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SANTA MESSA PER LE ESEQUIE DEL CARD. PIETRO PARENTE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Mercoledì, 31 dicembre 1986

 

“O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia . . .”.

Signori cardinali, fratelli e sorelle!

1. Le parole che abbiamo pronunziato, recitando il Salmo responsoriale, penso si addicano particolarmente al card. Pietro Parente, che ci ha lasciati alla veneranda età di novantasei anni, dopo un’intensa vita tutta spesa al servizio di Dio e della Chiesa, nell’amore e nell’insegnamento della Verità.

“Nel santuario ti ho cercato - continua il Salmo - per contemplare la tua potenza e la tua gloria. A te si stringe l’anima mia, e la forza della tua destra mi sostiene” (Sal 62). Davvero, fin dalla sua prima giovinezza, il card. Parente ha stretto a Dio la sua anima, a lui, verità assoluta, conosciuta dalla ragione, rivelata da Cristo e insegnata dalla Chiesa; e dalla sua forza invincibile si è sentito sempre sostenuto.

Oggi siamo qui, con la mestizia che umanamente la realtà della morte non può non portare nei nostri animi, per celebrare le esequie di un grande teologo, che è stato maestro e guida, e che ha onorato la Chiesa e il collegio cardinalizio.

2. Riandare la sua lunga vita, significa spingerci a ritroso nella storia di questo secolo, esaltato da mirabili conquiste della scienza e della tecnica, ma anche oppresso da crisi dei valori cristiani; contrassegnato da un meraviglioso progresso, ma anche insidiato dal relativismo morale e dalla violenza. In questo immane processo di contrasti e di nuove espressioni del pensiero e del costume, il card. Parente non è stato soltanto spettatore, ma persona autorevole e impegnata, e, in certo modo, anche protagonista.

Nato in Casalnuovo Monterotaro, della diocesi di Lucera, fu ordinato sacerdote nel marzo del 1916. Dopo aver diretto per dieci anni il seminario arcivescovile di Benevento, assunse la cattedra di teologia dogmatica all’Ateneo Lateranense e poi, nel 1950, la cattedra di teologia dogmatica all’Ateneo di “Propaganda Fide”.

Nel 1955 Papa Pio XII volle che all’intensa attività di studio e di docente, il card. Parente unisse anche l’esperienza della diretta responsabilità pastorale e lo nominò arcivescovo di Perugia. Quattro anni dopo Papa Giovanni XXIII lo richiamava a Roma per nominarlo assessore dell’allora Congregazione del Santo Uffizio, della quale poi fu segretario. Nel 1967 Paolo VI lo elesse cardinale

3. Il 18 marzo di quest’anno, in occasione del settantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, il card. Parente così scriveva: “Grande dono di Dio il sacerdozio, che crea però l’esigenza della nostra corrispondenza alla grazia divina. Secondo la dottrina della Chiesa il sacerdote si definisce «alter Christus» e «testis Christi»; il sacerdote deve riprodurre in sé Cristo per irradiarlo nel mondo con le parole e con l’esempio, rendendo testimonianza a lui fino al sangue. L’itinerario sacerdotale è una «Via crucis» . . . Posso dire che ho avuto la mia «Via crucis», soffrendo abbastanza per la Chiesa” (L’Osservatore Romano, 9 marzo 1986). Sono parole emblematiche, che sintetizzano la sua lunga esistenza di sacerdote e di teologo; egli ha amato la Verità e per la Verità ha anche sofferto; ha camminato nella fede - come scriveva san Paolo ai Corinzi nella seconda lettura della Messa odierna -, sempre pieno di fiducia, radicando la sua vita cristiana e sacerdotale totalmente su Cristo e orientandola totalmente verso la Gerusalemme celeste, la vera e definitiva dimora di Dio con gli uomini, convinto del valore decisivo delle consolanti parole del divin Maestro: “Non sia turbato il vostro cuore! . . . Io vado a prepararvi un posto . . . perché siate anche voi dove sono io . . .” (Gv 14, 3-6).

