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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA GERMANIA
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Sabato, 19 dicembre 1992

 

Cari fratelli nell’episcopato!

1. Con grande gioia saluto voi pastori e vescovi ausiliari dell’area sud-occidentale e della diocesi di Fulda e Limburgo. Il mio pensiero va a tutte le diocesi per le quali il Signore ha ordinato che divenissero “veri e autentici maestri della fede” (Christus Dominus, 2).

Attraverso di voi saluto anche i vostri sacerdoti, i religiosi e i laici che contribuiscono nella vostra amata terra con dedizione e non senza sacrificio alla costruzione del regno di Dio. Voi avete portato a Roma, alla Sede del successore di Pietro, le vostre preoccupazioni e i vostri timori, i vostri desideri e le vostre speranze, per confermare tutti nella fede e dare con ciò nuova forza all’ardore di evangelizzazione, di cui siete colmi, attraverso l’esempio e l’intercessione degli apostoli Pietro e Paolo. Gli incontri personali con ciascuno di voi, che ora culminano in questo incontro collettivo, hanno contribuito a rafforzare i vincoli di unione e di fratellanza con il vescovo di Roma, che “presiede nell’amore” questa riunione.

2. Ringrazio l’arcivescovo di Friburgo per le affettuose parole di saluto e di presentazione del vostro gruppo. Desidero anche esprimere la mia gratitudine per la vostra sollecitudine per conseguire e rafforzare l’unità e la comunione in seno alla Chiesa e nella vostra Conferenza episcopale. Conoscete personalmente l’importanza della testimonianza di unità e aiuto reciproco nello spirito di amore fraterno e di solidarietà apostolica, secondo le parole del Concilio Vaticano II: “Specialmente ai nostri tempi, i vescovi spesso difficilmente sono in grado di svolgere in modo adeguato e con frutto il loro mandato, senza una cooperazione sempre più stretta e concorde con gli altri vescovi” (Christus Dominus, 37).

Unità e collaborazione sono sempre la chiave di volta dell’opera della cura delle anime. Dobbiamo seguire sempre di più questi principi ecclesiologici secondo l’esortazione della Lettera agli Efesini, “per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo” (Ef 4, 12). Dal momento che voi richiedete inoltre, come in passato, il consenso collegiale, che caratterizza i rapporti nella vostra Conferenza e con i vostri fratelli nell’episcopato in tutto il mondo, sarete in grado anche in futuro di adempiere ai nuovi compiti che si presenteranno. La preghiera del Signore “perché tutti siano una cosa sola” (Gv 17, 21) deve essere resa viva attraverso il vostro esempio nei vostri sacerdoti, negli ordini religiosi, nelle parrocchie e nelle famiglie. Se sarete una cosa sola, potrete risvegliare la vostra speranza vitale e il vostro dinamismo e non dovrete abbandonarvi all’autocommiserazione, che oggi purtroppo caratterizza una parte del la Chiesa in Germania.

3. Come maestri della fede avete spesso trattato temi che sono attuali nella vita della vostra società. Le indicazioni che voi, per esempio, avete dato per la difesa della vita meritano un alto riconoscimento. È impossibile menzionare tutte le iniziative proposte, che esistono e che hanno trovato sostegno nella guida intrapresa dal presidente della vostra Conferenza. In particolar modo, mi riferisco alle numerose iniziative per la vita, con le quali i cattolici, i cristiani appartenenti ad altre confessioni e gli uomini di buona volontà, che non si riconoscono in nessuna comunità religiosa, hanno manifestato la loro convinzione che il valore della vita umana è inviolabile dal momento del concepimento al momento della morte naturale. Questo è stato reso possibile anche dalla consapevolezza che la ragione del valore della vita umana risiede nella sua stessa essenza e nella sua naturale dignità e qui non viene perseguita nessuna speciale istanza ecclesiastica, ma un’esigenza dell’umanità e dei diritti dell’uomo.

Fondamentalmente non si può disporre della vita umana; e poiché il nascituro è un uomo dal momento del concepimento, e non solo più tardi, non si può stabilire un termine fisso per disporre della sua vita. I termini temporali mettono in discussione il fatto che il diritto deve promuovere la difesa della vita.

