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MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
PER I 60 ANNI DELLA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE

Domenica, 18 maggio 1986

 

Venerati fratelli e figli carissimi.

1. La solennità di Pentecoste, la quale, nel quadro delle celebrazioni liturgiche, ha il compito di ravvivare in tutti i fedeli la consapevolezza che la Chiesa deve annunciare in tutto il mondo il messaggio di Gesù, rende particolarmente attenti, quest’anno, alla ricorrenza del 60° anniversario della Giornata missionaria mondiale. Appare così particolarmente significativa la consuetudine di rivolgere a tutto il popolo di Dio - proprio nella ricorrenza della Pentecoste - un Messaggio speciale per questa “grande Giornata della cattolicità”, come fu chiamata sin dai suoi inizi. (cf. Lettera del Cardinale Van Rossum, prefetto di Propaganda Fide, ai Vescovi d’Italia.)

Oggi in cui si percepisce più che mai la visione globale dei bisogni di tutte le Chiese e di ciascuna di esse, si fa più urgente l’impegno a riscoprire la fondamentale vocazione di annuncio, di testimonianza e di servizio al Vangelo; si sente più impellente la necessità di assistere i missionari, siano essi sacerdoti, religiosi, religiose; siano giovani impegnati in una vita di consacrazione a Dio nel mondo, o laici volontari che contribuiscono alla crescita delle giovani Chiese. A tutti costoro ovunque si trovino per annunciare il mistero di Cristo, unico e vero Redentore dell’umanità, giunga il mio saluto e il mio grato apprezzamento.  

Il significato catechetico della Giornata missionaria mondiale

2. Di che cosa parlano i sessant’anni di storia della Giornata missionaria mondiale? All’origine di questa storia, troviamo la voce genuina di una piccola porzione del popolo di Dio che, con la sua adesione alla Pontificia Opera della Propagazione della fede, seppe farsi interprete della missione universale della Chiesa cattolica, perché questa, per sua propria natura, s’incammina nelle diverse culture locali, senza mai perdere la sua profonda identità, cioè, l’essere “sacramento universale di salvezza” (cf. Lumen Gentium, 48; Ad Gentes, 1). E, quando il suggerimento per l’istituzione di questa Giornata giunse alla sede di Pietro, il promotore Pio XI di felice memoria lo accolse prontamente esclamando: “Questa è un’idea che viene dal cielo”.

L’iniziativa, affidata alle Pontificie Opere Missionarie, in particolare all’Opera della propagazione della fede, ha avuto sempre di mira l’opera di rendere cosciente il popolo di Dio della necessità di imporre e di sostenere le vocazioni missionarie e del dovere di cooperare spiritualmente e materialmente alla causa missionaria della Chiesa.

In realtà bisogna rendere grazie al Signore perché tanti suoi figli, tante famiglie cristiane, educati al linguaggio evangelico dell’amore disinteressato, hanno corrisposto alle finalità della Giornata missionaria con ammirevoli esempi di “carità universale”, resa evidente da tanti sacrifici e preghiere offerti per i missionari, e spesso da una diretta condivisione delle loro fatiche apostoliche. Ciò induce a considerare che la Giornata missionaria mondiale può e deve divenire, nella vita di ciascuna Chiesa particolare, occasione per attuare i programmi di catechesi permanente a ampio respiro missionario, in modo da poter presentare a ogni battezzato, come a ogni comunità di fede cristiana, una proposta di vita “evangelizzata ed evangelizzante”.

Il problema, sempre attuale nella Chiesa, della dilatazione del regno di Dio tra i popoli non cristiani, mi si è prospettato sin dall’inaugurazione del mio ministero apostolico di pastore universale della Chiesa che coincise - direi, provvidenzialmente - in quella domenica del 22 ottobre 1978, con la celebrazione della Giornata missionaria mondiale. Per questo, come in molte occasioni ho già avuto modo di ricordare, mi sono fatto, di anno in anno, “catechista itinerante” per prendere contatto con le numerose genti che ancora non conoscono il Cristo; per condividere tanto le ricchezze spirituali delle giovani Chiese, quanto le loro necessità e sofferenze, e i loro sforzi perché la fede cristiana si radichi sempre più nelle loro culture; per incoraggiare tutti coloro che si trovano negli avamposti di questo ingente compito evangelico affinché siano sempre, con la loro vita, testimoni credibili, soprattutto per i giovani, del messaggio evangelico che annunciamo.  

