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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
 AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL SENEGAL,
DELLA MAURITANIA, DI CAPO VERDE E DELLA
GUINEA-BISSAU, IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 29 novembre 1996

 

Caro Signor Cardinale,
Cari Fratelli nell’Episcopato
,

1. È con grande gioia che vi accolgo in questa casa mentre adempite la vostra visita “ad limina”. Voi, Pastori della Chiesa in Senegal, in Mauritania, a Capo Verde e nella Guinea Bissau, siete venuti a manifestare la vostra comunione con il Successore di Pietro, a trovare la forza e l’incoraggiamento presso le tombe degli Apostoli al fine di proseguire il vostro ministero episcopale a capo del popolo che vi è stato affidato. Attraverso voi, saluto affettuosamente tutti gli abitanti della vostra regione, ricordando ancora con piacere le mie visite a Capo Verde e nella Guinea Bissau nel 1990 e in Senegal nel 1992. Ringrazio Monsignor Théodore-Adrien Sarr, Vescovo di Kaolack e Presidente della vostra Conferenza Episcopale, per il cordiale indirizzo che mi ha rivolto a vostro nome.

Formulo i miei incoraggiamenti ai nuovi Vescovi, soprattutto a quello di Nouakchott, Diocesi della quale conosco la particolare situazione, e quello di Zinguinchor, dove, tutti speriamo, finirà per prevalere un’ampia disponibilità al dialogo che renda possibile, nel Casamance, il raggiungimento di una intesa equa e definitiva.

Un saluto particolare a don Paolino Evora e a don Settímio Ferrazzetta, che, per la prima volta, adempiono la visita “ad limina” come membri di questa Conferenza Episcopale. Essi portano con sé una lunga storia di cristianesimo: la Diocesi di Santiago de Capo Verde fu edificata nel 1533, mentre la Diocesi di Bissau, eretta solo nel 1977, inizierà, il prossimo 8 dicembre, un anno giubilare nel quale si commemoreranno i quattrocento anni dei primi battesimi, a Cacheu.

2. La preparazione e la celebrazione dell’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi hanno rappresentato, per ognuna delle vostre Diocesi, un tempo di grazia in vista del rinnovamento della testimonianza resa a Cristo Salvatore nelle vostre Diocesi. Sono lieto di ricordare qui il ruolo di primo piano assunto dal caro Cardinale Hyacinthe Thiandoum nel corso dei lavori di questo Sinodo come Relatore generale. Mediante l’Esortazione Apostolica Ecclesia in Africa, ho voluto rafforzare le comunità cristiane dell’Africa nella fede ed “esortar(le) a perseverare nella speranza che dona il Cristo risorto, vincendo, ogni tentazione di scoraggiamento” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 7). Vi invito dunque ad approfondire e a mettere in pratica nelle vostre Diocesi i grandi orientamenti di questo documento. In esso troverete la migliore preparazione all’ingresso nel nuovo millennio e alla celebrazione del grande Giubileo.

Nel corso di questa assemblea sinodale, la Chiesa ha voluto, in effetti, cercare le vie di un annuncio della Buona Novella di Cristo in Africa, interrogandosi su se stessa, su ciò che è e su ciò che deve compiere affinché la sua parola sia pertinente e credibile. Essa ha voluto esortare i cristiani presenti nel vostro continente a rafforzare la loro fede e incoraggiarli a testimoniarla chiaramente. Mentre entriamo in una nuova fase della preparazione del grande Giubileo dell’anno 2000, vi invito a suscitare presso tutti i fedeli “un vero anelito alla santità, un desiderio forte di conversazione e di rinnovamento personale in un clima di sempre più intensa preghiera e di solidale accoglienza del prossimo, specialmente quello più bisognoso” (Giovanni Paolo II, Tertio Millennio adveniente, 42). Approfondendo il proprio rapporto con Cristo, i cristiani diventeranno quelle “pietre vive” con le quali si edifica la Chiesa Famiglia di Dio, segno e strumento dell’unione intima con Dio e dell’unità di tutto il genere umano (cf. Lumen gentium, 1).

3. Dall’appello alla santità deriva per i discepoli di Cristo l’appello alla missione. Come ha sottolineato il Sinodo, è in Comunità ecclesiali vive che la Chiesa Famiglia potrà dare la sua piena misura. Esse dovranno essere “luoghi in cui provvedere innanzitutto alla propria evangelizzazione per poi portare la Buona Novella agli altri; dovranno perciò essere luoghi di preghiera e di ascolto della Parola di Dio; di responsabilizzazione dei membri stessi; di apprendistato di vita ecclesiale; di riflessione sui vari problemi umani, alla luce del Vangelo” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 89). In queste comunità è necessario che i laici assumano una rinnovata consapevolezza della loro vocazione particolare, attraverso una partecipazione attiva e responsabile alla vita ecclesiale. Mediante il battesimo e l’opera dello Spirito Santo, ognuno diviene idoneo e si impegna a mettere in pratica i doni ricevuti dal Signore per il servizio ai propri fratelli. Vi incoraggio vivamente a continuare a sviluppare l’apostolato dei laici, esortandoli a rendere testimonianza in mezzo ai loro fratelli, innanzitutto attraverso una vita fondata sul Vangelo. Saluto anche i catechisti e tutti i laici che sono impegnati al servizio delle loro comunità e dell’annuncio della Parola di Dio.

