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VIAGGIO APOSTOLICO IN PORTOGALLO II, COSTA RICA, NICARAGUA I,
PANAMA, EL SALVADOR I, GUATEMALA I, HONDURAS, BELIZE, HAITI

MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
A TUTTI GLI OPERAI DELL'AMERICA CENTRALE,
 BELIZE E HAITI

San Pedro Sula (Honduras)
Martedì, 8 marzo 1983

 

A causa della brevità della mia permanenza in questi Paesi, non ho potuto incontrarmi separatamente con gli operai, anche se li ho incontrati nel corso della mia visita apostolica dispersi tra il Popolo di Dio. Perciò, in questo luogo significativo, San Pedro Sula, consegno ai rappresentanti degli operai un messaggio scritto rivolto a tutti gli operai dell’America Centrale, Belize e Haiti, accompagnato da un cordialissimo e rinnovato saluto per loro e per le loro famiglie che benedico di cuore.

Questo il testo del messaggio.

Carissimi operai.

1. Nel quadro del mio viaggio apostolico attraverso le terre dell’area geografica centroamericana, invio a voi operai e operaie dei diversi Paesi, un cordiale ricordo e saluto, che estendo alle vostre famiglie.

È vero che questa zona del mondo presenta caratteristiche in prevalenza rurali. Tuttavia l’industrializzazione ancora incipiente, che i vostri popoli sono chiamati a realizzare in grado maggiore, in un futuro non lontano, mi fa riflettere sul ruolo importante che voi avrete come costruttori della società nelle vostre Nazioni. Desidero, perciò, fare insieme a voi alcune riflessioni sul vostro lavoro e dignità, alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa.

2. Se deve essere rispettata la dignità di ogni lavoratore e se deve essere garantito il valore del suo lavoro, tutti coloro che sono impegnati nei processi lavorativi dovranno convenire nella priorità del lavoro sul capitale come via verso lo sviluppo industriale di queste Nazioni (cf. Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 12).

Nessuno ignora che molte condizioni attualmente esistenti sono ingiuste; che le strutture economiche non servono l’uomo; che tante situazioni sleali non elevano la dignità umana; che la nascente industrializzazione crea di già un certo grado di disoccupazione, particolarmente dannoso per la gioventù. Il compito che si impone è quello di affrontare onestamente la complessità di questi problemi nel piano economico-sociale, ma molto più nel piano umano e culturale.

Nel proporre questi obiettivi non si vuole semplicemente accusare un sistema, né realizzare una specie di analisi di classe che contrapponga un’ideologia all’altra. La Chiesa parla partendo da una visione cristiana dell’uomo e della sua dignità: perché è convinta che non vi è bisogno di ricorrere a ideologie o proporre soluzioni violente, ma di impegnarsi a favore dell’uomo, di ciascun uomo e di tutti gli uomini, della loro integrale dignità, partendo dal Vangelo, presupponendo per questo il valore umano e spirituale dell’uomo in quanto lavoratore, che ha diritto a che il prodotto del suo lavoro contribuisca equamente al suo proprio benessere e al benessere comune della società.

È vero che il lavoratore non ha avuto sempre l’opportunità di raggiungere un sufficiente sviluppo; perciò deve essere aiutato, tecnicamente e culturalmente, a rendersi idoneo per raggiungerlo, al fine di liberarlo dalle ingiustizie e dargli i mezzi di ottenere un contributo al benessere proprio e altrui, in armonia e in pace con gli altri settori del mondo del lavoro.

3. Affinché questo possa ottenersi progressivamente, bisognerà sviluppare i sistemi e i processi che sono conformi al principio della priorità del lavoro sul capitale, impiantando strutture e metodi che superino la contrapposizione tra lavoro e capitale (cf. Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 13).

La opzione che si presenta dinanzi a noi non è quella dello statu quo o la lotta ideologica di classe, con la sua corrispondente violenza. La Chiesa si rivolge ai cuori e alle menti, e soprattutto alla capacità di cambiamento che esiste in tutti. Il modo di mettere termine alla violenza delle opposizioni di classe, non sta nell’ignorare le ingiustizie, ma nel correggerle, come la Chiesa richiama insistentemente nel suo insegnamento sociale.

Perciò essa propone come mezzo lo studio di nuovi modi di organizzazione del lavoro e delle strutture relative al lavoro, secondo le esigenze che emergono dalla dignità del lavoratore, dalla sua vita in famiglia e dal bene comune della società; soprattutto in una società che comincia a industrializzarsi, e nella quale può essere forte la tentazione di permettere che le forze del mercato siano il fattore determinante del processo produttivo. In tal caso si giunge a una inaccettabile riduzione della persona del lavoratore alla condizione di oggetto.

Al contrario, la Chiesa insegna sempre che ogni sforzo di progresso sociale deve rispettare il carattere prevalentemente soggettivo della persona e del suo lavoro, vale a dire, “quando ogni persona, basandosi sul suo proprio lavoro, abbia pieno titolo a considerarsi al tempo stesso “comproprietario” di quella specie di grande officina di lavoro nella quale si impegna con tutti” (Ivi, 14).

Ogni persona e le distinte organizzazioni della società devono collaborare a trovare o a creare strutture sociali che aiutino a eliminare le ingiustizie e ad assicurare questi obiettivi: prima di tutto le associazioni o sindacati costituiti a questo scopo e che, in conformità al principio di solidarietà, devono godere della conveniente libertà di azione, in modo da rispondere nella forma più adeguata possibile alle necessità della società.

