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VIAGGIO APOSTOLICO IN ZIMBABWE,
BOTSWANA, LESOTHO, SWAZILAND, MOZAMBICO

ALLOCUZIONE DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL LESOTHO

Mercoledì, 14 settembre 1988

 

Miei diletti fratelli nell’episcopato.

1. È una grande gioia essere qui con voi nella vostra patria. In queste poche ore in cui sono stato nel Lesotho, ho potuto già sperimentare ed apprezzare, in maniera profonda, la fede vibrante delle Chiese locali che voi servite. Voi rappresentate le “nuove Chiese”, per lo meno in paragone con quelle di antica tradizione. Pertanto, voi portate alla Chiesa universale una nuova consapevolezza dell’immenso dono che Dio ha concesso a tutti noi facendoci conoscere e credere nel suo unico Figlio, e rendendoci capaci di partecipare della sua vita divina. “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente” (1 Gv 3, 1). E lo siamo realmente! Noi siamo figli di Dio, creati a sua immagine, dotati di una inalienabile dignità che non conosce le barriere di razza, lingua o luogo d’origine. Noi siamo tutti “uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 28).

Il nostro incontro di questa sera è una ulteriore espressione dell’unità e della comunione dei seguaci di Gesù, e più particolarmente di quello speciale legame di carità e fede che unisce i Vescovi l’un l’altro e con il successore di san Pietro. Insieme a voi e al vostro popolo fedele, lodo la provvidenza del Signore che ha reso possibile per me venire in visita pastorale nel vostro amato Paese.

2. Sono particolarmente contento di poter essere con voi mentre celebrate il 125° anniversario della Chiesa cattolica nella proclamazione della buona novella di Gesù Cristo al popolo basotho. Ed è una ottima occasione che il culmine di questa celebrazione sia la beatificazione di uno dei primi missionari, padre Joseph Gérard degli Oblati di Maria Immacolata. Ciò che lui e i suoi compagni cominciarono a fare qui in questo regno montagnoso centoventicinque anni fa fu il grande lavoro di evangelizzazione. Quest’opera è ancora oggi - e lo è per tutti i Paesi e in ogni tempo - il compito primario della Chiesa.

Come il lievito, di cui Gesù parla durante la sua predicazione, la proclamazione della buona novella della salvezza al popolo basotho ebbe un inizio veramente umile, quasi nascosto. Il seme della Parola di Dio è stato prima seminato nel terreno delle menti e dei cuori delle genti prima che una nuova vita di fede potesse sbocciare e crescere.

I primi missionari cattolici erano soltanto tre: il Vescovo Allard, il Vescovo Bernard e Padre Gérard. Ma, come il grande apostolo Paolo sa molto bene dalla sua esperienza, la potenza di Dio è la sua debolezza (cf. 2 Cor 12, 9). Questi uomini gettarono il seme della Parola di Dio, e lo Spirito di Dio lo ha fatto crescere. In breve tempo, i primi convertiti arrivarono, mossi dalla grazia di Dio, ispirati dal messaggio evangelico e dalla vita santa dei predicatori, e desiderosi di aumentare nella conoscenza e nell’amore per il “nome, l’insegnamento, la vita e le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio” (Pauli VI Evangelii Nuntiandi, 22). Partendo da queste umili origini la Chiesa in Lesotho è maturata costantemente producendo frutti. La beatificazione di padre Gérard segna una delle tappe della storia della evangelizzazione in questa terra.

Ma il grande compito dell’evangelizzazione non sarà mai completato finché saremo su questa terra. Come anche Papa Paolo VI disse riguardo la Chiesa nella sua esortazione apostolica sull’evangelizzazione del mondo contemporaneo, “essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore . . . essa ha sempre bisogno di sentir proclamare «le grandi opere di Dio» che l’hanno convertita al Signore, e d’essere nuovamente convocata e riunita a lui. Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo” (Pauli VI Evangelii Nuntinadi, 15). Questo è pertanto il nostro compito primario come Vescovi: dare impulso in ogni tempo alla missione di annunziare nella sua integrità la buona novella della salvezza in nostro Signore Gesù Cristo.