4. Non posso non congratularmi con voi, amati Fratelli, per il grande anelito di formazione dimostrato dagli agenti pastorali delle vostre Diocesi, al punto che alcune di esse l’hanno incluso fra le loro priorità d’azione. Mi è grato pensare che tale anelito si è rafforzato con il cammino sinodale intrapreso dalle comunità cristiane africane, che le ha portate a riconoscersi come la Famiglia di Dio, il cui “antenato comune” è Dio creatore e il “più vecchio” di una moltitudine di fratelli è Cristo.

La nascita di un figlio è motivo di gioia e preannuncio di speranza in una famiglia, ma una tale speranza deve essere realizzata e consolidata dalla crescita. Ora, a somiglianza di quanto accade con la procreazione e in misura ancora maggiore, la crescita umana, in quanto formazione, ossia una sorta di procreazione continua, richiede l’impegno e l’aiuto reciproco di tutti i membri della famiglia, altrimenti ciò che è la sua risorsa decisiva, ossia la persona può diventare un elemento di turbamento e di paralisi. Visto che la cultura africana tende a privilegiare l’aspetto comunitario piuttosto che quello individuale, il clan piuttosto che la persona, e, senza negare la libertà di ognuno, preferisce sottolineare la sua integrazione nella famiglia, tutto ciò può aiutare la grande Famiglia di Dio, che è la Chiesa in Africa, ad accrescere, al suo interno e intorno a sé, il calore delle relazioni umane, la solidarietà e la fiducia reciproca.

Questo è l’ambiente ecclesiale propizio all’azione formativa; tuttavia non basta l’ambiente, come evidenzia l’Esortazione Apostolica post-sinodale Christifideles laici: “Non si dà formazione vera ed efficace se ciascuno non si assume e non sviluppa da se stesso la responsabilità della formazione: questa, infatti, si configura essenzialmente come “autoformazione””. È anche importante stabilire che “ognuno di noi è il termine e insieme il principio della formazione: più veniamo formati e più sentiamo l’esigenza di proseguire e di approfondire tale formazione”, e “più ci rendiamo capaci di formare gli altri”. Necessaria e feconda è, infine, la coscienza che “l’opera formativa, mentre ricorre con intelligenza ai mezzi e ai metodi delle scienze umane, è tanto più efficace quanto più è disponibile alla azione di Dio” (Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 63).

Il Sinodo dei Vescovi del 1987, dopo aver descritto la formazione cristiana come un “un continuo processo personale di maturazione nella fede e di configurazione con il Cristo secondo la volontà del Padre, con la guida dello Spirito Santo”, afferma chiaramente che “la formazione dei fedeli laici va posta tra le priorità della diocesi e va collocata nei programmi di azione pastorale in modo che tutti gli sforzi della comunità ( . . .) convergano a questo fine” (Ivi, 57). Venerabili Fratelli nell’Episcopato, dimorino sempre nei nostri cuori gli stessi sentimenti che l’Apostolo Paolo dichiarava ai Galati “Figlioli miei che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi!” (Gal 4, 19).

5. Le forme della presenza della Chiesa nelle società della vostra regione sono molteplici. Così, le scuole e i centri di formazione cattolica impartono, senza distinzione di ambiente sociale o di religione una solida educazione umana, culturale e religiosa, nel rispetto delle coscienze degli studenti e delle opzioni delle loro famiglie. Essi consentono a giovani di origine diversa di iniziarsi al dialogo della vita, per partecipare all’edificazione di una società accogliente verso tutti e rispettosa delle differenze. Sono anche luoghi che aiutano ad affrontare gli ostacoli che troppo spesso oggi si presentano nella vita dei giovani, come la mancanza di lavoro o lo sconforto dinanzi alle difficoltà.

Da diversi anni avete messo in atto modi di presenza e di servizio nel mondo culturale e universitario. Sono lieto dell’esistenza, in diverse delle vostre Diocesi, di centri culturali cattolici “che permettono la larga diffusione, mediante il dialogo creativo, delle convinzioni cristiane sull’uomo, sulla donna, sulla famiglia, sul lavoro, sull’economia, sulla società, sulla politica, sulla vita internazionale, sull’ambiente. Essi sono così luoghi d’ascolto, di rispetto e di tolleranza” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 103). In questi tempi di grandi mutamenti, la Chiesa desidera anche partecipare allo sviluppo integrale della persona umana, in un atteggiamento di dialogo con le culture e con le diverse correnti di pensiero che si esprimono nella società.

Per diffondere maggiormente il messaggio del Vangelo nelle vostre società, in alcuni dei vostri Paesi la e Chiesa si sta preoccupando di sviluppare in diversi modi i suoi interventi attraverso i mezzi di comunicazione sociale. Vi incoraggio a proseguire su questa via che permette di lavorare alla formazione umana e le spirituale dell’uomo, raggiungendolo al centro della sua vita quotidiana. I mezzi di comunicazione sociale possono così trasmettere a tutti la testimonianza di speranza e di luce e di cui i cristiani si considerano portatori.

