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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA
 (1°-9 GIUGNO 1991)

MESSA PER LA BEATIFICAZIONE DEL RELIGIOSO
FRANCESCANO RAFFAELE CHYLIŃSKI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Piazzale del Parco Agrykola di Varsavia - Domenica, 9 giugno 1991

 

1. “Amerai . . .” (Mc 12, 30).

Nelle precedenti tappe del mio peregrinare attraverso la terra patria abbiamo fatto riferimento al Decalogo, ai dieci comandamenti. In questa ultima tappa, la nostra attenzione si volge verso quell’unico comandamento, che - secondo le parole di Cristo - è il primo e il più grande. Il comandamento dell’amore comprende in sé tutti i comandamenti del Decalogo e li porta alla pienezza: in esso sono contenuti tutti, da esso tutti derivano, e anche ad esso tutti tendono. Tale è l’intima logica dell’Alleanza di Dio con l’uomo.

Quest’Alleanza ha raggiunto la sua pienezza in Gesù Cristo - e in Lui anche è stata rivelata la pienezza del bene data all’uomo dal Creatore e contemporaneamente datagli in compito come ad un essere fatto a somiglianza di Dio.

“Amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza . . . Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mc 12, 30-31; cf. Dt 6, 4s; Lv 19, 18). Questo supremo comandamento è uno, ed è contemporaneamente duplice: comprende Dio e gli uomini, e tra essi - il prossimo e se stessi. In questo modo Dio s’incontra in questo comandamento con la sua immagine e somiglianza, che è ogni uomo.

2. È bene che ci tocchi meditare questo fondamentale comandamento proprio a Varsavia la capitale polacca, che da secoli è scenario di grandi eventi per la storia della nazione. Qui, a Varsavia - a quel tempo un luogo nei pressi di Varsavia - nel territorio di un rione di nome Wola (“Volontà”) - si svolgevano le elezioni dei re della Polonia. Attraverso le elezioni si manifestava la sovrana volontà della società (era la società nobiliare, perché solo essa aveva il diritto elettorale attivo nella Nazione di allora). Così dunque attraverso i secoli la località “Wola” era sede di una verifica circa la volontà della nazione circa la libera volontà umana in un atto di elezione, circa le decisioni di importanza fondamentale per il bene comune della Repubblica di tre popoli.

Il comandamento dell’amore ha nel Vangelo anche la propria dimensione sociale. Cristo dice: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri” . . . che vi amiate socialmente (Gv 15, 12).

Il comandamento dell’amore in ogni sua dimensione viene riferito alla volontà umana che è libera. L’uomo guidato dalla luce della ragione, cioè dal giudizio della coscienza sceglie, e in questo modo decide di sé. Conferisce una forma ai propri atti. Il comandamento dell’amore è rivolto alla libera volontà, da essa infatti dipende se l’uomo darà ai propri atti, al suo comportamento la forma dell’amore oppure un’altra forma, contraria all’amore. Questa può essere la forma dell’egoismo, dell’indifferenza verso i bisogni altrui, dell’indifferenza verso il bene comune. Questa può infine essere la forma dell’odio o del tradimento - contrariamente a ciò che insegna Cristo: “amate i vostri nemici” (Mt 5, 44).

Nel corso degli anni Varsavia fu scenario di diverse scelte e di varie decisioni. In molte certamente si rispecchiava l’amore sociale, l’amore per la patria in mezzo ai suoi molteplici bisogni. Però avveniva anche diversamente. Bisogna che noi in questo luogo meditiamo sulla grandezza della volontà, ma anche sulla sua piccolezza: la noncuranza degli altri e la ricerca del proprio tornaconto, la corruzione e il vilipendio della causa comune.

