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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN NORVEGIA, ISLANDA,
FINLANDIA, DANIMARCA E SVEZIA

SANTA MESSA PER I FEDELI ISLANDESI
DAVANTI ALLA CATTEDRALE DI CRISTO RE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Reykjavik (Islanda) - Domenica, 4 giugno 1989

 

“Signore, . . . io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto” (Lc 7, 6).  

Carissimi fratelli e sorelle.

1. Queste parole ci sono familiari. Le pronunciamo prima della Comunione, ogni volta che partecipiamo alla Messa. Oggi verranno ripetute qui a Reykjavik, in Islanda, in questa assemblea solenne riunita nella fede e nell’amore per celebrare l’Eucaristia insieme al Vescovo di Roma, il successore dell’apostolo Pietro.

Parlando in islandese il Papa ha poi detto:

Cari bambini, oggi queste parole saranno ripetute da coloro che stanno per ricevere la Comunione per la prima volta. Questo è un momento solenne nella vostra vita. Sono estremamente felice di essere qui in Islanda e di darvi la prima santa Comunione. Siete giunti al punto in cui potete condividere l’Eucaristia. Possiate sempre considerare l’amore di Gesù così importante, come lo considerate oggi!

A voi, bambini e giovani di Islanda, affido la Croce che ho appena benedetto e che gli scouts porranno nel loro campo di UltGotsvatu come ricordo della mia visita. Vi ricorderà che siete eredi di quella fede. Fate del vostro meglio! Vivetela pienamente! Questo è l’appello del Papa ai giovani dell’Islanda.

Questa solenne Eucaristia, memoriale della morte salvifica del nostro Signore Gesù Cristo, è una celebrazione del millennio islandese di storia cristiana. Ricordiamo con gratitudine “coloro che ci hanno preceduti, marcati con il segno della fede”, dai primi eremiti del IX secolo menzionati nelle saghe, giunte forse dall’Irlanda, e dal primo Vescovo islandese, Isleifur Gissurarson e dal santo Vescovo Thorlakur Thorhallson. Ricordiamo il vostro eroe nazionale il vescovo Jon Svensson, e Gunnar Einarsson che come Simeone perseverò nell’attesa del Signore, e morì un mese dopo il ritorno di suo figlio Johannes Gunnarsson, primo Vescovo cattolico islandese dei tempi moderni. E tutti gli altri, troppo numerosi per essere citati per nome. Sia i cattolici che i luterani possono volgersi a mirare la fedeltà di uomini e donne di fede sincera e risoluta, che furono testimoni di Cristo in questo Paese. Cristo è luce delle nazioni, luce di queste nazioni nordiche che sto visitando. Luce dell’Islanda! A lui sia resa lode per sempre!

2. E stato Cristo stesso a darci l’Eucaristia. L’ha data una volta per tutte offrendosi sulla Croce “per la vita del mondo”. In realtà, durante l’ultima Cena istitui il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue sotto la specie del pane e del vino, e comandò agli apostoli di rinnovare quel memoriale - “in memoria di lui” - finché egli venga. Cristo stesso diede a loro, e dà a noi, il suo Corpo come cibo e il suo Sangue come bevanda spirituale.

L’Eucaristia, che è celebrata continuamente nella Chiesa, è contemporaneamente sacrificio e banchetto. Contiene tutta la ricchezza spirituale della Chiesa: Cristo stesso, nella pienezza della sua umanità e nella sua divina meravigliosa uguaglianza con il Padre. È il centro stesso dell’assemblea dei fedeli cui presiede il sacerdote (cf. Presbyterorum Ordinis, 5). Il Concilio Vaticano II enuncia chiaramente che nessuna comunità cristiana può essere costruita a meno che abbia la sua base e il suo centro nella celebrazione dell’Eucaristia, dalla quale deve prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a formare lo spirito di comunità (cf. Presbyterorum Ordinis, 6). Effettivamente il Concilio non esita a dichiarare che la principale manifestazione della Chiesa consiste nella partecipazione piena e attiva del Popolo santo di Dio all’Eucaristia cui presiede il Vescovo, circondato dai suoi sacerdoti e ministri (cf. Sacrosanctum Concilium, 41). Ogni altra cosa nella vita della Chiesa è orientata a questo.

