DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DI AUGURI PER LE FESTIVITÀ NATALIZIE
AL SACRO COLLEGIO DEI CARDINALI
Sabato, 22 dicembre 1979
Signori Cardinali, Carissimi Fratelli!
1. Sono assai grato al Cardinale Decano per le sue parole di augurio, nelle quali ho sentito vibrare il suo nobile cuore, e quello di tutti voi, qui presenti. Il Signore rimeriti tanta delicatezza. In questa circostanza tutta particolare, che si rinnova ogni anno, sentiamo più vivo il significato e la ricchezza del Natale vicino. Gesù viene, è ormai alle porte. Il Padre Celeste ce ne fa dono, il dono per eccellenza, nel quale abbiamo avuto tutti i doni, nell’ordine della natura e della grazia: egli, che ha “già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi... in questi giorni parla a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto il mondo” (cf. Eb 1,1ss.). E Maria, sua Madre Immacolata, lo porta in grembo per offrirlo a noi, rappresentati nei pastori di Betlemme, nei Magi d’Oriente; l’offre per la salvezza di tutti gli uomini. Quest’ora vissuta tra di noi, in sintonia di affetto e di preghiera, con l’animo rivolto verso la santa Grotta, è piena di gioia e di incoraggiamento, per me e per voi, carissimi miei Collaboratori. E di tanto vi ringrazio di cuore.
2. Ma con voi sento presente qui l’intera Chiesa: nei suoi Pastori, i venerati Fratelli nell’Episcopato, nei Sacerdoti, nei Religiosi e nelle Religiose, nei fedeli tutti. Tutta la Chiesa si prepara al Natale, e lo rivivrà in quel giorno nel legame stupendo e misterioso dei Santi Misteri. E a tutta la Chiesa va oggi il mio saluto, oltre al sincero “grazie” per gli auguri che dai cinque Continenti mi stanno giungendo.
Nello scorso anno, in questa stessa circostanza – ed era il mio primo Natale con voi in questa Sede di Pietro – io accennavo all’impegno assunto, per divino mandato, in favore di tutta la Chiesa: “impegno di dedizione e di amore” (AAS 71 [1979] 50). E mentre ormai l’anno volge velocemente al tramonto, sento di poter dire che ho cercato, umilmente, semplicemente, ma con tutte le forze, servendomi di ogni possibilità a me offerta, di tener fede a quell’impegno, essendo ben consapevole delle mie responsabilità davanti a Dio.
Il mio saluto e il mio augurio vanno, inoltre, ai Fratelli delle Comunità cristiane, che ancora non sono nella piena comunione con noi. Vanno ai membri delle religioni non cristiane, particolarmente a quelle che adorano l’unico e onnipotente Iddio. Va, il mio augurio, ai Capi degli Stati di tutto il mondo, ai responsabili delle sorti dell’umanità, agli uomini politici. Va a ogni uomo, che vive, lavora, gioisce o soffre sull’intera estensione del globo.
3. L’annuncio essenziale del Natale è l’Incarnazione del Figlio di Dio. La Parola del Padre si fa carne e pone la sua abitazione fra di noi (cf. Gv 1,14). Viene per l’uomo. Per ogni uomo. “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna... perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4). Come spesso hanno rilevato i Padri e i Teologi antichi, Dio si fa uomo perché l’uomo diventi Dio. Il prossimo Natale sarà quell’“oggi”, in cui avviene questo “ammirabile scambio”. Un “oggi” che non tramonterà mai più, finché sulla terra nascerà un uomo, che porta stampata nella persona, al di là della sua fragilità intrinseca di creatura terrena, la regale immagine e somiglianza con Dio, la dignità di figlio del Padre, di redento da Cristo. Per questo Gesù nasce, in quest’“oggi” del Natale, che così bene commenta uno scrittore orientale: “In questo giorno è nato il Signore, vita e salvezza degli uomini. Oggi si è operata la riconciliazione della divinità con l’umanità, e dell’umanità con la divinità... Oggi ha avuto luogo la morte della tenebra e la vita dell’uomo. Oggi una via si è aperta per gli uomini verso Dio e una via di Dio verso l’anima... Prima infatti tutto il creato lanciò un grido, trascinato verso la corruzione della caduta di Adamo, che di quelle realtà era re. Ma il Signore è venuto a rinnovare lui, come conviene, la vera immagine di Dio e a ricrearla... Oggi si compie l’unione, la comunione e la riconciliazione tra le realtà celesti e quelle terrene: Dio e uomo” (Ps. Macarii, Hom. 52, 1: “Macarii Anecdota”, ed. G. L. Marriot, Cambridge 1918, pp. 24ss.).