3. Verso la fine della Prima Repubblica, e anche dopo la sua caduta fu proprio Varsavia a diventare lo scenario della rinascita di un amore maturo per la patria. Proprio qui, nella capitale, si stava formando il pensiero civico e venivano assunte coraggiosamente iniziative miranti a salvare la patria in pericolo. Il risultato culminante di quello slancio patriottico fu, come si sa, l’approvazione della Costituzione del 3 maggio. Varsavia pagò per questo con un memorabile eccidio avvenuto nel rione Praga, sulla riva destra della Vistola.

Un amore disposto anche a dare la vita, non perisce. Perciò niente di strano, che proprio a Varsavia - alcune centinaia di metri da qui, sotto il Belvedere - abbia avuto inizio il successivo atto di quell’eroico dramma dei Polacchi spinti dall’amore per la patria, cioè l’Insurrezione di novembre. Iniziò qui: è vero che coinvolse l’intero Paese, ma qui anche si concluse. Come simbolo rimarrà la figura del generale Sowinski - quel veterano che combatté tante battaglie per la Polonia: invalido e privo di una gamba, poco distante da Wola tentò di precludere al nemico l’entrata nella capitale, e qui lasciò la propria vita. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13) - disse Cristo. Egli stesso fu il primo tra coloro che davano la vita: per gli altri, per la causa, per la patria.

Nella nostra storia non mancano suoi imitatori. Se ricordiamo quel grande tributo di sangue, tante volte offerto da Varsavia sull’altare dell’amore per la patria, la nostra capitale ci appare - specialmente nei momenti solenni - come un santuario di martiri della Nazione. Un santuario di martiri della Nazione. Così lo ha definito a Varsavia il Primate del Millennio. Osserviamo in questa definizione tutto il peso specifico della testimonianza evangelica.

Martire - martyr - testimone. Testimone dell’amore, che è più grande dell’odio. Infatti, ormai anche nel nostro secolo, durante l’insurrezione di Varsavia, e poi dopo la sua fine, la capitale divenne lo scenario di uno scontro mortale tra eroismo e brutalità (come ha intitolato il suo libro postbellico un grande filosofo, professore dell’Università Jagellonica, Don Konstanty Michalski) prigioniero di Sachsenaus. Quello che succedeva allora a Varsavia, era quasi l’ultimo accumulo dell’odio, che per alcune generazioni cercava di distruggere, di distruggere letteralmente, la nostra Nazione.

Ed ecco, quella Varsavia - la Varsavia delle elezioni dei re polacchi - divenne ormai nel nostro secolo luogo di altre scelte e altre soluzioni: tra la vita e la morte, tra l’amore e l’odio. Un mirabile seguito di eventi. Una annotazione antica e una annotazione contemporanea - l’una e l’altra importanti per la storia della Nazione.

4. Oggi ci raduniamo qui per partecipare all’Eucaristia di Cristo. Diverso è il momento storico. Attraverso gli ultimi anni e per decine di anni la società ha lottato per la sua sovranità. Da poco questa lotta sembra essere conclusa. Ed ecco che tutti sentiamo, dopo il lungo periodo della sovranità limitata da un sistema totalitario, che questa sovranità soggettiva non è solo una conquista, ma è anche una nuova sfida.

Una sfida per definire se stessi, realizzare se stessi, essere se stessi. Se stessi come uomini, come persone, Nazione, Comunità. Tale sfida viene in diversi modi rivolta alla volontà dell’uomo: alla volontà di ognuno e di tutti. Stiamo dando un esame della nostra umanità e del nostro cristianesimo, del nostro essere polacchi e del nostro europeismo.

L’esame nel passato era difficile. L’abbiamo superato e l’esito generale ci procurò apprezzamento. Ci siamo stati confermati. Tuttavia non è possibile fermarci qui. L’esame della nostra libertà è davanti a noi. Non si può solo possedere la libertà. Occorre costantemente conquistarla, costantemente la si conquista facendone un buon uso - usandola nella verità, perché soltanto “la verità rende liberi” (cf. Gv 8, 32) gli uomini e le comunità umane le società e le nazioni.