È quindi una grande gioia per me in questa domenica, durante la mia visita in Islanda, poter celebrare questo che è il più santo dei doni insieme alla comunità cattolica:
- con il Vescovo Jolson, e con i sacerdoti che svolgono qui il loro ministero;
- con i religiosi; con i laici;
- in compagnia dei nostri amatissimi fratelli e sorelle luterani, che hanno voluto unirsi a noi in questo momento di preghiera.

Mi è stato detto che questa è la Domenica della Gente del Mare, nella quale vengono offerte preghiere speciali in tutto il Paese per coloro che lavorano in mare. Vogliamo ricordare coloro che sono scomparsi o si sono infortunati in questa tradizionale attività islandese, che esige tanto sforzo, tanto coraggio e tanta perseveranza. Dio abbia misericordia delle anime di coloro che ci hanno lasciati, e possa egli dare conforto a coloro che sono stati vittime di un mare così generoso ma talvolta così crudele.

3. Le parole “Signore, . . . io non sono degno” (Lc 7, 6) furono pronunciate per la prima volta da un centurione romano, un uomo che era un soldato nella terra di Israele. Benché fosse uno straniero e un pagano, amava il popolo d’Israele, tanto che - come ci dice il Vangelo - aveva perfino costruito una sinagoga, una casa di preghiera (cf. Lc 7, 5). Per questo motivo i Giudei appoggiarono caldamente la richiesta che voleva fare a Gesù, di guarire il suo servo. Rispondendo al desiderio del centurione, Gesù s’incamminò verso la sua casa. Ma ora il centurione, volendo prevenire l’intento di Gesù, gli disse: “Signore, non stare a disturbarti, perché io non sono degno che tu venga sotto il mio tetto; ecco perché non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te. Ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito (Lc 7, 6-7). Cristo accedette al desiderio del centurione, ma nello stesso tempo “restò ammirato” dalle parole del centurione e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse. “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande” (Lc 7, 9).

4. Se ripetiamo le parole del centurione quando ci accostiamo alla Comunione, lo facciamo perché queste parole esprimono una fede che è forte e profonda. Le parole sono semplici, ma in un certo senso contengono la verità fondamentale la quale dice chi è Dio e chi è l’uomo. Dio è il santo, il creatore che ci dà la vita e che ha fatto tutto ciò che esiste nell’universo. Noi siamo creature e suoi figli, bisognosi di essere guariti dai nostri peccati.

In una società altamente sviluppata come la vostra, dove ognuno ha abbastanza da mangiare, dove l’istruzione e l’assistenza sanitaria sono a disposizione di tutti, dove è stato raggiunto un livello elevato di giustizia sociale, è facile perdere di vista il Creatore, dalle cui mani amorose viene ogni cosa. È facile vivere come se Dio non esistesse. Infatti un tale atteggiamento presenta una potente attrattiva, perché potrebbe sembrare che il riconoscer Dio come origine e fine di ogni cosa possa ridurre l’indipendenza dell’uomo e imporre limiti inaccettabili all’azione dell’uomo. Ma quando ci dimentichiamo di Dio perdiamo presto di vista il significato più profondo della nostra esistenza, non sappiamo più chi siamo (cf. Gaudium et Spes, 36). Non è forse questo un elemento importante della insoddisfazione così comune nelle società altamente sviluppate?

Non è forse d’importanza fondamentale per il nostro benessere psicologico e sociale udire la voce di Dio nella meravigliosa armonia dell’universo? Non è forse liberante riconoscere che la stabilità, la verità, la bontà e l’ordine che la mente umana non finisce di scoprire nel cosmo sono un riflesso della unità, della verità, della bontà e della bellezza del Creatore stesso?

Una sfida radicale che si pone alla famiglia umana alla fine del XX secolo è l’uso saggio e responsabile delle risorse della terra, il che significa rispetto per i limiti ai quali queste risorse sono necessariamente soggette. Fare questo significa rispettare la volontà del Creatore. E nelle cose umane, la sfida è la costruzione di un mondo di giustizia, di pace e d’amore, nel quale siano difese e appoggiate la vita e la pari dignità di ogni uomo, senza discriminazione. Agire in questo modo significa riconoscere il volto di Dio in ogni volto umano, specialmente nelle lacrime e sofferenze di coloro che anelano ad essere amati o trattati con giustizia.