Nasce il “Redentore dell’uomo”
Nasce il “Redentore dell’uomo”. Nasce con lui l’umanità. E nasce con lui la Chiesa, come ha ben sottolineato Sant’Ambrogio (S. Ambrogio, Exp. Evangelii sec. Luc., 2, 50: PL 15,1571), commentando la natività di Cristo: “Guardate i primordi della Chiesa che sorge: Cristo nasce, e i pastori (cioè, i Vescovi) cominciano a vegliare per radunare nell’atrio del Signore le greggi dei Gentili”. Alla Chiesa, per la sua primordiale missione, nata con Cristo nato, e da lui ricevuta con solenne mandato, spetta di difendere la dignità dell’uomo: “di “ciascun uomo” come ho scritto nella mia prima Enciclica perché ognuno è stato compreso nel mistero della Redenzione, e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero. Ogni uomo viene al mondo concepito nel seno materno, nascendo dalla madre, ed è proprio a motivo del mistero della Redenzione che è affidato alla sollecitudine della Chiesa. Tale sollecitudine riguarda l’uomo intero ed è incentrata su di lui in modo del tutto particolare. L’oggetto di questa premura è l’uomo nella sua unica e irripetibile realtà umana” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 13).
4. Questa visuale teologica ed esistenziale insieme è stata il motivo conduttore, con l’aiuto di Dio, del primo anno del mio pontificato: è una linea che, preannunciata dall’Allocuzione del solenne inizio del pontificato, il 22 ottobre 1978, si è concretata nella Enciclica citata, in una traiettoria che passa per l’Omelia tenuta a Drogheda, in Irlanda, e giunge, nelle applicazioni alla vita e ai problemi internazionali, fino al Discorso alla XXXIV Assemblea delle Nazioni Unite, a New York, il 2 ottobre 1979. Effettivamente, come là mi sono permesso di ricordare agli illustri Rappresentanti di tutto il mondo, “in questo rapporto trova il suo perché tutta l’attività politica, nazionale e internazionale, la quale in ultima analisi viene “dall’uomo”, si esercita “mediante l’uomo” ed è “per l’uomo”. Se tale attività si distacca da questa fondamentale relazione e finalità, se diventa, in certo modo, fine a se stessa, essa perde gran parte della sua ragion d’essere. Ancor più, può diventare perfino sorgente di una specifica alienazione; può diventare estranea all’uomo; può cadere in contraddizione con l’umanità” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Nationum Unitarum legatos, 2 ottobre 1979, n 6: AAS 71 [1979] 1147).
La voce della Chiesa e l’uomo
Rievoco tutto questo, nell’attesa vigilante che caratterizza quest’ultimo periodo dell’Avvento, per richiamare ancora una volta, insieme con la missione salvifica di Cristo affidata alla Chiesa, e da essa perpetuata nei secoli, l’intrinseca dignità dell’uomo, che dev’essere servita fino in fondo. E se mi sono permesso di citare alcune frasi, e dell’Enciclica e del Discorso a New York – in questo incontro che si apre principalmente sui problemi dell’umanità intera, lasciando ad altra occasione, a metà del nuovo anno, di trattare i problemi della Chiesa “ad intra” – è perché vedo, e vediamo tutti, come non sempre sia rispettata come si conviene la sacra grandezza dell’uomo, di ogni uomo nostro fratello.
5. Nel mio incontro con i rappresentanti di tutte le Nazioni del mondo, a New York, ho ricordato da quel grande forum la necessità di proclamare e difendere i “diritti inalienabili” delle persone e delle comunità dei popoli. Vi sono problemi che ci interpellano in tutta la loro gravità; e la Chiesa ha il diritto e il dovere di intervenire, se vuol rimanere fedele alla sua missione, che, nel Cristo nato per noi, è rivolta alla salvezza di tutto l’uomo e di ogni uomo. La Chiesa non chiede altro che di poter cooperare con tutti i regimi e i popoli di qualsiasi tendenza e ideologia, per la costante elevazione dell’umanità.
Effettivamente, i vari viaggi che la Provvidenza del Signore mi ha permesso di compiere quest’anno, hanno chiaramente indicato anche questa dimensione, questa vocazione primordiale della Chiesa nel mondo contemporaneo. Non si è trattato infatti solamente di contatti col Popolo di Dio, con questa magnifica realtà che costituisce e prolunga sulla terra il regno dei cieli e ne prepara la definitiva irradiazione; ma quei pellegrinaggi in Nazioni e Popoli, pur tanto diversi per tradizione, per culture, per formazione intellettuale e sociale, per fisionomia socio-politica, per forma di governo, hanno fornito l’occasione di salutare gli illustri rappresentanti di quei numerosi Stati, in incontri ricchi di calore e di significato umano e sociale. È stata un’espressione assolutamente positiva, che, più e meglio di ogni parola, ha giovato a creare un avvicinamento reale e concreto, anzi una fratellanza universale tra i popoli e ad allontanare sempre più ogni genere di barriere, che dividono tra loro i vari sistemi.
Così, in questa luce trovano la loro ragion d’essere le fitte relazioni, che la Santa Sede intrattiene nel mondo, sia per il tramite delle proprie Rappresentanze Pontificie, al servizio delle Chiese locali e delle Nazioni presso cui lavorano, sia nei contatti del Papa con i Capi di Stato e con i rappresentanti qualificati dei Governi e della vita politica dei vari Popoli. E mi piace ricordare i numerosi Ambasciatori, esistenti presso la Santa Sede, un bel numero dei quali ho ricevuto nei giorni scorsi per la presentazione delle Lettere Credenziali.
