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ALLOCUZIONE
IAMDUDUM CERNIMUS
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO IX

 

Il Papa Pio IX. Venerabili Fratelli.

Da gran tempo vediamo, Venerabili Fratelli, da quale miserando conflitto sia agitata la società civile, massimamente in questi infelici nostri tempi, per la guerra accesa tra la verità e l’errore, la virtù ed il vizio, la luce e le tenebre. Infatti, taluni dall’una parte sostengono alcune massime della moderna, come la chiamano, civiltà; ed altri dall’altra propugnano i diritti della giustizia e della nostra sacrosanta Religione. I primi chiedono che il Romano Pontefice si riconcilii e si rappacifichi con il Progresso, con il Liberalismo, come dicono, e con l’odierno incivilimento. I secondi giustamente domandano che siano mantenuti inviolati ed integri gl’immobili ed incrollabili principii dell’eterna giustizia; e sia serbata illesa la virtù salutifera della nostra divina Religione, la quale propaga la gloria di Dio, porge opportuno rimedio ai tanti mali che affliggono il genere umano, ed è l’unica e vera norma da cui i figli degli uomini, dopo essere stati educati ad ogni virtù in questa vita mortale, sono condotti al porto della beatitudine eterna.

Ma i patroni della odierna civiltà non acconsentono a questa differenza, giacché si proclamano veri e sinceri amici della Religione. Ad essi Noi per certo vorremmo prestare fede, se i tristissimi fatti, che sono sotto gli occhi di tutti, non mostrassero pienamente il contrario. Per fermo, una sola è in tutta la terra la vera e santa Religione, fondata e istituita dallo stesso Cristo, Signor Nostro; essa, madre feconda e nutrice d’ogni virtù, fugatrice dei vizi, liberatrice degli animi, indicatrice della vera felicità, si chiama Cattolica, Apostolica, Romana. Che cosa debba poi pensarsi di coloro che vivono fuori di quest’arca di salute, lo dichiarammo già altra volta nella Nostra Allocuzione concistoriale del 9 dicembre 1854; qui confermiamo la medesima dottrina. Pertanto chiediamo a coloro i quali Ci invitano a porgere amica la mano alla civiltà odierna, se i fatti siano tali da potere indurre il Vicario di Cristo in terra, da Cristo stesso supernaturalmente stabilito per difendere la purezza della sua celeste dottrina e pascerne gli agnelli e le pecore, confermando in essa gli uni e le altre; chiediamo se i fatti possano indurlo, senza gravissimo fallo della coscienza e senza massimo scandalo per tutti i buoni, ad associarsi con l’anzidetta odierna civiltà, per la cui opera succedono mali così grandi e non mai deplorati abbastanza, si promulgano tante orribili opinioni e tanti errori e falsi principii completamente opposti alla Religione cattolica e alla sua dottrina. Né alcuno ignora come tra questi fatti sia da annoverare la totale distruzione delle stesse solenni convenzioni, formalmente fatte tra questa Apostolica Sede e i regii Sovrani, come ultimamente è accaduto in Napoli. Del che Noi, in questo vostro amplissimo Consesso, con tutta la forza del Nostro spirito Ci lamentiamo, Venerabili Fratelli, e sommamente protestiamo nello stesso modo in cui in altre occasioni abbiamo protestato contro simili attentati e violazioni.

Questa moderna civiltà, poi, mentre favorisce qualunque culto acattolico, e ammette gli stessi infedeli ai pubblici impieghi, e dischiude ai loro figli le scuole cattoliche, si adira contro gli Ordini religiosi, contro gli Istituti fondati per educare cattolicamente la gioventù, contro moltissimi ecclesiastici di ogni grado, anche rivestiti di amplissima dignità, non pochi dei quali conducono miseramente la vita o nell’incertezza dell’esilio o in carcere, e anche contro illustri personaggi laici che, legati a Noi e a questa Santa Sede, difendono strenuamente la causa della Religione e della giustizia. Questa civiltà, mentre largisce sussidii alle persone ed agli istituti acattolici, spoglia la Chiesa delle giustissime sue possessioni, ed usa ogni consiglio ed ogni arte per diminuire l’efficacia salutare della stessa Chiesa. Inoltre, mentre concede tutta la libertà a qualunque scritto e discorso che si opponga alla Chiesa e a tutti coloro che sono ad essa cordialmente devoti, e mentre anima, nutre e fomenta la licenza, nello stesso tempo si mostra assolutamente cauta e moderata nel riprendere il metodo talvolta violento e disumano che si adopera contro coloro che pubblicano ottime scritture, ed esercita, nel punire, ogni severità, se crede che da questi si ecceda anche leggermente oltre i confini della moderazione.

