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SYNODUS EPISCOPORUM
BOLLETTINO

II ASSEMBLEA SPECIALE PER L'AFRICA
DEL SINODO DEI VESCOVI
4-25 OTTOBRE 2009

La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace.
"Voi siete il sale della terra ... Voi siete la luce del mondo" (Mt 5, 13.14)


Questo Bollettino è soltanto uno strumento di lavoro ad uso giornalistico.
Le traduzioni non hanno carattere ufficiale.


Edizione italiana

21 - 12.10.2009

SOMMARIO

- DECIMA CONGREGAZIONE GENERALE (SABATO, 10 OTTOBRE 2009 - ANTEMERIDIANO) - CONTINUAZIONE
- DODICESIMA CONGREGAZIONE GENERALE (LUNEDÌ, 12 OTTOBRE 2009 - POMERIDIANO)
- CONFERENZE STAMPA

DECIMA CONGREGAZIONE GENERALE (SABATO, 10 OTTOBRE 2009 - ANTEMERIDIANO) - CONTINUAZIONE

- AUDITIO AUDITORUM (III) - CONTINUAZIONE

AUDITIO AUDITORUM (III) - CONTINUAZIONE

Pubblichiamo di seguito un nuovo Riassunto di un intervento nell’Auditio auditorum (III), in sostituzione del testo pubblicato nel Bollettino N. 16 del 10 ottobre 2009, su richiesta dell’Uditore.

- Prof. Edem KODJO, Segretario Generale emerito dell’Organizzazione dell’Unione Africana (O.U.A.), Primo Ministro emerito, Professore di Patrologia presso l'Istituto St. Paul di Lomé (TOGO)

L’Africa aspira profondamente alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. La Chiesa d’Africa e i suoi cristiani sono interpellati più di altri da questa missione. Come riconciliare gli africani tra di loro?
Il processo non è facile. La riconciliazione è innanzitutto un atteggiamento, una disposizione del cuore, uno sguardo d’amore nei confronti dell’altro, che presuppone la conversione di tutto l’essere, una vera “metanoia”, una trasformazione totale che solo la grazia, scaturita dalla preghiera, può accordare. Sì, noi africani dobbiamo prima di tutto riconciliarci con Dio, attraverso la penitenza e la preghiera.
La riconciliazione con gli altri richiede la forza e il coraggio del perdono.
La riconciliazione umana conferisce un ruolo centrale alla confessione che conduce alla verità, l’indispensabile verità, e alla giustizia. Riconciliazione, giustizia e verità sono legate da una sorta di relazione di tipo trinitario.
I cristiani sono formati per svolgere questo ruolo? Non è certo! Ancor meno i politici cristiani. Il cuore dell’uomo, in quanto oscuro per natura, e la politica, in quanto compromesso per eccellenza, sono più esposti degli altri al tradimento della loro fede. Denunciarli, disprezzarli non è abbastanza. Occorre cambiare i cuori. Del resto non sono tutti condannabili. Julius Nyerere non dovrebbe essere beatificato? Occorre pregare per loro. Occorre formarli. Ora, la formazione post-catechetica della nostra Chiesa deve essere ancora inventata. Cosa si conosce davvero della dottrina sociale della Chiesa nei circoli del potere?La Chiesa cristiana, quanto a essa, deve essere ricristianizzata, il laicato valorizzato, organizzato meglio, in quanto svolge un ruolo centrale.
Occorrono ovunque, nelle nostre diocesi, cappellani per gli uomini politici.
In ogni caso, i popoli dell’Africa attendono da questo Sinodo un messaggio forte per fermare le deviazioni politiche e le manipolazioni di ogni tipo, il desiderio di rimanere al potere ingannando, l’accaparramento delle ricchezze da parte di alcuni, l’alienazione delle nostre risorse minerarie, la vendita delle nostre terre, le aziende transnazionali capitaliste, la distruzione del nostro ambiente.
I popoli sanno che la voce della Chiesa è forte, che la voce del Santo Padre risuona forte. I popoli conoscono il valore morale e spirituale di alta portata della nostra Chiesa. Essi aspettano, non li deludiamo!

[00242-01.04] [UD014] [Testo originale: francese]

DODICESIMA CONGREGAZIONE GENERALE (LUNEDÌ, 12 OTTOBRE 2009 - POMERIDIANO)

- INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)
- AUDITIO AUDITORUM (V)
- INTERVENTO DELL’INVITATO SPECIALE DR. JACQUES DIOUF, DIRETTORE GENERALE DELLA FAO

Alle ore 16.30 di oggi lunedì 12 ottobre 2009, con la preghiera della preghiera Pro felici Synodi exitu guidata dal Santo Padre, è iniziata la Dodicesima Congregazione Generale, per la continuazione degli interventi in Aula sul tema sinodale La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. “Voi siete il sale della terra ... Voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 13.14).

Presidente Delegato di turno S.Em. Card. Théodore-Adrien SARR, Arcivescovo di Dakar (SENEGAL).

Alle ore 18.00 il Presidente Delegato ha dato la parola all’Invitato Speciale Dr. Jacques DIOUF, Direttore Generale della FAO.

A questa Congregazione Generale che si è conclusa alle ore 19.00 con la preghiera dell’Angelus Domini erano presenti 210 Padri.

INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)

Quindi, sono intervenuti i seguenti Padri:

- S. E. R. Mons. Robert MUHIIRWA, Vescovo di Fort Portal (UGANDA)
- S. E. R. Mons. Kyrillos WILLIAM, Vescovo di Assiut dei Copti (EGITTO)
- S. E. R. Mons. Philippe RANAIVOMANANA, Vescovo di Ihosy (MADAGASCAR)
- S. E. R. Mons. Laurent MONSENGWO PASINYA, Arcivescovo di Kinshasa (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)
- S. E. R. Mons. Raymond Leo BURKE, Arcivescovo emerito di Saint Louis, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (CITTÀ DEL VATICANO)
- S. E. R. Mons. Tesfaselassie MEDHIN, Vescovo di Adigrat (ETIOPIA)
- S. E. R. Mons. Norbert Wendelin MTEGA, Arcivescovo di Songea (TANZANIA)
- S. E. R. Mons. Krikor-Okosdinos COUSSA, Vescovo di Iskanderiya degli Armeni (EGITTO)
- S. E. R. Mons. Denis WIEHE, C.S.Sp., Vescovo di Port Victoria, Presidente della Conferenza Episcopale (C.E.D.O.I.) (SEYCHELLES)
- S. E. R. Mons. Ludwig SCHICK, Arcivescovo di Bamberg, Presidente della Commissione "Weltkirche" della Conferenza Episcopale Tedesca (GERMANIA)

Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi:

- S. E. R. Mons. Robert MUHIIRWA, Vescovo di Fort Portal (UGANDA)

Parlo della grande sfida della povertà alla quale assisto nel mio paese, l’Uganda, e in particolare nella mia diocesi di Fort Portal, che ha una popolazione di circa un milione di cattolici, con pressappoco 2000 catechisti. Ritengo che la mia diocesi, come molte altre in Africa, abbia un grande potenziale. Per esempio, della buona terra nelle aree rurali, città piccole e grandi. Ma nella situazione finanziaria attuale, non siamo capaci di sviluppare questa terra e di sostenerci economicamente. È per questo che continuiamo a chiedere aiuti finanziari alle nostre Chiese sorelle in Europa, in America e in altri paesi sviluppati, al fine di poter costruire chiese, rettorie per le nostre parrocchie e conventi, per avere mezzi di trasporto così da poter svolgere i nostri impegni pastorali, ecc. Siamo certamente grati per tutto l’aiuto che riceviamo.
Tuttavia, se vogliamo essere una Chiesa matura, una Chiesa viva che sia autosufficiente e si diffonda, dobbiamo diventare anche più autonomi e dipendere dalle risorse che noi stessi riusciamo a raccogliere, ponendoci in una posizione tale da poter sostenere i programmi della Chiesa e offrire una giusta retribuzione ai nostri catechisti, ai religiosi e anche ai sacerdoti, poiché ciò potrebbe aiutarli a non abbandonare volontariamente le nostre diocesi per cercare pascoli più ricchi altrove. Oltre a tutto ciò, dobbiamo realizzare programmi per i giovani, affinché non vengano circuiti dai musulmani e dalle chiese pentecostali, che stanno riversando milioni di dollari nei nostri paesi per attirarli verso la loro religione.
Potremmo avere un dialogo maggiore sul modo in cui le nostre Chiese o diocesi sorelle nel mondo sviluppato ci assistono? Per esempio, aiutando le diocesi sorelle e le conferenze riguardo alle possibilità di fare investimenti per essere autonome, così da essere in grado di pagare uno stipendio ai nostri agenti di pastorale, specialmente i catechisti e altri? Riusciamo a ideare da soli dei programmi pastorali, superando la sindrome di dipendenza che fa sì che alcuni donatori si siano stancati? Lasciate che la saggezza del seguente motto riassuma il mio intervento: “Date a un uomo un pesce ed egli verrà da voi tutti i giorni, ma dategli un amo ed egli pescherà da solo ogni giorno”.