3. Ed evangelizzazione è un compito dai vari aspetti. Implica l’evangelizzazione della mente, l’evangelizzazione del cuore, l’evangelizzazione della cultura. Essa richiede l’attiva collaborazione di tutto il Popolo di Dio, con la guida vitale dei sacerdoti e religiosi e con il contributo particolare di catechisti ben preparati, e di tutti coloro che lavorano in unità con il Vescovo locale.

Ciò di cui c’è particolarmente bisogno se vogliamo che i nostri sforzi diano frutti è che essi devono essere radicati nell’amore di Cristo. Se noi realmente lo amiamo saremo desiderosi che altri possano conoscerlo ed amarlo. O per dirla con altre parole, i nostri sforzi di annunciare Cristo e il Vangelo sono la misura del nostro amore per lui.

Questo è il segreto del successo di padre Joseph Gérard: era un uomo pieno d’amore per Gesù. La sua attività missionaria durata più di sessant’anni è testimonianza della profondità e del fervore di questo amore. È una mia speranza che la beatificazione di questo fratello sacerdote possa incoraggiare tutti coloro impegnati nella predicazione e nell’insegnamento della Parola di Dio, specialmente qui nel Lesotho.

4. Miei fratelli nel Signore, prego affinché questo avvenimento nella vita della vostra Chiesa locale possa portare come frutto nuove vocazioni alla vita religiosa e sacerdotale. Non c’è modo migliore di assicurare la continuità dell’evangelizzazione del vostro popolo e della vostra cultura perché, mentre ognuno ha una parte nel trasmettere la buona novella di Gesù Cristo, i religiosi e i sacerdoti hanno un ruolo particolarmente vitale.

Sono consapevole che voi avete già sperimentato un sempre crescente aumento delle vocazioni religiose e sacerdotali. Che il Signore possa continuare a benedirvi abbondantemente a questo riguardo, e io vi sollecito a ritenere come grossa priorità l’incoraggiamento delle vocazioni. Da parte vostra, naturalmente c’è un grande interesse e un impegno attivo nella formazione di questi collaboratori del Vangelo. Sono fiducioso che voi continuerete a fare visite regolari ai seminari e alle case di formazione, oltre ad una supervisione dei loro interi programmi di studio, aspetto molto importante del vostro ministero episcopale.

Poiché i sacerdoti sono i nostri più stretti collaboratori nella Chiesa, oltre ad essere fratelli e figli in Cristo, è giusto che un rapporto di reciproco rispetto e di aiuto fraterno possa cominciare quando dei giovani si stanno preparando per la santa ordinazione. Allo stesso tempo, gli anni della formazione in seminario, forniscono un’eccellente occasione perché voi, in quanto Vescovi, possiate inculcare in questi futuri sacerdoti entusiasmo per l’evangelizzazione e per la cura pastorale di tutto il Popolo di Dio, particolarmente gli ammalati e i poveri.

5. Mentre mi soffermo sulla necessità di una particolare preoccupazione per i sacerdoti e religiosi, non posso lasciarmi sfuggire la cura pastorale alla quale siamo chiamati dal nostro Salvatore che dobbiamo dare ai laici, uomini e donne, della Chiesa.

L’ultimo Sinodo dei Vescovi che si è tenuto a Roma, ci ha reso tutti più consapevoli del ruolo dei laici nella vita e nella missione della Chiesa. Il Sinodo ha dato particolare rilievo alla necessità di una solida educazione religiosa che deve continuare durante la vita di una persona e non solo nel tempo della giovinezza, educazione che deve essere fornita attraverso le omelie della domenica, purché ben fatte, ma che richiede anche altre iniziative che aiutino i nostri fratelli e sorelle nel farsi carico della costruzione del regno di Dio attraverso le attività quotidiane della vita e del lavoro.