6. Per la maggior parte dei vostri fedeli, l’incontro con i credenti dell’Islam è un quadro consueto nel quale essi devono rendere la loro testimonianza di vita evangelica. Sono lieto dei rapporti di fiducia e di amicizia generalmente intrattenuti nella vostra regione dalle diverse comunità religiose. In numerosi ambiti, vi è possibile lavorare insieme alla promozione delle persone e allo sviluppo dei vostri popoli, ricordandovi che l’amore fraterno, condiviso con tutti, è il tratto distintivo del discepolo di Cristo. Il dialogo della vita, che è così importante, trova in effetti un normale sviluppo nella ricerca del bene comune, compiuta in uno spirito di rispetto reciproco, di concordia e di solidarietà. Come ho già sottolineato durante il mio incontro con i capi religiosi musulmani a Dakar, “per offrire un contributo specificamente religioso alla società, il dialogo tra Cristiani e Musulmani deve essere sviluppato. Noi dobbiamo essere pronti a parlarci apertamente e con tutta franchezza e dobbiamo ascoltarci reciprocamente con molta attenzione e rispetto” (Giovanni Paolo II, Ai capi religiosi musulmani, 22 feb. 1992: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XV, 1 81992) 394). In un’epoca in cui le tentazioni di rifiuto dell’altro o di scontro religioso minacciano la stabilità delle collettività e l’equilibrio delle persone, urge che i cristiani e i musulmani rendano testimonianza del Dio buono e misericordioso, per costruire una società più fraterna e più accogliente in cui ognuno potrà essere riconosciuto nella sua diversità.

7. Nelle vostre relazioni voi avete sottolineato le numerose forme di povertà che colpiscono le popolazioni della vostra regione. Sull’esempio di Cristo venuto ad “annunciare la Buona Novella ai poveri”, la Chiesa si è impegnata a fondo presso quanti sono colpiti dalla povertà materiale, dalla sofferenza e dalla malattia, per mezzo dei suoi servizi sociali e sanitari o in collaborazione con istituzioni nazionali o internazionali. Vi incoraggio con vigore a proseguire nella testimonianza della carità di Cristo che voi rendete presso tutti senza distinzione. La sollecitudine per i poveri è uno dei criteri più importanti dell’appartenenza a Cristo. Ricordo qui, in particolare, le religiose e tutte le persone che lavorano nei servizi sanitari e che, in molteplici modi, si donano generosamente per alleviare le sofferenze dei loro fratelli e delle loro sorelle malati, disabili o prigionieri. So con quale abnegazione esse rendono testimonianza dell’amore di Dio presso i più derelitti. Mi ricordo con emozione della mia visita al Centro di accoglienza e di cura per i lebbrosi, a Cumura, vicino a Bissau. Mi rallegro anche delle iniziative che avete preso, soprattutto in Senegal, per portare “ai fratelli e alle sorelle colpiti dall’AIDS tutto il conforto possibile sia materiale che morale e spirituale” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 116). Auspico che si prosegua un’educazione nella verità per fare scoprire ai giovani una sana e autentica concezione della vita e che l’appello alla speranza e alla solidarietà lanciato dai Vescovi del Senegal sia ampiamente ascoltato.

8. L ‘Evangelizzazione della famiglia è uno dei compiti più importanti del vostro ministero episcopale. La dignità dell’uomo e della donna, creati a immagine e somiglianza di Dio, conferisce ad entrambi diritti inalienabili e responsabilità proprie. Sebbene diversi, essi sono essenzialmente uguali. Pertanto, con i Padri sinodali, non si possono non deplorare i costumi e le pratiche che privano le donne dei loro diritti e del rispetto loro dovuto. La promozione e la tutela dei loro diritti è un compito importante per la Chiesa in Africa (cf. Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 82).

La pastorale familiare deve anche preoccuparsi di preparare i giovani a considerare il matrimonio cristiano come una vocazione che presuppone un amore unico e indissolubile. Invito i giovani a non avere paura di impegnarsi in questo cammino esigente, ma che costituisce un’espressione dell’amore che Cristo nutre per essi. Troveranno qui la crescita del loro essere e la vera realizzazione della loro vita, secondo la volontà di Dio.

9. Signor Cardinale, cari Fratelli nell’Episcopato, prima di concludere, desidero ancora salutare con affetto i sacerdoti delle vostre Diocesi, vostri collaboratori immediati, che si dedicano con ardore all’annuncio del Vangelo, in condizioni spesso difficili. Prego il Signore di rendere feconda l’opera di salvezza di cui essi sono, con voi, i servitori zelanti in ognuno dei vostri Paesi. Che Egli doni a ognuno di voi forza e luce per condurre il popolo di cui siete i Pastori lungo le vie della fede, della speranza e della carità! Affidandovi all’intercessione materna della Vergine Maria, vi imparto di tutto cuore la Benedizione Apostolica, che estendo volentieri ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai catechisti e a tutti i laici delle vostre Diocesi.

 

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