6. In così ampia visuale di effettiva possibilità della Chiesa di instaurare un dialogo costruttivo con le forze che reggono il mondo, essa sente il dovere di alzare la sua voce per la difesa dei diritti umani. Non è certamente una interferenza in affari interni degli Stati, né un’indebita appropriazione di compiti non suoi, e tanto meno una pura evocazione retorica di parole, ma non di fatti.
I diritti dell’uomo – in quanto sono enunciati in quella fondamentale “dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” del 1948, che ho voluto richiamare dalla tribuna delle Nazioni Unite – trovano purtroppo nel mondo vari pericoli, che li limitano e paralizzano, quando non li violano apertamente e anzi li sopprimono. Mai si è sentito esaltare tanto la dignità e il diritto dell’uomo a una vita fatta a misura d’uomo, ma mai anche si sono avuti come oggi affronti tanto patenti a tali dichiarazioni.
Le tensioni internazionali
Mi riferisco alle tensioni internazionali, sempre purtroppo esistenti. Alle guerre e ai rivolgimenti che oltre a produrre gravissimi disagi economici, soprattutto hanno recato con sé un tristissimo corteo di morti e di distruzioni. Penso alle lotte intestine che travagliano alcune Nazioni. Alla violazione di principi inconcussi di diritto internazionale, con gravissime sofferenze causate alle persone interessate e alle loro famiglie.
Penso ai complotti oscuri e terribili del terrorismo, che minacciano la convivenza di Nazioni a noi carissime come la diletta Italia, e che, se non sono una guerra vera e propria, ne sono il surrogato iniquo e feroce. Ricordo con orrore i rapimenti, le estorsioni, le rapine: penso ai sequestrati che soffrono indicibilmente, talora da lunghi mesi.
In questo contesto non posso non ricordare i punti più densi di pericolo in alcune parti del mondo: la persistente crisi nel Medio Oriente; la situazione nell’Africa meridionale; le contese della penisola indocinese: e qui il pensiero va ancora alle miserevoli carovane umane, erranti per il vasto mare o in cerca di un asilo, dei rifugiati politici, degli esuli, dei prigionieri, la cui situazione è e permane dolorosissima per la mancanza di cibo, di vestiario, di casa, di lavoro, e soprattutto di una qualsiasi sicurezza per il domani: i rifugiati sono i veri poveri di oggi sul piano internazionale, ai quali deve andare la solidarietà dei popoli tutti, perché tutti hanno in sorte un destino migliore, e non possono chiudere gli occhi davanti alla loro tragedia.
Come ho già detto alla Sede delle Nazioni Unite, anche il problema degli armamenti riveste tuttora una gravità impressionante, perché “essere pronti alla guerra vuol dire essere in grado di provocarla” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Nationum Unitarum legatos, 2 ottobre 1979, n. 10: AAS 71 [1979] 1151): è un crescente dispendio di mezzi socialmente improduttivi, che causa funeste conseguenze psicologiche nei rapporti tra gli Stati e nella vita interna degli Stati medesimi. In tale contesto, non possono non destare giusta preoccupazione tutte le installazioni di armi sempre più perfezionate, che, sia pure concepite come strumento di difesa, possono divenire fonte di distruzione e di rovina.
L’onesta ricerca del bene e del vero
Nel mio recente Messaggio per la Giornata della Pace, ispirato al principio che la verità è fonte della pace, ho accennato a varie forme di “non-verità” che mortificano l’uomo e rendono sempre più difficile e problematica la concordia fraterna. Anche quanto ho ricordato sopra entra in questo quadro di ricerca di tutto quanto, oggi, può nuocere alla pace universale proprio perché si oppone all’onesta ricerca del bene e del vero, anche nei rapporti tra i popoli. Auspico perciò in questo messaggio natalizio la necessità di “scavare bene a fondo in noi stessi, per raggiungere quelle zone in cui – al di là delle divisioni che constatiamo in noi e tra di noi – possiamo rafforzare la convinzione che i dinamismi propri dell’uomo, il riconoscimento della sua vera natura, lo portano all’incontro, al rispetto reciproco, alla fraternità e alla pace. Questa ricerca laboriosa della verità oggettiva e universale intorno all’uomo formerà... uomini di pace e di dialogo, forti e insieme umili per una verità, della quale essi capiranno che bisogna servirla, e non già servirsene per interessi partigiani” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata della Pace 1980, n. 4, 8 dicembre 1979).
La Chiesa con l’uomo che soffre
7. Le situazioni, che ho ricordato sopra, sono situazioni di disagio, sono fonte di dolore. Oggi gli uomini soffrono. Quanto, quanto dolore nel mondo quando si dimentica che l’uomo è nostro fratello! Ebbene, la Chiesa, nel guardare al mistero del Figlio di Dio fatto uomo – ed esposto anch’egli per l’ingiustizia degli uomini alla sofferenza e alla fame, alla povertà, all’esilio – non può esimersi dall’interporsi, dall’impegnarsi, dal coinvolgere se stessa per aiutare gli uomini, per risparmiare la sofferenza degli uomini. Ovunque un uomo soffre, là è Cristo che attende al suo posto (cf. Mt 25,31-46). Ovunque un uomo soffre, là ci dev’essere la Chiesa al suo fianco.
Quanto ho sopra ricordato – minaccia e situazioni di guerra, terrorismo, problema dei rifugiati – presenta al nostro spirito una terribile somma di dolori umani.
