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ESEQUIE DEL CARDINALE FRANCESCO SEPER

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica di San Pietro, 2 gennaio 1982

 

“Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, / siano con me dove sono io” (Gv 17,24).

Queste parole di supremo conforto, pronunciate da Cristo nell’ora del distacco supremo, trovano straordinaria eco nel nostro cuore commosso, venerati fratelli e figli amatissimi, mentre circondiamo le spoglie mortali del Cardinale Francesco Seper per porgergli l’estremo saluto e raccomandarne l’anima eletta al Signore.

1. “Quelli che mi hai dato”.

Siamo stati tutti compresi in questo piano ineffabile del Padre, che, nell’atto dell’Incarnazione del Verbo nel seno di Maria Vergine per opera dello Spirito Santo, ci ha resi fratelli del Salvatore, ci ha incorporati a lui, ci ha fatti sua porzione e sua eredità. “Dominus pars hereditatis meae et calicis mei” (Sal 15,5). Il Natale che abbiamo appena celebrato, la Maternità Divina di Maria che ieri abbiamo proclamato con la Liturgia romana, ci hanno ricondotto a questo mistero centrale della fede: siamo “figli nel Figlio”, chiamati, come dice san Paolo, “a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo” (Ef 3,6).

Questo è l’annuncio che ha trasformato il mondo, e continua a trasformare i cuori: facciamo parte del Corpo di Cristo, siamo sua conquista, perché siamo stati affidati a lui dal Padre. Un disegno di amore segue le nostre singole vite, dalla nascita alla tomba, che diventa preludio di un’eterna armonia, accesso all’eterna vita. Col Figlio, per sempre. Per contemplare eternamente il Volto del Padre. “Quelli che mi hai dato”.

Il nostro fratello Francesco è stato “dato” anche lui a Cristo dal Padre, e come tale è vissuto.

Ricordiamo in lui l’uomo di Chiesa che è appartenuto a Cristo, da sempre, e fino alla morte; che ha fatto della propria fedeltà a Cristo il programma della sua vita, semplice e rettilinea, umile e coraggiosa.

2. Dato a Cristo: fin dalla sua vocazione sacerdotale, sbocciata da una umile famiglia di sarti, venuti da Osijek a Zagabria, ove egli compì gli studi primari e secondari. Dato a Cristo: nella sua preparazione filosofica e teologica, compiuta qui a Roma nel Collegio Germanico-Ungarico e nella Pontificia Università Gregoriana, che lo condusse all’ordinazione presbiterale. Dato a Cristo: nell’insegnamento della religione e nell’adempimento dell’ufficio di segretario del Cardinale Stepinac, di Rettore del Seminario maggiore arcidiocesano di Zagabria, e di parroco di Cristo Re in quella città. Dato a Cristo: nel vincolo intimamente trasformante e santificatore dell’ordinazione episcopale e della successione apostolica, come Arcivescovo di Zagabria, chiamato a raccogliere un’eredità segnata dalla Croce. In quegli anni difficili, egli fu sempre l’uomo di Dio, profondamente retto e onesto, generoso e dedicato, “forma factus gregis ex animo” (cf. 1Pt 5,3).

Dato a Cristo: la sua quadratura, la sua spiritualità, la sua pastoralità, il suo amore alla Chiesa rifulsero negli anni del Concilio Vaticano II, a cui diede un rilevante contributo. Lo ricordo – e con me quanti altri di voi! – membro della Commissione preparatoria per i sacramenti, nonché della Commissione “de doctrina fidei et morum” quale componente della Commissione preparatoria centrale; ricordo i suoi interventi, calibrati e sapienti.

Dato a Cristo: come in un crescendo, questa sua dedizione a Cristo Signore e alla sua verità, amata al di sopra di ogni vento alla moda, si esplicò in pienezza nell’adempimento del grave, difficile, delicato incarico di Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, a lui affidato dal mio predecessore Paolo VI, e pienamente riconfermato due volte, da Giovanni Paolo I e da me. In un periodo estremamente complesso, egli fu guida saggia ed illuminata per quel Dicastero, che dovette intervenire in questioni cruciali di fede e di morale.

Anche i lavori della Commissione Teologica Internazionale, iniziati con lui come suo primo Presidente, e quelli della Pontificia Commissione Biblica, testimoniano la vastità, la profondità, la delicatezza dei suoi interessi e del suo impegno nel servizio ecclesiale. E mi è caro anche ricordare la sua presenza, sempre discreta ed efficace, nelle varie assemblee del Sinodo dei Vescovi, della cui Segreteria Generale fece anche parte.

“Quelli che mi hai dato”. Davanti a questo corpo, che stiamo per affidare alla terra in attesa della risurrezione, davanti a quest’uomo che ha svolto nel silenzio e nella discrezione un’opera che la realtà della morte disvela ai nostri occhi in una dimensione direi sovrumana, noi comprendiamo la bellezza, la grandezza, il merito di una esistenza interamente donata a Cristo dal Padre, e così realizzata pienamente. Siano rese grazie al Signore, che dà alla sua Chiesa uomini di tale tempra.