La vostra Costituzione inizia con il riconoscimento fondamentale e con la dichiarazione: “La dignità dell’uomo è inviolabile”. Tuttavia esistono situazioni in cui questo riconoscimento non sembra più essere evidente. Non dovete farvi scoraggiare negli accesi dibattiti per la difesa della vita e dovete essere consapevoli del fatto che in questa questione non esistono argomenti moderni o antichi, ma soltanto considerazioni giuste o sbagliate. Il criterio di tali considerazioni deve essere sempre il diritto alla vita dell’uomo, anche di quello non ancora visibile, piccolo e senza possibilità di esprimersi. Il diritto alla vita nella sua totalità e nella sua ricchezza donata da Dio, non può mai essere negato ai più deboli perché un altro possa godere di questo diritto. L’affermazione escatologica di Gesù Cristo, che è venuto, “perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10), vale senza dubbio per ogni forma di vita.

Con profonda soddisfazione ho appreso dei vostri sforzi, per assistere nelle sofferenze le donne, anche se esse forse hanno preso una decisione contro la vita allo stadio iniziale. La Chiesa agisce a favore delle donne, quando tenta di impedire le interruzioni di gravidanza. E la Chiesa si schiera a favore delle donne quando si impegna a creare nella società condizioni favorevoli ai bambini.

4. A questo punto vorrei affrontare un’altra sfida, che si presenterà nei prossimi anni a noi cristiani in Europa, e che tocca profondamente la dignità dell’uomo. Noi sperimentiamo che un numero sempre maggiore di persone non sanno affrontare la morte, la loro vita è impostata in modo tale da allontanarla. Le nostre società moderne e secolarizzate corrono il rischio di eliminare, come norma, il soffrire, il deperire o il morire della vita personale. Poiché nella vita nulla è più sicuro della morte (cf. Sir 8; 14, 12; Rm 5, 12) osserviamo, come conseguenza di questo processo di allontanamento, molta impreparazione e molta confusione riguardo alla morte. Lo spinoso argomento dell’eutanasia acquista in questo contesto, un significato completamente nuovo. In Europa, sembra che ci siano sempre più sostenitori dell’idea che possa essere permesso di porre fine consapevolmente alla propria vita o alla vita di un altro essere umano. Il concetto dell’eutanasia ha perso da tempo, per molte persone, quella connotazione di orrore, che gli atroci avvenimenti del più oscuro e triste capitolo della storia del vostro Paese gli avevano conferito. La gravità del suicidio e dell’omicidio viene oggi nuovamente attenuata attraverso nomi come morte libera ed eutanasia.

Pochi cattolici nel vostro Paese hanno riconosciuto che qui per i cristiani esiste l’importante e prezioso compito, cioè un sostegno nella morte, che garantisca all’uomo la propria dignità anche nell’ultima fase della vita. Una vita senza Dio e di conseguenza senza riferimento all’eternità deve capitolare di fronte alla morte. D’altra parte, come cristiani sappiamo che la morte ha un senso e non è nemmeno la fine, poiché “riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora eterna non costruita da mani d’uomo, nei cieli” (2 Cor 5, 2; cf. 1 Cor 15, 21; Fil 1, 20).

Il mio ringraziamento e il nostro incoraggiamento vale per tutti i cristiani, che ravvivano l’antico e tuttavia sempre attuale impegno per i centri di assistenza. Più importante della costruzione e dell’acquisizione di un nuovo ospedale, da parte di un ente cattolico, in cui bravi medici possano operare con le più moderne attrezzature, e più importante del rinnovamento di un centro congressi, sarà in futuro la promozione delle istituzioni, che promuovano l’assistenza dei cattolici ai morenti. Qui si esige che i cristiani siano portatori di speranza. Ciò sarà per noi, in quanto Chiesa, una prova ulteriore, poiché si tratta dell’inviolabilità della dignità umana. Qui, più che in altri ambiti, possiamo illustrare ciò che è veramente importante: imparare la vita per la morte e imparare la morte per la vita. Se vi riuscirà di istituire in Germania tempestivamente altri centri di assistenza come isole di umanità, impedirete che si facciano valere coloro che affermano soltanto di aiutare i morenti, ma che in verità capitolano di fronte a questa sfida, poiché facendo ricorso a pillole della morte scambiano l’aiuto nella morte con l’aiuto a morire. L’uomo che sta per morire non vuole farmaci, per essere poi lasciato solo, ma desidera speranza autentica, vicinanza umana e una mano tesa. Incoraggiate i vostri fedeli ad adempiere a questo compito veramente cristiano, poiché la dignità dell’uomo è inviolabile.

