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VISITA PASTORALE IN LOMBARDIA

CONCELEBRAZIONE IN RITO AMBROSIANO NEL SEMINARIO DI VENEGONO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Venegono Inferiore (Varese) - Sabato, 21 maggio 1983 

 

1. Si fa sera nel cielo degli uomini e il giorno volge al declino. Ma il Signore, accogliendo l’accorata preghiera dei discepoli, rimane con noi, per continuare insieme con noi il cammino della vita, condividerne le difficoltà, farci sua eredità per sempre e renderci “un corpo solo”. È questo il messaggio, profondo e straordinariamente attuale, delle letture bibliche ora ascoltate.

Cari fratelli - Sacerdoti, Religiosi, Seminaristi - della grande, antica, illustre diocesi di Milano, che alla Chiesa ha dato figure eccelse di uomini di Dio, come sant’Ambrogio e san Carlo, e alcuni Romani Pontefici di non comune statura!

Sono lieto di trovarmi oggi insieme con voi e rivolgo un affettuoso pensiero di saluto a tutti e a ciascuno in particolare, a cominciare dal vostro Arcivescovo, il Cardinale Martini, e da colui che per tanti anni è stato vostro Pastore, il Cardinale Colombo. Saluto altresì tutti i Vescovi presenti come pure i seminaristi delle altre diocesi d’Italia che sono qui numerosi.

In questa sacra concelebrazione, partendo dai testi liturgici a noi proposti, voglio trattenermi con voi su una considerazione fondamentale: che, cioè, lo sviluppo della comunità cristiana si fonda sulla centralità eucaristica e, di conseguenza, il sacerdote nella qualità di ministro per eccellenza dell’Eucaristia, il religioso per via della sua consacrazione, il seminarista a motivo della sua scelta indirizzata all’obiettivo del sacerdozio, se vogliono collaborare alla costruzione del popolo di Dio, alla quale sono chiamati, non possono non radicare nel Mistero eucaristico tutta la propria vita.

2. L’Eucaristia, innanzitutto, come memoria ed espressione del più grande e più vero amore portato agli uomini, è la forza di rinnovamento del mondo contemporaneo.

Oggi, infatti, il mondo, che per vari segni e a livelli diversi ha falsato o perduto il senso del peccato, è affetto dal male dell’odio, che porta con sé inimicizia, divisione, violenza. Si può vincere l’odio solo con la forza dell’amore. E come l’odio appare antico, così l’amore è sempre nuovo.

Resta vivo nella nostra mente, perché ancora straordinariamente attuale, il quadro descritto dal Concilio Vaticano II sugli uomini del mondo contemporaneo. Anche se mai come oggi il genere umano ha avuto a disposizione tante ricchezze, possibilità e potenza economica, gran parte tuttavia degli uomini è ancora tormentata dalla fame e dalla miseria. Mentre avverte un senso acuto di libertà, deve poi accusare l’esistenza di nuove forme di schiavitù sociale e psichica. Si parla molto di unificazione, di solidarietà, di mutua interdipendenza, e intanto si è spinti in direzione opposta. Permanendo al vivo i contrasti politici, sociali, economici, razziali ideologici, non viene meno il pericolo di una guerra totale capace di annientare ogni cosa (cf. Gaudium et Spes, 4).

Cari fratelli, una metropoli come Milano è, in un certo senso, specchio della realtà mondiale, con le sue straordinarie risorse di bene, ma insieme con le sue profonde e acute contraddizioni.

Ebbene, questo mondo ha bisogno di Gesù, del suo messaggio di amore, della sua presenza eucaristica, che è fattore di salvezza e di unità. Solo la mediazione di Cristo può rompere la spirale dell’odio, dell’ingiustizia, della violenza, del peccato. Cristo è la nostra ricchezza, il nostro nutrimento, la nostra pace, la nostra verità, la nostra libertà. Con lui, attraverso l’energia trasformante del suo amore, il cuore dell’uomo può cambiare, può nascere la creatura nuova, che non segue la linea dell’insegnamento vendicativo “Occhio per occhio dente per dente” (Mt 5, 38), ma quella evangelica di considerare gli altri come figli del Padre comune, di amare i nemici, di perdonare sempre senza contare il numero dei nostri ricorsi al perdono. Soltanto dalla Parola di Cristo zampilla l’acqua capace di saziare la sete dell’uomo.

3. Per mezzo dell’Eucaristia noi ritroviamo l’identità del nostro essere cristiano. Dio ci ama, perché egli è Amore. Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo (1 Gv 4, 8). L’amore riveste importanza decisiva nell’insegnamento di Gesù. Ma l’amore dell’uomo per Dio si realizza nell’amore degli uomini. “Chiunque ama, conosce Dio”. E “chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4, 7. 9).

L’amore del prossimo diventa, così, non solo principio di conoscenza di Dio, ma anche regola d’oro dell’amore, modellata sulla misura stessa del Cuore di Cristo. “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 15, 12). Come: è l’indicazione di una misura. E Gesù ci ha amati sino al colmo del servizio, fino al limite massimo dell’amore, del dono della sua stessa vita: cioè senza misura.