L’urgenza di una nuova evangelizzazione

3. Tutti sappiamo quanto l’esperienza di una rinnovata Pentecoste, vissuta grazie al Concilio Vaticano II, abbia inciso nella storia dell’ultimo ventennio. La Chiesa, infatti, in questo straordinario evento, ha potuto prendere ancor più chiara coscienza di sé e della sua missione, impegnata in un aperto dialogo con l’intera famiglia umana per far proprie “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri, soprattutto, e di coloro che soffrono” (Gaudium et Spes, 1).

Tuttavia se, da una parte, la Chiesa ha messo in atto tutte le sue possibilità per cementare la comunione di Dio con la comunità degli uomini e la comunione degli uomini fra loro, attraverso una costante catechesi derivata dal Concilio Vaticano II, dall’altra, essa si è imbattuta nel dramma più profondo della nostra epoca, che è “la rottura tra Vangelo e cultura” come scrisse Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi (Evangelii Nuntiandi, 20).

Di qui, il dovere sempre più impellente di riportare la missione globale della Chiesa al suo atto fondamentale: “l’evangelizzazione”, cioè l’annuncio ai popoli, che fa scoprire chi è Gesù Cristo per noi.

A distanza di venti anni dal Concilio, il soffio di una nuova Pentecoste ha ancora permeato il Sinodo straordinario dei vescovi, da me promosso affinché gli orientamenti e le direttive del Concilio possano essere realizzati, con coerenza e amore, da tutti i membri del popolo di Dio.

Nel celebrare, verificare, promuovere l’evento conciliare, la Chiesa, posta di fronte al problema di individuare le necessità dell’intera famiglia umana, si proietta verso il terzo millennio assumendo, con rinnovata energia, la sua fondamentale missione di “evangelizzare”, cioè di offrire l’annuncio di fede, speranza e carità che essa stessa trae fuori della sua perenne giovinezza, nella luce di Cristo vivo, che è “via, verità e vita” per l’uomo del nostro tempo e di tutti i tempi. (cf. Ioannis Pauli PP. II Allocutio post expletam Synodum extraordinariam in festo B. Mariae Virginis Immaculatea in basilica Petriana mane habita, die 8 dec. 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II VIII, 2 [1985] 1444ss.)

Si tratta di un’evangelizzazione continua, che trova il suo punto di novità nel fatto che questo grave compito va assunto in prospettiva universale poiché i problemi e le sfide che venti anni fa si ponevano nelle Chiese di nuova fondazione, oggi hanno una risonanza mondiale. Essi spingono la Chiesa e i suoi membri a sentirsi dappertutto in stato di missione.

La corresponsabilità per le missioni, quale segno della collegialità episcopale, emersa con rilievo dal Concilio, oggi deve tradursi sempre di più in segno visibile della “sollecitudine” che ogni Vescovo deve avere per tutte le Chiese (cf. Christus Dominus, 8) e non soltanto per la propria Chiesa particolare.

La nascita di nuovi Istituti missionari nelle giovani Chiese, ponendo in rilievo che anche dalle Chiese più bisognose viene il dono di nuovi operai all’evangelizzazione, deve spingere tutte le Chiese a donare e a donarsi alla Chiesa universale, siano esse in condizioni di agiatezza o di povertà di mezzi e di forze apostoliche.

