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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE
DI HAITI IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 18 marzo 1994

 

Cari Fratelli nell’Episcopato,

1. Un anno e mezzo fa, quando la Provvidenza diresse i miei passi verso il Nuovo Mondo per le celebrazioni del quinto centenario dell’evangelizzazione del vostro continente, voi vi siete recati da me a Santo Domingo con una delegazione del vostro popolo. Oggi ci rivediamo in Vaticano in occasione della vostra visita ad limina e io sono molto felice di accogliervi qui. Ringrazio vivamente Monsignore François Gayot, Arcivescovo di Cap-Haïtien e Presidente della Conferenza Episcopale per le cordiali parole che mi ha rivolto a nome vostro.

Le visite presso le tombe degli Apostoli, fatte periodicamente dai vescovi in comunione con la Sede Apostolica, sono per le guide delle diocesi un mezzo per renderle più coscienti della loro responsabilità di successori degli Apostoli e per vivere più intensamente i vincoli che le uniscono al successore di Pietro. Esse sono dunque una manifestazione visibile della comunione vitale tra Chiesa di Roma e le Chiese particolari, così come l’espressione di una stessa sollecitudine pastorale operante nella Chiesa intera. Questa profonda comunione tra i pastori sta alla base di quella che unisce i fedeli ovunque nel mondo.

2. Se ho tenuto a ricordare il senso della visita ad limina e l’importanza della comunione ecclesiale, di cui essa è un segno, è per incoraggiarvi, cari Fratelli, a mantenere ben vivo ciò che è stato finora e dovrà sempre esserlo nel futuro l’autentica forza della Chiesa ad Haiti: la sua unione con le Chiese-Sorelle e, in particolar modo, la sua unione con il Successore di Pietro. Allentare questi vincoli di comunione ecclesiale significherebbe indebolire l’azione della Chiesa ad Haiti.

Nel ribadire ciò, sto pensando soprattutto ai vostri collaboratori immediati, i sacerdoti, e a tutti coloro che, in un modo o nell’altro, sono chiamati a collaborare con voi nell’opera d’evangelizzazione, conformemente alle vostre direttive per i diversi ambiti dell’apostolato; penso in particolare ai religiosi e alle religiose, che rappresentano una parte considerevole tra gli operai del Vangelo ad Haiti.

In effetti l’opera di evangelizzazione riguarda tutti i membri della Chiesa; essa presuppone una comunione di grazia, di spirito e di cuore, di sentimento e di azione. A questo proposito Papa Paolo VI scriveva: “Il testamento spirituale del Signore ci dice che l’unità tra i suoi seguaci non è soltanto la prova che noi siamo suoi, ma anche che egli è l’inviato del Padre, criterio di credibilità dei cristiani e di Cristo medesimo” (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 77). Gli evangelizzatori devono dunque offrire - continuava il mio venerato predecessore - “l’immagine non di uomini divisi e separati da litigi che non edificano affatto, ma di persone mature nella fede, capaci di ritrovarsi insieme al di sopra delle tensioni concrete, grazie alla ricerca comune, sincera e disinteressata della verità” (Ivi).

3. Giunto a questo punto del mio discorso, cari Fratelli, desidero esprimervi tutta la mia stima per il modo in cui esercitate il vostro ministero nelle circostanze particolarmente difficili che voi vivete e desidero anche incoraggiarvi nel dono generoso di voi stessi al servizio del popolo che vi è stato affidato, cercando di superare i timori suscitati dalle difficoltà attuali del vostro Paese e rimanendo fisicamente vicini ai vostri fedeli affinché questi sentano concretamente la vostra solidarietà.

In effetti la lettura dei vostri resoconti quinquennali testimonia i numerosi ostacoli che dovete affrontare quotidianamente nello svolgere i vostri compiti: l’assenza di infrastrutture, che rendono difficili i vostri spostamenti, la mancanza di mezzi di comunicazione adeguati, che ostacolano gli scambi necessari tra di voi; a ciò si aggiungono gli assillanti problemi creati dall’instabilità politica e dall’embargo economico, e soprattutto lo spettacolo sconvolgente di un popolo che vive nel disagio, che si dibatte giorno per giorno per sopravvivere.

A questo proposito, mi sia permesso di rinnovare a tutte le componenti della società haitiana l’appello al dialogo che ho lanciato durante il mio incontro con i membri del Corpo diplomatico il 15 gennaio scorso, affinché si persegua insieme il vero bene della nazione! Spetta agli haitiani edificare il loro proprio futuro secondo i principi che avete rammentato loro recentemente.