5. Sintomo allarmante sarebbe il fatto che in una società andasse perduta la sensibilità per cui l’appello alla coscienza non deve essere una licenza per l’uccisione di un altro uomo, sia che si tratti di un uomo che cresce nel grembo materno, sia di un uomo anziano o gravemente malato, la cui esistenza limita quella del prossimo, orientata alla soddisfazione dei propri interessi. Soltanto un popolo di egoisti potrebbe ignorare che la coscienza, degna di questo nome, esorta sempre a impedire l’uccisione.

L’appello alla coscienza avviene oggi spesso senza un minimo di riflessione sulla sua funzione. Il Concilio Vaticano II sottolinea: “Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine del peccato” (Gaudium et spes, 16). Il tema della dignità della coscienza non deve essere usato contro il significato della verità morale, come se non avessero attinenza l’uno con l’altro. Ciò non sarebbe altro che un’interpretazione farisaica della libertà di coscienza. Quando la coscienza non si orienta più verso valori universalmente validi e al trascendente, risulta difficile risvegliare in essa il senso del peccato e della colpa (cf. 1 Gv 1, 8) (Reconciliatio et paenitentia, 18).

La mancanza di consapevolezza dei peccati va di pari passo con il diminuire della pratica sacramentale della penitenza. Il rinnovamento e la conversione nell’aspetto sacramentale della confessione individuale devono rimanere un tema centrale della pastorale (cf. Reconciliatio et paenitentia, 31). Per questa ragione vi prego fortemente di aiutare i vostri sacerdoti ad attribuire sempre più importanza e valore al loro sevizio di confessori. Allo stesso tempo vi ringrazio per tutto ciò che fate per illustrare il significato e l’importanza della disciplina ecclesiastica in un ambiente strettamente collegato all’opera della riconciliazione. Cercate di convincere i vostri fedeli dei grandi benefici che derivano dalla confessione individuale. La confessione è di più ed è meglio di qualsiasi incoraggiamento umano, di qualsiasi tecnica psicologica o di qualsiasi soluzione dialettica o sociologica.

6. L’aumento di mobilità degli uomini nella società moderna richiede anche alla Chiesa nuove possibili forme o modelli di organizzazione. Il compito di una pastorale speciale viene messo sempre più in primo piano. I fedeli cercano e trovano la loro casa in piccoli gruppi ristretti, in cui possono parlare con altri della loro fede e della loro vita.

Ciononostante non si può rinunciare alla comunità parrocchiale territoriale. In essa ci si occupa della diffusione della fede a diversi livelli. Essa è, in quanto esempio visibile dell’apostolato comunitario, la cellula dell’intera diocesi che contemporaneamente fonde “insieme tutte le differenze umane che vi si trovano nell’universalità della Chiesa” (Apostolicam actuositatem, 10). Fate attenzione affinché la comunità parrocchiale resti viva e affinché abbia un interlocutore stabile per i fedeli. Nonostante i problemi che nascono dalla mancanza di sacerdoti, le strutture organiche non dovrebbero essere smembrate e le strutture più piccole non dovrebbero essere inaridite spiritualmente attraverso una centralizzazione.

Visti i tanti spunti positivi che i nuovi movimenti e le nuove comunità introducono nella vita ecclesiale, vi prego di fare attenzione affinché questi spunti si ritrovino nella celebrazione domenicale dell’Eucaristia con il popolo di Dio (cf. Sacrosanctum Concilium, 42). La messa domenicale in quanto festa del popolo di Dio è fondamentale per la Chiesa e deve riunire i diversi gruppi che formano il popolo di Dio. Inoltre, vista la crescente carenza di personale sarebbe incomprensibile che gruppi o raggruppamenti di qualsiasi genere chiedessero una particolare celebrazione domenicale dell’Eucaristia.

