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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Il vero digiuno

Venerdì, 3 marzo 2017

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.52, 04/03/2017)

Ma come si fa a pagare una cena duecento euro e poi far finta di non vedere un uomo affamato all’uscita dal ristorante? E come si fa a parlare di digiuno e penitenza e poi non pagare i contributi alle collaboratrici domestiche o il giusto stipendio ai propri dipendenti ricorrendo al salario in nero? Proprio dal rischio di cadere nella tentazione di «prendere la tangente della vanità», del voler apparire buoni facendo «una bella offerta alla Chiesa» mentre si «sfruttano» le persone, Papa Francesco ha messo in guardia nella messa celebrata venerdì mattina, 3 marzo, a Santa Marta. Una riflessione sul significato del «vero digiuno» scaturita dalla eloquente attualità delle parole del profeta Isaia: «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo senza trascurare i tuoi parenti?».

«La parola del Signore — ha subito fatto presente Francesco — oggi parla del digiuno cioè della penitenza che noi siamo invitati a fare in questo tempo di quaresima: la penitenza per avvicinarsi al Signore». Nel salmo 50, infatti, «abbiamo pregato: “Tu gradisci, Signore, il cuore penitente”». E «il cuore che si sente peccatore e sa di essere peccatore, davanti a Dio si presenta così e davanti agli altri lo stesso: “Sono peccatore e per questo cerco di umiliarmi”».

La prima lettura, ha spiegato il Papa facendo riferimento al passo tratto dal profeta Isaia (58, 1-9), «è proprio un dibattito fra Dio e quelli che si lamentano che Dio non ascolta le loro preghiere, le loro penitenze, i loro digiuni». Il Signore dice: «Il vostro digiuno è un digiuno artificiale, non è un digiuno di verità, è un digiuno per compiere una formalità». Perché, ha affermato Francesco, «loro digiunavano solo per ottemperare a certe leggi». E nel passo di Isaia «si lamentano perché il loro digiuno non era efficace» e domandano: «Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?». Ma «ecco — risponde il Signore — nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui». Insomma, «da una parte digiunate, fate penitenza, e dall’altra parte, fate ingiustizie». In fin dei conti, ha spiegato il Pontefice, «questi credevano che digiunare era un po’ truccarsi il cuore: “Io sono giusto perché digiuno”». Ed «è la lamentela che fanno a Gesù questi discepoli di Giovanni — che erano buoni — e i farisei: “Sono giusto, mi trucco il cuore ma poi litigo, sfrutto la gente”».

«Nel giorno del digiuno curate i vostri affari»: questo «è il senso più incisivo», ha detto ancora il Papa, aggiungendo che si tratta di «affari sporchi». Un modo di fare che «Gesù sempre ha detto che è ipocrisia». Così, ha proseguito, «abbiamo sentito quando Gesù parla di questo, mercoledì scorso: “Quando digiunate non fate i malinconici, la faccia triste, perché tutta le gente veda che digiunate”». E «quando preghi non farti vedere che stai pregando perché la gente dica: “ma che persona buona, giusta”». Insomma, «quando fate elemosina non fate suonare la tromba».

Sempre nel brano di Isaia, «il Signore spiega a questa gente che si lamenta qual era il vero digiuno: “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Questo voglio io, questo è il digiuno che io voglio”».

L’altro, invece, «è il digiuno “ipocrita” — è la parola che usa tanto Gesù — ed è un digiuno per farsi vedere o per sentirsi giusto, ma nel frattempo ho fatto ingiustizie, non sono giusto, sfrutto la gente». Non vale dire: «Io sono generoso, farò una bella offerta alla Chiesa». Piuttosto, «dimmi: tu paghi il giusto alle tue collaboratrici domestiche? Ai tuoi dipendenti li paghi in nero? O come vuole la legge perché possano dare da mangiare ai loro figli?».

«Mi viene in mente — ha confidato Francesco — una storia che ho sentito raccontare da padre Arrupe», il religioso spagnolo che è stato preposito generale della Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983: «Quando lui era missionario in Giappone, all’inizio, pieno di zelo apostolico, dopo la bomba atomica, ha fatto un giro per alcuni Paesi del mondo per suscitare questo zelo apostolico e chiedere preghiere per la missione del Giappone e chiedere aiuto. E faceva delle conferenze e spiegava. Era un uomo di grande zelo apostolico e un uomo di preghiera, davvero». Padre Arrupe, «parlando di questa ipocrisia, raccontò che un giorno, dopo una conferenza, gli si avvicina una persona molto importante di quella società di quel Paese e gli dice: “Ma sono rimasto commosso, padre, di quello che lei ha detto. Io vorrei aiutarla, pure. Venga da me, al mio ufficio, domani, perché io vorrei fare un’offerta, un aiuto. L’aspetto domani”». E così «il giorno dopo» il gesuita «andò da lui»; ma quell’uomo «lo aspettava con un fotografo e con un giornalista. Era un affarista conosciuto e gli dice: “Padre, grazie tante”. Ha fatto un piccolo discorso, ha aperto il cassetto, ha preso una busta: “Questa è l’offerta per il Giappone che io voglio dare. Grazie tante”. Hanno parlato un po’ e se ne è andato. Ha fatto un’altra conferenza. Poi dà la busta al segretario che lo aiutava e viene il segretario e gli dice: “Ma, padre, questa busta chi gliel’ha data?” - “Quel signore per ringraziarmi” – “Ma ci sono dieci dollari dentro!”».

«Questo — ha fatto notare il Papa — è lo stesso che noi facciamo quando non paghiamo il giusto alla nostra gente». Così «noi prendiamo dalle nostre penitenze, dai nostri gesti di preghiera, di digiuno, di elemosina, prendiamo una “tangente”: la tangente della vanità, del farci vedere». Ma «quella non è autenticità, è ipocrisia». Dunque, ha insistito il Pontefice, «quando Gesù dice: “quando pregate fatelo di nascosto, quando date l’elemosina non fate suonare la tromba, quando digiunate non fate i malinconici”, è lo stesso che se dicesse: “per favore, quando fate un’opera buona non prendete la tangente di quest’opera buona, è soltanto per il Padre”».

Nel brano di Isaia, ha proseguito il Papa, c’è una parola del Signore rivolta a coloro «che fanno questo digiuno ipocrita», che «sembra detta per i nostri giorni: “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo senza trascurare i tuoi parenti?”». Francesco ha suggerito di pensare «a queste parole: pensiamo al nostro cuore, come noi digiuniamo, preghiamo, diamo elemosine». E «anche — ha concluso il Papa — ci aiuterà pensare cosa sente un uomo dopo una cena che ha pagato, non so, duecento euro, torna a casa e vede uno affamato e non lo guarda e continua a camminare. Ci farà bene pensarci».


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