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ORDINAZIONE EPISCOPALE DI MONSIGNOR GIOVANNI BATTISTA RE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Sabato, 7 novembre 1987

 

“Chiamati a sé i Dodici . . . Gesù li inviò”.

1. Si rinnova oggi, in questa basilica di San Pietro, la scena del Vangelo che abbiamo appena udita. La riviviamo tutti con intima commozione e con intatta gratitudine al Signore, presente qui come nel momento in cui egli strinse attorno a sé i Dodici per inviarli alla loro prima missione, e per dar loro quelle norme di comportamento pastorale, che l’evangelista Matteo fa seguire alla scena ora descritta.

La riviviamo noi, vescovi della Chiesa di Dio, che vi troviamo la prima origine di quel ministero, che per sola misericordia divina ci è stato affidato per continuare nel mondo, mediante il triplice “munus”, l’opera affidata al collegio apostolico.

La rivivono i sacerdoti e i laici, ai quali la fede fa vedere presente in mezzo a loro, nella persona dei vescovi, lo stesso Signore Gesù Cristo, pontefice sommo (cf. Lumen Gentium, 21), e che esprimono questa convinzione nell’amore, nell’obbedienza, nella collaborazione.

La rivivi tu, e la rivivrai per sempre, caro fratello Giovanni Battista, che oggi, col rito dell’ordinazione episcopale, vieni chiamato anche tu più vicino a Gesù, in un modo particolare, personale, e sei da lui inviato come pastore a predicare il suo Vangelo, ad essere testimone della sua verità e della sua vita.

“Chiamati a sé i Dodici . . . Gesù li inviò”.

Anche te Gesù stasera chiama a essere per sempre il suo apostolo, e ti invia tra i fratelli con la sua stessa “exousia”, col suo stesso potere.

2. “Chiamati a sé . . .”.

Il sacramento dell’episcopato è anzitutto mistero di intimità con Cristo: “Chiamò a sé quelli che egli volle, ne costituì Dodici che stessero con lui”, commenta l’evangelista Marco riferendo lo stesso episodio. E prima della passione, nell’effusione affettuosa dei sentimenti del suo Cuore, nell’ultima cena, quando Gesù istituisce l’Eucaristia e il Sacerdozio, rivolse ai Dodici quelle parole, che ciascuno di noi non si stanca di rimeditare: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15, 15). E il culmine di quella vicenda terrena, che ha stretto a Gesù quegli uomini fin da quando egli li chiamò dalle occupazioni della vita quotidiana alla sua sequela, li volle con sé giorno e notte, esigendo l’assoluto distacco da ogni legame terreno, anche della famiglia, li ammaestrò instancabilmente, li avviò alle prime esperienze di predicazione, li introdusse nella conoscenza dei misteri del regno dei cieli (cf. Mt 13, 11; Mc 4, 11; Lc 8, 10).

Il Vangelo proclamato oggi, che segna l’inizio ufficiale di questo rapporto di amicizia e di intimità, presenta a uno a uno gli apostoli come chiamati per nome: in realtà questa chiamata, personale e irripetibile, che è giunta e continua a giungere attraverso il tempo a tutte le vocazioni sacerdotali e religiose, maschili e femminili, assume per gli apostoli e per i loro successori un rilievo unico. Cristo si identifica in certo modo con loro, perché, per mezzo di loro, continua e prolunga la propria missione. La costituzione dogmatica Lumen Gentium lo ha detto stupendamente: “Egli infatti, sedendo alla destra di Dio Padre, non cessa di essere presente alla comunità dei suoi pontefici, ma in primo luogo per mezzo dell’eccelso loro ministero predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede; per mezzo del loro ufficio paterno incorpora, con la rigenerazione soprannaturale, nuove membra al suo corpo; e infine, con la loro sapienza e prudenza, dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l’eterna beatitudine” (Lumen Gentium, 21).

Il vescovo, nella cui persona Gesù si fa presente alla Chiesa, deve essere perciò l’amico intimo di Gesù: deve a lui alzare giorno e notte il cuore appassionato e le mani tese alla preghiera e all’offerta, deve in lui trovare ogni bene; perché, come abbiamo cantato nel salmo responsoriale,

“Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; / su pascoli erbosi mi fa riposare, / ad acque tranquille mi conduce . . . / Se dovessi camminare in una valle oscura / non temerei alcun male, perché tu sei con me . . . / Abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni”.

3. “E li inviò”.

L’episcopato è, lo sappiamo bene, il sacramento della missione. “Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni”, abbiamo oggi cantato nell’acclamazione al Vangelo: come Cristo è l’inviato del Padre, così gli apostoli sono gli inviati di Cristo (cf. Gv 20, 21); e i vescovi, successori degli apostoli, si collocano per diritto divino nella continuità, nel solco di questa missione, che risale direttamente a Cristo, e, mediante lui, al Padre. Essi sono inseriti in quella traiettoria misteriosa che, partita dal cuore del Padre con la venuta in terra del suo Verbo, ritorna a lui nel Cristo risorto, che gli reca i trofei dell’umanità redenta. Dal Padre, mediante Cristo, nella Chiesa; dalla Chiesa mediante Cristo, al Padre. Nell’abbraccio dello Spirito Santo.