Si aggiunga quanto nel mondo è fonte di squilibrio e di disagio, che reca offesa alla intrinseca dignità dell’uomo, perché viene umiliato e ferito, e soffre per se stesso e per i propri cari. Mi riferisco alle stridenti disuguaglianze sociali, oggi ancora esistenti. Se, come ha detto il Concilio Vaticano II, “l’uomo... è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale” (Gaudium et Spes, 63), permangono in tutta la loro gravità i “motivi di preoccupazione” che il Concilio denunciava con sincerità assoluta, parlando addirittura del “regresso delle condizioni sociali dei deboli, e del disprezzo dei poveri. Mentre folle immense – continuava la Gaudium et Spes – mancano dello stretto necessario, alcuni, anche nei Paesi meno sviluppati, vivono nell’opulenza o dissipano i beni” (Ivi). Di conseguenza, in alcuni Paesi oggi si muore di fame. Queste vittime “bianche”, queste vittime innocenti assommano a milioni ogni anno. Come poter pensare alla prossima gioia del Natale, davanti a una sofferenza così atroce, così inconcepibile? E tale flagello, come ben sappiamo, porta con sé tutta una serie di mali, che minano il futuro sviluppo di intere popolazioni: denutrizione, malattie endemiche, inazione, miseria, disperazione. Come non invocare una volonterosa cooperazione su scala internazionale? È necessario che tutti i popoli – i quali spesso distruggono i loro prodotti per inconcepibili leggi di mercato – si coalizzino, anche a costo di sacrificio, per venire incontro ai fratelli che soffrono la fame. Richiamo qui, con rinnovata intensità, quanto ho avuto occasione di dire alla FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite che ha come primario scopo l’esame e la soluzione dei problemi dell’alimentazione e dello sviluppo nel mondo, sia nell’udienza del luglio 1979 in occasione della Conferenza per la Riforma Agraria, sia nella visita compiuta nello scorso 11 novembre. Non si può rimanere insensibili a un campo di azione di così grande gravità, che interessa zone intere e vastissime della terra.
Non posso poi dimenticare in questo momento i disoccupati, i sottoccupati, coloro che stentano a portare avanti il carico della vita, con tutti i problemi che crescono in un delicato momento economico come il presente: a tante mamme, a tanti papà il Natale che si avvicina dà una stretta al cuore, perché mancherà ai loro figli la gioia non dico di doni superflui, ma della stessa tranquillità materiale, forse della sopravvivenza.
Penso poi alla sofferenza pagata dall’anonima folla degli umili, in ogni Paese, causata dalle improvvise variazioni dei rapporti commerciali internazionali, dalla esosità di certi approvvigionamenti, che provocano un crescente costo delle cose più elementari della vita fino a produrre gravissimi disagi nella vita familiare e sociale.
Le vere dimensioni della libertà religiosa
8. Ma vi sono fonti di sofferenza più intima, non rilevabile dalle indagini statistiche, che attentano profondamente alla interiore grandezza e nobiltà dell’uomo, perché gli impediscono di perseguire i suoi più alti e inalienabili diritti. I più importanti di questi ho enumerato nel discorso alle Nazioni Unite, tra i quali ho citato “il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona; il diritto all’alimentazione, all’abbigliamento, all’alloggio, alla salute, al riposo e agli svaghi; il diritto alla libertà di espressione, all’educazione e alla cultura; il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione e il diritto a manifestare la propria religione, individualmente o in comunione, tanto in privato che in pubblico” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Nationum Unitarum legatos, 2 ottobre 1979, n. 13: AAS 71 [1979] 1152). In particolare vorrei oggi sottolineare proprio questo diritto alla libertà religiosa, sacro per tutti gli uomini, al quale il Concilio Vaticano II ha fatto solenne appello: “Questa libertà – diceva la Dichiarazione Dignitatis Humanae – consiste in ciò, che tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione sia da parte di singoli individui, sia di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, e in modo tale, che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza, né sia impedito, entro debiti limiti, ad agire in conformità ad essa” (Dignitatis Humanae, 2).