[00207-01.04] [IN155] [Testo originale: inglese]

- S. E. R. Mons. Kyrillos WILLIAM, Vescovo di Assiut dei Copti (EGITTO)

Su una popolazione totale di 80 milioni di persone, in Egitto i cristiani sono circa 10 milioni, di cui circa trecento mila cattolici, suddivisi tra copti cattolici, che formano la maggioranza, melkiti, maroniti, siri, armeni, caldei e qualche latino.La Chiesa cattolica in Egitto è una piccola comunità che mantiene la propria caratteristica di Chiesa universale; ha anche le stesse preoccupazioni di tutte le Chiese in Africa, pur avendo la sua specificità poiché vive in un contesto arabo-musulmano diverso da quello degli altri paesi africani.
Essa è anche una Chiesa locale ricca di tradizioni, di culture, di riti e con una liturgia propria.
La Chiesa in Egitto è presente attraverso le attività socio-pastorali svolte dalle diocesi, dalle congregazioni religiose e dagli organismi laici.
Questa presenza di manifesta in diversi modi:
Diamo la priorità all’educazione. Attraverso la scuola, formiamo il bambino alla tolleranza, al rispetto dell’altro e ai valori umani. Questa formazione crea dei ponti tra i diversi ambiti religiosi e sociali.
Lo sviluppo socio-economico, come la promozione della donna, l’animazione rurale (alfabetizzazione, salute, microprogetti, ecc.).
Alcune sfide della Chiesa cattolica in Egitto: il fondamentalismo religioso, l’emigrazione dei quadri cristiani, i rifugiati, il lavoro ecumenico che lascia a desiderare, la formazione adeguata dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose per far fronte ai cambiamenti della società egiziana con le sue nuove esigenze. Promuovere la comunione tra i diversi riti e i nuovi movimenti in seno alla Chiesa.

[00225-01.04] [IN156] [Testo originale: francese]

- S. E. R. Mons. Philippe RANAIVOMANANA, Vescovo di Ihosy (MADAGASCAR)

Non si può fare altro che ringraziare gli organismi europei, cattolici e non, che hanno aiutato finanziariamente e materialmente le Chiese dell’emisfero sud e alcune diocesi a dotarsi di questi mezzi. La Chiesa in Africa è riconoscente al Nord per i diversi aiuti.
Tuttavia, spesso agli aiuti sono legate delle condizioni da parte dei donatori. Molti programmi della Chiesa in Africa dipendono ancora largamente dalle condizioni poste dai donatori. Questa situazione rischia da una parte di mettere un’ipoteca sull’autonomia e la proprietà dei programmi e dall’altra di portare alla realizzazione di progetti o strutture non adatti alla Chiesa locale e a chi ne deve beneficiare. Per questo sono necessari fiducia e comprensione reciproca delle due parti, al fine di evitare regali avvelenati.
L’investimento nei mezzi di comunicazione sociale deve servire a raggiungere i villaggi isolati e tagliati fuori dal mondo; i contadini, che costituiscono l’85% della popolazione, non hanno accesso all’informazione e alla formazione, venendo così privati dei diritti e dei doveri elementari di cittadini e di cristiani, mentre sono chiamati a essere artefici di riconciliazione, di pace e di giustizia.
La formazione di personale per gestire questi mezzi altamente tecnologici in continua evoluzione è costosa! La formazione, che spesso deve essere svolta in Europa, è una necessità, ma rimane al di fuori delle possibilità economiche della diocesi. D’altra parte, per ben evangelizzare i media, occorre che gli animatori abbiano una solida formazione cristiana. È questa la condizione per la riuscita...
La realizzazione di radio diocesane è volta anzitutto alla comunione in ciascuna diocesi. Ma la realizzazione di una rete satellitare contribuirà fortemente agli scambi e alla condivisione a livello interdiocesano e nazionale, attraverso un programma comune. Ha la missione di favorire la comunione nell’impegno di evangelizzazione nelle diocesi.

[00227-01.04] [IN158] [Testo originale: francese]

- S. E. R. Mons. Laurent MONSENGWO PASINYA, Arcivescovo di Kinshasa (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)

La pace va di pari passo con la giustizia, la giustizia con il diritto e il diritto con la verità.
Senza la giustizia, la pace sociale è messa male. Occorre dunque a ogni costo promuovere gli stati di diritto, in cui vi sia il primato del diritto, soprattutto il diritto costituzionale; stati di diritto in cui l’arbitrarietà e la soggettività non creino la legge della giungla; stati di diritto in cui la sovranità nazionale sia riconosciuta e rispettata; stati di diritto in cui a ciascuno venga dato in modo equo ciò che gli è dovuto.
Senza la verità è difficile assicurare la giustizia e proclamare il diritto. La concseguenza sarebbe che diritto e non diritto avrebbero pari diritto di cittadinanza; ciò renderebbe impossibile un ordine armonioso delle cose, ossia la “tranquillitas ordinis”. “Nella verità, la pace” (Benedetto XVI).
Ecco perché nel ricercare soluzioni di pace, tutti i cammini, specialmente quelli diplomatici e politici, dovranno essere orientati a ristabilire la verità, la giustizia e il diritto.
Cristo è la nostra pace. Egli ha fatto la pace, ha proclamato la pace, poiché ha fatto, di ebrei e pagani, un solo popolo. E ciò non lasciando agli uni o agli altri i loro privilegi e i loro diritti, ma abolendo l’esclusione, abbattendo il muro di separazione culturale e sociale, distruggendo l’odio che lo ha crocifisso nel corpo sulla croce. Ebrei e gentili non sono più estranei, persone distanti, bensì persone vicine, concittadini dei santi, gli uni e gli altri partecipano alla stessa eredità (Ef 3, 6), appartenendo da allora a un solo Israele. Egli ha fatto così un uomo nuovo, per riconciliarli entrambi a Dio e per dare loro accesso al Padre per mezzo dello Spirito.
È eliminando tutte le barriere, l’esclusione, le leggi discriminatorie nel culto e nella società, e soprattutto sopprimendo l’odio, che si riconciliano gli uomini e si fa la pace.

[00228-01.04] [IN159] [Testo originale: francese]

- S. E. R. Mons. Raymond Leo BURKE, Arcivescovo emerito di Saint Louis, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (CITTÀ DEL VATICANO)

La Chiesa, come Sposa di Cristo, è lo specchio della giustizia. Deve annunciare e salvaguardare la verità che, citando le parole di papa Benedetto XVI, “sola, è garanzia di libertà (cfr. Gv 8, 32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale” (Caritas in veritate, n. 9). Il suo insegnamento e la sua disciplina riguardo al santo matrimonio, per mezzo del quale la famiglia, cellula primaria della vita della Chiesa e della società, viene formata e alimentata, è fondamentale per la sua fedeltà coma specchio della giustizia nel mondo.
Il tribunale ecclesiastico, dove il vescovo diocesano esercita la sua funzione di giudice a favore dei fedeli che accusano di nullità il proprio matrimonio, è una parte essenziale del ministero di giustizia della Chiesa. Ogni vescovo deve aver cura, pertanto, a istituire e far funzionare in modo giusto il tribunale ecclesiastico, responsabilità alla quale può adempiere anche congiuntamente, attraverso un tribunale interdiocesano.
Nella cultura contemporanea è fondamentale che la Chiesa annunci la verità sull’unione coniugale tra un uomo e una donna, che è per sua stessa natura esclusiva, indissolubile e ordinata alla procreazione. L’osservanza, da parte dei fedeli, della disciplina della Chiesa riguardo al matrimonio è uno degli strumenti collaudati per “assistere le coppie e guidare le famiglie nelle sfide che incontrano” e per purificare la cultura secolare da pratiche come i “matrimoni forzati” e la poligamia.
Le decisioni del tribunale ecclesiastico rispecchiano, per i fedeli e per la società in generale, la verità sul matrimonio e sulla famiglia. I ministri del tribunale, pertanto, devono essere ben preparati attraverso lo studio del diritto canonico e l’esperienza.
Con la celebrazione di questa Assemblea speciale, possa la Chiesa, attingendo allo spirito peculiare della cultura africana, essere in modo sempre più perfetto lo specchio della giustizia relativa al matrimonio e alla famiglia per il bene dei popoli dell’Africa e del mondo intero!