L’aumento dell’invio di sacerdoti diocesani “Fidei donum”, dei laici, dei volontari in missioni estere, nel rivelare la coscienza tipicamente missionaria di comunità ecclesiali capaci di “uscire da se stesse” per portare altrove l’annuncio di Cristo, deve richiamare le associazioni, i movimenti, i gruppi ecclesiali a irrobustire la testimonianza di fede per poter ritrovare nella missione la chiamata di Dio a fare di tutti i popoli della terra l’unico popolo di Dio.

Nella medesima prospettiva si vedono coinvolte tutte le realtà di cui è intessuta la compagine ecclesiale: la famiglia, l’infanzia, i giovani, il mondo della scuola, del lavoro, della tecnica, della scienza, della cultura, della comunicazione, dei mass-media. Si può quindi affermare che la Chiesa proiettata verso il terzo millennio è una Chiesa essenzialmente missionaria.  

Il prezioso servizio delle Pontificie Opere Missionarie

4. A questo riguardo appare prezioso il servizio svolto dalle Pontificie Opere Missionarie, istituzione della Chiesa universale e di ciascuna Chiesa particolare, perché sono “strumenti privilegiati del Collegio episcopale unito al successore di Pietro e con lui responsabile del popolo di Dio, che è interamente missionario”. (cf. Statuti PP. OO. MM, I, n. 6, 1980) Esse sono le Opere che lo Spirito del Signore, da oltre un secolo e mezzo, progressivamente ha suscitato dal seno del suo popolo per rendere visibile al mondo quel particolare impegno di carità che si fa solidale con tutta l’opera di evangelizzazione nel mondo. Di fatto, esse si rivelano “mezzo privilegiato di comunicazione delle Chiese particolari tra loro e tra ciascuna di esse e il Papa che, a nome di Cristo, presiede alla comunione universale di carità” (Statuti delle Pontificie Opere Missionarie, I, n. 5).

Nella storia della cooperazione missionaria, le Pontificie Opere Missionarie hanno costruito “ponti di solidarietà” che non potranno certamente cedere, perché radicati sulla fede della risurrezione di Cristo, alimentata dall’Eucaristia. In questa solida e ingente costruzione, il laicato cattolico è riuscito a scrivere le pagine più belle della sua vitalità missionaria. Figura emblematica rimane quella di Paolina Jaricot ispiratrice dell’opera della Propagazione della Fede. Di lei, il prossimo anno ricorderemo il 125° anniversario dal termine del suo cammino missionario; sarà lo stesso anno nel quale verrà celebrato il Sinodo generale dei vescovi, dal tema significativo per la stessa ricorrenza: “Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo”.  

Voti conclusivi

5. A vent’anni dal Concilio Vaticano II la Chiesa si sente chiamata a verificare la fedeltà alla grande consegna lasciatale da quella assise ecumenica, quando ha affermato che il dovere di dare incremento alle vocazioni “appartiene a tutte le comunità cristiane” (Optatam Totius, 2).

Al riguardo è consolante constatare una crescita del senso di responsabilità all’interno delle varie comunità. S’, molto si è fatto, ma moltissimo resta ancora da fare, perché il Concilio Vaticano II si attende da parte di tutti, e in particolare dalle famiglie cristiane e dalle comunità parrocchiali, il “massimo contributo” per l’incremento delle vocazioni (Optatam Totius, 2).

In questa occasione, desidero esprimere l’auspicio che il laicato cattolico - nel suo insieme e in fattiva comunione con le guide del popolo di Dio - trovi nel servizio delle Pontificie Opere Missionarie quei valori illuminanti che provengono da una salutare “scuola di carità universale”.

La Beata Vergine Maria, la fedele missionaria di tutti i tempi, aiuti voi tutti, venerati fratelli e figli carissimi, a comprendere questo messaggio, a corrispondervi con lucida coscienza, con chiara intelligenza e con spirito di comunione e di solidarietà.

Nel rinnovare l’espressione della mia gratitudine a coloro che nella Chiesa sono stati segnati dalla speciale vocazione per un servizio di evangelizzazione ad gentes, soprattutto a quelli che si trovano in situazioni difficili, per l’annuncio del regno di Dio imparto di cuore la mia benedizione.

 

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