Debbo dire che questo è purtroppo reale problema, e grave problema, per la vita di diversi popoli nel mondo. In vari Paesi non esistono le vere dimensioni della libertà religiosa; è difficile comprendere, per esempio, come mai il concetto di sviluppo scientifico e sociale possa considerarsi collegato oggi con la imposizione di un programma ateistico: il che perdura in determinati Paesi del mondo, creando di fatto, come ho ancora sottolineato nel discorso alle Nazioni Unite, “una strutturazione della vita sociale in cui l’esercizio di (fondamentali) libertà condanna l’uomo, se non nel senso formale almeno di fatto a divenire un cittadino di seconda o di terza categoria” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Nationum Unitarum legatos, 2 ottobre 1979, n. 19: AAS [1979] 1157-1158). Ciò causa sofferenze profonde, ferite insanabili, gemiti insopprimibili nelle coscienze di milioni di persone, rette e giuste, che si vedono tarpate nelle aspirazioni più profonde del loro essere spirituale. A tutti questi fratelli e sorelle che soffrono, il Papa è vicino con la simpatia, con l’affetto, con la preghiera: vorrebbe rassicurarli che non tralascia occasione per parlare della loro situazione ai responsabili che incontra nel suo ministero. E, a tutti, oggi fa sentire la giusta esigenza che la Chiesa e la Santa Sede dovrebbero godere pacificamente il diritto di aiutare i fedeli e i sacerdoti, in tutto il mondo: e questo perché è animata soltanto dalla volontà di assistere l’uomo, di facilitargli il cammino della vita, di elevarne l’intera persona agli orizzonti della dignità umana e soprannaturale a cui è stata chiamata da Dio, nel libero e coerente esercizio delle proprie convinzioni. La Chiesa dovrebbe essere in grado di esercitare sotto ogni cielo la sua missione, nel rispetto delle reciproche libertà ma anche nell’assolvimento dei propri imprescrittibili diritti, come sono proclamati nel Vangelo. A tale proposito il mio pensiero ritorna con particolare affetto al grande popolo cinese, che già ho ricordato la domenica 19 agosto di quest’anno, alla recita dell’Angelus. In prossimità del Santo Natale invio il mio saluto e il mio augurio ai figli della Chiesa Cattolica, come a tutti i componenti di quella grande Nazione, rinnovando “l’auspicio che possano aversi sviluppi positivi, i quali segnino per i nostri fratelli e sorelle del continente cinese la possibilità di godere della piena libertà religiosa” (Giovanni Paolo II, Angelus, 19 agosto 1979: “L’Osservatore Romano”, 20-21 agosto 1979).
L’Anno Internazionali del Bambino
9. Sta per terminare l’Anno Internazionale del Bambino, che ha visto al centro dell’interesse universale l’uomo del domani, l’uomo del Duemila, che si affaccia oggi alla vita con tutte le sue promesse ancora in germe, e con tutte le sue attese che non possono andare deluse. Iniziative bellissime sono fiorite un po’ dappertutto, e ciò fa sperare che il problema trovi spazio, a tutti i livelli, nelle programmazioni e preoccupazioni dei politici, dei sociologi, degli psicologi e dei pedagogisti, dei medici, degli insegnanti e uomini di cultura, dei responsabili dei mass media; molti si sono fatti promotori di iniziative idonee. Il Papa non può certo dimenticare l’opera instancabile, ammirevole, intelligente di persone e di istituzioni benefiche, che si svolge nel seno della Chiesa, spesse volte con mezzi inadeguati a cui supplisce l’ansia della carità di Cristo che a tutto spinge (cf. 2Cor 5,14): e soprattutto il mio pensiero va all’azione dei missionari, la cui opera evangelizzatrice si dedica, nei suoi risvolti educativi e assistenziali, proprio all’elevazione e alla preparazione delle generazioni che salgono. E lodo tutto ciò che, nel mondo, uomini e donne, di ogni credo e di ogni convinzione religiosa, compiono con sforzo generoso e con retta intenzione per l’educazione e l’assistenza dell’infanzia.
Ma come non riaffermare solennemente che la vita dell’essere umano e sacra, fin dal suo sprigionarsi sotto il cuore della madre, al momento del concepimento? Come dimenticare che, proprio in quest’anno consacrato al fanciullo, il numero delle vite soppresse nel grembo materno ha raggiunto culmini paurosi? È una silenziosa ecatombe, che non può lasciare indifferenti non dico noi uomini di Chiesa, noi cristiani e cristiane del mondo intero, ma altresì i responsabili della cosa pubblica, le persone pensose dell’avvenire delle Nazioni. Nel nome di Gesù “vivente in Maria” (venerabile Olier), da lei recato in grembo nel mondo indifferente e ostile – a Betlemme si rifiutarono di accoglierlo e nella reggia di Erode si tramò la sua morte –, nel nome di quel Bambino, Dio e uomo, io scongiuro gli uomini consapevoli della dignità insopprimibile di questi uomini non ancor nati, a prendere una posizione, degna dell’uomo, perché questo oscuro periodo che minaccia di avvolgere di tenebre la coscienza umana, possa essere finalmente superato.
Nei giovani la speranza del domani
10. L’Anno Internazionale del Bambino comprende altresì nei suoi scopi la promozione umana dei ragazzi e degli adolescenti dei due sessi, fino alla soglia della giovinezza. Il mio pensiero va perciò in questo momento alle schiere, vivaci e gioiose, di questi cari ragazzi e ragazze, che in tutto il mondo formano la speranza più lieta del domani. E oltre a essi, seguendo le generazioni che crescono, abbraccio altresì l’immensa schiera dei giovani e, delle giovani di tutto il mondo, tessuto connettivo delle società di ogni tipo, e riserva di energie per la costruzione di un domani più giusto e più sereno. Questa gioventù nelle sue varie fasce che vanno dall’adolescenza alle soglie del matrimonio è retta, è generosa, e assetata di verità, di giustizia; chiede agli adulti di essere accolta con comprensione e buona volontà nei settori operativi e nei gangli direzionali; essa si rivolge alla Chiesa con rinnovato interesse e col desiderio profondo di una chiara risposta ai fondamentali “perché” della vita. A questi giovani ancor oggi Cristo guarda negli occhi con simpatia, come al giovane del Vangelo (cf. Mc 10,21).