A questa cosiffatta civiltà potrebbe mai il Romano Pontefice stendere la destra amica, e con essa stringere di cuore patti e alleanze? Si restituiscano alle cose i loro proprii nomi, e questa Santa Sede sarà sempre consentanea a se medesima. Infatti essa fu sempre patrona e fautrice della vera civiltà: e i monumenti della storia attestano e provano eloquentissimamente che in tutti i tempi questa Santa Sede recò sempre e dappertutto, anche tra le più remote e barbare genti, la vera e sincera umanità di costumi, la sapienza e la disciplina. Ma volendosi definire con il nome di civiltà un sistema fabbricato apposta per indebolire e forse anche per distruggere la Chiesa di Cristo, certamente non potranno mai questa Santa Sede e il Romano Pontefice adattarsi a questa civiltà. Infatti, come dice sapientissimamente l’Apostolo, “quale comunicazione può essere tra la giustizia e l’iniquità, o qual socievolezza tra la luce e le tenebre? E perciò, quale accordo tra Cristo e Belial ?” (2Cor 6,14-15).

Con che buona fede dunque i perturbatori e i patroni delle sedizioni alzano la voce esagerando gli sforzi da loro usati invano per riconciliarsi con il Romano Pontefice? Dal momento che questi trae ogni sua forza dai principii dell’eterna giustizia, come potrebbe mai abbandonarli, perché così s’indebolisca la santissima fede, e l’Italia si trovi in pericolo di perdere il suo massimo splendore e la gloria di cui rifulge da diciannove secoli, per il possesso che ha del centro e della sede della verità cattolica? Né si può opporre che questa Apostolica Sede, nelle cose relative al Principato civile, chiuse le orecchie alle richieste di coloro che mostrarono di desiderare una più libera amministrazione. Per tacere di vecchi esempi, parleremo di questi tempi infelici. Quando l’Italia ebbe più libere istituzioni dai suoi legittimi Principi, Noi con animo paterno chiamammo una parte dei Nostri figli alla civile amministrazione dello Stato Pontificio, e largimmo opportune concessioni, ordinate però con acconce misure di prudenza affinché il dono concesso con animo paterno non fosse avvelenato dall’opera dei tristi. Ma che accadde? Una sfrenata licenza si impadronì delle innocenti Nostre concessioni, e la soglia stessa dell’Aula, dove si erano radunati i pubblici Ministri e i Deputati, fu cosparsa di sangue, e l’empia mano fu rivolta sacrilegamente contro colui che aveva concesso il beneficio. Che se in questi tempi più recenti Ci furono dati consigli intorno all’amministrazione civile, Voi non ignorate, Venerabili Fratelli, che essi furono da Noi ammessi, eccettuato però e rigettato quello che non riguardava l’amministrazione civile, ma aveva per iscopo di farci acconsentire alla parte già consumata della Nostra spoliazione. Ma non è necessario che discorriamo dei consigli ben ricevuti, né delle Nostre sincere promesse di adempierli, giacché gli stessi eroi della usurpazione affermarono altamente che essi non volevano riforme, ma piena ribellione e intera rottura col Principe legittimo. Questi erano gli autori e i capi di questo gravissimo attentato, i quali riempirono ogni cosa dei loro clamori, non il popolo; così che di loro si può dire quello che il Venerabile Beda diceva dei farisei e degli scribi: “Queste cose falsamente sostenevano non alcuni del popolo, ma i Farisei e gli Scribi, come attestano gli Evangelisti” .