[00229-01.05] [IN160] [Testo originale: inglese]

- S. E. R. Mons. Tesfaselassie MEDHIN, Vescovo di Adigrat (ETIOPIA)

Ritengo che non sia stata dedicata sufficiente attenzione alla formazione, che è un tema centrale per la Chiesa in Africa mentre svolge il suo servizio per la riconciliazione, la giustizia e la pace come “... sale della terra ... e luce del mondo”.
La Chiesa svolge la sua missione attraverso le sue strutture e istituzioni, e più concretamente attraverso i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i catechisti e i fedeli laici che, al loro rispettivo livello, devono essere guida e modello nelle comunità cristiane, come “riconciliatori”, “persone giuste”, “artefici di pace”.
La formazione dei sacerdoti è fondamentale se si vuole realizzare questo obiettivo.
Dobbiamo pertanto assicurare che la formazione che impartiamo ai nostri futuri sacerdoti e agenti di evangelizzazione li aiuti a essere consapevoli delle sfide, ad essere ministri sicuri di sé, equilibrati e maturi, in grado di resistere e di superare le gravi turbolenze del tempo.
Raccomandazioni:
- Vi è la forte esigenza di comprendere le pressioni distruttive e le sfide con cui si confrontano le nostre società in Africa oggi, con una particolare attenzione per le famiglie e i giovani. Ciò esige dalla Chiesa la realizzazione di programmi di formazione più specifici.
- I programmi di formazione nei Seminari maggiori e nelle Case di formazione religiose richiedono grande attenzione e una intensa valutazione, al fine di determinarne la qualità e l’efficacia nel formare membri della Chiesa che possano essere testimoni autentici della riconciliazione, della giustizia e della pace.
- Utilizzare i nostri istituti di studi superiori istituendo una facoltà che sviluppi e integri nei propri programmi, per quanto riguarda i meccanismi di riconciliazione, le pratiche migliori e i modi culturali africani più efficaci, per provvedere alla formazione di personale al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace, che potrebbe svolgere il proprio servizio a livello nazionale, regionale e continentale secondo le esigenze.
- L’apprezzamento delle diversità nelle nostre società africane è una realtà da non sottovalutare.

[00226-01.04] [IN157] [Testo originale: inglese]

- S. E. R. Mons. Norbert Wendelin MTEGA, Arcivescovo di Songea (TANZANIA)

Molta nostra gente viene torturata, perseguitata e assassinata solo a causa di sospetti maligni infondati, fomentati dalla magia e dagli stregoni. Non ci sono leggi per difendere le persone, i governi condonano, alcuni leader cospirano con gli stregoni, qualche governo legalizza. Molti leader credono alla stregoneria, alla superstizione e all’occulto. Occorrono un’evangelizzazione più profonda, sostegno e una voce profetica rivolta ai nostri governi.
La sopravvivenza degli agricoltori è difficile. Spesso la loro sofferenza non è contemplata nei bilanci dei nostri governi, e ancora più spesso vengono ingannati. La Chiesa in Africa deve lottare per gli agricoltori e i pastoralisti: essi devono ricevere la giusta considerazione nel bilancio; occorre garantire loro infrastrutture di base e le necessità fondamentali per il loro lavoro e i loro prodotti; devono essere prese delle misure per mercati stabili e validi, devono essere protetti i mercati interni e devono essere introdotti al risparmio e ai prestiti attraverso le cooperative di microfinanza.
Per i nostri politici, pace significa “un clima tranquillo che consenta loro di rubare e godersi i soldi del loro paese”. Per loro, libere e giuste elezioni significa “successo nel portare le persone alle urne nella totale ignoranza dei loro diritti e delle manovre subdole dei candidati”. I politici ritengono che essere eletti significhi avere il lasciapassare per rapinare il paese.
Amiamo i musulmani. Vivere con loro fa parte della nostra storia e cultura. Ma il pericolo che minaccia la libertà dell’Africa, la sovranità, la democrazia e i diritti umani è in primo luogo il fattore politico islamico, ossia il progetto voluto e il processo chiaro di “identificare l’islam con la politica e viceversa” in ciascuno dei nostri paesi africani. In secondo luogo c’è il fattore monetario islamico, mediante il quale grandi somme di denaro provenienti da paesi esteri vengono riversate nei nostri paesi per destabilizzare la pace e sradicare il cristianesimo.
L’etnicità è un cancro che tormenta l’Africa. Dobbiamo subito inculcare la riconciliazione come nostra spiritualità e vita oltre che come nostra azione immediata.

[00230-01.04] [IN161] [Testo originale: inglese]

- S. E. R. Mons. Krikor-Okosdinos COUSSA, Vescovo di Iskanderiya degli Armeni (EGITTO)

Vorrei rendervi partecipi della testimonianza data dalla Chiesa armena, che dal genocidio del 1915 è presente in tutto il mondo nella sua diaspora.
Nel 1915 gli ottomani, spinti da gelosia, hanno massacrato il popolo armeno presente nella grande Armenia e nella piccola Armenia (Turchia). Un milione e mezzo di persone sono morte in questo genocidio.
Gli armeni sono partiti disperdendosi prima in Medio Oriente, poi nel mondo intero. Ovunque si sia stabilita, la Chiesa armena è stata accolta e ha portato con sé la sua lingua, la sua fede, le sue tradizioni e la sua cultura.
Nel 2001 abbiamo celebrato i 1700 anni del battesimo dell’Armenia e papa Giovanni Paolo II ha beatificato l’arcivescovo di Mardine, Ignazio Maloyan, il quale, alla testa del suo popolo, ha dato la vita per non rinnegare la fede in Cristo.
In questo momento in cui si svolge il sinodo, vale a dire 94 anni dopo quel massacro, in seguito all’appello di Cristo di perdonare i propri nemici, i dirigenti dello stato armeno e i capi delle Chiese in Armenia (cattolica, ortodossa ed evangelica) compiono un atto pubblico di perdono nei confronti dei turchi. Lo compiamo domandando ai turchi di riconoscere il genocidio, di rendere omaggio ai martiri e di concedere agli armeni i loro diritti civili, politici e religiosi.
Il cammino di riconciliazione tra i due stati è già stato intrapreso.
Per questo, faccio appello ai dirigenti politici, affinché sostengano il nostro andare verso i turchi, con la Chiesa universale e la Chiesa africana nel bisogno.

