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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 12 gennaio 1966

 

Inseriti nel patrimonio della Chiesa gli insegnamenti del Concilio

Diletti Figli e Figlie!

La vita della Chiesa è dominata dal Concilio ecumenico, che è stato concluso nel dicembre scorso. E non è solo il ricordo d’un avvenimento così raro e così grande, che deve tenere impegnati gli animi nostri; il ricordo si riferisce ad un fatto passato; la memoria lo raccoglie, la storia lo registra, la tradizione lo conserva; ma tutto questo processo riguarda un momento finito, un avvenimento trascorso. Invece il Concilio lascia qualche cosa dopo di sé, che dura e che continua ad agire. Il Concilio è come una sorgente, dalla quale scaturisce un fiume; la sorgente può essere lontana, la corrente del fiume ci segue. Si può dire che il Concilio lascia alla Chiesa, che lo ha celebrato, se stesso. Il Concilio non ci obbliga tanto a guardare indietro, all’atto della sua celebrazione; ma ci obbliga a guardare all’eredità che esso ci ha lasciata, e che è presente e durerà per l’avvenire. Qual è questa eredità?

L’eredità del Concilio è costituita dai documenti che sono stati promulgati nei vari momenti conclusivi delle sue discussioni e delle sue deliberazioni; questi documenti sono di diversa natura; e cioè sono Costituzioni (quattro), sono Decreti (nove) e sono Dichiarazioni (tre); ma tutti insieme formano un corpo di dottrine e di leggi, che deve dare alla Chiesa quel rinnovamento per cui il Concilio è stato promosso. Conoscere, studiare, applicare questi documenti è il dovere ed è la fortuna del periodo post-conciliare.

Bisogna fare attenzione: gli insegnamenti del Concilio non costituiscono un sistema organico e completo della dottrina cattolica; questa è assai più ampia, come tutti sanno, e non è messa in dubbio dal Concilio o sostanzialmente modificata; ché anzi il Concilio la conferma, la illustra, la difende e la sviluppa con autorevolissima apologia, piena di sapienza, di vigore e di fiducia. Ed è questo aspetto dottrinale del Concilio, che dobbiamo in primo luogo notare per l’onore della Parola di Dio, che rimane univoca e perenne, come luce che non si spegne, e per il conforto delle nostre anime, che dalla voce franca e solenne del Concilio sperimentano quale provvidenziale ufficio sia stato affidato da Cristo al magistero vivo della Chiesa per custodire, per difendere, per interpretare il «deposito della fede» (cfr. Humani generis, A.A.S., 1960, p. 567). Non dobbiamo staccare gli insegnamenti del Concilio dal patrimonio dottrinale della Chiesa, sì bene vedere come in esso si inseriscano, come ad esso siano coerenti, e come ad esso apportino testimonianza, incremento, spiegazione, applicazione. Allora anche le «novità» dottrinali, o normative del Concilio appariscono nelle loro giuste proporzioni, non creano obbiezioni verso la fedeltà della Chiesa alla sua funzione didascalica, e acquistano quel vero significato, che la fa risplendere di luce superiore.

Perciò il Concilio aiuti i fedeli, maestri o discepoli che siano, a superare quegli stati d’animo - di negazione, d’indifferenza, di dubbio, di soggettivismo, ecc. - che sono contrari alla purezza e alla fortezza della fede. Esso è un grande atto del magistero ecclesiastico; e chi aderisce al Concilio riconosce ed onora con ciò il magistero della Chiesa; e fu questa la prima idea che mosse Papa Giovanni XXIII, di venerata memoria, a convocare il Concilio, come Egli ben disse inaugurandolo: «ut iterum magisterium ecclesiasticum . . . affirmaretur»; «fu nostro proposito, così si esprimeva, nell’indire questa grandissima assemblea, di riaffermare il magistero ecclesiastico» (A.A.S. 1962, p. 786). «Ciò che più importa al Concilio ecumenico, Egli continuava, è questo: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia più efficacemente custodito ed esposto» (ibid. p. 790).

Non sarebbe perciò nel vero chi pensasse che il Concilio rappresenti un distacco, una rottura, ovvero, come qualcuno pensa, una liberazione dall’insegnamento tradizionale della Chiesa, oppure autorizzi e promuova un facile conformismo alla mentalità del nostro tempo, in ciò ch’essa ha di effimero e di negativo piuttosto che di sicuro e di scientifico, ovvero conceda a chiunque di dare il valore e l’espressione che crede alle verità della fede. Il Concilio apre molti orizzonti nuovi agli studi biblici, teologici e umanistici, invita a ricercare e ad approfondire le scienze religiose ma non priva il pensiero cristiano del suo rigore speculativo, e non consente che nella scuola filosofica, teologica e scritturale della Chiesa entri l’arbitrio, l’incertezza, la servilità, la desolazione, che caratterizzano tante forme del pensiero religioso moderno, quand’è privo dell’assistenza del magistero ecclesiastico.

Vi è chi si domanda quale sia l’autorità, la qualificazione teologica, che il Concilio ha voluto attribuire ai suoi insegnamenti, sapendo che esso ha evitato di dare definizioni dogmatiche solenni, impegnanti l’infallibilità del magistero ecclesiastico. E la risposta è nota per chi ricorda la dichiarazione conciliare del 6 marzo 1964, ripetuta il 16 novembre 1964: dato il carattere pastorale del Concilio, esso ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità; ma esso ha tuttavia munito i suoi insegnamenti dell’autorità del supremo magistero ordinario il quale magistero ordinario e così palesemente autentico deve essere accolto docilmente e sinceramente da tutti i fedeli, secondo la mente del Concilio circa la natura e gli scopi dei singoli documenti.

Dobbiamo entrare nello spirito di questi criteri basilari del magistero ecclesiastico, e accrescere nei nostri animi la fiducia nella guida della Chiesa sui sentieri sicuri della fede e della vita cristiana. Se questo faranno i buoni cattolici, i bravi figli della Chiesa e specialmente gli studiosi, i teologi, i maestri, i diffusori della Parola di Dio, non che gli studenti e i ricercatori stessi della dottrina autentica scaturita dai Vangelo e professata dalla Chiesa, è da sperare che la fede e con essa la vita cristiana ed anche quella civile avranno grande ristoro, quello appunto che deriva dalla verità che salva. Perché davvero lo «Spirito del Concilio» vuol essere Spirito di verità (Io. 16, 13).

Che la Nostra Benedizione vi aiuti a comprendere tale Spirito e a farlo vostro.

                                                         



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