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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 5 marzo 1969

 

Presenza della Chiesa nel mondo d'oggi

Diletti Figli e Figlie!

Ancora noi riflettiamo sul Concilio. Ne avremo per molto tempo. Faremo bene a persuaderci che questo grande avvenimento, con l’eredità ch’esso ci ha lasciata del suo ricordo, delle sue esperienze, delle sue innovazioni, e specialmente dei suoi documenti, ci deve offrire materia di studio, di meditazione, d’orientamento teologico e religioso, d’educazione cristiana, se vogliamo non perdere il frutto dei suoi insegnamenti. Il Concilio dev’essere conosciuto : chi lo conosce veramente? Molti credono di conoscerlo per l’idea vaga e generica, che se ne fanno, come d’un rivolgimento, che ci distacca dalle tradizioni complicate e pesanti del passato, e che autorizza ad assumere atteggiamenti di pensiero e d’azione avventati, quasi che questo fosse lo spirito del Concilio. Ora a noi interessa osservare alcuni aspetti morali, che possiamo dire caratteristici, nuovi perciò e moderni, del Concilio, i quali noi tutti più o meno conosciamo; una letteratura senza fine li ha divulgati; ma non sono ancora del tutto acquisiti alla nostra psicologia cristiana e forse ancor meno, nel loro vero significato, applicati alla vita; dobbiamo fare, come predicava S. Bernardino da Siena, «rugumare», cioè ruminare ciò che abbiamo ascoltato e vagamente appreso (cfr. BARGELLINI, S. Bernardino da S., p. 53, 62).

INDICAZIONI CONCILIARI

Uno di questi insegnamenti, che modifica il nostro modo di pensare ed ancor più la nostra condotta pratica, riguarda la visione che noi cattolici dobbiamo farci del mondo, in cui viviamo. Come vede il mondo oggi la Chiesa? Questa visione il Concilio l’ha precisata, approfondita e allargata assai, tanto da modificare non poco il giudizio e l’atteggiamento, che noi dobbiamo avere rispetto al mondo. E ciò è avvenuto perché la dottrina della Chiesa si è arricchita d’una più completa conoscenza circa il suo essere e circa la sua missione. Qui si potrebbe svolgere una meditazione senza fine sulla Chiesa. quale il Concilio ha definita; basti a noi, in questo momento, domandarci come il Concilio ha visto la Chiesa rispetto al mondo; esso l’ha definita in tanti modi, tra i quali a noi ora interessa quello che la chiama «sacramento della salvezza» (Lumen gentium, n. 48), cioè un corpo mistico e sociale, voluto da Dio e istituito da Cristo, non come fine a se stesso, ma come popolo messianico, posto in mezzo all’umanità con la missione «di annunciare il mistero della salvezza a tutti gli uomini e d’instaurare tutto in Cristo», e col «dovere d’occuparsi dell’intera vita dell’uomo anche di quella terrena, in quanto connessa con la vocazione celeste» (Grav. educ., introd.). Così che, se la Chiesa, da un lato, si distingue dalla società temporale per la definizione originale della sua specifica natura religiosa e spirituale, dall’altro avverte di essere in mezzo agli uomini e per gli uomini, non per dominarli, ma per evangelizzarli. Chiarito il concetto di Chiesa, si è scelto, fra i vari significati biblici della parola «mondo», quello che lo identifica con la umanità; non quel mondo che significa il regno delle tenebre, del peccato e la coalizione delle false virtù (cfr. Io. 13, 1; Rom. 5, 12; 1 Io. 4, 5; ecc.); ma quel mondo, che Dio amò e per il quale «Dio ha dato il suo Figliolo» (lo. 3, 16): in questo confronto fra la Chiesa e il mondo, il mondo significa l’uomo, l’uomo a sé stante, l’uomo creatura fatta ad immagine di Dio (Gen. 1, 26-27), il genere umano, l’intera famiglia umana (Gaudium et Spes, n. 3). Ecco come il Concilio definisce il mondo davanti alla Chiesa: «Il mondo ch’essa ha presente è quello degli uomini, ossia l’intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà in cui essa vive; il mondo che è teatro della storia del genere umano, e porta i segni dei suoi sforzi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il mondo che i cristiani credono creato e conservato dall’amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma liberato da Cristo crocifisso e risorto, con la sconfitta del Maligno, affinché, secondo il disegno di Dio, sia trasformato e giunga al suo compimento» (Gaudium et Spes, n. 2).

