UCID e sedici conferenze su tematiche sociali. La sua attenzione pastorale per i problemi sociali era costantemente tesa alla realizzazione di un obiettivo al quale subordinò tutti gli altri:  evangelizzare cioè con la catechesi, il mondo del lavoro. Questa finalità divenne primaria negli anni sociali 1978-79 e 1979-80 il cui piano pastorale diocesano fu appunto: La catechesi per il mondo del lavoro, delineato dalla lettera pastorale che portava lo stesso titolo (6) e dove il Porporato definiva il mondo del lavoro come "l'insieme dei lavoratori, nonché di mentalità, di reazioni, di modi nel percepire e valutare tutto, che gli si forma intorno" (7). Nello stesso documento presentava il lavoratore come "colui che operativamente impiega le sue energie fisiche e intellettuali per provvedere alle esigenze della sua vita e della sua eventuale famiglia" (8).

Il Card. Siri assegnò alla dimensione formativa nel mondo del lavoro così tanta importanza che egli stesso, in prima persona, si impegnò per la fondazione a Genova e la consulenza nazionale dell'UCID. È perciò doveroso, in questo atto commemorativo per il 60° di fondazione, ripercorrerne gli inizi.

L'idea di questa benemerita associazione nacque ancor prima che l'ultima guerra finisse e maturò progressivamente con la constatazione degli orrori che la fine del secondo conflitto mondiale avrebbe portato con sé. Incaricato dal Card. Boetto, fin dal 1943, di preparare il clero genovese a questa imminente emergenza, l'allora Mons. Siri fu nominato Vescovo nel maggio del 1944 e già nel 1945 iniziò a raccogliere in una associazione alcuni imprenditori, spinto dalla persuasione che "per avviare a soluzione ed equilibrare giustamente la questione sociale bisognava indurre la classe dirigente a ragionare in termini cristiani e morali". "Sapevamo bene - egli osservava - che per rendere più facile la vita ai lavoratori bisognava, tra l'altro, far riflettere seriamente quelli che li guidavano. Io avevo sempre davanti l'esempio di Scipione, il più grande generale della storia. Per liberare Roma, mentre Annibale era alle porte, lui asseriva che bisognava portare il teatro delle operazioni a Cartagine. L'arditezza confinava con la inverosimiglianza, ma il grande romano attuò il piano e chiuse per sempre la questione cartaginese". Per il giovane Vescovo Siri era chiaro che "senza creare una coscienza sociale solida - e tale penso sia inutile sperarla fuori di un'illuminazione cristiana - non trascurando affatto il resto, non ci si poteva occupare degli imprenditori". "L'aver promosso l'UCID - scriverà in seguito - mi ha procurato infiniti guai, calunnie, detrazioni, disprezzo, qualifica di nemico dei lavoratori; non mi sono mai mosso, mai difeso... La verità era che ci aveva mossi l'amore per coloro che, nella più ristretta e insicura condizione di vita, soffrivano ed attendevano. Non la demagogia, ma la realtà" (9).

Il Card. Siri voleva che questa associazione apparisse "di chiaro e netto indirizzo cristiano, di sicura dottrina cristiana anche in campo sociale" (10). Ed in seguito ebbe a costatare che fu merito dell'UCID "se a poco a poco diventò comune ed accettato un discorso sociale, ricondotto nella luce di un ideale cristiano e di morale cristiana". Per quest'illuminato Servitore di Cristo e della Chiesa, l'UCID doveva "creare uno spirito, una mentalità, una fede" e dopo trent'anni dalla sua istituzione, nel 1977, annotava: "Molte difficoltà si sono dissolte quasi naturalmente, l'aria è rimasta più limpida spontaneamente:  era il semplice fatto della presenza dell'UCID" (11) e ancora "testimone come sono della vita cittadina da quasi un trentennio, durante il quale l'autorità ecclesiastica non ha mai avuto alcun contrasto con i legittimi costituiti poteri ed ha mantenuto pertanto quell'atmosfera di serena intesa, ho sentito benissimo tra le cause di questo aspetto, per me letificante, la presenza dell'UCID" (12).

