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ORDINAZIONE EPISCOPALE DI MONS. RENATO MARTINO

OMELIA DEL CARDINALE AGOSTINO CASAROLI*

Domenica, 14 dicembre 1980

 

 

«Rallegratevi sempre nel Signore; ve lo ripeto, rallegratevi: il Signore è vicino!». L'antifona d'ingresso di questa III Domenica di Avvento, la Domenica detta appunto «Gaudete», ci rivolge un invito che suscita un'eco particolare nei nostri animi. Non è soltanto la gioia per il Natale ormai imminente. V'è per noi un motivo speciale di intimo gaudio. Un avvenimento importante si compie, infatti, in questa nostra Assemblea liturgica: un nuovo Vescovo sta per essere consacrato. Il Collegio dei Successori degli Apostoli che si ricostituisce nel fluire del tempo, si arricchisce oggi di un nuovo componente. L'eterna parola di Cristo ha un suo nuovo araldo nel mondo.

Un'ombra rattrista bensì, e gravemente, la nostra letizia. Quest'atto avrebbe dovuto compiersi nello splendore antico del Duomo di Salerno, ricco di arte e denso di venerande memorie, con la gioiosa partecipazione di tutto un popolo esultante nel vedere uno dei migliori suoi figli elevato alla dignità episcopale. Purtroppo i paurosi ultimi avvenimenti, che hanno portato distruzioni e lutti anche nel Salernitano, hanno costretto a modificare i programmi già stabiliti. In questo momento solenne, siamo tutti spiritualmente uniti a quanti hanno sofferto e soffrono per le conseguenze del disastroso terremoto, con il voto che, con l'aiuto di Dio, la vita riprenda i suoi diritti, là dove la morte è sembrata avere una temporanea vittoria.

1. Il nostro pensiero va ora alla pagina evangelica che descrive gli ultimi istanti della presenza visibile dl Cristo sulla terra. Lo scenario é la Galilea: gli Apostoli sono raccolti intorno al loro Maestro per l'estremo commiato. Gesù parla: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del Mondo» (Mt 28, 18-20). Sono espressioni solenni. Mai Gesù ha rivendicato in maniera tanto esplicita il suo dominio supremo sul mondo intero. Ebbene, è proprio in virtù di questo potere universale che egli incarica ora gli Apostoli di continuare la sua opera sulla terra. «Andate dunque...». In quel «dunque» è messa chiaramente in evidenza la derivazione della missione degli Apostoli dall'autorità di Cristo: su questa autorità deve ritenersi, pertanto, commisurata l'ampiezza dei poteri apostolici.

La Chiesa rifletterà sulle parole del suo Maestro e comprenderà che nel mandato di «far discepole» (questo è infatti il senso etimologico del verbo greco corrispondente ad «ammaestra­re») tutte le genti, era trasmesso agli Apostoli il potere di annunciare il messaggio della salvezza, ed era trasmesso con tale autorevolezza da esporre alla condanna chi non avesse creduto: era il potere di magistero. La Chiesa comprenderà, altresì, che nel compito di consacrare alla Trinità col Battesimo i convertiti dalla predicazione era data agli Apostoli la facoltà di essere dei generatori di santi a gloria di Dio: il potere liturgico. La Chiesa comprenderà infine che nel compito di guidare fedeli all'osservanza di tutto ciò che Cristo aveva comandato, doveva intendersi affidata agli Apostoli la facoltà di esercitare un pero potere di giurisdizione e di spirituale governo.

Gli Apostoli divenivano in tal modo i continuatori sulla terra dell'opera di Cristo, coloro che ne perpetuavano la presenza fra il popolo dei credenti. Non aveva forse il Maestro espressamente assicurato: «Io sonò con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo»? «Con voi»; non con loro soltanto come singoli individui, evidentemente – dal momento che la morte li stava ricongiungendo uno ad uno al Maestro, mentre ancora la fine del mondo non accennava a profilarsi. “Con loro» come responsabili di un ufficio, che avrebbero dovuto a loro volta trasmettere ad altri, perché questi facessero poi altrettanto e cosi via fino all'ultimo giorno del mondo.