[00240-01.04] [IN173] [Testo originale: francese]

- S. E. R. Mons. Denis WIEHE, C.S.Sp., Vescovo di Port Victoria, Presidente della Conferenza Episcopale (C.E.D.O.I.) (SEYCHELLES)

Le piccole isole dell’Oceano Indiano (Comore, Réunion, Mauritius, Rodrigues e Seychelles), per la loro situazione geografica, la loro storia e, in particolare la loro popolazione, sono molto diverse dai grandi paesi del continente africano, poiché sono tributarie non solo dell’Africa, ma anche dell’Asia e dell’Europa. Tuttavia, a livello pastorale abbiamo in comune diverse questioni, per esempio alcuni problemi riguardanti la famiglia.
I cristiani che si uniscono al Cammino Neocatecumenale vengono profondamente trasformati. Nel corso delle mie visite pastorali presso l’una o l’altra famiglia sono stato testimone dell’armonia nei rapporti della coppia e nei rapporti genitori-figli, e anche della preghiera regolare e profonda in famiglia.
Le “sessioni CANA” organizzate dalla Comunità del Nuovo Cammino: ogni volta vi partecipano una ventina di coppie, che trascorrono insieme una settimana; viene proposto loro questo tempo per riscoprire il significato vero della loro vita di coppia e di famiglia. Allo stesso tempo, in un altro luogo, i figli di queste famiglie seguono un tempo di formazione simile, con una pedagogia adattata alla loro età. Durante l’ultimo giorno della sessione, i genitori e i figli si ritrovano per una festa in famiglia con tutti i partecipanti. Successivamente, dopo la sessione, alle coppie vengono proposte diverse attività, tra cui la partecipazione alle “Fraternità CANA”.
“Couples for Christ” (“Le coppie per Cristo”), comunità laica giunta dalle Filippine, propone programmi di formazione non soltanto per le coppie, ma anche per i giovani che si preparano al matrimonio, per gli adolescenti e per i bambini. I diversi programmi proposti sono animati da canti che piacciono molto ai giovani... e anche ai meno giovani.

[00231-01.04] [IN163] [Testo originale: francese]

- S. E. R. Mons. Ludwig SCHICK, Arcivescovo di Bamberg, Presidente della Commissione "Weltkirche" della Conferenza Episcopale Tedesca (GERMANIA)

Molta nostra gente viene torturata, perseguitata e assassinata solo a causa di sospetti maligni infondati, fomentati dalla magia e dagli stregoni. Non ci sono leggi per difendere le persone, i governi condonano, alcuni leader cospirano con gli stregoni, qualche governo legalizza. Molti leader credono alla stregoneria, alla superstizione e all’occulto. Occorrono un’evangelizzazione più profonda, sostegno e una voce profetica rivolta ai nostri governi.
La sopravvivenza degli agricoltori è difficile. Spesso la loro sofferenza non è contemplata nei bilanci dei nostri governi, e ancora più spesso vengono ingannati. La Chiesa in Africa deve lottare per gli agricoltori e i pastoralisti: essi devono ricevere la giusta considerazione nel bilancio; occorre garantire loro infrastrutture di base e le necessità fondamentali per il loro lavoro e i loro prodotti; devono essere prese delle misure per mercati stabili e validi, devono essere protetti i mercati interni e devono essere introdotti al risparmio e ai prestiti attraverso le cooperative di microfinanza.
Per i nostri politici, pace significa “un clima tranquillo che consenta loro di rubare e godersi i soldi del loro paese”. Per loro, libere e giuste elezioni significa “successo nel portare le persone alle urne nella totale ignoranza dei loro diritti e delle manovre subdole dei candidati”. I politici ritengono che essere eletti significhi avere il lasciapassare per rapinare il paese.
Amiamo i musulmani. Vivere con loro fa parte della nostra storia e cultura. Ma il pericolo che minaccia la libertà dell’Africa, la sovranità, la democrazia e i diritti umani è in primo luogo il fattore politico islamico, ossia il progetto voluto e il processo chiaro di “identificare l’islam con la politica e viceversa” in ciascuno dei nostri paesi africani. In secondo luogo c’è il fattore monetario islamico, mediante il quale grandi somme di denaro provenienti da paesi esteri vengono riversate nei nostri paesi per destabilizzare la pace e sradicare il cristianesimo.
L’etnicità è un cancro che tormenta l’Africa. Dobbiamo subito inculcare la riconciliazione come nostra spiritualità e vita oltre che come nostra azione immediata.

[00230-01.04] [IN161] [Testo originale: inglese]

AUDITIO AUDITORUM (V)

Quindi, sono intervenuti i seguenti Uditori e Uditrici:

- Dott. Alberto PIATTI, Segretario Generale Fondazione AVSI, Milano (ITALIA)
- Sig. Ermelindo Rosário MONTEIRO, Segretario Generale della Commissione Episcopale Giustizia e Pace, Maputo (MOZAMBICO)
- Sig.ra Barbara PANDOLFI, Presidente generale dell'Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo (ITALIA)
- Rev.da Suora Maria Ifechukwu UDORAH, D.D.L., Superiora Generale delle Figlie del Divino Amore, Enugu (NIGERIA)

Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi degli Uditori e Uditrici:

- Dott. Alberto PIATTI, Segretario Generale Fondazione AVSI, Milano (ITALIA)

Il più grande tesoro dell'Africa è la sete di Significato, di spiritualità di Dio - che nella sazia Europa non c'è più. La rivelazione che Cristo è la risposta a questo desiderio dell'essere umano fatto per il suo compimento dal suo creatore, compimento qui ed ora nella Santa Chiesa.
Questo è il fascino della Fede che incontra e si propone alla libertà dell'uomo. Questo attira i giovani. Dico fascino perché vivo con mia moglie l'avventura di crescere ed educare 5 figli (quasi una famiglia africana).
Ciò che muove è il fascino della fede come conoscenza della realtà nella sua verità profonda, non certo delle regole e delle conseguenze etiche o ambientali.
Mi permetto di porre alla vostra riflessione se questa tensione molte volte non sembra essere una premessa, ma poi nell'azione questa tensione non tiene, si introduce un dualismo e un relativismo nelle conseguenze operative, nelle nostre opere. Così la nostra agenda troppe volte sembra coincidere con l'agenda degli organismi internazionali e in particolare delle Nazioni Unite, il palazzo di vetro sembra sempre più il tempio dove si celebra il rito della nuova religione umanitaria e relativista con il Segretario Generale di turno che assume le vesti di un papa laico.
Mi riferisco per sinteticità a due aspetti fondamentali della nostra espressione caritativa educazione e salute.
Per questo riteniamo che l'educazione permanente sia fattore determinante della coscienza dei fedeli tesa al rapporto tra Creatore e creato anche nell'azione. Non solo istruzione formale quindi. Ma qui sorge la domanda: quali sono i contenuti educativi trasmessi nella scuole cattoliche? Non possiamo accontentarci di quanto prevedono gli obiettivi del millennio.
Richiamo anche l’urgenza che si prenda coscienza del valore della dignità civile e sociale delle opere della Chiesa come contributo al bene comune secondo il principio di sussidiarietà. La Chiesa offre educazione primaria al 50% della popolazione scolastica e il 50% per cento dei servizi sanitari di base in molti Paesi del continente africano e questo non viene riconosciuto adeguatamente.
A fronte di queste dimensioni del servizio offerto ai fratelli dalla Chiesa, il fondo globale per le tre grandi malattie destina solo il 3,6% di tutte le risorse che gestisce alle Faith Based Organization complessivamente.
La conferenza episcopale ugandese ha, in questo senso, operato mirabilmente ma molto si può fare ancora.

[00189-01.04] [UD021] [Testo originale: italiano]

- Sig. Ermelindo Rosário MONTEIRO, Segretario Generale della Commissione Episcopale Giustizia e Pace, Maputo (MOZAMBICO)

La Chiesa in Africa deve affrontare molte sfide. In Mozambico, per esempio, durante e dopo la guerra civile, la Chiesa cattolica ha collaborato in modi diversi per formare la coscienza delle persone al perdono e alla riconciliazione nazionale e così recuperare il tessuto umano e sociale del popolo, in vista della pace. Ha organizzato l’unione di tutte le sue forze vive (laici, religiosi, sacerdoti) per mobilitare l’opinione pubblica sul perdono e la riconciliazione. Ha promosso l’educazione del popolo alla pace, mediante dichiarazioni pubbliche dei suoi Vescovi in lettere, comunicati ed esortazioni pastorali. Gli stessi vescovi hanno tenuto incontri sistematici di dialogo con le autorità governative e con i responsabili del movimento di Resistenza Nazionale per sottolineare che non erano le armi, ma il dialogo, la via più giusta per raggiungere la pace. La Chiesa inoltre ha formato più di 2000 operatori sociali di integrazione (animatori della riconciliazione) che hanno portato in tutto il paese il messaggio di perdono e riconciliazione per la pace. Il venerdì era dedicato alle preghiere per la pace. In altre occasioni si teneva una preghiera ecumenica e inter-religiosa per la pace.
Di fronte alle nuove realtà e alle nuove sfide attuali occorre considerare anche aspetti interni della Chiesa che possono costituire una contro testimonianza di riconciliazione e di giustizia, rendendo così difficile la costruzione della pace.
Per tutte queste cose e altro ancora, vorrei suggerire ai nostri pastori che continuino a insistere sull’annuncio della verità e sulla denuncia di tutto quanto possa ferire la riconciliazione, la giustizia e la pace in Africa, perché il vostro impegno pieno disinteressato, Signori Vescovi, è un esempio che si moltiplicherà in ciascuno dei fedeli che vi sono stati affidati. Suggerisco inoltre ai nostri pastori che potenzino sempre di più e sempre meglio le commissioni di Giustizia e Pace, affinché contribuiscano in modo più efficace, come sale della terra e luce del mondo, al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace.