Era necessario, per la nostra salvezza, che Cristo si donasse al Padre in sacrificio. L’inimicizia e l’odio sono stati dissolti e annientati nella sua carne, con il versamento del suo Sangue sulla croce: perché a rendere testimonianza non sono soltanto lo Spirito e l’acqua, bensì anche il Sangue (cf. 1 Gv 4, 7). Così Gesù è la nostra vittima sacrificale, in rendimento di grazie (“eucharistia”).

Nell’affermazione paolina che siamo stati scelti e creati per essere nel Figlio e stare davanti al Padre (cf. Ef 1, 3), la nostra fede mostra Gesù che ci presenta e ci offre. Lui, l’Agnello, resta davanti a Dio per l’eternità, con le sue piaghe aperte, divenute dimora dei credenti che gli sono incorporati. E il Padre ci considera nella prospettiva del Figlio donatosi per noi in sacrificio.

Sicché, quando celebriamo il mistero eucaristico, che è “mysterium fidei”, annunciamo la morte del Signore. Per mezzo dell’Eucaristia i fedeli, già segnati dal Battesimo e dalla Confermazione, non partecipano a una cena qualsiasi, ma ricevono quello che sant’Agostino chiama il nostro “mistero”, prendono quello che già sono, inserendosi pienamente nel Corpo di Cristo. È, questa, l’identità propria dell’essere cristiano, che non risiede in noi, ma in Dio.

4. Il Sacramento eucaristico, che è memoria dell’Amore, vincolo di carità, è insieme segno che produce l’unione e la comunità. Annunciando la morte del Signore, si prefigura nello stesso tempo la risurrezione, perché il Corpo eucaristico è anche Corpo glorioso. Il corpo di Cristo è sempre il corpo reale e personale, che è vissuto, è morto e ora glorificato. Nell’Eucaristia si rinnova il mistero pasquale, che è mistero di dolore, di morte e di risurrezione, di Gesù e degli uomini. Così, visto nella sua globalità, il corpo della carne, divenuto il corpo della gloria, unisce i fedeli a sé e tra di loro. Così si costruisce la Chiesa, organismo vivo in continua crescita.

È a motivo dell’Eucaristia che i membri della comunità cristiana si identificano misticamente col corpo di Cristo, che è la Chiesa, e divengono una cosa sola tra di loro. Sicché tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere d’apostolato, sono strettamente uniti alla santissima Eucaristia e ad essa ordinati. L’Eucaristia è realmente il cuore e il centro del mondo cristiano. In essa è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, lo stesso Cristo, pane vivo che, mediante la sua Carne vivificata e vivificante nello Spirito Santo, dà vita agli uomini (cf. Presbyterorum Ordinis, 5). Non è possibile formare una comunità cristiana “se non avendo come radice la celebrazione della sacra Eucaristia, dalla quale deve quindi prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a formare lo spirito di comunità” (Ivi, 6).

5. È alla luce di tali riflessioni, sviluppate su fondamento biblico e conciliare, che noi possiamo e dobbiamo vedere il mistero eucaristico come il centro e la radice di tutta la vita del Sacerdote, del Religioso, del Seminarista, sia sotto il profilo della spiritualità personale, sia sotto quello della missione pastorale.

È nel segreto della sorgente eucaristica che l’uomo, scelto per amore di Dio fra gli altri uomini, deve trovare la sua fecondità, se vuole rimanere fedele al proprio ministero e ritornare più ricco, per donare, in mezzo alla comunità dei fratelli. Centralità eucaristica significa porre al centro dei nostri pensieri e delle nostre prospettive non noi stessi, i nostri programmi umani, ma lui, vita della nostra vita. Altrimenti si diventa un ramo secco, una campana senza risonanza.

Cari fratelli, affinché ci trasformiamo sempre più in corpo di Cristo, il Concilio non si stanca di raccomandarci la sequela di Cristo come l’unica cosa necessaria, l’assimilazione della sua scienza sovreminente, il dialogo quotidiano con lui, il culto eucaristico personale e liturgico (cf. Presbyterorum Ordinis, 18; Perfectae Caritatis, 6; Optatam Totius, 11).

È l’invito a percorrere con decisione la via della santità, perché solo così siamo in grado di adempiere la nostra missione che è quella di annunciare e di testimoniare Cristo; solo così possiamo dare luce e consolazione agli uomini di oggi, la cui salvezza, come per gli uomini di ieri e di sempre, si trova unicamente nella verità a noi fatta conoscere dalla divina Rivelazione.

Confido e auspico che questo Seminario di Venegono, uno dei più grandi della Chiesa, ideato dal Cardinale Ferrari e realizzato dal Cardinale Schuster, sia, per i futuri sacerdoti del Signore, una scuola di Eucaristia.

La Vergine Madre, che sotto l’azione dello Spirito ha formato il corpo fisico del Salvatore e, come Madre della Chiesa, ha accompagnato la fondazione e lo sviluppo del Corpo Mistico, aiuti tutti i sacerdoti e i seminaristi ad apprendere in profondità il segreto della vita del Figlio divenuto nostro Fratello.

È questo motivo di fiducia e di speranza per il prossimo avvenire della Chiesa e del mondo.  

 

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