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DISCORSO DEL SANTO PADRE
AI DIPENDENTI DELLA SANTA SEDE E DELLO
STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO IN OCCASIONE DEGLI AUGURI NATALIZI

Aula Paolo VI
Venerdì, 21 dicembre 2018

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Cari fratelli e sorelle,

grazie di essere venuti, molti anche con i familiari. Mi è piaciuto salutare le famiglie, ma il premio è per la bisnonna, 93 anni, con la figlia, che è nonna, con i genitori e i due bambini. È bella la famiglia così! E voi lavorate per la famiglia, per i figli, per portare avanti la famiglia. È una grazia! Custodite le famiglie. E buon Natale a tutti!

Il Natale è per eccellenza una festa gioiosa, ma spesso ci accorgiamo che la gente, e forse noi stessi, siamo presi da tante cose e alla fine la gioia non c’è, o, se c’è, è molto superficiale. Perché?

Mi è venuta in mente quella espressione dello scrittore francese Léon Bloy: «Non c’è che una tristezza, […] quella di non essere santi» (La donna povera, Reggio Emilia 1978, p. 375; cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 34). Dunque, il contrario della tristezza, cioè la gioia, è legata all’essere santi. Anche la gioia del Natale. Essere buoni, almeno avere il desiderio di essere buoni.

Guardiamo il presepe. Chi è felice, nel presepe? Questo mi piacerebbe chiederlo a voi bambini, che amate osservare le statuine… e magari anche muoverle un po’, spostarle, facendo arrabbiare il papà, che le ha sistemate con tanta cura!

Allora, chi è felice nel presepe? La Madonna e San Giuseppe sono pieni di gioia: guardano il Bambino Gesù e sono felici perché, dopo mille preoccupazioni, hanno accolto questo Regalo di Dio, con tanta fede e tanto amore. Sono “straripanti” di santità e quindi di gioia. E voi mi direte: per forza! Sono la Madonna e San Giuseppe! Sì, ma non pensiamo che per loro sia stato facile: santi non si nasce, si diventa, e questo vale anche per loro.

Poi, pieni di gioia sono i pastori. Anche i pastori sono santi, certo, perché hanno risposto all’annuncio degli angeli, sono accorsi subito alla grotta e hanno riconosciuto il segno del Bambino nella mangiatoia. Non era scontato. In particolare, nei presepi c’è spesso un pastorello, giovane, che guarda verso la grotta con aria trasognata, incantata: quel pastore esprime la gioia stupita di chi accoglie il mistero di Gesù con animo di fanciullo. Questo è un tratto della santità: conservare la capacità di stupirsi, di meravigliarsi davanti ai doni di Dio, alle sue “sorprese”, e il dono più grande, la sorpresa sempre nuova è Gesù. La grande sorpresa è Dio!

Poi, in alcuni presepi, quelli più grandi, con tanti personaggi, ci sono i mestieri: il ciabattino, l’acquaiolo, il fabbro, il fornaio…, e chi più ne ha più ne metta. E tutti sono felici. Perché? Perché sono come “contagiati” dalla gioia dell’avvenimento a cui partecipano, cioè la nascita di Gesù. Così anche il loro lavoro è santificato dalla presenza di Gesù, dalla sua venuta in mezzo a noi.

E questo ci fa pensare anche al nostro lavoro. Naturalmente lavorare ha sempre una parte di fatica, è normale. Ma io nella mia terra conoscevo qualcuno che non faticava mai: faceva finta di lavorare, ma non lavorava. Non faceva fatica, si capisce! Ma se ciascuno riflette un po’ della santità di Gesù, basta poco, un piccolo raggio – un sorriso, un’attenzione, una cortesia, un chiedere scusa – allora tutto l’ambiente del lavoro diventa più “respirabile”, non è vero? Si dirada quel clima pesante che a volte noi uomini e donne creiamo con le nostre prepotenze, le chiusure, i pregiudizi, e si lavora anche meglio, con più frutto.

C’è una cosa che ci rende tristi nel lavoro e fa ammalare l’ambiente del lavoro: è il chiacchiericcio. Per favore, non parlare male degli altri, non sparlare. “Sì, ma quello mi è antipatico, e quello…”. Guarda, prega per lui, ma non sparlare, per favore, perché questo distrugge: distrugge l’amicizia, la spontaneità. E criticare questo e quello. Guarda, meglio tacere. Se tu hai qualcosa contro di lui, vai e dillo direttamente. Ma non sparlare. “Eh padre, viene da sé, di sparlare…”. Ma c’è una bella medicina per non sparlare, ve la dirò: mordersi la lingua. Quando ti viene la voglia, morditi la lingua e così non sparlerai.

Anche negli ambienti di lavoro esiste “la santità della porta accanto” (cfr Gaudete et exsultate, 6-9). Anche qui in Vaticano, certo, io posso testimoniarlo. Conosco alcuni di voi che sono un esempio di vita: lavorano per la famiglia, e sempre con quel sorriso, con quella laboriosità sana, bella. È possibile la santità. È possibile. Questo è ormai il mio sesto Natale da Vescovo di Roma, e devo dire che ho conosciuto diversi santi e sante che lavorano qui. Santi e sante che vivono la vita cristiana bene, e se fanno qualche cosa brutta chiedono scusa. Ma vanno avanti, con la famiglia. Si può vivere così. È una grazia, ed è tanto bello. Di solito sono persone che non appaiono, persone semplici, modeste, ma che fanno tanto bene nel lavoro e nei rapporti con gli altri. E sono persone gioiose; non perché ridono sempre, no, ma perché hanno dentro una grande serenità e sanno trasmetterla agli altri. E da dove viene quella serenità? Sempre da Lui, Gesù, il Dio-con-noi. È Lui la fonte della nostra gioia, sia personale, sia in famiglia, sia sul lavoro.

Allora il mio augurio è questo: essere santi, per essere felici. Ma non santi da immaginetta, no, no. Santi normali. Santi e sante in carne e ossa, col nostro carattere, i nostri difetti, anche i nostri peccati – chiediamo perdono e andiamo avanti –, ma pronti a lasciarci “contagiare” dalla presenza di Gesù in mezzo a noi, pronti ad accorrere a Lui, come i pastori, per vedere questo Avvenimento, questo Segno incredibile che Dio ci ha dato. Cosa dicevano gli angeli? «Ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). Andremo a vederlo? O saremo presi da altre cose?

Cari fratelli e sorelle, non abbiamo paura della santità. Vi assicuro, è la strada della gioia. Buon Natale a tutti!



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