Nella sua ricerca di certezze, la gioventù non può, non deve rimanere delusa. Ad essa io ripeto il grido del mio inizio di pontificato: “Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!” (Giovanni Paolo II, Homilia ob initium ministerii Summi catholicae Ecclesiae Pastoris habita, 22 ottobre 1978: AAS 70 [1978] 947). So di trovare accoglienza! Me lo confermano i contatti lietissimi ed esaltanti con tanti giovani, a cui in quest’anno, a Roma come in tutte le latitudini del mondo, ho parlato, ho stretto la mano, con cui ho scambiato lo sguardo affettuoso. Ad essi ripeto: la Chiesa non vi tradirà mai, la Chiesa non vi deluderà mai, la Chiesa vi rispetterà sempre nella vostra integrale personalità umana.
Non abbiate paura.
Ma penso altresì alle oscure realtà che minacciano questo potenziale ricchissimo di vita, che è l’adolescenza e la gioventù odierna, che possono trasformarlo in materiale amorfo, anzi in potenziale distruttivo. Come non ricordare che tante richieste di lavoro, di formazione culturale, di occupazione professionale, rimangono inascoltate, lasciando forzatamente inoperosi tanti giovani, che pure hanno faticato e studiato, che hanno raggiunto una preparazione ormai degna di essere utilizzata per il bene comune della società? E come non alzare vibratamente la voce contro chi, nell’ombra, ignobilmente, con fini perversi, cerca di corrompere questa ricchezza stupenda con tremendi surrogati di valori traditi, con mortali allettamenti che, in un’esistenza in preda di delusioni e talora vuota di ideali, trovano facile esca? Come dimenticare le ormai innumerevoli vittime della droga, offerta fin dai primi anni dell’adolescenza, e diventata poi catena ferrea di una obbrobriosa schiavitù? Come dimenticare le devastazioni morali, che un’industria altrettanto ignobile, o una mentalità permissiva e edonistica che permea parte dell’editoria e degli strumenti di comunicazione attraverso l’immagine, hanno prodotto nell’animo di tanta gioventù con l’edonismo sfrenato, proposto a norma di vita? Come dimenticare la manipolazione della personalità dell’uomo in formazione mediante i mass media, gli indottrinamenti ideologici, la presentazione parziale e distorta della verità, la pornografia?
Su tutti questi sintomi preoccupanti di regressione morale si innesta il fattore della violenza, in tutti i suoi stadi, che obbedisce unicamente a una logica di distruzione e di morte, che potrebbe, Dio non voglia, paralizzare l’aspirazione comune all’ordinato progresso, alla concordia costruttiva, alla pace operosa. A questi giovani, che oggi non hanno paura di uccidere o di ferire, altri giovani, altri uomini, io rivolgo in ginocchio, come il mio Predecessore Paolo VI, il grido di speranza e l’invito che ho fatto echeggiare a Drogheda: “Faccio appello ai giovani che possano essere stati irretiti in organizzazioni impegnate nella violenza. Io vi dico, con tutto l’amore che ho per voi, con tutta la fiducia che ho nei giovani: non ascoltate le voci che parlano il linguaggio dell’odio, della vendetta, della rappresaglia... Il vero coraggio consiste nel lavorare per la pace. La vera forza consiste nell’unirvi ai giovani e alle giovani della vostra generazione in ogni dove per costruire una società giusta, umana e cristiana, mediante le vie della pace. La violenza è la nemica della giustizia. Solo la pace può condurre alla vera giustizia” (Giovanni Paolo II, Homilia in urbe Drogheda habita, 29 settembre 1979, n. 12: AAS 71 [1979] 1083).
Gli immensi valori della famiglia
11. La formazione della gioventù è inscindibilmente collegata col retto ingranaggio della vita familiare. La famiglia, “prima e vitale cellula della società”, come l’ha definita il Concilio (Apostolicam Actuositatem, 11), è la riserva delle fortune o delle sventure della società di domani: infatti essa ha continue e determinanti interferenze nella vita dei giovani, in senso sia negativo che positivo. Essa non può quindi essere assente dall’ordine di pensieri di questo messaggio natalizio, tanto più che il Natale è la festa per eccellenza delle famiglie cristiane, riunite intorno al Presepio nella semplice gioia che nasce dalla vera e profonda fusione dei cuori. La Sacra Famiglia celebrata nella domenica successiva al Natale, dà la chiave per comprendere tutti i valori che devono essere proclamati alle famiglie di oggi: amore, dedizione, sacrificio, castità, rispetto della vita, lavoro, serenità, letizia. Le fonti di squilibrio, a cui abbiamo accennato, fanno invece della famiglia la prima vittima, e, con essa, travolgono la gioventù. Tanti sbandamenti morali, come tanti fatti di violenza, nascono proprio dal disimpegno della famiglia, fatta purtroppo bersaglio di una coalizione di forze disgregatrici, che si servono di tutti i mezzi a disposizione.
Nei viaggi che ho compiuto quest’anno, se ho potuto vedere tanto bene attorno a me, è perché certamente la presenza e l’opera delle famiglie cristiane rimangono come il tessuto connettivo, la compagine e la struttura portante della vita civile ed ecclesiale di tutto il mondo. Ne ringrazio il Signore, e con lui tanti padri e madri di tutte le latitudini del globo.
