DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AD UNA DELEGAZIONE DELL'ASSOCIAZIONE ITALIANA
«AMICI DI RAOUL FOLLEREAU»
Sabato, 29 gennaio 1983
Cari fratelli e sorelle dell’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau!
1. Sono lieto di accogliervi in questa udienza e di salutarvi con affetto, nel momento in cui vi siete radunati a Roma per celebrare la “XXX giornata mondiale dei malati di lebbra”.
La vostra presenza mi richiama alla mente l’esperienza che ho vissuto personalmente a contatto con questi nostri fratelli nei lebbrosari dell’Africa e del Brasile, durante i viaggi da me compiuti in quei continenti dell’emisfero sud. La tragedia di oltre quindici milioni di nostri fratelli afflitti dal tremendo bacillo della lebbra non può lasciarci indifferenti, anche perché esso, se preso in tempo, può essere isolato e debellato.
2. Ho preso conoscenza con interesse delle informazioni da voi offerte circa l’attività svolta in questo ultimo anno da codesta Associazione al fine di appoggiare e sostenere l’opera dei missionari nei principali Centri di cura dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, mediante l’invio di offerte, di volontari, di automezzi, di medicinali e di attrezzature sanitarie. È altresì meritevole di incoraggiamento quanto voi fate per informare l’opinione pubblica sulla esatta realtà della lebbra, liberando questa da ogni falsa concezione e dal pregiudizi, che si sono formati col passare dei secoli, e stimolando una migliore comprensione di tale fenomeno e una risposta responsabile e concreta volta a migliorare le condizioni socio-sanitarie dei malati.
3. La Chiesa, da parte sua, ha sempre considerato questa opera come un settore privilegiato della carità che, per mandato divino, è tenuta ad esercitare, essendo la guarigione dei lebbrosi uno dei segni messianici dell’instaurazione del Regno di Dio (cf. Mt 11, 5).
E di fatto, nel Vangelo, Gesù si fa amico e benefattore dei lebbrosi: li accoglie, li tocca, li guarisce, contrariamente alle prescrizioni allora vigenti, che li escludevano dalla società e li condannavano alla solitudine e alla emarginazione, proibendo perfino di parlare con loro. Riascoltiamo una breve pericope di Marco: “Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi guarirmi”. Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, guarisci”. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì” (Mc 1, 40-42).
Il Signore che fece dei lebbrosi, possiamo dire, dei protagonisti della sua misericordia, chiede all’uomo di oggi il suo sforzo per combattere non solo il bacillo di Hansen, ma anche quello ancor più contagioso dell’egoismo che fa disattendere la situazione di tanti bambini, giovani, uomini, donne e anziani colpiti dalla lebbra che ancora giacciono nell’emarginazione, nell’abbandono, nell’anonimato e nell’incuria.
A voi, ai vostri collaboratori e sostenitori, e a quanti estendono ai nostri giorni la preoccupazione del Maestro per questi malati, vada l’espressione del mio compiacimento, avvalorato dalla benedizione apostolica, che imparto a tutti di gran cuore.
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