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SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA DEL SIGNORE

OMELIA DI PAOLO VI

Sabato, 6 gennaio 1973

 

Venerati Fratelli e Figli carissimi,

questa solenne e piissima cerimonia si iscrive in tre grandi disegni, i quali si aprono sopra di noi e d’intorno a noi, come sconfinati orizzonti. Non possiamo restringere il nostro sguardo al rito, che stiamo compiendo, senza lasciare che da tali amplissimi disegni giungano al nostro rito la luce, il significato, il mistero, di cui sono superiore sorgente.

Il primo disegno, da cui l’atto religioso in via di celebrazione, acquista il senso ed il valore suo proprio, è quello liturgico. Noi celebriamo la festa dell’Epifania. Tutti sappiamo la densità di motivi culturali, ai quali tale festa si riferisce. A noi ora basti considerarli nel loro significato sintetico, e cioè la manifestazione di Dio avvenuta mediante 1’Incarnazione: la teofania che si è compiuta umanamente e storicamente in Cristo Gesù: l’apparizione di Dio nel quadro temporale e sensibile della rivelazione cristiana. «Il mistero occultato ai secoli e alle generazioni ora è stato rivelato . . .» (Col. 1, 26). Il problema spirituale dell’umanità, l’attesa profetica delle religioni vaganti sulla terra e nei tempi in cerca d’un incontro autentico e felice col Dio ignoto, o soltanto conosciuto per via di processi logici negativi o superlativi, per via di segni insufficienti, atti piuttosto a suscitare il desiderio di Dio, che a conferire la gioia d’un vero e ineffabile incontro con Lui, la questione religiosa nel suo contenuto reale e profondo, e nella sua universale estensione, ha avuto la sua soluzione, la sua chiave d’intelligenza e di possesso, ha avuto il suo punto focale di spiegazione e di ordinamento concreto. La vera religione ci è stata aperta ed offerta (Cfr. 1 Io. 1, 1-4). Merita un tale avvenimento una riflessione senza fine. L’interpretazione globale della storia è resa possibile. L’umanità ha trovato il principio della sua fratellanza, della sua unificazione. La salvezza ha inaugurato il suo dramma meraviglioso e tremendo: «è nato per noi un Salvatore» (Luc. 2, 11), e si chiama Gesù (Matth. 1, 21); Lui è l’immagine trascendente e pur visibile e a noi familiare del Padre (Cfr. Io. 14, 9); Lui è l’«Alpha e l’Omega, il principio e la fine» (Apoc. 1, 8). A Lui gridiamo con Tommaso: «mio Signore e mio Dio»! (Io. 20, 28)

Una tale visione del cielo liturgico odierno basterebbe per tenerci incantati in una indefinita contemplazione.

Se non che è per noi dovere e piacere cogliere nell’immenso panorama dell’Epifania un disegno che ci tocca direttamente, quello missionario; quello cioè della diffusione della rivelazione avvenuta in Cristo Signore. Gesù è venuto in silenzio ed in umiltà, ma non per nascondersi, non per circoscrivere l’irradiazione della sua presenza nel mondo; ma piuttosto per rendere accessibili a chi lo cerca, a chi lo accoglie i sentieri più piani (Cfr. IGN. ANT. Ad Eph. 18-19). Vi è un’intenzione missionaria nelle modalità stesse, con cui Gesù Cristo entrò nel mondo e svolse poi il suo disegno evangelico. Vi è un’economia storico-umana a cui certo presiede una guida divina circa la diffusione del Vangelo nel mondo. Ecco. La presenza dei Magi a Betlemme, commemorata in modo particolare oggi dalla Chiesa, indica che subito Gesù, appena nato, è disponibile per alcuni, quasi fosse per tutti; anzi piuttosto, secondo un’economia particolare, la quale sembra riservare ai più lontani i primi posti. Con la nascita di Gesù nel mondo è accesa una stella, è accesa una vocazione luminosa; carovane di popoli si mettono in cammino (Cfr. Is. 60, 1 ss.); vie nuove si tracciano sulla terra; vie che arrivano, e per ciò stesso vie che partono. Cristo è il centro. Anzi Cristo è il cuore: una circolazione nuova per gli uomini è incominciata; essa non terminerà mai più. Anzi essa è destinata a costituire un programma essenziale per la Chiesa, cioè per la comunità degli uomini credenti in Cristo e formanti corpo con Lui. Un programma, una necessità, una urgenza, uno sforzo continuo, che ha la sua ragion d’essere nel fatto che Cristo è il Salvatore, Cristo è necessario, Cristo è potenzialmente universale, e che Cristo vuole essere annunciato, predicato, diffuso da un ministero di fratelli, da un apostolato di uomini inviati apposta da Lui per recare all’umanità il messaggio della verità, della fratellanza, della libertà, della pace (Cfr. Ad Gentes).