7. In vista di questa situazione, ai laici e alla loro corresponsabilità nella comunità parrocchiale e nella vita ecclesiale viene attribuita una maggiore importanza. Il Concilio Vaticano II ha descritto la partecipazione dei laici alla missione della Chiesa: “Ma i laici, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo nella missione di tutto il popolo di Dio assolvono compiti propri nella Chiesa e nel mondo” (Apostolicam actuositatem, 2). Incoraggiate quindi i fedeli a farsi guidare nelle loro opere da questa consapevolezza. Non c’è motivo di scoraggiarsi e di scusarsi costantemente con coloro che seguono un’altra fede e con i non credenti cercando un’autogiustificazione. L’apostolato dei laici deve essere caratterizzato dall’autoconsapevolezza dal momento che il Concilio dice a loro riguardo: “In realtà esercitano l’apostolato con la loro azione per l’evangelizzazione e la santificazione degli uomini, e animando e perfezionando con lo spirito evangelico l’ordine delle realtà temporali, in modo che la loro attività in questo ordine costituisca una chiara testimonianza a Cristo e serva alla salvezza degli uomini” (Apostolicam actuositatem, 2).

Nella comunità della Chiesa ogni credente deve occupare il suo posto e deve vedere la sua missione nel proprio ambito di evangelizzazione. A ogni cristiano sono stati donati dei carismi (cf. 1 Cor 12, 11); noi dobbiamo solo riconoscerli e accettarli con gratitudine; però i carismi devono sempre ricollegarsi alla gerarchia.

8. Nei vostri servizi per trasmettere agli uomini i contenuti della fede, è necessario rivolgere una particolare attenzione ai mezzi di comunicazione sociale. Essi permettono che il messaggio di Cristo raggiunga contemporaneamente milioni di persone.

L’uso appropriato di questi mezzi rappresenta per la Chiesa un impegno costante, poiché attraverso di essi il messaggio del Vangelo può raggiungere tutti gli uomini, “ma con la capacità di penetrare nella coscienza come se questi fosse l’unico con tutto ciò che egli ha di più singolare e personale, e di ottenere a proprio favore un’adesione, un impegno del tutto personale” (Evangelii nuntiandi, 45).

Come ho già osservato nell’enciclica Redemptoris missio (n. 37), “i mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari e sociali”. È necessario che gli operatori della pastorale imparino a conoscere i mezzi di comunicazione sociale e quindi li utilizzino cosicché i valori cristiani e il messaggio cristiano non vengano messi in risalto soltanto durante le fasce orarie riservate ai temi religiosi, ma anche nelle trasmissioni dedicate all’informazione, alla scienza e all’arte così come all’intrattenimento. I responsabili dei mass media devono fare attenzione a evitare ogni forma di manipolazione della verità e dei valori etici; troppi interessi personali o discutibili forme d’espressione culturale o artistica cambiano la scala di questi valori e feriscono i più intimi sentimenti della persona. I cittadini invece hanno il diritto di vedere rispettati dai mezzi di comunicazione le loro convinzioni morali e religiose poiché questi mezzi sono al servizio del bene comune. Il ruolo sempre più importante svolto dai mezzi di comunicazione sociale nella vita quotidiana estende la sua influenza anche alla mentalità e alle strutture della comunità così come alle Chiese e alle comunità religiose. L’Istruzione pastorale del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali Aetatis novae si dedica in maniera approfondita a questo tema: dobbiamo occuparci attivamente dei mezzi di comunicazione nel mondo e appoggiare coloro che lavorano nell’ambito dei mass media.

9. Vorrei rivolgere un particolare ringraziamento ai vostri fedeli: già da decenni essi sostengono in modo esemplare le attività relative alla missione, all’aiuto allo sviluppo e ai bisognosi del vostro Paese così come nei vicini Paesi dell’Est e del Sud-Est. I vostri cattolici hanno trasmesso a molti aiuto e fiducia nella vita. Perseguitati, emigrati e poveri provenienti da tutto il mondo sono stati da voi accolti. I cattolici tedeschi hanno dato una dimostrazione esemplare di solidarietà e anche in futuro saranno disposti ad amare concretamente il prossimo e a occuparsi dei loro fratelli e delle loro sorelle nella fede in difficoltà. Oltre all’eccellente lavoro svolto dalla Caritas tedesca vorrei menzionare soprattutto le opere di assistenza “Missio” ad Aquisgrana e a Monaco così come – oltre le molte iniziative singole – “Misereor” e “Adveniat”, la cui opera anche in futuro avrà bisogno della vostra attenzione e della vostra guida.

