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BENEDIZIONE DELLA PRIMA PIETRA DELLA CASA
DELLA SUSSIDIARIETÀ SOLIDALE MONS. FILIPPO FRANCESCHI

DISCORSO DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Centro Civitas Vitae - Padova
Sabato, 11 luglio 2009

 

Eccellenza Reverendissima,
Stimatissimo Presidente,
Illustri Signori Medici,
Pregiatissimi Signori e Signore del Personale,
carissimi Degenti e rispettivi Familiari,

E’ per me un onore partecipare a questo incontro, in occasione della Benedizione della prima pietra della “Casa della Sussidiarietà Solidale Mons. Filippo Franceschi”, volta ad accogliere sacerdoti/religiosi anziani che, pur in condizioni di non autosufficienza soprattutto motoria, sono in grado di esplicare il loro servizio religioso nelle diverse strutture che compongono il complesso del Civitas Vitae.

Sono particolarmente lieto di verificare come la sinergia fra l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Padova e la Fondazione Opera Immacolata Concezione abbia dato luogo ad iniziative che rivelano come il bene comune non sia appannaggio esclusivo né della Chiesa, né della società civile, ma sia il riflesso di un comune impegno e di una incessante attenzione alla dignità inviolabile della persona umana. In questo senso, si comprende come il bene di ognuno non può essere singolarmente perseguito e fruito se non con il concorso di tutti, così come il bene di tutti non può dimenticare o, peggio, relegare alcune persone ai margini della società e delle responsabilità da questa dovute sempre e comunque a tutti, soprattutto a coloro che per l’anzianità, la malattia, la disabilità fisica o psichica, la fragilità di diversa natura potrebbero rischiare di essere messi in disparte in quanto soggetti non più utili o produttivi.

Secondo le finalità che sono alla base di questa struttura, in particolare nella valorizzazione della longevità, si vengono così ad affermare invece due principi coessenziali nel perseguimento della promozione e del rispetto della persona umana, come singolo e come società; e cioè il principio della solidarietà, inteso come intrinseca interdipendenza che lega tutti gli uomini, e il principio della sussidiarietà, inteso come modalità secondo la quale ogni persona e ogni organismo sociale rimangono a servizio, con le proprie peculiarità, gli uni degli altri e del bene comune. Infatti, la solidarietà senza la sussidiarietà degenera nell’assistenzialismo burocratico, dove la persona umana rischia di venire ridotta a semplice fruitrice di servizi erogati dalla società, mentre, dall’altra parte, la sussidiarietà senza solidarietà rischia di assestarsi in un localismo egoistico. L’interdipendenza che lega tutti gli uomini dà, invece, insieme il senso della singolarità e dell’universalità della famiglia umana.

In questa struttura che esattamente reca la dizione “Casa della Sussidiarietà Solidale Mons. Filippo Franceschi”, l’approccio della longevità come risorsa intende avvalorare con la solidarietà e la sussidiarietà la promozione della persona umana, cosicché gli anziani non autosufficienti, gli ospiti dell’hospice, le persone in stato vegetativo possano condividere le relazioni profonde che sorgono anche dall’esperienza del dolore e della sofferenza con la società, con i giovani, con le famiglie, con gli operatori socio-sanitari, con i volontari, creando così spazi di vita e un reticolo di relazioni all’insegna della prossimità e della vera fraternità.

In questo senso, si comprende meglio e trova conferma quanto esposto nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa: “il significato profondo della convivenza civile e politica non emerge immediatamente dall’elenco dei diritti e dei doveri della persona. Tale convivenza acquista tutto il suo significato se basata sull’amicizia civile e sulla fraternità. Il campo del diritto, infatti, è quello dell’interesse tutelato e del rispetto esteriore, della protezione dei beni materiali e della loro ripartizione secondo regole stabilite; il campo dell’amicizia, invece, è quello del disinteresse, del distacco dai beni materiali, della loro donazione, della disponibilità interiore alle esigenze dell’altro. L’amicizia civile, così intesa, è l’attuazione più autentica del principio di fraternità, che è inseparabile da quello di libertà e di uguaglianza. Si tratta di un principio rimasto in gran parte non attuato nelle società politiche moderne e contemporanee, soprattutto a causa dell’influsso esercitato dalle ideologie individualistiche e collettivistiche” (n. 390).

A quest’ultima constatazione si deve aggiungere ciò che al presente è sotto gli occhi tutti, ovvero la pressione della grave crisi economica mondiale che sta lasciando dietro di sé profondi segni di impoverimento e significative decurtazioni delle risorse finanziarie anche e soprattutto con ripercussioni nell’ambito della spesa sanitaria, a livello dei singoli Paesi come delle Organizzazioni Internazionali. Il rischio concreto è che i primi a soffrirne siano proprio gli anelli più deboli e fragili della società, e cioè coloro che dovrebbero essere invece i destinatari privilegiati della solidarietà e della giustizia sociale. Come cristiani e come società civile non possiamo non riaffermare il senso genuino del valore della vita umana e della correlativa dignità della persona. Questi valori non possono mai essere ridotti ad una questione di fatto, ad un semplice ‘benessere’ o ad una calcolo utilitaristico, mentre invece rimandano ad una trascendenza che vincola l’uomo ad una realtà per la quale vivere. In tal modo, il valore della vita umana e la dignità della persona si possono, anzi, si devono valutare sempre come un bene, non per il loro valore biologico, né per il sentimento soggettivo e neppure per la valutazione culturale frutto del consenso collettivo, in quanto esiste sempre e in ogni circostanza un senso del vivere, che - è necessario ribadire - non può essere arbitrario, ma è fondante e doveroso.