Anche per la difesa dei valori, relativi alla famiglia, non ho tralasciato occasione di interessare le personalità che, in quest’anno ho avuto l’opportunità di incontrare, dai supremi responsabili della vita delle Nazioni, ai loro rappresentanti diplomatici, alle autorità civili e politiche. E in favore della famiglia non ho cessato di richiamare, per i vari e complessi problemi che essa propone alla coscienza e alla società, nelle mie allocuzioni e appelli: in Messico, nell’omelia a Puebla de Los Angeles, in Polonia a Jasna Gora, nell’appello e nel discorso agli operai, poi a Nowy Targ, indi a Limerick, in Irlanda, e al Capitol Mall, negli Stati Uniti. Né ho tralasciato l’accenno all’azione catechetica affidata alla famiglia, nell’Esortazione Catechesi Tradendae (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae, 68); e mi permetto di ricordare la trattazione che sto svolgendo nelle Udienze Generali, in preparazione alla Sessione del Sinodo dei Vescovi, che si svolgerà nel prossimo anno, e sarà dedicata alla famiglia. Sarà un’occasione privilegiata, e da me tanto attesa, perché tutta la Chiesa, nei rappresentanti dei suoi Episcopati nazionali, si soffermi a meditare e ad approfondire la meravigliosa dignità della famiglia, la ricchezza dei suoi valori, l’importanza insostituibile della sua missione.
L’incontro con Cristo, con la famiglia, con l’uomo
12. Venerati Fratelli! Il ritrovarci insieme in questa attesa natalizia ha permesso questa panoramica sui problemi più urgenti e attuali. So che è compito imprescrittibile del Supremo Pastore della Chiesa di indicare la via da seguire. E questa via è Cristo (cf. Gv 14,6): egli solo; egli sempre: “Christus heri et hodie, ipse et in saecula” (13,8).
In questo anno di pontificato, “il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese” (2Cor 11,28), sono stati unicamente quelli di incontrare l’uomo, per far incontrare l’uomo con Cristo: le folle che hanno assiepato ininterrottamente le udienze del mercoledì, quelle incontrate nei miei pellegrinaggi, le visite settimanali alle parrocchie della mia diocesi di Roma, mi hanno concesso di stabilire questo contatto vivo, permettendo una catechesi costante del Magistero, le cui linee ho tracciato nel recente documento Catechesi Tradendae, che riassume i voti emersi nel Sinodo dei Vescovi. È stato un rapporto diretto con tutti: con uomini vivi, non con masse amorfe; con i bambini e i giovani; con gli uomini politici; con gli operai dei vari settori, che ho visitato anche nei loro luoghi di lavoro; con la gente dei campi e della montagna; con gli esponenti del mondo scientifico – fisici, giuristi, docenti e universitari –; con i membri di istituzioni di carattere culturale e turistico; con i marittimi; con gli aviatori e gli staffs aeronautici che mi hanno portato nel cielo dei vari Continenti; con i vari settori delle Forze Armate; ecc. È stato veramente un incontro diretto e personale con l’uomo di ogni Paese.
13. Al tempo stesso vi è stato l’incontro con la Chiesa. Essa infatti è stata istituita da Cristo per la salvezza dell’uomo, di ogni uomo, nelle situazioni concrete della vita. La Chiesa conosce oggi un momento davvero esaltante di vitalità, ed è centro di orientamento, di interesse per tutto il mondo.
È stata per me un’esperienza ricchissima quella di incontrare quest’anno gli Episcopati di larga parte dei vari continenti: e se il carisma di Pietro e dei suoi Successori è quello di “confirmare fratres” (cf. Lc 22,32), non meno grande è il conforto che io ricevo dalla fede di questi fratelli, che vengono “videre Petrum” e scambiare con lui il bacio di pace, nell’abbraccio fraterno, in un costante e rigoroso esercizio della collegialità episcopale, che tanto mi sta a cuore. E soprattutto è stato espressione di tale collegialità l’incontro con i Membri del Sacro Collegio, che tanta gioia, interesse e partecipazione ha suscitato per primi in voi, venerati Fratelli che lo componete, in considerazione della singolarità dell’avvenimento.
E una grande letizia pervade ora il mio spirito, al ricordare che un Vescovo della Chiesa di Dio, il venerato Monsignor Tchidimbo, è stato restituito quest’anno alla sua piena libertà dopo un lungo periodo di sofferenza.
Né posso dimenticare gli incontri e le concelebrazioni con i dilettissimi fratelli nel sacerdozio, che amo come la pupilla degli occhi, e ritengo veramente “il mio gaudio e la mia corona” (Fil 4,1) nella loro adesione gioiosa, totale, irrevocabile a Cristo, sommo ed eterno Sacerdote.
Ho scolpiti nel cuore gli incontri con i Religiosi di varie Congregazioni e Istituti e, tra essi, con i Religiosi laici, e mi compiaccio per la loro particolare testimonianza di amore a Cristo e alla Chiesa.