Ecco l’arco dello sforzo missionario delinearsi sopra questa cerimonia; essa è di per sé missionaria, ed una circostanza speciale ne mette in gloriosa evidenza l’intenzione. Voi sapete che una data significativa, il trecentocinquantesimo anniversario dell’istituzione dell'organo specificamente missionario della santa Chiesa cattolica, ci ricorda questa legge intrinseca della fede: la necessità della diffusione del Vangelo e della fede, della Chiesa perciò; e ci ricorda come storicamente la Sacra Congregazione «de Propaganda Fide», oggi denominata «per L’Evangelizzazione dei Popoli», abbia sapientemente, coraggiosamente, tenacemente incarnato tale legge, dando alle Missioni cattoliche impulso, direzione, sostegno, diffusione, senza più tregua, né senza mai concludere l’opera ed attenuare lo sforzo; opera c sforzo, che dopo tante esperienze, non poche rinomate per santità e illustrate da sacrifici incalcolabili, perfino dalla testimonianza estrema del sangue, reclamano oggi nuova, anzi maggiore adesione. Le Missioni, si direbbe, sono sempre al principio! Né le ragioni supreme della loro necessità, né i bisogni della loro attività, né le difficoltà per la loro espansione sono venute meno. Crescono piuttosto, con l’evoluzione civile dei Popoli; la quale, mentre apre la loro recettività al messaggio evangelico, ovvero in alcuni luoghi piuttosto la rende più delicata e difficile, aumenta il loro bisogno, diciamo pure il loro morale diritto, a ricevere, e il nostro comune dovere a far loro ricevere dal missionario l’annunzio evangelico.

Temi di tanta importanza e di tale ampiezza, voi ben lo sapete, meritano studio adeguato, che non certo intendiamo svolgere in questo momento, né in questa sede. Ma un atto ci sembra obbligatorio proprio in questo momento ed in questa sede: un atto d’impegno, una promessa: quella di dare, di ridare il cuore alla causa delle Missioni. Ce ne fa obbligo, dicevamo, la natura di questa causa; è quella di Cristo e dell’umanità; è quella del Vangelo, quella della salvezza cristiana di tanti uomini ancora privi della Fede; è quella della civiltà umana abilitata a interpretare e a perseguire i destini autentici della vita umana. Ce ne fa obbligo la recente tradizione missionaria, della quale si è nello scorso anno celebrata la storia eroica, più che mai degna e bisognosa d’essere continuata e promossa. Ce ne fa obbligo altresì la felice circostanza di questa storica cerimonia, nella quale un terzo disegno provvidenziale distende le sue linee ammirabili; ed è quello che presenta al nostro ministero apostolico questi alunni delle nostre Scuole Missionarie Romane, affinché noi conferiamo loro l’ordinazione sacerdotale!

Oh! momento sublime e decisivo, tipicamente missionario! Oh! davvero come il nostro cuore sente la commozione per essere ora noi stessi ministri d’un tanto sacramento! Oh! dove ne cercheremo noi l’essenziale segreto, se non nelle parole stesse di Cristo, le quali non tanto echeggiano come lontano ricordo, ma risuonano con una loro identica attualità nel ministero che stiamo compiendo: «Come il Padre ha mandato me, anch’Io mando voi . . . Ricevete lo Spirito Santo . . .» (Io. 20, 21-22). Qui è la sorgente vitale della missione evangelica. Cristo non affida soltanto un semplice incarico apostolico; Egli trasfonde la potestà, la virtù di compierlo; Egli così associa a Sé alcuni uomini da Lui scelti ed eletti, da abilitarli ad agire per sua potestà; li segna di Sé, così che, come altri Lui stesso, possano compiere con divina efficacia una determinata funzione, quella sacerdotale, intermediaria tra Dio e gli uomini, quella propria di Cristo, unico Mediatore, la quale in loro si caratterizza ontologicamente in un modo peculiare e indelebile, rendendoli partecipi del suo unico ed eterno Sacerdozio.