Fu così che gli Apostoli cominciarono ad «imporre le mani» su altri uomini prescelti, trasmettendo loro i poteri ricevuti da Cristo. Questi uomini, a loro volta, passarono ad altri la consegna ricevuta, e venne formandosi in tal modo la catena ininterrotta che collega la Chiesa primitiva a quella dei secoli successivi, giù giù lungo il corso dei tempi fino alla Chiesa che crede, lotta e prega in questo nostro secolo ventesimo.

Come da principio, anche noi stasera imponiamo le mani a questo nostro fratello, investendolo dei poteri profetico, liturgico e regale, di cui noi pure, a suo tempo, fummo insigniti per il servizio del popolo di Dio. La promessa di Cristo «Io sono con voi» trova stasera una sua nuova attualizzazione. Hanno dunque una loro particolare verità le parole della liturgia: «Rallegratevi, il Signore è vicino». Ha scritto un teologo: «Come sotto le apparenze esterne del pane e del vino, nel più grande dei Sacramenti, Cristo continuerà a toccarci con la sua sostanza, così sotto le apparenze esterne della gerarchia, egli continuerà a toccarci con la sua azione» (Ch. Journet, L'Eglise du Verbe Incarné, I, pp. 14-13).

2. Queste riflessioni, dettate dall’atto al quale, in forza del «mandato apostolico», stiamo per procedere, debbono essere allargate a un'altra considerazione: il sacerdote al quale fra poco imporremo le mani non è chiamato a reggere una Chiesa particolare o ad essere di aiuto ad un altro Vescovo nel governo di una determinata diocesi; egli sarà consacrato per esercitare le funzioni – diciamo pure la missione – di Rappresentante Pontificio. Che cosa significa questo?

Un dato di fondo emerge dalla testimonianza delle scritture: il Collegio Apostolico è consapevole di formare un corpo unitario. I Dodici sanno di essere stati eletti da Cristo non come individui isolati, ma come un gruppo stabile, legato da vincoli di profonda comunione (cfr. Gv 20,21; Mt 18,18 ecc.). Di fatto, come corpo unitario si comportano: insieme escono, nel mattino della Pentecoste, ad annunciare, stretti intorno a Pietro, la «buona novella» del Regno (cfr At 2,14-36; 5, 21. 29-32. 41-42); insieme prendono l'iniziativa di riempire il posto rimasto vuoto per la defezione di Giuda (cfr At 1,12-26); insieme concordano l'invio di qualcuno di loro dove più urge il bisogno (cfr At 8,14; 11,22); collegialmente legiferano nel Concilio di Gerusalemme (cfr At 15,8.291.

Quando l'espansione della Chiesa li condurrà su strade diverse nelle varie regioni del mondo, la coscienza della necessità della comunione li accompagnerà dappertutto: ce ne offre conferma l'apostolo Paolo che, in diversi momenti del suo ministero, si preoccupa di verificare la propria sintonia con coloro che «erano ritenuti le colonne» (cfr Gal 1,18; 2,2.9).

La Chiesa é una realtà di comunione che ha nello Spirito il suo principio dinamico (cfr Lumen Gentium, 13; Unitatis Red., 2), nel Battesimo l'esordio effettivo (cfr Unitatis Red, 22), nell'Eucarestia il segno e l'alimento (cfr Lumen Gentium, 3 etc.), nel ministero gerarchico, facente capo a Pietro, il fondamento visibile ed il mezzo di organica coesione fra le mutevoli vicende della storia. (cfr. Lumen Gentium, 18, 22, 23).