[00190-01.06] [UD022] [Testo originale: portoghese]

- Sig.ra Barbara PANDOLFI, Presidente generale dell'Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo (ITALIA)

Quella dei membri degli Istituti Secolari è una presenza nascosta, accettando la precarietà della vita quotidiana, fianco a fianco con gli altri, senza protezione e privilegi, alla ricerca di strade e soluzioni talvolta solo probabili, vissuta col desiderio di una fraternità universale.
Per questo la vocazione degli Istituti secolari evidenzia l'esigenza della promozione di un laicato maturo, che possa contribuire all'edificazione di una società civile basata sui valori umani del cristianesimo.Nella ricerca della giustizia e della pace, in particolare, l’esperienza dei laici consacrati, inseriti nei diversi ambiti della vita sociale, può favorire micro-processi di riconciliazione, contribuire a una coscienza critica, individuando alla luce del Vangelo, vie alternative di giustizia e condivisione.
La nostra vita ed esperienza ci porta a guardare al mondo e alla storia con discernimento e senso critico, ma anche con una visione positiva che parte dalla certezza che, dovunque, si possono trovare i segni e i germi della presenza di Dio, che chiedono di essere riconosciuti, promossi e accompagnati, facendo proprio lo stile del dialogo e della testimonianza.
Se la donna è un asse portante della società africana, spesso lo è in modo “nascosto”, non ufficiale e riconosciuto, tra difficoltà e pregiudizi.
Essendo la maggioranza degli Istituti secolari in Africa Istituti femminili, si pone urgente l’esigenza di favorire e promuovere la valorizzazione della donna, non solo perché sposa e madre, ma in quanto persona capace di responsabilità e autonomia nei diversi ambiti della vita sociale, e l’urgenza di una sua presenza peculiare e non solo subordinata nella Chiesa.
Se la prima frattura nel genere umano, causata dal peccato, è stata quella tra uomo e donna, uno dei segni della pace e della riconciliazione, forse, può essere proprio dato dalla promozione di una reale corresponsabilità e di un effettivo riconoscimento di pari dignità tra uomini e donne, oltre ogni dominio e discriminazione.
Forse è giunto il momento che la donna, spesso, tradizionalmente, soggetta all’uomo, possa stare davvero, in tutti i campi della vita sociale ed ecclesiale, di fronte all'uomo, in dialogo con lui. In questo senso il Vangelo può diventare una reale forza di cambiamento.

[00191-01.02] [UD023] [Testo originale: italiano]

- Rev.da Suora Maria Ifechukwu UDORAH, D.D.L., Superiora Generale delle Figlie del Divino Amore, Enugu (NIGERIA)

Appoggio il progetto proposto da Sua Eccellenza Monsignor Adewale Martins della Nigeria per i giovani. Vorrei però aggiungere va dedicata attenzione anche ai bambini. La Holy Childhood Association sta già svolgendo un lavoro importante in alcuni dei nostri paesi, ma si potrebbe dare un orientamento più preciso ai loro programmi, affinché possano essere meglio concosciuti la cultura cristiana e i valori cattolici. Le diocesi potrebbero preparare un programma da utilizzare per l’istruzione religiosa nelle scuole cattoliche. Ciò significherebbe dedicare una maggiore attenzione alla formazione spirituale dei bambini nelle scuole elementari e secondarie. Un programma definito per le attività dei giovani nelle università rappresenterebbe quindi il proseguimento dell’opera iniziata nelle scuole elementari e secondarie. Così, quando nel prossimo decennio i candidati alla vita religiosa e al sacerdozio verranno presi dalla società, la formazione sarà molto più semplice.
Riguardo alle persone consacrate, così come indicato nell’Instrumentum laboris ai numeri 113 e 114, concordo con quanto detto da Sua Eminenza il Cardinale Francis. Vorrei però aggiungere che tutti noi agenti di evangelizzazione dobbiamo considerarci un’unica squadra che gioca per la Chiesa-Famiglia di Dio al fine di rendere una testimonianza efficace e non in competizione tra noi. Suor Felicity Harry ha fatto il punto sulle persone consacrate, ma in aggiunta vorrei proporre l’organizzazione di incontri regolari per i sacerdoti diocesani e le persone consacrate che operano nelle diocesi, perché possano dialogare e scambiarsi le idee. Si potrebbe inoltre approfittare di tali occasioni per tenere seminari sullo spirito e il lavoro di squadra per tutti gli agenti di evangelizzazione.Molte congregazioni religiose locali si dedicano ora a opere missionarie ad intra e ad extra e devono affrontare la sfida della mancanza di un sostegno adeguato da parte della Chiesa-Famiglia di Dio alle loro iniziative. Propongo che i padri sinodali dedichino a questo aspetto un po’ della loro attenzione.

[00192-01.04] [UD024] [Testo originale: inglese]

INTERVENTO DELL’INVITATO SPECIALE DR. JACQUES DIOUF, DIRETTORE GENERALE DELLA FAO

Desidero rivolgervi, per cominciare, un rispettoso e cordiale saluto.