Oh! prodigiosa estensione del mistero proprio di Cristo! oh! momento generatore d’ogni altra vitalità ecclesiale! oh! profilo della bellezza della Chiesa, reso evidente dall’azione salvatrice di Dio operante per via di strumenti umani, fatti veicoli della sua carità! (Cfr. S. TH. Suppl. III, 24, 1) Oh! Epifania, che ti prolunghi nei secoli e ti diffondi per tutte le regioni della terra! Questa è un’ora tua, questa ì, un’ora nostra! ora di luce, ora di vita, ora di speranza, ora di gaudio, che mentre celebri l’universale vocazione dei Popoli all’unità della fede, tu trasformi la missione, che ne reca il felicissimo annuncio, da forestiera e pellegrina in autoctona e permanente.

Salutiamo con estremo interesse il fenomeno missionario, che si compie sulla tomba del primo Apostolo, il pescatore di Galilea trasformato da Cristo in pescatore di uomini (Matth. 4, 19), l’entusiasta ma debole discepolo, riscattato poi dall’amore a Cristo per essere dopo di Cristo ed in sua vece, sostenuto lui stesso dal grave peso delle chiavi del regno messe nelle sue mani, il pastore buono e zelante del gregge evangelico, pronto egli pure a testimoniare di fronte alle avversità implacabili del mondo (Cfr. Act. 5, 41) quel nome di Gesù, nel quale solo è salvezza (Cfr. Act. 4, 12; 1 Petr. 4, 12 ss.).

Sacerdoti novelli di Paesi missionari, salute a voi! Noi per primi onoriamo il carisma sacramentale del Sacerdozio di Cristo, Sacerdozio che ora a voi trasmetteremo per virtù dello Spirito Santo! Molte, troppe cose noi vorremmo a voi dire in questo momento! La vostra storia familiare e sociale ci è presente: vorremmo più a lungo discorrere della parentela spirituale, della comunione, che codesta ordinazione stabilisce fra i vostri cari, la vostra gente e la Chiesa cattolica intera, e con questa romana specialmente! Vorremmo aver tempo per ringraziare i vostri maestri e quanti hanno spiritualmente ed economicamente contribuito a fare di voi dei nuovi messaggeri del Vangelo! Siano benedetti! Vorremmo parlarvi del mondo al quale siete destinati, e delle prospettive affascinanti e avventurose del vostro futuro ministero. Ma ad una parola sola ora noi affideremo l’esuberanza dei nostri sentimenti, la parola tanto spesso ripetuta da Gesù ai suoi discepoli: «Non abbiate paura!» (Cfr. Matth. 10, 28; Luc. 12, 7; 12, 32; Marc. 6, 50; Io. 6, 20; etc.). La sproporzione delle forze umane e la grandezza della missione a voi affidata giustifica questa raccomandazione, valevole per chiunque di noi abbia ricevuto l’investitura del sacerdozio ministeriale. Oggi poi è venuto il momento di ripeterla con la più cordiale energia: non abbiate paura! una tentazione caratteristica del nostro tempo è venuta ad assalire il cuore del prete, la tentazione polimorfa del timore, dell’incertezza, del dubbio. Del dubbio sopra se stesso, pare strano! sopra la così detta identità propria, declinata in molte sottili questioni, che minacciano di abbattere la vittima, che le ha accolte come fondate entro il proprio spirito, quasi fosse infondato, anacronista, superfluo il sacerdozio cattolico, e senza scopo, senza fortuna la sua missione. Certamente voi tutti conoscete l’insidiosa fenomenologia di questa possibile corrosione interiore della certezza soprannaturale, che l’ordine sacro infonde nel ministro fedele: sono Sacerdote di Cristo! Cristo mi ha scelto e mi ha così posseduto da compiere attraverso di me la sua ineffabile missione di salvezza, con la sua parola, con la sua azione sacramentale, con la santa Messa specialmente e l’assoluzione dei peccati, con il ministero pastorale, e, non foss’altro, con il semplice e singolare esempio d’un particolare stile di vita, la vita pura, sacrificata e santa del prete fedele.

Non abbiate paura, vi ripeteremo, figli e fratelli carissimi! abbiate sempre intatta ed insonne coscienza del vostro Sacerdozio; e la vostra vita avrà la sua nuova e vera figura; avrà la sua forza di resistenza e di azione; avrà la sua originalità e vivacità d’amore per ogni anima, per ogni comunità, per ogni attività ordinata al bene della Chiesa, con l’adesione appassionata alla vostra Chiesa locale, e con l’ampiezza sconfinata della carità per la Chiesa universale; avrà la sua perenne Epifania di ricerca, di possesso, di annunzio di Cristo! e sempre, oramai, con la nostra Benedizione Apostolica.

                                          



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