Come pastori zelanti, continuate a confortare e a guidare il vostro popolo lungo il suo cammino, come l’avete fatto con il commovente messaggio di Natale che avete rivolto ai vostri fedeli e a tutti gli uomini di buona volontà. Questo messaggio rivela ancora una volta la vostra preoccupazione, nell’attuale congiuntura del Paese, di venire in aiuto alle vostre comunità, di ridare loro speranza e di guidare la loro azione.

Dinanzi al deterioramento della qualità della vita, dinanzi al non rispetto della dignità dell’uomo, dinanzi al rifiuto del progresso, voi ricordate i principi fondamentali della morale cristiana e in particolare della dottrina sociale della Chiesa. Auspico che il vostro insegnamento sia compreso e messo in pratica affinché siano soddisfatte le aspirazioni alla verità, alla giustizia, alla libertà e all’amore, che stanno a cuore ai vostri compatrioti.

Come vi ho già detto a Santo Domingo, porto davanti a Dio le pene degli uni e degli altri, e vi assicuro nuovamente della mia sollecitudine paterna. E ripeto per gli abitanti di Haiti ciò che ho dichiarato riguardo alle popolazioni martoriate dei Balcani, durante la messa del 13 gennaio nella Basilica Vaticana: “Che non si sentano soli e abbandonati: non siete abbandonati, siamo con voi e saremo con voi e sempre più saremo con voi!”.

4. La celebrazione dell’Anno della Famiglia mi offre naturalmente l’opportunità di dirvi una parola su questa “via” lungo la quale l’uomo è chiamato a camminare, “una via comune, pur rimanendo particolare, unica ed irripetibile, come irripetibile è ogni uomo; una via dalla quale l’essere umano non può distaccarsi” (Giovanni Poalo II, Lettera alle Famiglie, n. 2).

La promozione della vita coniugale e delle strutture familiari secondo il disegno di Dio, di cui è incaricata la Chiesa, è uno dei vostri obiettivi pastorali più importanti. Lo scorso anno, visitando un’isola della vostra regione, la Giamaica, ho parlato del ruolo fondamentale della famiglia. Forme sistematiche di sfruttamento come la schiavitù hanno generato nella vostra società modelli di irresponsabilità sessuale e situazioni di vita non conformi alla dignità cristiana come il “plaçage”.

È quindi opportuno che proclamiate a tempo e a controtempo l’insegnamento della Chiesa sulla famiglia.

L’alleanza matrimoniale, mediante la quale un uomo e una donna instaurano tra di loro un’intima comunità di vita e d’amore, è stata fondata e dotata delle sue proprie leggi dal Creatore. Per sua natura, essa è volta al bene dei coniugi così come alla procreazione e all’educazione dei figli. Per i battezzati, essa è stata elevata da Cristo alla dignità di sacramento. Inoltre la famiglia è atta, in modo unico, a comunicare valori culturali, etici, sociali e spirituali, essenziali allo sviluppo dell’uomo. Tutto ciò che avrete fatto per l’edificazione di famiglie autentiche produrrà a lungo termine frutti di giustizia, di felicità e di prosperità per il vostro Paese e per la Chiesa, oltre al risveglio di vocazioni sacerdotali o religiose, di cui le vere famiglie cristiane costituiscono il terreno più fertile.

5. La questione della formazione dei seminaristi e della costituzione di buoni gruppi di educatori per guidare i candidati al sacerdozio resta anch’esso per voi un compito prioritario.

Vi esorto ad affrontare questo problema con determinazione. È un ambito molto importante poiché coinvolge il futuro della Chiesa. I vescovi sono i responsabili principali dei loro futuri collaboratori: è quindi normale che seguano da vicino l’andamento dei loro seminari. Il documento “Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari”, pubblicato dalla Santa Sede il 4 novembre 1993, vi risulterà prezioso a tale fine.

Vi invito a restare fermi in ciò che concerne l’ammissione di candidati alla vita sacerdotale; conviene presentare loro fin dall’inizio le esigenze di tale stato. Le domande di ammissione ai seminari haitiani sono in aumento. Senza dubbio, considerate le attuali incertezze del Paese, alcuni giovani possono essere tentati a cercare rifugio nel seminario ed a ottenere così una promozione sociale. Un approfondito discernimento delle chiamate di Dio diviene ancora più necessario.