Nessuna persona può risolvere da sola tutti i problemi del mondo. Ma ogni atto di bontà è un importante contributo ai cambiamenti che tutti auspichiamo. Fu dalla profonda ispirazione di un senso di giustizia che Einar Asmundsson accolse nella sua casa padre Baudoin, uno straniero, rimasto privo di tutto. Questo atto ebbe conseguenze di una portata molto maggiore di quanto Einar Asmundsson avrebbe potuto immaginare. È così che ogni nostra buona azione costituisce una vittoria per la giustizia, la pace e la dignità umana. Ma il nostro egoismo e la nostra mancanza di coraggio morale portano alla persistenza e perfino al rafforzamento dell’ingiustizia nel mondo.

5. Le parole del centurione sono la voce della creatura che dà lode al Creatore per la sua generosità e bontà. Quelle parole contengono addirittura l’intero Vangelo: l’intera buona Novella della nostra salvezza. Danno testimonianza del dono meraviglioso di Dio stesso, espresso nella Parola di vita. Dio conferisce all’uomo un dono assolutamente gratuito - una partecipazione alla sua stessa natura divina. Dona alle sue creature la vita eterna in Cristo. L’uomo è graziato da Dio.

La fede del centurione romano fu grande. tra consapevole quanto fosse stato “graziato da Cristo”. Sapeva di non essere degno di un simile dono, e che questo dono era infinitamente più grande di quanto lui, semplice uomo, avrebbe mai potuto realizzare o anche desiderare, perché il dono è realmente soprannaturale. La meraviglia di questo dono è che ci dà la possibilità di conseguire l’oggetto della nostra più profonda aspirazione. vivere per sempre in unione intima con Dio, fonte di ogni bene. Nella Eucaristia partecipiamo sacramentalmente a questo stesso dono. La Eucaristia è un memoriale della Passione e morte di Gesù: ci riempie di grazia, ed è segno della nostra futura gloria. Attraverso la fede dobbiamo costantemente rinnovare la nostra gratitudine per il dono divino.

In Cristo, che è il dono divino, il dono del Vangelo, il dono dell’Eucaristia è offerto a ognuno. Ognuno è invitato a diventare membro della “famiglia della fede” (cf. Gal 6, 10). In questa Chiesa non vi sono “stranieri”. Perfino chi viene da “un Paese distante”, da molto lontano, è “in casa” nella Chiesa. È ciò che dice la prima lettura odierna dal libro dei Re: quando Salomone dedica il grande tempio di Gerusalemme, prega perché “tutti i popoli della terra conoscano il tuo nome” (1 Re 8, 43). Nonostante le differenza di razza, di nazionalità, di lingua e di cultura, tutti sono chiamati a partecipare in pari misura all’unità e alla fratellanza del Popolo di Dio. Pur rendendoci conto che la storia ha lasciato a noi cristiani quelle divisioni e differenze di fede che rendono impossibile per noi partecipare insieme all’Eucaristia, proclamiamo ardentemente che venga il momento quando la preghiera di Cristo troverà una piena risposta, che tutti possano essere una cosa sola, affinché il mondo creda (cf. Gv 17, 21).

6. “Lodate il Signore, popoli tutti, / voi tutte, nazioni, dategli gloria; / perché forte è il suo amore per noi / e la fedeltà del Signore dura in eterno” (Sal 116, 1-2).

Oggi la Chiesa canta dunque queste parole - dovunque si riuniscono cristiani per celebrare l’Eucaristia domenicale, come stiamo facendo noi su questa isola dell’Atlantico del Nord, in Islanda! In tante lingue differenti, le parole del centurione vengono ripetute. “Signore, . . . io non sono degno”. Queste parole - come quelle del Salmo - parlano dei doni di Dio ad ognuno di noi: la nostra vita, la nostra famiglia, la realizzazione della nostra società, la nostra fede, ed il più grande di tutti i doni di Dio, il suo Figlio unigenito, Gesù Cristo.

“Signore, . . . io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma comanda con una parola e io sarò guarito” (cf. Lc 7, 6).

Signore Gesù Cristo! Ti ringrazio per avermi dato la possibilità di proclamare il mistero della fede qui in Islanda, in mezzo al tuo popolo fedele, con coloro che stanno per riceverti sacramentalmente per la prima volta, con l’intera comunità cattolica, ed in compagnia dei miei fratelli e delle mie sorelle luterani.

 

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