La tradizione cristiana ha sempre difeso e tuttora riafferma questa priorità e grandezza interiore e trascendente del senso, considerando la vita come un dono. È qui che il senso del vivere si scopre in una origine che è la promessa di una meta, e questo orizzonte ha un nome, è Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo. A motivo di questo senso ‘teologico’, anche nella più grande debolezza, il dono iniziale rimane e il senso non scompare, ma continua ad esserci esigendo di essere riconosciuto. Di conseguenza, per la stessa struttura fondamentale del dono, la vita non può essere considerata in nessun modo dominata da un destino impersonale o determinata dallo sviluppo di una natura in evoluzione, ma come la manifestazione reale della volontà amorosa di un Donatore originario. Riscopriamo così il motivo dell’insistente insegnamento del Santo Padre, Benedetto XVI nel richiamare il recupero della dimensione ‘teologica’ della vita, non solo per i cristiani, ma anche per gli Stati europei, le radici culturali e giuridiche dei quali affondano in questa stessa dimensione imperitura e intangibile, che ha costituito altresì la base della civiltà occidentale.

Da questa prospettiva, si comprende al contempo che qualsiasi senso della vita è intimamente legato alla relazione d’amore con un’altra persona. Vivere appare, alla fin fine, come un ‘vivere per’, che impedisce la chiusura di un semplice fatto biologico. In questo senso, l’affermazione secondo la quale la vita è sempre un bene può essere riformulata alla luce della dinamica che la sostiene e la costituisce, e cioè, secondo quanto affermava Papa Giovanni Paolo II nell’Enciclica Evengelium Vitae, “si può comprendere e portare a compimento il senso più vero e profondo della vita: essere un dono che si realizza donandosi” (n. 49).

La vita è sempre un bene nella misura in cui nasce da un dono e tende al dono di sé. Contiene, pertanto, un’intenzione personale che precede la persona umana e la espone alla necessità di un senso per il quale dare la vita. Per tale motivo si può ritenere la vita umana come sacra e, di conseguenza, inviolabile: non per se stessa, come fatto fisico di essere un individuo concreto di natura umana, ma per la sua origine - l’essere, cioè, un atto d’amore di Dio - e per il suo destino, avvolto in un mistero di unione con Dio che in essa si rivela come una chiamata all’eternità. Questa dimensione sacrale e inviolabile della vita nella sua destinazione all’eternità ci dà modo di comprendere meglio, in questa circostanza, il senso della ‘vita eterna’; infatti questa, secondo la profonda interpretazione della offerta da Benedetto XVI nell’Enciclica Spe salvi (cfr. nn. 10-12), lungi dall’essere un continuo susseguirsi di giorni, è invece il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo - il prima e il dopo - non esiste più, “è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia” (Benedetto XVI, Lett. Enc. Spe salvi, n. 12). Questo destino di eternità, quindi, accanto alla dimensione trascendente del suo inizio, conferma il valore sacro e inviolabile della vita e la dimensione più profonda della dignità della persona umana.

Con lo sguardo proiettato alla speranza cristiana, mi auguro sia questo lo spirito profondo che animerà la struttura cha affidiamo alla Benedizione divina. Questa Casa della Solidarietà Solidale, intitolata a Sua Eccellenza Mons. Filippo Franceschi, figura prestigiosa di pastore in questa Diocesi dal 1982 fino alla morte avvenuta nel dicembre 1988, diventi una testimonianza eloquente che è possibile creare fraternità, attraverso il dono e l’amore, in particolare nell’aiuto che sacerdoti anziani e pur in precarie condizioni fisiche potranno continuare ad offrire con la loro missione di evangelizzazione; nella azione ammirevole delle Suore e delle Religiose nonché nell’aiuto e nella valorizzazione anche di persone giovani affette da disabilità, che qui troveranno lavoro, svago, spazi ove esprimere i loro talenti, manifestando così la gioia del dono della vita.

Mentre ringrazio fin d’ora tutti coloro che a diverso titolo e modo hanno contribuito a ideare e a rendere possibile questa struttura, anche negli impegni che competeranno loro nel futuro, auguro a coloro che usufruiranno dei servizi socio-sanitari di questa Istituzione e a coloro che già sono ospiti del Centro Civitas Vitae di ritrovare salute, vera compassione e speranza, rendendo così una preziosa testimonianza civile ed ecclesiale al Vangelo della vita.

   

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