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MESSA ESEQUIALE PER IL CARDINALE UMBERTO MOZZONI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Giovedì, 10 novembre 1983

 

1. “Come la cerva anela ai corsi d’acqua / così l’anima mia anela a te, o Dio. / L’anima mia ha sete del Dio vivente, / quando verrò e vedrò il tuo volto?” (Sal 42, 2-3).

Questa espressione così poetica e commovente del Salmo responsoriale, cari fratelli, mette in meravigliosa evidenza la caratteristica fondamentale del cristiano convinto e fedele, e cioè il senso dell’attesa ansiosa e trepidante dell’incontro finale con Dio. Il cristiano è una persona che attende, vigilante e assetata dell’Amore, della Bellezza, della Felicità, della Sapienza di Dio: “Quando verrò e vedrò il tuo volto?”. Possiamo dire che le parole del Salmo caratterizzano assai bene la vita del Cardinale Umberto Mozzoni, che alla soglia degli ottant’anni ci ha lasciati, dopo aver sempre servito la Chiesa e le anime, nella prospettiva dell’eternità.

Trovandoci riuniti attorno alla bara del nostro amato Fratello Cardinale per questa mesta cerimonia di addio, è naturale ricordare anche solo fugacemente la sua attività e la sua personalità. Nato a Buenos Aires da genitori italiani emigrati in Argentina, tornò, ancora bambino, in Italia, dove entrò nel Seminario minore di Macerata e quindi nel Seminario maggiore romano. Ordinato sacerdote nel 1927, proseguì gli studi nella Pontificia Università Sant’Apollinare e nello Studium Urbis, conseguendo le lauree in filosofia, in teologia e “in utroque Iure”. Rientrato nel 1935 a Macerata, fu parroco e insegnante di teologia e di diritto canonico nel locale Seminario diocesano, fino a quando fu chiamato a far parte del servizio diplomatico della Santa Sede. Prestò la sua opera nelle Nunziature apostoliche in Canada, Inghilterra e Portogallo. Quindi, nel 1954, fu nominato Arcivescovo e Nunzio in Bolivia. In quella Nazione, come successivamente in Argentina e in Brasile, nelle quali fu Rappresentante pontificio per lunghi anni, diede prova dello spirito sacerdotale che ispirava la sua attività, oltre che delle doti di acutezza, di intelligenza e di dedizione al dovere che lo caratterizzavano.

La bontà del suo animo, le sue maniere semplici e cordiali, il suo spirito di carità lo resero benvoluto in tutti gli ambienti, in cui la Provvidenza lo chiamò. In Brasile si distinse in particolare nell’opera svolta a sostegno dei missionari, specialmente di operanti nelle foreste amazzoniche.

Ovunque si sforzò di promuovere la partecipazione del laicato all’apostolato e alla vita della Chiesa. Inoltre ebbe sempre vigile attenzione per i problemi sociali. Nel Concistoro del 5 marzo 1973, fu nominato Cardinale da Paolo VI. Questo ultimo periodo della sua vita fu ugualmente intenso di attività per il servizio svolto come Presidente della Commissione cardinalizia per i pontifici Santuari di Pompei e di Loreto, ma soprattutto per la sollecita collaborazione prestata come membro di diverse Congregazioni della Curia romana e del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica.

2. Come sacerdote, come Vescovo e infine come Cardinale, egli per migliaia di volte si è avvicinato all’altare del Signore per offrire il Sacrificio Eucaristico e rinnovare la sua consacrazione al servizio delle anime: “Verrò all’altare di Dio, al Dio della mia gioia, del mio giubilo!” (Sal 41, 4). Ora questa lunga e infaticabile donazione è terminata per aprirsi alla gioia senza fine, promessa da Cristo a coloro che lo amano e lo seguono. Ma anche se le sue opere sono ormai entrate nel passato, rimane per noi l’insegnamento della sua fede e della sua vita orientata verso Cristo Gesù fin dalla giovinezza.

Il filo conduttore della sua vita è stata la prospettiva ultraterrena e trascendente, secondo la parola di Gesù: “Io sono la risurrezione e la vita”. Anche a noi, come all’intera umanità travagliata e tribolata da tante ombre e da tanti contrasti, il giovane seduto sulla destra del sepolcro - secondo la narrazione dell’evangelista Marco ora ascoltata - dice: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazzareno, il crocifisso. È risorto, non è qui!” (Mc 16, 6). Non dobbiamo temere: Cristo è risorto! Anche noi risorgeremo gloriosi e per sempre! Dobbiamo credere, sperare, amare ogni giorno, ogni momento, con fervore e con coraggio; non perdere tempo, non smarrirci in vane questioni; non spegnere la lampada della certezza entrando nelle tenebre di errori dottrinali o di tortuose ipotesi. La nostra vita deve essere vissuta nella prospettiva dell’eternità gloriosa, convinti - come già affermava il profeta Isaia - che “il Signore eliminerà la morte per sempre, il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto . . . Ecco il nostro Dio: in lui abbiamo sperato, perché ci salvasse; questi è il Signore in cui abbiamo sperato: rallegriamoci ed esultiamo!” (Is 25, 8-9).

Davanti alla salma del nostro fratello, che si è già presentato al giudizio della misericordia di Dio, suona ammonitrice e anche consolatrice la parola dell’apostolo che richiama a tutti noi gli impegni di evangelizzazione e di testimonianza: “La parola di Dio non è incatenata! Perciò sopporto ogni cosa per gli eletti perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo!” (2 Tm 2, 9-12).

3. Nella solennità liturgica di san Leone Magno, che oggi festeggiamo, e del quale questa Basilica conserva le reliquie, desidero concludere con la parola autorevole del glorioso Pontefice: “Liberatevi da ogni umana paura - diceva ai fedeli del suo tempo - ed armatevi della saldezza che viene dalla fede . . . Nessuno ardisca arrossire della croce di Cristo, con la quale il mondo è stato redento. Nessuno esiti a soffrire per causa della giustizia, né dubiti di ricevere la ricompensa promessa, poiché è il travaglio che porta al riposo, è la morte che porta alla vita. Il Cristo ha fatto sue la nostra pochezza e la nostra debolezza, per cui se a lui rimarremo uniti nel confessarlo e nell’amarlo, otterremo la sua stessa vittoria e riceveremo il premio da lui promesso” (S. Leone Magno, Omelia LI, La Trasfigurazione, 7.8).

Questo, dall’eternità che ora ha raggiunto, sembra dirci il Cardinale Umberto Mozzoni, per cui offriamo il Sacrificio Eucaristico e per cui continueremo ancora a pregare invocando per lui la ricompensa da Colui in cui ha creduto e sperato e che ha sempre amato.

 

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