E' in questa luce che si situa la particolare funzione ecclesiale, a cui sarà deputato il Vescovo che noi oggi consacriamo. Egli è chiamato ad essere; ad un titolo speciale, ministro della comunione che vi è tra i Vescovi ed il Successore di Pietro. Presso le Comunità cristiane alle quali sarà inviato, egli dovrà essere testimone premuroso di quella «sollecitudo omnium ecclesiarum», che costituisce l’assillo quotidiano del Sommo Pontefice.

Nel recente Concilio la Chiesa ha preso maggiore coscienza di essere un corpo di Chiese, che devono vivere in comunione, pur godendo ciascuna di legittima autonomia. Ora, quanto più si accentua il pluralismo delle Chiese locali, tanto maggiore si fa l'urgenza di evitare che, a motivo delle varietà locali, venga debilitata l'intima Unità, che è propria del Corpo mistico di Cristo.

La composizione fra le esigenze poste dall'unità e quelle che scaturiscono da un legittimo pluralismo, spetta, per divina disposizione, al Vescovo di Roma, in quanto successore dell'Apostolo Pietro, «perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli» (Lumen Gentium 23). Egli esercita la sua grande missione, in gran parte, direttamente: grazie al personale contatto che intrattiene, di presenza o per scritto, con i singoli suoi Fratelli nell'Episcopato o con le Conferenze Episcopali dei vari Paesi.

Ma ai Rappresentanti Pontifici spetta un compito particolare e difficilmente sostituibile nel coadiuvare il Sommo Pontefice in quella sua suprema responsabilità. Essi devono pertanto svolgere un delicato ruolo di raccordo, che facilitando il dialogo e la collaborazione, dia concretezza a quell'istanza di comunione, che lo Spirito mantiene perennemente viva nella Chiesa. La presenza nella Chiesa locale del Rappresentante del Vescovo di Roma, la Sede cui spetta di presiedere alla comunione della carità, diventa in tal modo il segno dell'esigenza che le varie Chiese non si chiudano in se stesse, ma restino aperte alle altre e continuino a protendersi verso l'attuazione sempre più piena di quell’unità, che costituisce una nota distintiva della Chiesa di Cristo.

Ma oltre a questa funzione squisitamente ecclesiale, un'altra ne spetta non di rado al Rappresentante Pontificio: quella, cioè, di rappresentare il Santo Padre anche presso il Governo dei diversi Paesi che con la Santa Sede intrattengono rapporti diplomatici. E' anche questo un servizio di Chiesa! Riassumendo la missione dei diplomatici pontifici, il Papa Paolo VI di venerata memoria ricordava che essi sono chiamati « ad essere i vicini collaboratori della Santa Sede nell'opera che essa svolge nel mondo», non solo «a incoraggiamento dei Vescovi e delle comunità ecclesiali ed essi affidate e, ma altresì «a difesa dei valori religiosi, a tutela dell'uomo e dei suoi intangibili diritti, a sostegno della vera pace. Questa è la "diplomazia" che oggi svolge la Chiesa nel mondo», opera « indispensabile e preziosa» (Discorso agli alunni della Pont. Accad Eccl. 22-2-1971).

3. Le regioni nelle quali Ella è inviata, caro Monsignore, la Thailandia, il Laos, la Malesia e Singapore, sono geograficamente lontane dalla Sede episcopale del Successore di Pietro, ma vicinissime al suo cuore.

Sono nobili Paesi giustamente fieri della loro storia e delle loro tradizioni, non privi, certo, di problemi anche gravi; ma aperti alle prospettive di un futuro che noi tutti, con il Papa e con Lei che già Li ama, auspichiamo prospero e sereno.

La Thailandia,« Stato degli uomini liberi», come ho letto che significhi il suo nome: espressione orgogliosamente bella, la cui realtà corrisponde certamente anche alle aspirazioni e alla volontà degli abitanti degli altri vicini Paesi, benché di nome diverso, la Thailandia ha allacciato, dal 1969, rapporti diplomatici con la Santa Sede, che è stata lieta di ricevere e di dare, cosi, un segno di particolare stima e della mutua volontà di cooperare per le buone ed utili cause che interessano, non solo le vicendevoli relazioni, ma l'umanità intera e i popoli dell'Asia in particolare.