Permettetemi di esprimervi l’onore e l’emozione che provo per essere stato invitato a intervenire davanti a questa augusta Assemblea. Desidero esprimere la mia profonda gratitudine per il vostro invito di cui riconosco il carattere eccezionale. È segno di particolare distinzione essere associato alle vostre riflessioni su alcuni dei problemi cruciali del mondo, segnatamente l’insicurezza alimentare che mi avete chiesto di affrontare con voi.
Non si poteva concepire il nostro dialogo senza l’intermediazione della parola che è tanto distintiva dell’uomo, ma che è anche il vettore del messaggio universale di pace, solidarietà e fraternità.
Il vostro solenne incontro è posto sotto il segno della trilogia: “Sinodo”, “Vescovo”, “Africano”. Avendo il privilegio di prendere la parola davanti al Santo Padre, devo attingere alle sorgenti della saggezza degli antichi per evitare di avventurarmi nel labirinto intellettuale dei due sostantivi: “Sinodo” e “Vescovo”. Oserei dunque azzardarmi solo sul cammino meno arduo del sostantivo “Africano”.
L’Africa, vuol dire prima di tutto valori comuni di civiltà basati su una coscienza storica di appartenenza a uno stesso popolo. Partito dalla zona dei grandi laghi nel corso della preistoria per fuggire la desertificazione, questo popolo, nel corso della protostoria, ha creato le civiltà sudanese-nilotica ed egiziana. Nel VI secolo, l’occupazione straniera dell’Egitto ha provocato le migrazioni verso il sud e verso l’ovest, a partire dalla valle del Nilo. Dall’inizio del I secolo fino alle invasioni d’oltremare, si sono succeduti imperi e regni fiorenti: Ghana, Nok, Ifé, Mali, quindi Songhai, Haoussa e Kanem-Bornou, Zimbabwe e Monomotapa, Congo. Tali valori si fondano su una coscienza geografica, un territorio che è un triangolo delimitato dall’oceano Atlantico, dall’oceano Indiano e dal mar Mediterraneo. L’Africa, martirizzata, sfruttata, depredata dalla schiavitù e dalla colonizzazione, ma ora politicamente sovrana, non deve ripiegarsi nel rifiuto e nella negazione, anche se ha il dovere della memoria. Essa deve avere la grandezza del perdono e continuare a sviluppare una coscienza culturale basata su una identità propria, che rifiuta l’assimilazione alienatrice. Deve approfondire i concetti operativi di negritudine e di africanità, compresa la diaspora, concetti fondati sul radicamento, ma anche sull’apertura.
Questi valori si riflettono in una espressione artistica (pittura, scultura) che accentua le forme e le dimensioni per trasmettere soprattutto un messaggio d’amore o manifestare un’emozione che travalica le opposizioni dicotomiche. Essi si esprimono anche mediante musica e danze impreziosite più dal ritmo e dall’improvvisazione che dal lirismo e dal solfeggio. Questi valori hanno prodotto anche un tipo di architettura caratterizzato da un parallelismo simmetrico in cui dominano punti, triangoli e cilindri, in contrasto con gli angoli retti, i quadrati e i cubi in equilibrio in rapporto ad assi centrali, tanto peculiari degli edifici di altri continenti.
È questo terreno culturale a costituire la solida base su cui l’Africa deve costruire il suo futuro in armonia con gli altri uomini del pianeta Terra.
L’Africa è sempre stata presentata nell’ottica delle difficoltà che incontra, ma essa è una terra con un futuro, che nei prossimi quarant’anni sperimenterà un forte incremento demografico. Nel 2050 conterà due miliardi di abitanti - il doppio di oggi - sorpassando così l’India (1,6 miliardi di abitanti) e la Cina (1,4 miliardi di abitanti), e rappresenterà il più grande mercato del mondo.
Con delle risorse mondiali costituite dall’80% del platino, l’80% del manganese, il 57% dei diamanti, il 34% dell’oro, il 23 % di bauxite, il 18% di uranio, il 9% di petrolio, l’8% di gas, l’Africa è essenziale nello sviluppo economico del pianeta. Tuttavia questo potenziale minerario ed energetico non diventerà realtà, se non sarà messo al servizio dell’emancipazione economica delle sue popolazioni, se l’Africa non si libera dal giogo della fame e della denutrizione. Perciò, essa dovrà vivere nella pace e nell’unità. La gestione politica degli Stati dovrà avvenire nella democrazia, nella trasparenza, nel primato dei diritti e nell’applicazione della legge, per una giustizia indipendente, davanti alla quale tutti i cittadini sono responsabili dei propri atti. L’economia dovrà creare la ricchezza e il benessere a vantaggio del popolo, in particolare delle persone più diseredate e più vulnerabili.
La sicurezza alimentare è indispensabile a ridurre la povertà, all’educazione dell’infanzia, alla salute della popolazione e alla sicurezza del mondo, ma anche a una crescita economica duratura. Essa condiziona la stabilità e la sicurezza del mondo. Nel periodo delle “rivolte della fame” in 22 paesi di tutti i continenti, nel 2007 e 2008, la stabilità dei governi è stata fatta vacillare. Tutti hanno potuto rendersi conto che l’alimentazione è anche una questione sociale di prim’ordine e un fattore essenziale della sicurezza globale.
Nel 1996, il Vertice mondiale sull’alimentazione, organizzato dalla Fao, ha preso l’impegno solenne di dimezzare la fame e la sottoalimentazione nel mondo. A tale scopo aveva adattato un programma al fine di giungere alla sicurezza alimentare durevole. Questo impegno è stato confermato, nel 2000, dal Vertice del Millennio, dal Vertice mondiale sull’alimentazione, cinque anni dopo, nel 2002, e dalla Conferenza ad alto livello della Fao sulla Sicurezza alimentare mondiale, tenutasi nel giugno 2008.
Sfortunatamente i dati più recenti raccolti dalla Fao sulla fame e la malnutrizione nel mondo mostrano che la situazione attuale è ancora più inquietante che nel 1996. L’insicurezza è aumentata ovunque nel mondo nel corso degli ultimi tre anni, a causa della crisi mondiale del 2007-2008, indotta dall’impennata dei prezzi delle derrate alimentari ed acuita dalla crisi finanziaria ed economica che affligge il mondo da oltre un anno. Tutte le regioni del pianeta ne sono state colpite. Per la prima volta nella storia dell’umanità il numero delle persone che soffre la fame ha raggiunto il miliardo, ovvero il 15% della popolazione mondiale.
In Africa, nonostante gli importanti progressi realizzati in numerosi paesi, lo stato di insicurezza alimentare è molto preoccupante. Il continente conta attualmente 271 milioni di persone denutrite, ovvero il 24% della popolazione, con un aumento del 12% rispetto all’anno precedente. Inoltre, dei trenta paesi al mondo in stato di crisi alimentare che attualmente hanno bisogno di un aiuto urgente, ventidue si trovano in Africa.
I risultati ottenuti dall’agricoltura africana negli ultimi decenni sono stati insufficienti. L’incremento della produzione agricola (2,6% all’anno fra il 1970 e il 2007) è stato compensato dall’incremento della popolazione (2,7% nello stesso periodo) e dunque non ha aumentato le disponibilità alimentari medie per persona. Eppure l’agricoltura rappresenta l’11% delle esportazioni, il 17% del Pil del continente e, soprattutto, il 57% dei posti di lavoro. Essa resta un settore economico essenziale e un fattore di equilibrio sociale senza equivalenti.
Da questo punto di vista, sono fattori essenziali il contributo della donna africana alla produzione e al commercio agricoli e il suo ruolo nel nutrimento di tutta la famiglia. In effetti, nessuna iniziativa volta a fronteggiare il problema dell’insicurezza alimentare in Africa può avere successo senza tenere conto di questa realtà economica e sociale.
L’Africa ha bisogno di modernizzare i suoi mezzi e le sue infrastrutture di produzione agricola. L’uso dei moderni input è attualmente molto insufficiente. Così, vengono utilizzati solamente 16 kg di concime per ettaro di terra arabile contro i 194 kg in Asia e i 152 in America del Sud. Questo rapporto è ancora più basso nell’Africa sub-sahariana con soli 5 kg per ettaro. L’uso di sementi selezionate, che hanno determinato il successo della Rivoluzione verde in Asia, è in Africa molto scarso. Solo un terzo delle sementi è sottoposto a un sistema di controllo della qualità e a un sistema di certificazione.
Nel continente c’è grande carenza d’infrastrutture di trasporto, mezzi di stoccaggio e di condizionamento. Le strade in zone rurali sono al livello dell’India agli inizi degli anni Settanta. Le perdite di raccolto raggiungono per alcuni prodotti agricoli percentuali dal 40 al 60%.
In Africa solo il 7% delle terre arabili è irrigato contro il 38% in Asia. Tale tasso scende al 4% nell’Africa sub-sahariana, dove, nel 93% delle terre, la vita - dovrei dire la sopravvivenza - delle popolazioni dipende dalla pioggia, fattore sempre più aleatorio per il riscaldamento climatico. Eppure il continente non utilizza che il 4% delle sue riserve di acqua contro il 20% dell’Asia.
Inoltre, il commercio dei prodotti agricoli intra-africani resta relativamente limitato. Nonostante l’esistenza di 14 raggruppamenti economici regionali, solamente il 14% delle importazioni dei principali prodotti alimentari in Africa proviene dalla regione. Per i cereali, la percentuale non è che del 6%. Il commercio interregionale dei prodotti agricoli in Africa, come del resto per gli altri prodotti, dovrà essere maggiormente incoraggiato, perché rivesta un ruolo più importante nella sicurezza alimentare del continente.
Gli agricoltori africani hanno bisogno di migliorare le loro condizioni di vita. Devono poter vivere degnamente, lavorando con mezzi moderni. Hanno bisogno di sementi ad alto rendimento, di concime, di cibo per il bestiame e di altri input moderni. Non possono continuare a lavorare la terra, come nel Medioevo, con gli utensili tradizionali, in condizioni aleatorie, esposti alla variabilità del tempo atmosferico.
Conviene dire e ridire che è impossibile sconfiggere la fame e la povertà in Africa senza aumentare la produttività agricola, poiché l’estensione delle superfici comincia a trovare dei limiti per l’impatto della deforestazione e delle incursioni negli eco-sistemi fragili. Il programma dettagliato di sviluppo dell’agricoltura africana (PDDAA), preparato con il sostegno della Fao, e completato con i documenti sull’allevamento, le foreste, la pesca e l’acquicoltura, è stato adottato dai capi di governo dell’Unione africana nel luglio 2003. Subito dopo 51 paesi africani hanno richiesto il sostegno della Fao per la traduzione di questo programma a livello dei singoli stati. In tal modo sono stati preparati programmi nazionali d’investimento a medio termine e progetti d’investimento per un totale di circa 10 miliardi di dollari Usa.
Il problema dell’acqua è chiaramente essenziale. Esso lo sarà ancora di più per le conseguenze del riscaldamento climatico che avrà un impatto particolarmente negativo sulle condizioni della produzione agricola in Africa. Secondo il Gruppo di esperti intergovernativo dell’Onu sull’evoluzione climatica (GIEC, il rendimento delle colture pluviali in Africa potrebbe regredire del 50% da qui al 2020. Così, nel dicembre 2008, è stata organizzata a Sirte, dalla Fao e con l’appoggio del governo libico, una riunione dei ministri dell’Agricoltura, delle Risorse idriche e dell’Energia. È stato approvato un portafoglio di progetti per un ammontare di 65 miliardi di dollari Usa, per un programma a breve, medio e lungo termine di irrigazione e di energia idrica, fissato per ciascun paese dai governi africani con l’aiuto della Fao.