Così insegna Cristo. La nostra patria si è trovata nuovamente in un particolare momento storico, un momento sotto molti aspetti unico e forse decisivo, che non può essere sciupato per nessuna ragione. Questo è un grandioso dono di Dio, un qualche “kairós” della nostra storia, che ci è stato donato e contemporaneamente dato in compito.

Nell’odierna Eucaristia prego insieme a voi, amati miei fratelli e sorelle, prego insieme a voi miei Connazionali, per questo esame della libertà, che è davanti a voi. Vivo insieme a voi le difficoltà, che sono nuove e spesso inattese. Le difficoltà che sono dentro di voi, in ognuno di noi e in tutti. Cari Fratelli e Sorelle, sono uno di voi. Lo sono sempre stato, in diverse tappe, e lo sono ancora. Amo la mia Nazione non mi sono mai state indifferenti le sue sofferenze, le limitazioni della sovranità e l’oppressione - e ora non mi è indifferente questa nuova prova della libertà, davanti alla quale tutti ci troviamo.

5. Quale sarà la risposta? Le risposte devono essere molte, ognuna adatta alla persona, all’ambiente, alla situazione. Allo stesso tempo la risposta è unica: essa è il comandamento dell’amore. Il grande comandamento evangelico, mediante il quale l’uomo ritrova se stesso come persona e come facente parte di una comunità, come figlio o figlia della Nazione.

Uno e tutti. Il Concilio insegna: “L’uomo . . . al mondo è la sola creatura che Dio (creando) abbia voluto per se stessa”. È contemporaneamente quest’uomo - immagine e somiglianza di Dio - non può realizzarsi “se non attraverso un dono sincero di sé” (Gaudium et spes, 24).

È dunque: non egoismo, non un affrettato successo economico (ad ogni costo), non il materialismo pratico . . . (si potrebbe moltiplicare questo elenco) - ma la disponibilità di donare se stessi, il progresso morale, la responsabilità. In una parola: il comandamento dell’amore.

Vi voglio oggi lasciare - fratelli e sorelle - un’ulteriore esortazione ad un tale amore, che vuole donarsi totalmente a Dio, e ama il prossimo come se stesso. Durante questa Santa Messa è stato proclamato beato un francescano, conventuale P. Rafal Chylinski. Era un uomo di grande preghiera e allo stesso tempo di grande cuore per i poveri. Quando a Cracovia, nel 1736, scoppiò l’epidemia, si dedicò tutto ai malati compiendo ogni servizio, senza badare alla propria sicurezza. Con dedizione serviva i poveri, gli ammalati, i contagiati dall’epidemia, tutti coloro che venivano al suo convento a Lagiewniki (attualmente un quartiere della città di Lodz); spesso - ormai non avendo nient’altro - dava loro la propria porzione di pane o il proprio mantello. Poco dopo la sua morte ebbe inizio il processo di beatificazione, venne però interrotto a causa delle spartizioni della Polonia.

Il fatto che durante un così lungo lasso di tempo non perisse il ricordo della sua santità, è una testimonianza, che Dio quasi di proposito attendesse che il suo servo fosse proclamato beato nella Polonia ormai libera.