Egli ci è di esempio e di stimolo; e noi, mentre preghiamo per lui, lo ringraziamo!

4. In una intervista concessa lo scorso anno a un quotidiano egli esprimeva la sua piena fedeltà al Concilio Vaticano II e la sua fiducia per l’avvenire della Chiesa: “Il Concilio si è aperto sotto il segno di un «aggiornamento» che non è stroncatura e condanna - così egli diceva - ma piuttosto proposito della Chiesa di ripresentarsi al mondo moderno in una nuova veste . . . Il Concilio affronta la crisi e cerca di superarla con metodo positivo, affermando la Verità che esclude l’errore. In questo atteggiamento c’è del nuovo, che è sano sviluppo, ma non travisamento . . . È mia ferma convinzione che il Concilio è stato provvidenziale, per arrestare gli errori e per suscitare nella Chiesa un salutare rinnovamento teoretico e pratico che darà i suoi frutti”.

Il card. Parente, che tanto scrisse a difesa della verità contro le deviazioni dottrinali, ci ha dato una lezione di sano e costruttivo ottimismo. Ben aggiornato circa le varie correnti della cultura moderna e cosciente dei rischi che talune di esse possono comportare per le coscienze cristiane, egli ha sempre difeso apertamente il valore della ragione nella conoscenza della realtà, e quindi di Dio, della Verità annunziata da Cristo, il Verbo Incarnato, e affidata alla Chiesa. Il cristianesimo infatti non è solamente “cultura” e “civiltà”; è essenzialmente “rivelazione” e perciò “dogma” e “mistero”. Egli ha sempre appassionatamente sottolineato che il vero teologo è colui che insegna ad accettare il Mistero, e quindi insegna a pregare, ad adorare, ad amare con pazienza e sacrificio, a obbedire alla legge di Dio e alle disposizioni della Chiesa, ad attendere con ansia gioiosa l’eterna ricompensa del cielo. La vera teologia deve rendere più buoni; deve invogliare ad essere santi con l’aiuto della preghiera e dei sacramenti. In questo modo egli visse la teologia che credeva e che insegnava.

Con una certa amarezza così scriveva nel suo ultimo articolo pubblicato nell’aprile di quest’anno: “La crisi di oggi è soprattutto crisi religiosa e, in concreto, è distacco da Cristo” (Palestra del clero, 15 aprile 1986).

Oggi il mondo contemporaneo ha bisogno di certezze circa il senso della vita, e in questa prospettiva il card. Parente è stato maestro, ricordando ciò che scriveva san Paolo: “È Cristo che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo con sapienza, per rendere ciascuno perfetto in Cristo” (Col 1, 28).

La Verità ricercata, amata, difesa e vissuta; la Verità che è Dio rivelante; la Verità che è Cristo, vivente nell’Eucaristia; questa si può definire la vita del nostro amato fratello card. Pietro Parente!

5. Pur con tutti i suoi meriti e la sua dedizione al servizio della Chiesa, il card. Parente attendeva con timore l’incontro con Dio: “Pensando ormai al mio prossimo giudizio finale - così scriveva nel già citato articolo per il settantesimo dell’ordinazione sacerdotale - io tremo per le mie formidabili responsabilità”, ma soggiungeva: “Ma mi attacco alla Vergine santissima, Madre di Dio, e Madre mia, che ho sempre teneramente amato, invocandola con la Chiesa Madre della grazia divina e della misericordia. E questo può cambiare il tremito del mio timore in fremito di amore e di speranza per la mia salvezza eterna”.

Noi ringraziamo il Signore per aver dato alla Chiesa del nostro tempo questa testimonianza della personalità del card. Parente; e mentre preghiamo per lui, invochiamo Maria, Madre nostra, con le sue stesse commoventi parole: “O Maria, nel tuo cuore materno - chiudi i cuori che sperano in te!”.



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