Come raccomanda l’esortazione Pastores dabo vobis (cf. Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, nn. 60-62), auspico che il seminario sia veramente, nel cuore della Chiesa locale, “una comunità educativa in cammino” che forma i futuri sacerdoti mediante l’insegnamento e l’azione dei responsabili, ma anche grazie alla qualità della vita comunitaria diretta e animata spiritualmente da tutto il gruppo degli educatori. Più che un gruppo di studenti, la comunità del seminario è una comunità di discepoli di Cristo, unita nella celebrazione dell’Eucaristia, nell’ascolto della Parola di Dio, nella carità fraterna così come nella condivisione di aspirazione e di progetti apostolici.

Infine, è necessario che la formazione prosegua anche dopo l’ordinazione al fine di permettere ai sacerdoti di restare al passo con i loro tempi e di accettare le nuove sfide pastorali. Questa formazione può essere ottenuta non solo con i seminari o i corsi pratici ma anche con lo studio personale. A questo proposito, vi invito a cogliere l’opportunità che vi è stata offerta d’inviare a Roma alcuni dei vostri sacerdoti affinché vi ricevano un insegnamento complementare per l’arricchimento della loro vita sacerdotale.

6. L’importanza che l’infanzia e la gioventù rivestono per il futuro della Chiesa non può essere sottovalutata: voi ne siete coscienti. I giovani non devono essere guardati solo come l’oggetto della sollecitudine pastorale della Chiesa: infatti essi sono e devono essere incoraggiati a essere subito soggetti attivi dell’evangelizzazione e a partecipare in prima persona al rinnovamento sociale del Paese.

Con la loro sensibilità, i giovani percepiscono profondamente i valori di giustizia, di non violenza e di pace; il loro cuore è aperto alla fratellanza e alla solidarietà. Essi si mobilitano volentieri a favore di cause come la qualità della vita e la tutela della natura. Hanno anche le loro preoccupazioni e paure.

È quindi opportuno avere una pastorale adatta ai loro bisogni per intraprendere con essi un dialogo cordiale e coraggioso, nella più grande chiarezza. Le attività per i giovani e le associazioni giovanili devono avere come fine non solo il benessere dei loro membri ma anche la formazione di testimoni della fede tra i loro coetanei.

7. Il compito dell’inculturazione, ossia il processo mediante il quale la fede cristiana s’incarna in una cultura, è inerente all’annuncio stesso del Vangelo. È quindi per voi, pastori haitiani, una grande preoccupazione.

La popolazione di Haiti, dal noto fascino e dai reali talenti artistici, è attraversata da una corrente dominante che, a volte, tende a ridurre la cultura haitiana alle dimensioni del voodoo. Anche se prende a prestito numerosi elementi dall’espressione religiosa haitiana, il voodoo - lo riconoscete nei vostri resoconti - non si identifica con la cultura haitiana.

Sarebbe persino pericoloso favorire, mediante esso, un nazionalismo di cattiva lega. È un ambito che richiede da parte vostra un discernimento giudizioso e una grande prudenza, unitamente a una chiara presa di posizione per evitare il pericolo di confusione, d’eclettismo e di sincretismo religiosi.

8. In vista del Sinodo dei vescovi sulla Vita consacrata, invito i religiosi e le religiose di Haiti a un rinnovato approfondimento del senso del loro impegno. Sono in molti a dare in modo concreto un esempio ammirevole di dedizione e di grande vicinanza al popolo dei fedeli, facendosi portatori di speranza presso i più bisognosi.

Li esorto a proseguire, nella più perfetta comunione con voi che siete i pastori della Chiesa, la loro opera multiforme e benefica negli ambiti della catechesi, della sanità, dell’educazione, dell’assistenza, dell’azione sociale e della promozione umana. Essi dovranno anche continuare ad aiutare con voi i fedeli laici a crescere secondo i principi della fede, a approfondire le proprie conoscenze cristiane, a far fronte ai propri impegni nella vita sociale e politica, e a rispondere anche alle sfide del proselitismo delle sette.

9. Prima di concludere, desidero affidare alla vostra preghiera la prossima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi: è un avvenimento che interessa anche voi e al quale parteciperete mediante il vostro rappresentante, Monsignore Joseph Lafontant, Amministratore Apostolico “sede plena” di Port-au-Prince.

Infine rinnovo l’augurio che la Chiesa in Haiti resti più che mai, grazie alla sua unità, una forza spirituale e morale dalla crescente influenza.

In modo particolare auspico che si promuova una profonda attenzione per l’uomo e per il carattere sacro della vita. Insieme a voi prego affinché scompaia tutto ciò che alimenta la paura e l’odio, la divisione e l’ingiustizia. Lo chiedo a Dio per intercessione di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso e di tutto cuore imparto a voi e alle vostre comunità diocesane la mia benedizione apostolica.

 

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