Ma non possiamo raggiungere i nostri obiettivi senza sufficienti risorse economiche. Infatti, il problema dell’insicurezza alimentare in questo mondo è, prima di tutto, una questione di mobilitazione al più alto livello politico, affinché le risorse economiche necessarie siano disponibili. È una questione di priorità di fronte ai bisogni umani più fondamentali.
È bene ricordare che ogni anno gli aiuti all’agricoltura dei paesi dell’OECD raggiungono i 365 miliardi di dollari Usa e le spese per gli armamenti 1.340 miliardi di dollari Usa all’anno nel mondo. Del resto, desidero sottolineare che i finanziamenti necessari per la lotta contro la fame arriverebbero a 83 miliardi di dollari Usa all’anno, provenienti dal bilancio degli stessi paesi in via di sviluppo, dall’investimento privato, in particolare dagli agricoltori stessi e, infine, dall’aiuto pubblico allo sviluppo.
Ciò che oggi constatiamo è il risultato di scelte effettuate sulla base di motivazioni materialistiche a scapito dei referenziali etici. Ne conseguono condizioni di vita ingiuste e un mondo ineguale dove un numero ristretto di persone diventa sempre più ricco, mentre la grande maggioranza della popolazione diventa sempre più povera.
Vi sono sulla terra mezzi economici a sufficienza, tecnologie efficaci, risorse naturali e umane per eliminare definitivamente la fame nel mondo. Esistono, a livello nazionale e regionale, i piani, i programmi, i progetti e le politiche per raggiungere questo obiettivo. In alcuni paesi, dal 2 al 4% della popolazione è in grado di produrre di che nutrire tutta la nazione e anche di esportare, mentre la grande maggioranza degli altri, il 60-80% della popolazione, non è nemmeno in condizione di soddisfare in minima parte il fabbisogno alimentare del paese.
Il mondo ha speso il 17% dell’aiuto pubblico alla sviluppo negli anni Settanta per evitare i rischi di carestia in Asia e in America Latina. Queste risorse erano necessarie per costruire i sistemi di irrigazione, le strade rurali, i mezzi di stoccaggio come pure i sistemi di produzione delle sementi, le fabbriche di fertilizzanti e di alimenti per il bestiame che hanno costituito la base della Rivoluzione verde.
Le risorse per sviluppare l’agricoltura africana dovranno innanzitutto provenire dai bilanci nazionali. A Maputo, nel luglio del 2003, i capi di stato e di governo africani si sono impegnati ad aumentare la parte del loro bilancio nazionale destinato all’agricoltura almeno fino al 10% entro i prossimi cinque anni. Solo 5 paesi finora hanno rispettato questo impegno, anche se in altri 16 paesi sono stati osservati dei progressi.
In futuro, l’Aiuto pubblico allo sviluppo dovrebbe aumentare in conformità con gli impegni di Monterrey del 2002 e di Doha del 2008. La tendenza alla diminuzione degli aiuti allo sviluppo destinati all’agricoltura, scesi dal 17% nel 1980 al 3,8% nel 2006, deve essere invertita. Oggi il livello è del 5%, nonostante il 70% dei poveri del mondo abbia come mezzo di sostentamento l’agricoltura, che dà cibo, reddito e lavoro. Gli stessi obiettivi di crescita devono essere adottati per i finanziamenti delle banche regionali e sub-regionali, come pure delle agenzie di aiuti bilaterali.
Infine, gli investimenti del settore privato nel settore agricolo e alimentare devono essere incoraggiati da quadri giuridici stabili. La collaborazione fra settore privato e pubblico deve essere potenziata nel quadro di un partenariato che eviti le trappole dello scambio diseguale. Per questo, dunque, è necessario adottare e applicare un codice internazionale di buona condotta sugli investimenti stranieri diretti all’agricoltura.
Eppure, in questo difficile contesto di cristi economica, la Fao ha mobilitato, negli ultimi due anni, tutti i mezzi tecnici e finanziari a disposizione per far fronte alla crisi alimentare.
Oltre all’assistenza fornita nel quadro di programmi nazionali e regionali di sicurezza alimentare e dei progetti di urgenza lanciati per far fronte agli effetti degli uragani e di altre catastrofi naturali, la Fao ha lanciato il 17 dicembre 2007 la sua “Iniziativa di lotta contro il rialzo dei prezzi delle derrate alimentari”. L’obiettivo è di facilitare l’accesso dei piccoli agricoltori alle sementi, ai fertilizzanti, agli attrezzi agricoli e all’equipaggiamento per la pesca. Il budget attuale dei diversi progetti che rientrano in questa iniziativa ammonta a 52 milioni di dollari Usa in Africa. Inoltre, in 16 paesi africani, sono attuati dalla Fao, grazie al sostegno dell’Unione Europea, nel quadro della sua “Agevolazione di un miliardo di euro”, progetti per un budget di 163,4 milioni di dollari Usa. Tali risorse sono messe a disposizione dei paesi in via di sviluppo per aiutarli a far fronte alla crisi alimentare. Si tratta ora di estendere, approfondire e accrescere tali programmi e progetti.
Oggi l’ondata di migranti clandestini che fuggono la fame e la povertà porta sulle sponde dell’Europa australe il triste spettacolo dei sogni spezzati di uomini, donne e bambini in cerca di una condizione migliore di vita, molti dei quali trovano una fine tragica lontano dagli orizzonti e dalle persone che sono loro cari.
Da ottimista per natura quale sono, credo vivamente che domani, grazie agli investimenti e alla formazione, il reflusso della marea di figlie e figli dell’Africa verso le terre fertili e l’acqua abbondante del continente produrrà le condizioni per un futuro radioso di lavoro e di prosperità che coloro che sono stati troppo a lungo emarginati e che, le donne in particolare, hanno tutto per essere serbatoio del mondo.
Una pianta liberata dalla fame è ciò che può fare il miracolo di una fede incrollabile nell’onniscienza di Dio e la fiducia indefettibile nell’umanità. Ho dunque preso atto con grande soddisfazione dell’iniziativa di sicurezza alimentare del G8 dell’Aquila, nel luglio scorso, al quale ho partecipato, e che ha messo l’accento, per la prima volta, sullo sviluppo agricolo a medio e lungo termine, a favore di piccoli produttori dei paesi in via di sviluppo. Si tratta, infatti, di non contare solamente sull’aiuto alimentare a breve termine, certamente indispensabile nelle numerose crisi, generate dalle catastrofi naturali e dai diversi conflitti, ma che non può assicurare l’alimentazione quotidiana al miliardo di persone che soffrono la fame nel mondo.
L’impegno assunto in quella occasione, di mobilitare 21 miliardi di dollari Usa in tre anni per la sicurezza alimentare, è un segno incoraggiante; basta che, questa volta, venga attuato concretamente e rapidamente.
Ho parlato per molti anni, senza grandi risultati, a favore dell’investimento nella piccola agricoltura dei paesi poveri per trovare una soluzione duratura al problema dell’insicurezza alimentare. Sono dunque particolarmente lieto che oggi i responsabili del G8 aderiscano a questo tipo di approccio.
Forte di questa prospettiva di poter mobilitare maggiormente dei mezzi all’altezza delle poste in gioco, il Consiglio della Fao ha deciso di convocare un vertice mondiale sulla sicurezza alimentare a livello di capi di stato e di governo presso la sede della Fao a Roma, dal 16 al 18 novembre 2009. È opportuno, infatti, creare un ampio consenso sullo sradicamento definitivo della fame nel mondo, per permettere a tutti i popoli della terra di beneficiare del “diritto all’alimentazione” che è il diritto fondamentale dell’uomo. Da parte mia, sono convinto, perché so che è tecnicamente possibile, che dobbiamo fissarci questo obiettivo per il 2025, come già hanno fatto i dirigenti ispano-americani per l’America Latina e i Caraibi.
Di tutte le lacerazioni che il continente africano vive, la fame rimane quella più drammatica e intollerabile. Qualsiasi impegno per la giustizia e la pace in Africa è inscindibile da una esigenza di progresso nella realizzazione del diritto all’alimentazione per tutti. Ricorderò a questo proposito il messaggio di Sua Santità Benedetto XVI, nel giugno 2008, alla Conferenza di alto livello sulla sicurezza alimentare mondiale promossa dalla Fao, dove in particolare dichiarava: “occorre ribadire con forza che la fame e la malnutrizione sono inaccettabili in un mondo che, in realtà, dispone di livelli di produzione, di risorse e di conoscenze sufficienti per mettere fine a tali drammi ed alle loro conseguenze”.Queste parole mostrano, se ce ne fosse bisogno, la coincidenza dei punti di vista della Chiesa cattolica e della Fao su questo problema fondamentale. La Chiesa si è sempre prefissa come compito quello di alleviare la miseria dei più bisognosi e il motto della Fao è “Fiat Panis”, “pane per tutti”.
Santo Padre, nella sua ultima enciclica “Caritas in Veritate” Lei sottolinea che qualsiasi decisione economica ha una conseguenza di carattere morale. Ed è proprio a questo livello che dobbiamo elevarci, poiché, come lei scrive, “L’economia infatti ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona”.
Léopold Sédar Senghor - consentitemi di citarlo qui - ha detto: “Bisogna accendere la lampada dello spirito perché non marcisca il legno, non ammuffisca la carne...”.
La Fao si sforza, con i mezzi di cui dispone e nonostante le limitazioni e gli ostacoli che può incontrare, di mobilitare tutti gli attori e i coloro che prendono decisioni per la lotta contro la fame e di sviluppare programmi volti a migliorare la sicurezza alimentare, prioritariamente nei paesi più vulnerabili.
Ciò che ci anima è il volto di quest’uomo, di questa donna, di questo bambino che ci guardano negli occhi, con la pancia vuota, in attesa del loro pane quotidiano e la cui tristezza e disperazione ossessionano i nostri sonni agitati. È il principio della “centralità della persona umana” che Lei, Santo Padre, ha così opportunamente ricordato nella sua enciclica.
La visione di un mondo liberato dalla fame è possibile, se c’è una volontà politica al livello più alto. Infatti, numerosi paesi in Africa sono riusciti a ridurre la fame. Sono il Camerun, il Congo, l’Etiopia, il Ghana, la Nigeria, il Malawi, il Mozambico e l’Uganda.
Le grandi forze spirituali e morali sono, per la nostra azione, un sostegno inestimabile. Poiché il compito è in effetti immenso e le nostre capacità d’azione non sempre sono all’altezza della volontà che ci anima. Non avremo mai mezzi abbastanza per soddisfare il “diritto all’alimentazione” per tutti.
Desidero anche rendere omaggio all’azione della Chiesa sul campo, a fianco dei poveri. I missionari, le religiose e molte comunità svolgono spesso un lavoro difficile, a volte ingrato, ma sempre utile, accanto alle organizzazioni intergovernative, alle Ong e alla società civile. Desidero salutare questi uomini e queste donne che ho visto agire in molti paesi con discrezione ed efficienza.
Vorrei soprattutto sottolineare la convergenza degli insegnamenti religiosi, in particolare quelli della Chiesa cattolica e dell’Islam, sulla necessità di vegliare sulla gestione razionale delle risorse sulla base di una strategia d’azione rispettosa delle persone e dei beni di questo mondo, lungi dagli eccessi e dallo spreco. Tutti questi insegnamenti sottolineano il ruolo fondamentale della responsabilità sociale, raccomandando la sollecitudine verso i più bisognosi. La Dottrina Sociale della Chiesa è, da questo punto di vista, un contributo essenziale.
Permettetemi di concludere questo intervento, citando questo versetto del Corano: “Quando vogliamo distruggere una città, ordiniamo (il bene) ai suoi ricchi” (Surat Al-Isra, versetto 16).
Possa, il nostro mondo, evitare questo naufragio!