Nel pensiero e nella visione delle realtà sociali del Card. Siri non ci sono dubbi:  nella scelta tra l'uomo e le cose - egli notava - occorre salvare l'uomo. Per questo analizzava i complessi problemi sociali ed economici del suo tempo con l'intento sempre fisso a cogliere in essi le ragioni positive e quelle contraddittorie dell'agire umano, per orientare il vero progresso civile, l'impegno produttivo e i criteri distributivi secondo chiari principi etici e morali. Ponendo al centro della sua attenzione l'uomo e i suoi diritti, egli anticipò un tema caro al pensiero e alla predicazione del Servo di Dio Giovanni Paolo II, già fin dalla sua prima Enciclica "Redemptor hominis": "Su questa via che conduce da Cristo all'uomo - scriverà Papa Wojtyla -, la Chiesa non può essere fermata da nessuno" (13).

7. Conclusioni

Vi è una pagina, fra gli scritti del Card. Siri, che credo possa essere la sintesi e la conclusione di quanto finora siamo andati riflettendo e di questo stesso vostro incontro. "La dottrina sociale cristiana - egli scrive - per avere come punto immediato di partenza il rispetto della persona, redenta dal sangue dell'Uomo Dio, resta essenzialmente umana. Questa è la sua viva attenzione. Sa che l'uomo non ha bisogno di solo pane e pertanto non può sacrificargli cose maggiori del pane, perché abbia solo quello:  la libertà e la dignità e la possibilità di agire e produrre indefinitamente in tutti i piani gli è preziosa, non meno del pane e forse più del pane. L'errore di altre concezioni è di avere soluzioni non umane, perché dimenticano qualcosa che nell'uomo bisogna assolutamente salvare. Si sa perfettamente che a ridurre tutti ad un sistema di allineamento militare si produrrà di più e per qualche momento si risolveranno più prontamente gravi problemi. Ma in tale sistema l'uomo rimane violentato, poi avvilito, poi inerte, poi improduttivo, e finalmente spaventosamente reattivo. Arrivato a quel punto è come se non avesse fatto nulla ed avesse perduto il suo tempo".

"L'essere umano - conclude il Cardinale Siri -, l'avere il volto del padre e della madre, della famiglia, della saggezza e dell'onestà procura alla dottrina cristiana sociale presso taluni l'impressione che sia più lenta. Certo si fa più presto a portare con sé in viaggio dieci fotografie che non dieci figli. Ma, se si pretendesse di portarsi dietro dieci figli con la stessa disinvoltura con cui si portano dieci cartoncini, si sa bene cosa succederebbe dei figli e quanti ne finirebbero sotto le ruote dei treni. La differenza sta qui:  ad andare umanamente si arriva; ad andare in modo inumano, mentre si crede di avanzare, si torna indietro" (14).

Il ricordo e gli scritti del Cardinale Siri continuino, cari amici, ad essere per voi un chiaro e costante punto di riferimento. Da parte mia, auspico che l'UCID prosegua la sua missione nella Chiesa e nella società con quell'entusiasmo e quel coraggio con cui ha mosso i primi passi. Lo studio della Dottrina Sociale della Chiesa, l'attenzione ai mutamenti che segnano la vita sociale, politica ed economica dell'Italia e del mondo, e soprattutto la fedeltà a Cristo e al suo perenne messaggio di verità e di amore costituiscono il bagaglio irrinunciabile per poter affrontare anche le sfide della nostra epoca. La Celebrazione dell'Eucaristia, che tra poco ci riunirà in Cattedrale, sarà momento privilegiato per presentare al Signore i vostri progetti per il futuro e chiederGli la luce e l'aiuto per portarli a felice compimento. Con l'aiuto di Dio nulla è impossibile all'uomo!
 


1) N. 34.

2) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 27, in:  AAS 73 (1981) 644-647.

3) Conc. Ecum. Vat. II. Cost. Lumen gentium, 1.

4) Sant'Ambrogio, De abitu Valentiniani consolatio, 62:  PL 16, 1438.

5) Cfr. Atti della XLII Settimana Sociale dei Cattolici Italiani su "Identità nazionale, democrazia e bene comune", 28 settembre-2 ottobre 1993.

6) La catechesi per il mondo del lavoro, 25 settembre 1978, 230-235

7) Ibid., 230.

8) Ibid.

9) La strada passa per Cristo, I, 236.

10) La strada passa per Cristo, I, 327.

11) La strada passa per Cristo, I, 329-330.

12) La strada passa per Cristo, I, 330.

13) N. 31.

14) La strada per Cristo, I, 72-73.  

      

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