Ogni opera d’assistenza ha la sua propria sfera operativa all’interno della quale non si viene invitati soltanto a fare beneficenza, ma si agisce nella Chiesa e nell’intera società per formare le coscienze. Nonostante la loro divisione formale le tre opere presentano numerosi punti in comune nel contenuto e nell’organizzazione poiché l’opera pastorale e quella socio-economica si possono o si devono integrare nella lotta contro la povertà spirituale e materiale. Nonostante i necessari aiuti socio-economici offerti ai Paesi poveri, non si può rinunciare all’impegno missionario della Chiesa. In entrambi gli ambiti i credenti sono invitati a testimoniare: il lavoro volto allo sviluppo è una testimonianza, così come lo è, nell’opera volta allo sviluppo, la solidarietà della Chiesa. Affido alla particolare cura della Caritas, ma anche alla vostra generale cura pastorale, il grande numero di persone dedite agli stupefacenti e all’alcol, che, come in molti Paesi europei, negli ultimi anni è andato aumentando. Soprattutto i giovani sono sempre più esposti a questi pericoli. Impegnatevi a rafforzare il lavoro con i giovani, per farli sentire a casa nel gruppo e per offrire loro un’“occupazione” nel tempo libero; la sensazione di vuoto interiore e la mancanza di significato non possono essere lasciati allo stordimento artificiale, ma richiedono un lavoro sociale e giovanile che formi la persona, le offra dei contenuti e la reinserisca nella realtà, così come una sollecitudine e un impegno pastorale nei confronti di coloro che si sentono emarginati e incompresi.

10. Saluto con gratitudine anche il concreto programma della Conferenza episcopale tedesca per un’azione di solidarietà a favore degli uomini e delle Chiesa dell’Europa Centrale e dell’Est. Questa iniziativa assume la sua forma nella coordinazione e nella cooperazione con le Istituzioni già esistenti nel vostro Paese e in Europa. Le persone delle Nazioni liberate dal comunismo hanno bisogni di aiuti finanziari, ma hanno un bisogno anche maggiore di incontrarsi e di scambiarsi le esperienze vissute nei quattro decenni di divisione forzata del continente.

Voi considerate quest’opera come una concretizzazione della necessaria rievangelizzazione dell’Europa. Infatti la rievangelizzazione che secondo la lettera apostolica Evangelii nuntiandi si riferisce alla trasformazione in Gesù Cristo, è rivolta a tutto l’uomo, in tutti i suoi aspetti sociali, culturali e intellettuali. Essa riguarderà anche le strutture. È per questa ragione che una tale opera può aiutare la Chiesa e i cristiani in maniera determinante a trovare io loro ruolo nella nuova Europa che si sta delineando.

Sono consapevole del fatto che la Germania può realizzare l’unificazione interna solo gradualmente. Per questa ragione accolgo con grande favore la vostra iniziativa, volta ad affrontare l’importante sfida del processo di unificazione europea insieme ai cattolici di tutti i Paesi d’Europa. Sono certo che, come avete fatto fino a ora, non perderete di vista gli impegni del processo di unificazione ancora più ampio sulla via verso un unico mondo. Lasciare un segno affinché i diversi organismi per l’unificazione del mondo attuale non vengano mai messi l’uno contro l’altro, poiché la solidarietà umana è indivisibile, non sarà certo il compito minore di una tale opera di solidarietà dei cattolici. Tutto ciò rappresenta una sfida che noi naturalmente dobbiamo affrontare insieme a tutte le Chiese e a tutte le comunità cristiane e insieme a tutti gli uomini di buona volontà.

11. Negli ultimi anni vi siete occupati in maniera esemplare dei rifugiati e della protezione dei perseguitati politici. Viste le spaventose aggressioni nei confronti dei profughi e degli stranieri ultimamente si è molto discusso sul diritto di asilo. Nonostante la denuncia di una crescente xenofobia in Germania, bisogna osservare che la gentilezza nei confronti degli stranieri e la disponibilità ad aiutarsi è oggi come ieri grande tra la gente del vostro Paese. Ai molti che in maniera esemplare hanno offerto il loro aiuto agli stranieri rivolgo il mio sentito ringraziamento.