Stima e volontà di leale cooperazione che valgono anche per gli altri Paesi dove Ella si recherà, anche se non hanno – o non hanno ancora – il crisma della ufficializzazione diplomatica.

In essi la Chiesa Cattolica è presente, in misura ed in situazioni differenti, come una piccola minoranza: viva, però, e radicata già in quelle popolazioni. Si tratta pertanto di territori, come suol dirsi, «di Missione».

La Chiesa, ha ricordato il Concilio, «cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena, ed è come il fermento e quasi l'anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo ed a trasformarsi in famiglia di Dio» (Cost. Gaudium et Spes, n. 40). Questa viva coscienza di essere «incarnata» nella storia dell'uomo impegna la Chiesa a ricercare, pur in mezzo a difficoltà a volte complesse, un rapporto col mondo che, specialmente in terra di missione, si rivela particolarmente necessario e ricco di promesse.

Nel «Decreto sull'attività missionaria» il Concilio ha delineato le caratteristiche fondamentali di tale rapporto. Esso è, innanzitutto, un rapporto di annuncio (cfr ib. n. 6): la Chiesa si sa mandata da Cristo a predicare il Vangelo della salvezza. In ciò sta il suo fine primario: essa non può dimenticarlo, senza smentire se stessa e condannarsi ad un'esistenza radicalmente inautentica.

E' poi un rapporto di testimonianza (cfr ib, n. 11): le parole dell'annuncio suonerebbero stonate e vuote, se ad esse mancasse l'avallo di una vita tesa verso una sempre più piena sintonia col messaggio in esse contenuto. Nell'ipotesi, anzi, che le circostanze fossero tali di rendere impossibile l'annuncio diretto ed immediato del Vangelo, il Concilio stabilisce: «In questo caso i missionari possono e debbono [...] offrire almeno la testimonianza della carità e della bontà di Cristo, preparando così le vie del Signore e rendendolo in qualche modo presente» (ib., n. 6). E' ancora, un rapporto di dialogo, che il Decreto menzionato vuole «sincero e comprensivo» (cfr. n. 11). I cristiani devono, cioè, mostrarsi membra vive del gruppo umano a cui appartengono, e prendere parte attivamente alla vita culturale e sociale del loro paese, cercando di scoprire nelle tradizioni della loro Terra quei «germi del Verbo», che in esse tante volte si nascondono.

E', infine, un rapporto di collaborazione, animato da un amore disinteressato, che si ispira ed alimenta all'amore stesso del Verbo incarnato.

La consegna del Concilio è precisa: «I fedeli debbono impegnarsi, collaborando con tutti gli altri, alla giusta composizione delle questioni economiche e sociali». Essi debbono portare il loro contributo «ai tentativi di quei popoli che... si sforzano per creare migliori condizioni di vita e per stabilire la pace nel mondo» (ib., n. 12).

L'orizzonte, come si vede, è amplissimo, e l'atteggiamento con cui la Chiesa vi si situa è quello proprio di Cristo: servire l'uomo, mutandolo a comprendere sempre meglio se stesso e ad orientarsi verso l'edificazione di un mondo rispettoso non solo di ogni dimensione autenticamen­te umana, ma anche – e soprattutto – della chiamata ad un destino superiore.

Questo è l'orizzonte nel quale Ella è chiamati a svolgere la Sua azione, caro Monsignore.

Ella vi porta, insieme alle doti delle quali il Signore l’ha arricchita, l'accurata preparazione, la molteplice esperienza acquisita, ma specialmente l'amore alla Chiesa, la fedeltà al Papa che i lunghi anni trascorsi nel diretto servizio alla Santa Sede hanno resa in Lei quasi una seconda natura.

Noi l’accompagniamo con i nostri voti, con la nostra preghiera!


*L’Osservatore Romano, 15-16.12.1980, p.3.


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