CONFRONTO EVANGELICO

Donde si deducono molte idee interessantissime: il quadro di questo confronto Chiesa-mondo rimane quello evangelico, e perciò, nei suoi fondamentali principi teologici e morali, quello tradizionale, quello costituzionale della mentalità cristiana. Ma inoltre: la Chiesa accetta, riconosce, e serve il mondo quale oggi le si presenta; non rimpiange le formole della sintesi Chiesa-mondo del passato, e non sogna nemmeno quelle d’un futuro utopistico; la Chiesa aderisce all’attualità storica; ella non si identifica con essa, non si converte al mondo (come taluni oggi si credono autorizzati a fare); ma riconosce nella realtà sociale presente l’ambito della sua stessa vita, l’oggetto del suo amore e del suo servizio, le condizioni del suo linguaggio, il dramma delle sue tentazioni seducenti e dei suoi tentativi pastorali. In una parola, la Chiesa, in Cristo e come Cristo, ama il mondo di oggi, e per esso vive, parla, opera, pronta a capirlo, a curarlo, ad offrire se stessa.

I VALORI DELLA REALTÀ TEMPORALE

Questo atteggiamento deve diventare caratteristico nella Chiesa d’oggi, che si sveglia e cava dal suo cuore energie apostoliche nuove, mobilita ogni suo figlio alla coscienza d’un dovere comune di missione e di santità; non evade, non si estranea dalla situazione esistenziale del mondo, ma vi si innesta spiritualmente col suo messaggio, con i suoi carismi sacramentali, con la sua carità paziente e benigna (non rivoluzionaria e bellicosa; altra deviazione d’attualità), ma che «tutto soffre, tutto comprende, tutto spera, tutto sopporta» (cfr. 1 Cor. 13, 4-7).

Il che comporta un’altra mentalità, che parimente possiamo dire nuova: la Chiesa ammette apertamente i valori propri delle realtà temporali; cioè riconosce che il mondo possiede beni, compie imprese, esprime pensieri ed arti, merita lode, ecc. nel suo essere, nel suo divenire, nel suo proprio regno, anche se questo non è battezzato, cioè è profano, laico, secolare; ed anche se è pluralista, cioè in se stesso diversificato e diviso fino a minacciare rovina (cfr. Luc. 11, 17), gli riconosce, sotto la salvaguardia di certi principii (che non dovremo ignorare e dimenticare), la libertà nei suoi singoli membri e nelle sue espressioni collettive. «La Chiesa, dice il Concilio, riconosce tutto ciò che di buono si trova nel dinamismo sociale odierno» (Gaudium et spes, n. 42). Anzi, prosegue il Concilio, «la Chiesa . . . non è legata ad alcun sistema politico, (ma) è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana» (Gaudium et spes, n. 76).

IMPULSO APOSTOLICO E MISSIONARIO

Ciò non vuol dire che la Chiesa di nuovo si richiuda in se stessa e abbandoni i Laici impegnati nella promozione di «attività propriamente secolari affinché il mondo sia imbevuto dello spirito di Cristo e raggiunga più efficacemente il suo fine nella giustizia, nella carità e nella pace», e validamente operosi affinché «i beni creati . . . siano fatti progredire dal lavoro umano, dalla tecnica, e dalla cultura civile per l’utilità di tutti gli uomini indistintamente» (Lumen Gentium, n. 36); ché anzi il Clero stesso deve aiutare i Laici fedeli a compiere, nell’autonomia loro spettante, la loro propria funzione, nella Chiesa e nel mondo, tuttavia «evitando che essi siano portati qua e là da ogni vento di dottrina» (Eph. 4, 14; .cfr. Presb. Ord. n. 9).