Ma la battaglia che si fa contro il Pontificato Romano non tende solamente a privare questa Santa Sede e il Romano Pontefice di ogni suo civile Principato, ma cerca anche di indebolire e, se fosse possibile, di togliere totalmente di mezzo ogni salutare efficacia della Religione Cattolica: e perciò anche l’opera stessa di Dio, il frutto della redenzione, e quella santissima fede che è la preziosissima eredità a noi pervenuta dall’ineffabile sacrificio consumato sul Golgota. E che la cosa sia così, si scorge più che chiaramente dai fatti già accennati, e da quanto vediamo ogni giorno. Infatti quante diocesi in Italia sono, per frapposti impedimenti, orbate dei loro Vescovi, con il plauso dei patroni della moderna civiltà che lasciano tanti popoli cristiani senza pastori e che s’impadroniscono dei loro beni per convertirli anche a mali usi! Quanti Vescovi in esilio! Quanti (lo diciamo con incredibile dolore dell’animo Nostro), quanti apostati che parlando a nome non di Dio, ma di Satana, e fidandosi dell’impunità loro concessa da un fatale sistema di governo, turbano le coscienze, spingono alla prevaricazione i deboli, confermano coloro che sono miseramente caduti in ogni più turpe dottrina, e cercano di lacerare la veste di Cristo, non temendo di proporre fondazioni di Chiese nazionali, come dicono, e altre simili empietà! Ora, dopo avere così insultato la Religione, che ipocritamente invitano ad accordarsi con l’odierna civiltà, non dubitano di convincere anche Noi, con uguale ipocrisia, a riconciliarci con l’Italia. Cioè: mentre, quasi spogliati d’ogni Nostro civile Principato, Noi sosteniamo i gravissimi pesi del Pontificato e del Principato con l’aiuto delle pie largizioni dei figli della Chiesa cattolica, mandate a Noi quotidianamente con grandissimo amore; mentre siamo gratuitamente fatti segno all’invidia e all’odio per opera di quegli stessi che chiedono la Nostra conciliazione, essi vorrebbero anche che dichiarassimo formalmente di cedere in libera proprietà degli usurpatori le Province del Nostro Stato Pontificio. Con tale audacissima e inaudita richiesta vorrebbero che questa Apostolica Sede, la quale fu sempre e sarà il baluardo della verità e della giustizia, sancisca che la cosa ingiustamente e violentemente rubata può tranquillamente ed onestamente possedersi dall’iniquo aggressore; e così si stabilisca il falso principio che la fortunata ingiustizia del fatto non reca alcun danno alla santità del diritto. Siffatta domanda contrasta anche con quelle solenni parole, con le quali in un grande ed illustre Senato fu testé dichiarato che “il Romano Pontefice è il rappresentante della precipua forza morale nell’umana società”. Dal che segue che Egli non può in alcun modo consentire ad una tale vandalica spoliazione, senza violare il fondamento di quella morale disciplina di cui Egli è riconosciuto essere come la prima forma, e l’esemplare.

Dunque chi ora, o ingannato da errore o trepido per paura, vuol dare consigli consentanei agl’ingiusti desiderii dei perturbatori della società civile, è bene che, specialmente in questi tempi, si persuada che costoro non saranno mai contenti, se non quando vedranno tolto di mezzo ogni principio d’autorità, ogni freno di Religione, ogni regola di diritto e di giustizia. Questi sovvertitori hanno già ottenuto, a gran danno della società civile, con i loro discorsi e con i loro scritti, di pervertire le umane menti, d’indebolire il senso morale e di togliere l’orrore dell’ingiustizia; ora si sforzano di persuadere tutti che il diritto invocato dagli onesti non è altro che un ingiusto desiderio degno di disprezzo. Ohimè! Veramente “la terra è in lacrime e si consuma e vien meno; si consuma il mondo, si consumano gli eccelsi del popolo della terra; la terra è infettata dai suoi abitatori, i quali hanno trasgredito le leggi, hanno cambiato il diritto, hanno sciolto l’alleanza sempiterna” (Is 24,4-5).

Ma in mezzo a tanta oscurità di tenebre, in cui Dio, per imperscrutabile suo giudizio, permette che i popoli siano immersi, Noi portiamo ogni Nostra speranza e fiducia nello stesso clementissimo Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione, il quale Ci consola in ogni Nostra tribolazione. Infatti Egli, che in Voi, Venerabili Fratelli, pone lo spirito di concordia e d’unanimità, e ogni giorno più lo porrà, affinché a Noi strettissimamente e concordissimamente congiunti siate pronti con Noi a sottostare a quella sorte che per arcano consiglio di sua provvidenza, è riservata a ciascuno di noi, Egli che con il vincolo di carità congiunge tra loro e con questo centro di verità cattolica i Vescovi del mondo, i quali ammaestrano nella dottrina delle verità evangeliche i fedeli, e mostrano loro in mezzo a tante tenebre la via sicura, annunziando ai popoli, con la virtù della prudenza, santissime parole; Egli sopra tutti i popoli cattolici diffonde lo spirito della preghiera, ed agli acattolici ispira un senso di equità, con il quale recano sopra i moderni avvenimenti un retto giudizio. Ora, questo così mirabile consenso di preghiere in tutto il mondo cattolico e queste così unanimi testimonianze di amore verso di Noi, espresse in tanti e così vari modi (il che non si riscontra tanto facilmente nei tempi passati) chiarissimamente dimostrano come agli uomini bene animati sia ad ogni modo necessario volgersi a questa Cattedra del beatissimo Principe degli Apostoli, luce del mondo, la quale, come maestra di verità e nunzia di salute, sempre insegnò e fino alla fine dei secoli non cesserà mai d’insegnare le leggi dell’eterna giustizia.