[00224-01.02] [RE000] [Testo originale: francese]

CONFERENZE STAMPA

La seconda Conferenza Stampa sui lavori sinodali (con la traduzione simultanea in italiano, inglese, francese e portoghese) si terrà nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede mercoledì 14 ottobre 2009 (dopo la Relatio post disceptationem), alle ore 12.45 orientativamente. Interverranno:

- S.Em.R. Card. Wilfrid Fox NAPIER, O.F.M., Arcivescovo di Durban (SUDAFRICA), Presidente Delegato
- S. Em. R. Card. Théodore-Adrien SARR, Arcivescovo di Dakar, Primo Vice Presidente del Simposio di Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (S.E.C.A.M.) (SENEGAL), Presidente Delegato
- S.Em.R. Card. John NJUE, Arcivescovo di Nairobi, Presidente della Conferenza Episcopale (KENYA), Presidente della Commissione per l’Informazione
- S. E. R. Mons. Manuel António MENDES DOS SANTOS, C.M.F., Vescovo di São Tomé e Príncipe (SÃO TOMÉ E PRÍNCIPE), Membro della Commissione per l’Informazione
- Rev. P. Federico LOMBARDI, S.I., Direttore della Sala Stampa della Santa Sede (CITTÀ DEL VATICANO)

La terza Conferenza Stampa sui lavori sinodali (con la traduzione simultanea in italiano, inglese, francese e portoghese) si terrà nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede venerdì 23 ottobre 2009 (dopo il Nuntius), alle ore 12.45 orientativamente. Interverranno:

- S. E. R. Mons. John Olorunfemi ONAIYEKAN, Arcivescovo di Abuja (NIGERIA), Presidente della Commissione per il Messaggio
- S. E. R. Mons. Youssef Ibrahim SARRAF, Vescovo di Le Caire dei Caldei (EGITTO), Vice-Presidente della Commissione per il Messaggio
- S. E. R. Mons. Francisco João SILOTA, M. Afr., Vescovo di Chimoio, Secondo Vice Presidente del Simposio delle Conferenze Episcopali d'Africa e Madagascar (S.E.C.A.M.) (MOZAMBICO), Membro della Commissione per il Messaggio
- Rev. P. Federico LOMBARDI, S.I., Direttore della Sala Stampa della Santa Sede (CITTÀ DEL VATICANO)

La quarta Conferenza Stampa sui lavori sinodali (con la traduzione simultanea in italiano, inglese, francese e portoghese) si terrà nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede Sabato 24 ottobre 2009 (dopo l’Elenchus finalis propositionem), alle ore 12.45 orientativamente. Interverranno:

- S. Em. R. Card. Peter Kodwo Appiah TURKSON, Arcivescovo di Cape Coast, Presidente dell'Associazione delle Conferenze Episcopali dell'Africa Occidentale (A.C.E.A.O./A.E.C.W.A.) (GHANA), Relatore Generale
- S. E. R. Mons. Damião António FRANKLIN, Arcivescovo di Luanda, Presidente della Conferenza Episcopale (ANGOLA), Segretario Speciale
- S. E. R. Mons. Edmond DJITANGAR, Vescovo di Sarh (CIAD), Segretario Speciale
- Rev. P. Federico LOMBARDI, S.I., Direttore della Sala Stampa della Santa Sede (CITTÀ DEL VATICANO)

I Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) e fotoreporter sono pregati di rivolgersi per il permesso di accesso al Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali.

 
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