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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
NEL XXV ANNIVERSARIO DI FONDAZIONE DELLA SCUOLA
PER INFERMIERI PROFESSIONALI «ARMIDA BARELLI»

Sabato, 27 maggio 1989

 

Cari fratelli e sorelle.

1. Sono lieto di porgere il mio cordiale benvenuto a voi che festeggiate oggi il venticinquesimo anno di attività della “Scuola per Infermieri Professionali Armida Barelli”.

Volentieri ho accolto il vostro desiderio di questo incontro per celebrare con voi l’anniversario di questa scuola che ricorda la figura di Armida Barelli, eminente collaboratrice di padre Gemelli nella realizzazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e per confortarvi nella pratica realizzazione del suo ideale di servizio all’uomo.

“Come alle origini, così nello sviluppo successivo la Chiesa ha sempre conosciuto, anche se in differenti modi e con accentuazioni diverse, donne che hanno esercitato un ruolo talvolta decisivo e svolto compiti di valore considerevole per la Chiesa stessa.

È una storia di immensa operosità, il più delle volte umile e nascosta ma non per questo meno decisiva per la crescita e la santità della Chiesa” (Christifideles Laici, 49).

È alla luce di questa tradizione che vogliamo ricordare la figura di Armida Barelli e il suo impegno perché l’Università Cattolica nascesse, vivesse, prosperasse e, dopo la guerra, potesse risorgere dalle rovine. La ricordiamo pure per la sua attività nell’Azione Cattolica femminile, che la vide per moltissimi anni alla presidenza; per il suo contributo nello sviluppo di un laicato, consapevole di essere “chiamato da Dio a contribuire, quasi dall’interno, a modo di fermento, alla santificazione del mondo” (Lumen Gentium, 31).

Armida Barelli fece questo cercando di favorire in molteplici modi lo specifico apporto della donna alla vita della società ed a quella della Chiesa.

Questa zelante donna trasse la forza per sostenere la sua incessante attività dalla fede nel Cristo, dalla fiducia illimitata nel Sacro Cuore, che amò profondamente. Sul finire della sua vita, quando la malattia le tolse la voce, vergò queste righe: “Nel forzato silenzio, prego di più, penso di più, scrivo di più e mi preparo meglio all’incontro che non può tardare con Colui Quem vidi, Quem amavi, in Quem credidi, Quem dilexi”.

Più tardi, rispondendo alle esortazioni di padre Gemelli e dei membri del consiglio di amministrazione dell’Università Cattolica, che volevano si pregasse il Sacro Cuore perché riacquistasse la capacità di parlare, ella asseriva di preferire il miracolo dell’istituzione della facoltà di medicina e di rinunziare volentieri alla voce per ottenere tale grazia.

Di questa spiritualità la vostra scuola continui ad esserne erede. Di essa voi, che in questa scuola avete studiato e studiate, siate fedeli testimoni nel lavoro quotidiano.

2. Voi operando nel campo della sanità avvicinate la persona sofferente, la quale desta compassione, desta anche rispetto. In un certo senso desta timore, perché è contenuta in essa la grandezza di un mistero che trascende l’uomo.

La parabola del buon samaritano ci indica quale debba essere il rapporto di ciascuno di noi verso il prossimo sofferente. Quanto è “da Buon Samaritano” la professione del medico, o dell’infermiere. È in ragione del contenuto “evangelico”, incluso in essa che siamo inclini a pensare qui piuttosto ad una vocazione, che non semplicemente ad una professione (Salvifici Doloris, 28).

Certamente l’infermiere nella sua professione necessita di una preparazione tecnica e di acquisizioni scientifiche, ma nel contatto con l’ammalato non può non avere un’acuta sensibilità per i suoi problemi di ordine umano né può sottrarsi al compito di recare il proprio contributo alla loro soluzione.

L’“uomo tecnologico”, che pone la sua fiducia nella scienza e nella tecnica per ottenere il massimo vantaggio e benessere, si trova deluso ed amareggiato di fronte alla sconfitta della malattia e della morte. L’uomo tecnologico diventa perciò “l’uomo solo”, perché affranto, minacciato, sconfitto.

3. Pertanto l’esercizio della vostra professione chiede a voi, infermieri cristiani, di essere anche testimoni della vostra fede, con un impegno generoso a sostegno della vita umana, poiché occorre riconoscere l’avanzare, nella legge e nel costume, di una cultura di morte la quale, dopo la legalizzazione dell’aborto, che pesantemente colpisce l’inizio della vita, si spinge ora a minacciarne anche il tramonto.

Questo vostro confluire da ogni parte d’Italia per celebrare la festa della vostra scuola induce a sperare in una fedeltà coraggiosa ai principi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e, in particolare, della facoltà di medicina e chirurgia. Padre Gemelli la volle per la formazione di medici ed infermieri cristiani capaci di instaurare non solo un vincolo terapeutico col sofferente, ma anche un clima di solidarietà cristiana, e di conseguente fiducia, pure necessaria per l’efficacia degli interventi terapeutici.

Nella fatica dei turni, nella tensione derivante dal contatto quotidiano con la sofferenza, vi sostenga sempre la convinzione che ogni sofferenza umana ha uno speciale rapporto con la stessa sofferenza redentrice di Cristo. Il divin Maestro ha detto infatti: “L’avete fatto a me”. È lui che in ognuno sperimenta l’amore, è lui che riceve aiuto in ogni sofferente a cui si volge la vostra attività di soccorso e di sollievo, poiché la sua sofferenza salvifica è stata aperta una volta per sempre ad ogni sofferenza umana.

4. Desidero ora rivolgere un saluto alle suore di Maria Bambina, che con tanta passione e sacrificio si sono dedicate alla scuola Armida Barelli in questi venticinque anni. Care sorelle, mi è cosa grata dirvi il mio apprezzamento per quanto avete fatto e andate facendo in questo campo. Vi sostengo con la preghiera e con l’esortazione a perseverare nella consueta e feconda attività volta a formare persone mature sia professionalmente che spiritualmente. In tal modo il sollievo offerto con le cure mediche si accompagnerà alla serenità proveniente dalla fede, con indubbio vantaggio per lo stesso processo terapeutico.

Raccomando infine la vostra scuola all’intercessione di Maria, consolatrice degli afflitti e salute degli infermi, affinché sia per voi maestra sapiente e madre benigna. A lei affido di cuore voi e le vostre famiglie, alle quali mediante voi, intendo far giungere l’espressione del mio affettuoso saluto.

A tutti concedo di vero cuore la confortatrice benedizione apostolica.

 

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