È poi così lontano dal vero che i popoli d’Italia si siano astenuti da siffatte luminosissime testimonianze del loro filiale amore e della loro osservanza a questa Sede Apostolica, che anzi tra essi moltissime centinaia di migliaia di persone Ci diressero amantissime lettere, non con l’intendimento di chiederci la riconciliazione proclamata dagli astuti, di cui sopra dicemmo, ma bensì per condolersi altamente delle Nostre molestie, delle Nostre pene, delle Nostre afflizioni, e per confermare verso di Noi il loro affetto, e per detestare in tutti i modi la nefanda e sacrilega spoliazione del civile Principato Nostro e di questa Sede Apostolica.

Pertanto, essendo così le cose, prima di porre fine al Nostro discorso, dichiariamo innanzi a Dio ed agli uomini, in modo chiaro e solenne, non esservi affatto ragione alcuna, per cui Noi dobbiamo riconciliarci con chicchessia. E poiché Noi, quantunque immeritevoli, teniamo in terra il luogo di Colui che pregò per i suoi crocifissori e chiese venia per essi, ben sentiamo di dovere perdonare a quelli che Ci offesero, e pregare per loro, affinché con l’aiuto della grazia divina si convertano, e si meritino la benedizione di Colui che quaggiù fa le veci di Cristo stesso. Volentieri dunque preghiamo per essi e, appena si siano ravveduti, siamo pronti a perdonare loro e a benedirli. Frattanto però non possiamo restare inerti, come se non Ci preoccupassimo delle umane calamità; né possiamo non commuoverci veementemente ed addolorarci e stimare come Nostri i grandissimi danni e i mali iniquamente fatti a coloro che soffrono persecuzioni per la giustizia. Quindi, mentre siamo macerati da intimo dolore e volgiamo calde preghiere a Dio, non omettiamo d’adempiere il gravissimo dovere del supremo Nostro Apostolato, di parlare, d’insegnare, di condannare tutto ciò che Dio e la sua Chiesa insegnano e condannano, acciocché in tal modo consumiamo il corso Nostro e il ministero della parola, che ricevemmo da Gesù Signore, per testimoniare il Vangelo della grazia di Dio.

Dunque, se si chiedono da Noi cose ingiuste, non possiamo farle; se poi si chiede perdono, volentieri e spontaneamente, come abbiamo detto più sopra, lo concediamo. Ma affinché la parola di un tal perdono sia da Noi proferita in quel modo che compete alla santità della Nostra dignità pontificia, pieghiamo le ginocchia dinanzi a Dio, ed abbracciando il segno trionfale della nostra redenzione, umilissimamente supplichiamo Gesù Cristo che Ci riempia della stessa sua carità, affinché Noi perdoniamo in modo del tutto consimile a quello con il quale Egli perdonò ai suoi nemici, prima di rendere il suo santissimo spirito nelle mani dell’eterno Padre suo. E da lui intensamente chiediamo che, come dopo il perdono da Lui dato, tra le dense tenebre che coprivano la terra, si fece luce nelle menti dei suoi nemici i quali, pentiti dell’orrendo misfatto, tornavano battendosi il petto, così Egli in questa grande caligine della età nostra si degni di effondere dai tesori inesausti della sua infinita misericordia i doni della celeste e trionfatrice sua grazia, in modo che tutti gli erranti tornino al suo unico ovile.

Quali che siano poi i futuri investigabili disegni della divina provvidenza, preghiamo Gesù Cristo in nome della sua Chiesa, che giudichi Egli stesso la causa del suo Vicario, che è causa della sua Chiesa, e voglia difendere questa causa dagli assalti dei suoi nemici e coronarla ed accrescerla di gloriosa vittoria. Lo preghiamo altresì che voglia restituire alla società perturbata l’ordine e la tranquillità, e concedere la desideratissima pace, con quel trionfo della giustizia che da Lui solo aspettiamo. Poiché in tanta trepidazione dell’Europa e di tutta la terra, e anche di coloro che esercitano l’arduo compito di reggere le sorti dei popoli, solo Dio è con Noi, e per Noi può combattere “Giudica noi, o Iddio, e distingui la nostra causa dalla gente non santa; concedi, o Signore, pace ai nostri giorni, giacché non vi è nessun altro che combatta per noi, se non tu solo, Dio nostro”.

18 marzo 1861

 



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