Il beato Rafal ci ricordi che ognuno di noi - anche se siamo peccatori - è stato chiamato all’amore e alla santità. Vi ho riflettuto molto leggendo la sua biografia. La sua vita è legata con l’epoca dei Sassoni e sappiamo che erano tempi tristi non solo per quanto riguarda la storia politica della prima Repubblica, ma anche per quanto riguarda la moralità sociale. Non voglio ricordare qui i proverbi su quei tempi, che girano tuttora. Erano tempi tristi, tempi di una smisurata fiducia in se stessi, di una totale spensieratezza, di consumismo esteso su uno strato sociale. Ed ecco che sullo sfondo di quei tempi compare un uomo che proviene proprio da questo stato. È vero che non è un grande magnate, appartiene alla nobiltà modesta, che in ogni caso possiede tutti i diritti sociali e politici. Quell’uomo, facendo quel che ha fatto, scegliendo la vocazione che ha scelto, diventa o forse lo è ancora protesta e espiazione. Più che protesta, espiazione per tutto ciò che portava la Polonia alla rovina. Qualche volta mentre rifletto sulla vita di questo Beato, mi viene in mente Tadeusz Rejtan. È vero che Padre Rafal morì ancora prima della prima spartizione della Polonia, nel 1741. Quel che ha fatto Tadeusz Rejtan è accaduto, com’è noto, dopo la spartizione durante una sessione della Dieta che l’ha approvata. Proprio allora Rejtan con il proprio corpo ha sbarrato la porta per non far passare i parlamentari polacchi del XVIII secolo, per scongiurarli: “Non si può! Se volete uscire di qui con questa decisione, con questa legge, dovrete passare sul mio cadavere!”. Padre Rafal non è mai stato un deputato, un parlamentare. Ha scelto la vocazione di un povero figlio di San Francesco, ma la sua testimonianza è molto simile. La sua vita nascosta, nascosta in Cristo, era una protesta contro la coscienza, l’atteggiamento e il comportamento autodistruttivi della nobiltà in quei tempi sassoni di cui conosciamo la fine. Ma perché oggi la Provvidenza ce lo ricorda? Perché solo adesso questo processo è maturato attraverso tutti i segni della terra e del cielo, e possiamo proclamare Padre Rafal beato? Ecco, cercate di rispondere a questa domanda. Cerchiamo di rispondere a questa domanda. La Chiesa non ha ricette pronte. Il Papa non vuole suggerirvi nessuna interpretazione, ma riflettiamo insieme tutti quanti, 35 milioni di polacchi, riflettiamo tutti sull’eloquenza di questa beatificazione proprio nell’anno del Signore 1991.

6. Sì, siamo peccatori. Ricordiamoci di questo.

Se consideri le colpe, Signore, Signori, chi potrà sussistere?” - domanda il Salmista (Sal 130, 3). Dio non conserva il ricordo del peccato. Dio ama l’uomo e cerca per lui la vera libertà. La risposta di Dio al peccato delle origini (che l’odierna liturgia ricorda) è il Vangelo di Cristo, il definitivo mistero della sua Pasqua mediante la croce e la risurrezione. L’Eucaristia, che stiamo celebrando, è la costante attuazione di questa Pasqua.

Nella storia dell’uomo e nella storia dei popoli perdura questo amore, che sempre e più forte dell’odio. Continua la potenza della redenzione con la quale Cristo “attrae tutti a sé” (cf. Gv 12, 32).

Opera in noi il suo Spirito, che è Spirito di verità (cf. Gv 15, 26).

Perdura questo bene nascosto, del quale ci ha parlato in modo così splendido all’inizio. La potenza della Redenzione. Almeno non lo bestemmiassimo. Almeno non bestemmiassimo lo Spirito Santo (cf. Lc 12, 10).