4. In tema di lavoro, la prima e indispensabile condizione è il giusto salario, che costituisce il metro per misurare la giustizia di un sistema socio-economico (cf. Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 19). Sono tuttavia vari gli elementi che compongono il giusto salario e che vanno al di là della pura rimunerazione di uno specifico lavoro compiuto.

Il giusto salario include ovviamente questo come base, ma considera in primo luogo e prima di tutto il soggetto, vale a dire il lavoratore. Lo riconosce come socio e collaboratore nel processo produttivo e lo rimunera per ciò che egli è in detto processo, oltre che per ciò che ha prodotto. Esso deve tener conto, naturalmente, dei membri della sua famiglia e dei loro diritti, affinché possano vivere in modo degno nella comunità e possano così avere le debite opportunità per il proprio sviluppo e mutuo aiuto.

Il giusto salario deve considerare il lavoratore e la sua famiglia come collaboratori nel bene della società. E il suo salario deve essere tale che il lavoratore e la sua famiglia possano godere i benefici della cultura, dando loro anche la possibilità di contribuire da parte loro alla elevazione della cultura della nazione e del popolo.

Compiere questo non è compito facile. Inoltre non appartiene soltanto a due persone stipulare i relativi contratti. La determinazione del giusto salario esige anche l’attiva collaborazione dell’imprenditore indiretto. Le strutture del governo devono avere la loro parte di equilibrio perché non è ammissibile che il potente ottenga grandi guadagni, lasciando al lavoratore soltanto briciole. Né è ammissibile che governo e imprenditori, siano essi all’interno o al di fuori del Paese, stipulino accordi fra loro stessi, di beneficio per entrambi, escludendo la voce del lavoratore da questo processo o la sua partecipazione ai benefici.

L’obiettivo è perciò un’organizzazione del mondo del lavoro e dell’industria tale che i canali della comunicazione e della partecipazione siano garantiti. Allora, utilizzando questi canali, tutti i lavoratori, i dirigenti, i proprietari dei mezzi di produzione e il governo devono collaborare per giungere alla irrinunziabile meta di un giusto salario che includa tutti i fattori necessari a garantire la giustizia per il lavoratore nel senso più pieno e profondo (cf. Ivi, 14). Solamente quando ciascuno dei componenti assume le proprie responsabilità, in collaborazione con gli altri, la società può andare al di là di polarizzazioni di ideologia e lotta di classe, per assicurare la crescita armonica del lavoratore, della famiglia e della società.

5. Vi sono altri due problemi distinti ma legati fra loro, sui quali vorrei richiamare brevemente l’attenzione. Sono quelli dell’analfabetismo e della disoccupazione. Affrontare questi problemi significa prima di tutto rendersi coscienti della situazione e poi mobilitare le risorse disponibili per estirpare tali mali. Significa pure mantenere entro dimensioni umane il problema del lavoro, considerando tutti i valori culturali e religiosi dell’uomo.

Un necessario programma di eliminazione dell’analfabetismo dovrà portare ogni cittadino verso la cultura, preparandolo perché abbia l’opportunità di partecipare alla direzione della società e possa sviluppare le proprie energie creatrici, per contribuire alla comune eredità del suo Paese. Ciò si trasformerà in bene della persona, della famiglia e della società.

Questo obiettivo dovrà essere alla base di qualunque programma di elevazione umana, poiché è una delle prime esigenze della dignità dell’uomo e condizione previa per il suo ulteriore progresso in qualsiasi campo.

Il problema della disoccupazione è una piaga del nostro mondo, dovuta a diverse cause economiche e politiche. Anche la Chiesa si preoccupa di questo problema che ha un significato non soltanto sociale o economico, ma anche personale, psicologico e umano, perché umilia la persona ai suoi stessi occhi, le provoca un certo senso di inutilità e di mancanza di difesa, costituendo un’esperienza dolorosa soprattutto per i giovani e per i padri di famiglia.

Bisogna cercare con tutte le forze sociali disponibili di integrare ogni lavoratore nelle diverse attività del lavoro produttivo. E sarà forse opportuno riservare una parte dei benefici del lavoro, per convertirli in nuovi posti di lavoro a favore dei disoccupati. Inoltre bisognerà cercare di promuovere attività che siano unite anche al sistema produttivo, come l’assistenza sociale, i progetti di educazione e cooperazione, le iniziative culturali e simili.

6. Carissimi operai, la Chiesa desidera per voi e vuole aiutarvi, per quanto dipende da essa, a raggiungere mete più alte di giustizia e di dignità. Desidera il vostro benessere materiale e quello delle vostre famiglie. Però non bisogna fermarsi là. Siete esseri umani con una vocazione che oltrepassa la vita terrena. Perciò vi esorta ad aprirvi a Dio, ad accogliere e seguire gli insegnamenti e gli esempi di Cristo, a vivere responsabilmente la vostra fede cristiana come figli di Dio e della Chiesa.

Chiedo per voi la luce, la fortezza, la speranza e il coraggio della fede. E lascio a voi, a tutti gli operai dei Paesi che ho visitato in questi giorni e alle vostre famiglie, il mio affettuoso saluto, la mia benedizione e il mio cordiale ricordo.

 

GIOVANNI PAOLO II



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