In questi giorni e in queste settimane voi, cari confratelli, state vivendo un momento particolarmente forte. Si tratta della tensione tra l’atteggiamento fondamentale cristiano e le attuali sfide politiche. Da un lato vi viene chiesto di continuare a far presente che l’amore per il prossimo è e rimane vincolante, dall’altro però le vostre parole non possono trascurare la necessità di una rapida soluzione del problema dei profughi. Anche voi insieme al Consiglio della Chiesa Evangelica in Germania lo avete constatato.

La Germania in questi anni ha accolto più stranieri di qualsiasi altro Paese europeo. Gli aiuti concessi ai poveri e agli oppressi sono esemplari. Tuttavia la Chiesa deve essere consapevole del fatto che un numero sempre maggiore di persone ritiene che l’afflusso ai profughi esiga troppo da loro e che di conseguenza la disponibilità ad aiutare potrebbe trasformarsi in un rifiuto. Rendete consapevoli i vostri fedeli del fatto che l’emarginazione e il rifiuto, interiori ed esteriori, non possono rappresentare una soluzione e che invece portano all’incertezza e possono addirittura trasformarsi in aggressioni e proteste. L’inalienabile dignità dell’uomo, di ogni singola persona, deve essere garantita con la collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà, che hanno delle responsabilità nell’ambito politico e sociale, fra ciò che è eticamente proposto e ciò che è realizzabile.

Tutto ciò esige da voi molto coraggio e impegno. Esiste il pericolo che la norma della nostra fede cristiana di accogliere gli stranieri (cf. Mt 25, 35) e di concedere ospitalità (cf. Rm 12, 13) non possa più essere osservata, di fronte a un’ipotesi eccessivamente estesa di asilo, La Chiesa deve piuttosto esigere in ogni parte del mondo la giustizia e la pace, presupposti che aiutano a risolvere il problema dell’asilo. Tra l’altro sarebbe resa giustizia ancora più grande alla dignità dell’uomo se voi e il vostro Paese continuaste come avete fatto finora a mettere a disposizione generosamente aiuti ai Paesi in difficoltà (cf. Gaudium et spes, 84), affinché almeno le persone che non devono fuggire da territori in guerra possano restare nella loro patria e non siano costrette ad abbandonare tutto.

Contribuite in maniera costruttiva a creare dei presupposti affinché il bene prezioso del diritto di asilo in Germania possa essere conservato attraverso una soluzione e una definizione attuabile, e fate sì che si evitino principi etici che in quanto teoria non hanno un vero rapporto con la vita reale. Con ciò voi offrite un servizio, perché contribuite a impedire insane deviazioni nei giovani che fanno loro disprezzare la vita umana. Nella Chiesa nessuno è straniero; voi dovete però d’altra parte contribuire a far sì che il popolo tedesco dopo anni di separazione forzata e dopo l’unificazione pacifica svoltasi non senza difficoltà trovi la sua piena identità.

12. Vorrei concludere questo nostro incontro, cari fratelli, rinnovando il mio ringraziamento e il mio apprezzamento. Quando ritornerete alle vostre diocesi vi prego di salutare di cuore i vostri sacerdoti, i diaconi, i religiosi e i fedeli. Ci troviamo alla fine del periodo di Avvento, poco prima della festa di Natale. Dio viene, perché vuole che “tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2, 4). Egli viene, perché ha creato il mondo e l’uomo per amore, e con loro ha stabilito l’ordine di grazia.

Non meravigliamoci se il Signore nella santa notte non ha trovato posto nelle case di Betlemme ed è nato in una stalla, in una grotta che serviva da riparo per gli animali. È quindi ancor più importante il fatto che Egli sia venuto.

A voi e a tutti coloro che sono affidati alla vostra cura pastorale così come a tutti i cittadini del vostro stimato Paese esprimo i miei migliori auguri per il Natale e per l’anno nuovo e vi imparto di cuore, così come a tutti i credenti, la mia benedizione apostolica.

 

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