È allora che si chiude in noi la potenza creativa dell’amore. Allora la “casa divisa in se stessa, quella casa non può reggersi” (Mc 3, 25). Quando per la prima volta visitai Varsavia nel 1979, in Piazza della Vittoria pronunciai questa invocazione: “Scenda il Tuo Spirito! E rinnovi la faccia della terra. Di questa terra!” (il 2 giugno). A questa terra, a questa terra polacca in mezzo all’Europa, terra segnata dalla tradizione della propria matrice europea. Lo ripeto ancora una volta perché all’interno e all’estero si abusa di questo umiliante argomento che solo ora dobbiamo entrare nell’Europa. Invece dobbiamo riflettere bene sulla realtà europea e sull’essere europei. Bisogna ricordare che il focolaio della libertà è stato portato all’Europa da San Paolo, colui che proclamava la liberazione mediante Cristo: “Se Cristo vi libererà, sarete liberi”. La libertà alla quale ci libera Cristo è il messaggio della Buona Novella e il messaggio della libertà di Cristo che plasma la storia dell’Europa da due millenni. La libertà alla quale ci libera Cristo ci è stata data, portata, offerta non perché la sciupassimo, ma perché la vivessimo, e la trasmettessimo agli altri! Bisogna cominciare da questa verità sull’Europa. E nello stesso tempo bisogna renderci conto che col passare del tempo, soprattutto nei tempi cosiddetti moderni, Cristo quale artefice dello spirito europeo, quale artefice della libertà che in Lui affonda la sua radice salvifica, è stato messo tra parentesi e che si è andata formando un’altra mentalità europea, mentalità che sinteticamente possiamo esprimere in questa frase: “pensiamo e viviamo come se Dio non esistesse”. Certo, se Cristo è stato messo tra parentesi e forse addirittura completamente fuori, anche Dio non esiste più. Dio come creatore può esistere lontano: creatore, ma senza il diritto di intervenire nella vita dell’uomo, nella storia dell’uomo. Viviamo dunque come se Dio non esistesse. Anche questo fa parte dello spirito europeo. Della tradizione dell’Europa moderna. Dobbiamo riflettere molto a fondo sul molteplice significato dell’essere europei. Il Concilio Vaticano II si rendeva conto di quell’altro spirito dell’Europa. Non solo dell’Europa, nondimeno questo spirito ha qui la sua culla, qui in Europa, sul nostro continente, qui ha raggiunto anche i suoi culmini tragici che noi ricordiamo poiché appartengono a questo secolo; noi stessi li abbiamo provati nella nostra storia del ventesimo secolo. Perciò il Concilio Vaticano II ha formulato una frase stupefacente: “Cristo rivela all’uomo la pienezza dell’uomo”. Se vogliamo quindi trovarci sul piano dell’umanesimo, per esempio dell’umanesimo europeo, occidentale o orientale, qualsiasi, dobbiamo ricordare che questo umanesimo si rivela pienamente in Cristo. Cristo ha rivelato all’uomo l’uomo stesso, attraverso la rivelazione di Dio, la rivelazione del Padre, poiché non si può dire la piena verità sull’uomo senza ricordare che egli ha le sue origini in Dio, che è all’immagine e somiglianza di Dio, che è stato creato da Dio, redento da Dio-Uomo e visitato continuamente dallo Spirito della Verità, lo Spirito Santo. Questa è la verità sull’uomo, la verità sull’uomo europeo. E noi, noi polacchi, questa verità sull’uomo non la possiamo tradire! È per questo che parliamo sempre del bisogno di una nuova evangelizzazione.

Dopo il Concilio Vaticano II è nata questa coscienza ed è nato questo bisogno di una nuova evangelizzazione di questo vecchio continente, delle sue antiche società, società cristiane. Eppure bisognose della nuova evangelizzazione.

Questo l’ho lasciato per Varsavia, perdonatemi . . .

Quindi, ricordo una volta ancora: Piazza della Vittoria, l’anno 1979, e l’invocazione del Papa all’epoca ancora giovane, che oggi voglio ripetere non in Piazza della Vittoria, ma nella Villa di Lazienki vicino al Belvedere, nei pressi della residenza del Presidente della Repubblica, alla presenza di questo Presidente, della sua consorte e del Governo, dei rappresentanti della Dieta e del Senato, di tutti: “Scenda il Tuo Spirito! Rinnovi il volto della terra. Di questa terra! Di questa terra polacca, europea, di tutta la terra!”.

Scenda il Tuo Spirito e rinnovi il volto della Terra! Non cesso di confidare nello Spirito Santo. “Colui che ha iniziato in voi questa opera buona, la porterà a compimento” (Fil 1, 6). Lo credo e lo spero: la porterà a compimento. Non lo ostacolate; collaborate con Lui poiché tutti siamo chiamati a diventare collaboratori di Dio. Amen.



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