I vescovi sono pertanto inviati in virtù di questo disegno d’amore, che ha per oggetto gli uomini; inviati per il triplice servizio del magistero, della santificazione e della guida per l’intero popolo di Dio; inviati come Cristo, che nella sinagoga di Nazaret fece propria la profezia di Isaia sul Servo di Jahvè, da noi ascoltata nella prima lettura:

“Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is 61, 1).

Inviati per insegnare:

“Mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a proclamare la libertà degli schiavi . . . a promulgare l’anno di misericordia del Signore” (Is 61, 1-2).

E Paolo ci ha detto nella seconda lettura: “annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti a ogni coscienza; noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore” (2 Cor 4, 2.5).

Inviati per santificare:

come ancora Paolo sottolinea: “investiti del ministero della nuova alleanza per la misericordia che ci è stata usata, non ci perdiamo d’animo . . . E Dio che disse “Rifulga la luce dalle tenebre” rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo” (cf. 2 Cor 4, 1.6).

Inviati per reggere e guidare il popolo di Dio, sempre secondo le parole del Servo di Jahvè:

“Mi ha mandato . . . a fasciare le piaghe dei cuori spezzati . . . per consolare tutti gli afflitti . . . Essi si chiameranno querce di giustizia, piantagione del Signore per manifestare la sua gloria” (Is 61, 3).

Il triplice “munus” è esercitato unicamente in funzione del servizio, allo scopo di rendere perfetto il popolo di Dio, con la collaborazione dei fratelli presbiteri, e presentarlo a Dio come offerta pura e santa. Il vescovo non vive per sé, vive per gli altri; come il Servo di Jahvè, come il Cristo che porta la croce sulla quale grava il peso dei peccati del mondo, egli non pensa a se stesso, non cerca se stesso, ma si dona, si fa tutto a tutti (cf. 1 Cor 9, 22), uniformato, anzi identificato con Gesù, sacerdote eterno, per amare la Chiesa, per servirla, per essere in essa maestro, santificatore, pastore.

4. A questo sei ora destinato, carissimo fratello Giovanni Battista. Chiamato a maggiore intimità con Gesù; inviato direttamente da lui, come lui, è stato inviato dal Padre.

Tu ami Cristo e la Chiesa, come ne hai dato continua prova negli anni di giovane sacerdote della diocesi di Brescia; di servitore della Santa Sede nelle nunziature apostoliche in Panama e in Iran, come nella Segreteria di Stato di assessore solerte e generoso nella stessa Segreteria di Stato, in un intenso periodo di collaborazione, della quale non ho potuto che rallegrarmi per la fedeltà, l’efficacia, lo spirito di sacrificio.

Ora ti ho destinato all’incarico di Segretario della Congregazione per i vescovi: è il Dicastero che, come suo compito principale, collabora col successore di Pietro presentando alla sua scelta e candidati all’episcopato, quali li delinea per la Chiesa universale il Vaticano II. La meditazione che stasera ci è stata offerta dalla liturgia della Parola è un programma che si propone anche a quel Dicastero. Collaborerai a questo grande scopo: aiutare il Papa a dare alla Chiesa vescovi santi, ai quali Cristo stesso confida, come dice il Concilio, “il mandato e la potestà di ammaestrare tutte le genti, di santificare gli uomini nella verità, e di pascerli . . . (come) veri e autentici maestri della fede, pontefici e pastori” (Christus Dominus, 2).

Il Signore ti sarà vicino nei nuovi compiti. Lo senti in questa Basilica. Lo pregano i tuoi antichi e nuovi collaboratori. Lo pregano i tuoi cari e i pellegrini della tua diocesi natale di Brescia, terra di grandi e radicate tradizioni cristiane, nel campo ecclesiale e nell’apostolato laicale, tutti li saluto, insieme col vescovo mons. Foresti, lieto che possano partecipare a questo avvenimento, che dà nuovo lustro a quella storica Chiesa locale.

5. “Chiamati a sé i Dodici . . . Gesù li inviò”.

Cristo continua a chiamare i vescovi alla sua intimità e a inviarli nel mondo. Egli, che non abbandona mai la sua Chiesa, associa ora più strettamente alla propria missione salvifica un nuovo membro del Collegio episcopale.

Invochiamo lo Spirito, perché porti a compimento questo suo grande dono; invochiamo Maria santissima, che in quest’Anno mariano rifulge più splendida, come la stella del terzo millennio, per precedere la Chiesa nel cammino della fede; invochiamo tutti i santi.

La grazia dell’ordinazione episcopale sta per essere diffusa nel cuore del nostro fratello. Gesù lo chiama, Gesù lo invia. Gesù ci chiama, Gesù ci invia.

“Abbiamo questo tesoro in vasi di creta” (2 Cor 4, 7).

Vieni Signore Gesù!

“Non temerò alcun male, perché tu sei con me”.

Amen, amen.

 

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