Le necessità sono molte, e molto deve essere fatto per poter dare una risposta adeguata alle sfide alle quali dobbiamo far fronte. Per esempio, so che il problema dei lavoratori emigranti è una particolare preoccupazione per la Chiesa in Lesotho. So che avete fatto grandi sforzi per raggiungerli insieme ai loro cari, per assicurarli dell’interesse e dell’amore della Chiesa, per offrire loro solidarietà e aiuto in Cristo. Facendo questo avete seguito l’esempio di san Paolo, che una volta descrive la sua attività pastorale con queste parole: “Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari” (1 Ts 2, 8).

Sì, i bisogni temporali della gente fanno parte delle preoccupazioni della Chiesa. Qualsiasi cosa colpisce la nostra vita quotidiana colpisce anche la nostra relazione con Dio ed influenza la nostra prontezza e capacità nel collaborare con grazia e misericordia. Perciò dice la Chiesa che “il progresso terreno . . . nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, . . . è di grande importanza per il regno di Dio” (Gaudium et Spes, 39). Il vostro comportamento per promuovere la giustizia e il vero sviluppo sono indubbiamente un’autentica risposta alle richieste del Vangelo.

6. Desidero anche incoraggiarvi nei vostri sforzi per rafforzare ed arricchire il matrimonio e la famiglia. Ci ricorda il Concilio Vaticano II, che la famiglia è la “Chiesa domestica” e “l’inizio e il fondamento di una società” (cf. Apostolicam Actuositatem, 11). Perciò la vitalità e la stabilità delle nostre famiglie sono la misura della vitalità e stabilità della società, e uno dei fattori più importanti della vita quotidiana della Chiesa. Qualsiasi cosa nuoccia alla famiglia nella società, allo stesso tempo nuoce alla Chiesa. Qualsiasi cosa in una cultura arricchisce la famiglia, arricchisce anche la Chiesa. È per questo che un amore profondo per la Chiesa ci è necessario in quanto pastori del Popolo di Dio per esercitare una particolare cura alla famiglia.

Al centro della famiglia c’è la comunione duratura tra marito e moglie, una comunione di vita e amore che inizia con il libero e cosciente consenso dell’uomo e della donna. Gesù ricorda ai suoi discepoli, che il patto matrimoniale comporta che il marito e la moglie “non sono più due, ma una carne sola” (Mt 19, 6). Essi sono uniti da una promessa fatta liberamente di aiuto reciproco. Essi sono chiamati ad approfondire ogni giorno della loro vita questa indissolubile comunione di amore. Rappresenta la loro gioia e la loro responsabilità condividere con ogni altro ciò che essi hanno e ciò che essi sono, tutte le loro speranze, le loro preoccupazioni e le loro gioie.

Noi pastori della Chiesa possiamo servire le coppie sposate assicurando che l’insegnamento della Chiesa sulla natura del matrimonio sia compreso chiaramente, e aiutandole ad essere fedeli ad esso per mezzo della Parola di Dio e con la pratica sacramentale. È anche nostro compito proteggere la famiglia da quelle pratiche o da luoghi comuni che sono nocivi per la fedeltà coniugale e per la dignità dell’uomo e della donna.

7. Cari fratelli in Cristo, il nostro ministero episcopale è veramente una enorme responsabilità, che il Signore ci ha dato non perché siamo meritevoli ma per la sua provvidenza e misericordia. Se cerchiamo di essere fedeli a lui nel servizio della Chiesa che amiamo, noi potremo comprendere in modo più profondo la saggezza delle parole di Maria nel Magnificat:

“Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente
e santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono” (Lc 1, 49-50).

Sì, “grandi cose ha fatto l’Onnipotente”. La sua provvidenza ha portato nel Lesotho padre Gérard e i suoi compagni. La stessa provvidenza ha reso fruttuosa la vostra attività pastorale come Vescovi e l’intera opera di evangelizzazione.

In questa mia visita pastorale nel Lesotho, sono lieto di potervi offrire tutto il mio fraterno incoraggiamento e il sostegno nella preghiera. E sono pronto a riunirmi con voi per lodare la benevolenza di Dio:

“Santo è il suo nome, di generazione in generazione la sua misericordia si stende”.



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