Questo modo, pieno di prudenza e insieme di audacia, con cui oggi la Chiesa si pone a confronto col mondo contemporaneo, deve modificare e modellare la nostra mentalità di cristiani fedeli e tuttavia immersi nel vortice della vita profana moderna. Dicevamo dell’impulso apostolico e missionario, che un cattolico post-conciliare deve sentir nascere dal fondo della propria coscienza folgorata dal senso risvegliato della sua vocazione cristiana; dovremmo spiegare, con molta cautela e precisione, come la visione positiva dei valori terrestri, offerta oggi dalla Chiesa ai suoi alunni, si diversifichi senza annullarla in ciò che ha di vero da quella negativa, che tanta parte della sua sapienza e della sua ascetica ci predica sul disprezzo del mondo (da ricordare, ad esempio, l’opera di Innocenzo III, Papa di grandi vedute, al vertice del medioevo: 1198-1216, precisamente sul disprezzo del mondo «de contemptu mundi»); ma concluderemo col fare Nostra e col raccomandare questa visione ottimistica, che il Concilio ci offre circa il mondo umano contemporaneo, una visione piena di simpatia e di amore, non cieca, non dimissionaria, non amorale, certamente, ma tale da suscitare in noi il senso di rispetto, di ammirazione, di giusta critica, se occorre, verso il nostro mondo moderno; il desiderio di sostenere e di promuovere le sue faticose conquiste; l’ansia di irradiare sui suoi sentieri, anzi nel suo cuore la luce vitale di Cristo (cfr. L’Eglise dans le monde de ce temps, tome III, in CONGAR, Eglise et monde, pp. 15-41).

È missione difficile, certamente; ma apposta vi dedichiamo la nostra riflessione e chiediamo al Signore di aiutarci a non essere i disertori del nostro tempo, sì bene i messaggeri del Suo regno; con la Sua, che si fa Nostra Benedizione Apostolica.

GRUPPO DI SACERDOTI DELLA GERMANIA

Ehrwürdige Brüder! Geliebte Söhne!

An sie alle und jeden einzelnen von Ihnen richten Wir ein herz- Aliches Wort der Begrüssung! Getreu der vornehmen Tradition Ihrer katholischen ostdeutschen Heimat sind Sie zu den Gräbern der Apostelfürsten gepilgert, um sich hier für Ihre verantwortungsvolle Tätigkeit Glaubenskraft, Licht und Trost zu holen. In diesen Tagen beraten Sie sich hier in der Ewigen Stadt unter dem Vorsitz Unseres verehrten Mitbruders Mons. Janssen über aktuelle Probleme in der seelsorglichen Betreuung der Heimatvertriebenen. Sie selber mussten vor Jahren die liebgewordene Heimat verlassen und haben darum ein offenes Herz für diese Fragen.

Geliebte Söhne! Die heilige Fastenzeit rückt erneut in unser Bewusstsein die tiefe Wahrheit: alle quälenden Fragen dieses Lebens lösen sich nur im vertrauensvollen, gläubigen Aufblick zum Kreuze Christi. Darum stellen wir in die Mitte unseres priesterlichen Lebens das Gebet, die tägliche Selbstverleugnung als Prüfstein unserer lauteren Christusliebe, und insbesondere die Andacht zur heiligen Eucharistie. Dann sind wir gute Hirten und unsere apostolische Tätigkeit unter unseren Brüdern und Schwestern wird eine fruchtbare sein. Dass sich dies auch in Ihrem Leben immer mehr verwirklichen möge, erteilen Wir Ihnen in väterlichen Wohlwollen den Apostolischen Segen, in den Wir von Herzen auch alle Gläubigen Ihrer deutschen Heimat miteinschliessen.

                           



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