Così fu la tempra del Cardinale Seper, forte e incrollabile come quella della sua nativa Croazia, a cui ha fatto veramente onore in tutta la sua vita a servizio di Cristo e della Chiesa.

3. “Che siano con me dove sono io”.

La morte compone nei suoi tratti definitivi l’umana esistenza, dandole il suo estremo significato. Lo sappiamo bene: non è una fine, ma un inizio: l’inizio della vita eterna, che il Signore riserva ai suoi servitori buoni e fedeli (cf. Mt 25,21.23). “Che siano con me”. E perciò la morte collega l’uomo, che ha fatto del Vangelo il suo modello e il suo anelito, là dov’è Cristo: con lui e accanto a lui, che ha promesso di “cingere le sue vesti, per mettere a tavola i suoi servi e passare a servirli” (cf. Lc 12,37); con lui e accanto a lui, che col Padre “tergerà ogni lacrima dai loro occhi” (cf. Ap 7,17; 21,4; Is 25,8); con lui e accanto a lui, Verbo di Dio, e “non v’è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui dobbiamo rendere conto” (Eb 4,13).

A questo rendiconto si è già presentato il nostro fratello Francesco al momento della sua morte: e noi preghiamo in questa Messa che si compiano per lui le promesse di Gesù, che abbiamo ascoltato al Vangelo: a lui lo affidiamo “perché sia con lui dove egli è”.

Il Cardinale Seper è stato con Lui, fedelmente, nell’evolversi costante della sua vita consacrata a Dio e alla Chiesa, in servizi non mai facili ne accomodanti, in una perseveranza alimentata sempre dalla preghiera e dall’intimità eucaristica, in una oblazione che ha raggiunto il culmine al giungere di “sorella Morte”. Noi preghiamo perché quell’adesione continua a Cristo, vissuta giorno per giorno, pur vedendo “come in uno specchio, in maniera confusa”, si cambi per grazia divina, che ardentemente imploriamo, nella visione “a faccia a faccia”, quando “conosceremo perfettamente, così come anche noi siamo conosciuti” (cf.1Cor 13,12). “Che siano con me dove sono io”.

4. Si conclude il ciclo terreno di una vita per dischiudersi nell’eternità dell’amore e della gloria.

Gesù, infatti, in quel momento delle supreme consegne, ha così continuato: “Perché vedano la mia gloria... Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato” (Gv 17,24s).

“Questi sanno”. Qui sta il segreto di questa vita. Il nostro fratello Francesco ha saputo: la fedeltà alla vocazione sacerdotale e alla successione apostolica; la guida ferma e paterna del gregge acquistato dal Sangue prezioso di Gesù; la responsabilità direttiva nella Chiesa, prolungata nel tempo in un servizio senza risparmio di tempo e di fatica, incurante delle conseguenze per la salute fisica, delle decisioni ingrate, degli allettamenti contrari alla “sana dottrina per il prurito di udire qualcosa” (2Tm 4,3), e unicamente sollecita della ortodossia e dell’ortoprassi; tutto ciò trova spiegazione qui: “questi sanno che tu mi hai mandato”. Sanno che Cristo è l’unico Maestro, venuto dal seno del Padre per aprirci la definitiva rivelazione del piano divino della salvezza, per essere per noi “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6); sanno “come comportarsi nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità” (cf. 1Tm 3,15); sanno che “la Parola di Dio non è incatenata” (2Tm 2,9). “Questi sanno”. E noi ancora preghiamo che tale fede, la fede del Cardinale Seper, alimentata in se stesso da una vita integerrima, e custodita nelle anime con l’impegno del lavoro quotidiano per autentico mandato della Chiesa, riceva ora il premio anelato da sempre, in quel mare immenso e senza fondo d’amore e di luce, nel quale sappiamo che le nostre anime sono chiamate ad immergersi per tutta l’eternità: “Ho fatto conoscere loro il tuo nome / e ancora lo farò conoscere / perché l’amore con il quale mi hai amato / sia in essi e io in loro” (Gv 17,26).

Sì, fratelli e figli. Questa la nostra speranza, questa la nostra preghiera nel momento di prendere commiato dal nostro fratello Francesco, e affidarlo all’Amore misericordioso di Dio. Noi chiediamo al Signore che lo introduca per sempre in questa chiarità, in questa fornace d’amore, da cui siamo avvolti nel disegno di Dio che ci ha dati a Cristo già “prima della creazione del mondo”, e a cui siamo avviati nel cammino della vita. E siamo certi che da quella chiarità, da quella fornace l’anima del nostro fratello Francesco continuerà a dedicarsi e a intercedere per la sua terra, per la Chiesa, per noi che rimaniamo a “custodire – come ha fatto lui – il buon deposito con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in noi” (2Tm 1,14).

Amen.

 

 

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