Così ricordo gli incontri con le Religiose, e ad esse ripeto tutta la fiducia e l’attesa che la Chiesa in esse ripone, nell’esercizio di una maternità spirituale di offerta e di dedizione, la cui fonte e ispiratrice è la Vergine Santissima, chiamata all’altissima dignità di Madre di Dio e della Chiesa, e provvida Regina degli Apostoli, nel silenzio vigile di Nazaret, del Calvario, del Cenacolo.
Mancherebbe il tempo di ricordare le folle dei fedeli incontrate lungo l’anno, nei viaggi apostolici come nelle udienze e nelle visite, in Roma e in Italia.
Sulla via dell’unità fra tutti i cristiani
Un cenno almeno voglio dedicare allo sforzo di intensificare i legami che uniscono la Chiesa Cattolica alle Chiese sorelle dell’Oriente cristiano, in una ricerca di intesa e di comprensione, fondata sulla carità di Cristo e nella comune esaltazione della Gloria divina. Le consegne che il Concilio Vaticano II ha dato nel campo delicato, difficile e promettente dell’ecumenismo, come uno dei suoi principali intenti per il “ristabilimento dell’unità da promuoversi fra tutti i Cristiani” (Unitatis Redintegratio, 1), rimangono fra gli impegni principali del pontificato. In questo spirito ha acquistato particolare significato l’abbraccio scambiato di recente col Patriarca di Costantinopoli, Dimitrios I, nel quale ho voluto abbracciare tutti i Pastori e fratelli delle Chiese cristiane.
Un servizio di amore e di verità
14. La funzione del Supremo Magistero nella Chiesa, in questo momento di grandi tensioni ma di più grandi speranze, è quella di offrire all’uomo un servizio di amore e di verità. Questo è stato lo spirito dei viaggi che ho compiuto; e lo sarà per quelli che, con l’aiuto di Dio, affronterò nel prossimo anno, per i quali mi sono giunti gli inviti dalle Conferenze episcopali e dalle Autorità civili di numerosi Paesi. Mentre ringrazio di tanta delicatezza, assicuro che verrò incontro a quanti potrò.
Chiedo al Signore di aver la forza e l’aiuto per continuare sulla via tracciata dai miei indimenticabili Predecessori: dall’invincibile e invitta speranza di Giovanni XXIII alla pazienza e fermezza eroica e lungimirante di Paolo VI, che brillerà sempre per quanto ha compiuto in favore della Chiesa in applicazione del Concilio Vaticano II; fino al sorriso di Giovanni Paolo I, che nel suo fulmineo passare ha lasciato un solco profondissimo, a ricordarci ancor sempre che “le vie di Dio non sono le nostre” (cf. Is 55,8).
Su questa linea continua il cammino della Chiesa, ora, per l’anno che sta per iniziare, come per l’avvenire. Cristo è con noi, non temiamo, non esitiamo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).
Affido la Chiesa a Maria
15. Tutto questo, “per Mariam”. A lei ho affidato gli inizi del mio pontificato, e a lei ho portato nel corso dell’anno l’espressione della mia pietà filiale, che ho imparato dai miei genitori. Maria è stata la stella del mio cammino, nei suoi santuari più celebri o più silenziosi: la Mentorella e Santa Maria Maggiore, Guadalupe e Jasna Gora, Knock e il Santuario nazionale dell’Immacolata a Washington, Loreto, Pompei, Efeso. A lei affido me stesso. A lei affido la Chiesa tutta, al versante ormai di un anno che finisce e all’alba del nuovo. Con Maria, prendiamo insieme la via di Betlemme.
Guardando al futuro, se non mancano i motivi di ansia, più forti e preminenti sono quelli di fiducia e di speranza. Sorretta da questa speranza, la Chiesa continua la sua opera. Rimane fedele a Cristo, al suo Vangelo, al suo invito alla conversione “perché il Regno di Dio è vicino” (Mc 1,15). Essa non si stancherà mai di intercedere davanti a Dio per l’umanità, né di interporsi e di pagare di persona per la difesa e l’ascesa dell’uomo. Dell’uomo integrale, anima e corpo. Di ogni uomo, fin dal nascituro, perché ciascun uomo è corona del creato (cf. Gen 1,27ss.), ciascun uomo è vivente gloria di Dio (cf. Ef 1,12; S. Ireneo, Adversus haereses, IV, 20,7).
La Chiesa continua ad annunciare al mondo questa straordinaria realtà: e senza stancarsi, senza perdersi d’animo, raccoglie le sue forze, avanza nel mondo, proclamando la santità, l’onore, i diritti di Dio e la grandezza dell’uomo. Essa cammina nella luce di Dio, nella gioia di Dio. Siamo tutti coinvolti in questo pellegrinare. Andiamo avanti, camminiamo e cantiamo, come ci dice Sant’Agostino: “Non per appagare la tranquillità, ma per confortare la fatica. Facciamo come son soliti cantare i viandanti: canta, ma cammina; consola col canto la fatica, non accontentarti dell’ozio; canta e cammina... Avanza nel bene, avanza nella retta fede, avanza nella vita buona; “canta et ambula”” (S. Agostino, Serm. 256, 3: PL 38,1193).
In questo camminare ci guidi sempre la stella di Natale, che porta a Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria; a Gesù, Redentore dell’uomo.
Con la mia più effusa benedizione.
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