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CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
NEL
CORSO DEL CONVEGNO NAZIONALE
DEGLI EDUCATORI DEI SEMINARI D'ITALIA

OMELIA DEL CARD. ZENON GROCHOLEWSKI

Rocca di Papa
Lunedì, 2 luglio 2007

 

Le letture dell'odierna Messa (lunedì, della 13 settimana T.O. anno dispari) ci suggeriscono tre riflessioni in riferimento al tema del presente Convegno, che riguarda il documento della Conferenza Episcopale Italiana "La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana. Orientamenti e Norme per i Seminari", ossia la nuova Ratio institutionis sacerdotalis per l'Italia. Le tre riflessioni, che vorrei proporre, accentuano altrettanti requisiti che devono caratterizzare ogni sacerdote, anzi in qualche modo formano la sua identità. Essi, di conseguenza, devono essere fortemente presenti nel processo formativo che si compie nei Seminari per essere plasmati profondamente nei futuri sacerdoti.

Lo zelo pastorale

La prima riflessione concerne lo zelo pastorale. La lettura dal libro della Genesi (Gn 18, 16-33) ci ha presentato Abramo nella premurosa sollecitudine di salvare i giusti e con questi anche tutta Sòdoma e Gomorra dallo sterminio. Nel suo appassionato atteggiamento, egli intercede insistentemente per essi, e quasi litiga con il Signore: "Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano?". E non si accontenta della risposta del Signore: "Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città", ma ribadisce: "Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?". Poi insiste ulteriormente: "Forse là se ne troveranno quaranta"; ancora non cede: "Forse là se ne troveranno trenta"; e di nuovo: "Forse là se ne troveranno venti". Neppure qui finisce la sua insistenza: "Forse là se ne troveranno dieci". Impressiona questa sua appassionata tenacia per salvare la città.

Un tale zelo per salvare la gente deve essere connaturale ad ogni sacerdote. Egli è proprio inviato dal Signore per condurre la gente alla salvezza, per salvarla, impegnandosi nell'insegnamento, nell'amministrazione dei sacramenti e nella premurosa guida pastorale. La consapevolezza di tale missione il sacerdote la deve avere nel sangue, nelle vene; essa lo deve animare in ogni momento della sua esistenza.

Tale esempio di pastore, infatti, ci ha dato Gesù. Pastore che va in cerca della pecora smarrita, e trovatala si rallegra per essa più che per novantanove che non si sono smarrite (cfr Mt 18, 12-13, Lc 15, 3-6), che "non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli" (Mt 18, 14), che si adopera perché le pecore "abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Gv 10, 10), che offre la vita per le pecore (cfr Gv 10, 11-15), che sente il dovere di condurre all'ovile anche quelle che ancora non vi si trovano (cfr Gv 10, 16).

E davvero deprimente vedere un sacerdote senza un vero zelo pastorale, ossia che si accontenta della mediocrità, un mercenario. Questo non è altro che una rinuncia a compiere la missione di pastore come essa è stata delineata da Gesù. Ci vengono in mente le parole del libro dell'Apocalisse: "Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca" (Ap 3, 15-16).

La menzionata nuova Ratio sottolinea proprio l'esigenza dello zelo, quando afferma che "la comunità educativa del seminario è chiamata a [...] rafforzare nei seminaristi la passione evangelizzatrice e missionaria" (n. 2, cfr anche n. 20) e quando nella carità pastorale scorge il "nucleo vitale" che unifica diverse componenti del ministero presbiterale (cfr nn. 4, 8-11). Sia la "passione" che la "carità", se sono autentiche, designano un dinamismo insopprimibile e creativo, sono le componenti essenziali dello zelo, elementi che lo sprigionano e rinvigoriscono.

Lo zelo lo può infiammare soltanto chi si distingue per un tale zelo pastorale. Esso, del resto, è contagioso, come ci dimostra la storia di San Francesco d'Assisi, Sant'Ignazio di Loyola e tanti altri.
Questa riflessione, quindi, non ci dice soltanto a quale forma di vita devono essere formati i seminaristi, ma interpella profondamente ognuno di noi, interpella ogni formatore dei Seminari.

Personalmente ho avuto il dono in Seminario di un Rettore che in modo naturale e penetrante seminava nei nostri cuori grande zelo, un fervore pastorale. Nei suoi discorsi, coerenti con la sua vita sacerdotale, e nei colloqui personali con noi infiammava i nostri cuori. Ma egli non svolgeva tante altre funzioni nella diocesi o altrove, per lui la funzione unica e la passione vitale era il seminario, la formazione dei presbiteri, secondo il genuino insegnamento di Gesù e della Chiesa. Per aver avuto un tale Rettore ringrazio il Signore.

Lo zelo lo può infiammare solo chi lo possiede e lo vive. Sì, questa riflessione interpella ciascun formatore.

Un sano ottimismo

La prima lettura ci suggerisce anche un'altra riflessione, che riguarda un sano ottimismo basato sull'importanza o la potenza dei giusti per la salvezza del mondo. Infatti, per i soli dieci giusti, il Signore decide di non distruggere Sòdoma e Gomorra, immerse nel peccato. Abramo conta su questi giusti, crede nella loro rilevanza davanti agli occhi del Signore. E questa fede sorregge il suo impegno.

La situazione della decadenza morale, che è lo sfondo della lettura, sembra rispecchiare anche quella attuale. Però, contrariamente ad Abramo, spesso i sacerdoti di oggi si scoraggiano vedendo il male che ci circonda, vedendo perfino gli scandali compiuti dai confratelli, vedendo contestato l'insegnamento della Chiesa, accorgendosi che gli operatori del male sono talvolta più zelanti che i figli della Chiesa.

Lo scoraggiamento fa abbassare le ali, qualche volta genera anche i dubbi circa la giustezza del nostro operato e fomenta i tentativi di mitigare le esigenze del Vangelo, crea pessimismo, raffredda lo zelo.

Come Abramo, il sacerdote deve accorgersi dell'esistenza dei "giusti", deve vedere il bene: infatti, tanto bene viene realizzato ai nostri tempi nel nome di Cristo. Il sacerdote deve credere nella forza del bene, deve essere consapevole che il bene salva il mondo, che la Chiesa, pur "piccolo gregge" (Lc 12, 32) è sacramento fondamentale della salvezza di tutto il genere umano (cfr LG 48b, GS 45a).

Deve quindi difendere il vero bene, deve operare per il bene, deve far sprigionare il bene nel cuore degli uomini, deve decidersi egli stesso di realizzarlo, costi quel che costi.

Si tratta in fondo di far pervadere la vita dei sacerdoti e il loro apostolato di un sano e costruttivo ottimismo cristiano, un sano ottimismo sacerdotale, sostenuto dalla fede nella potenza del bene. Tale ottimismo contiene in sé una particolare forza, un coraggio apostolico, e costantemente sorregge lo zelo. Mi fa pena - e ciò purtroppo avviene relativamente spesso - quando nelle discussioni un sacerdote o un Vescovo, avvertendo un male esistente, si rassegna e dice: "qui non c'è niente da fare". Penso che nella vita dei sacerdoti non ci dovrebbe essere mai posto per una tale rassegnazione. L'atteggiamento del Servo di Dio Giovanni Paolo II ha molto da dirci a tale riguardo.

Dobbiamo credere nelle parole di Gesù: "Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo" (Gv 16, 33). Quindi, come scrive san Paolo: "Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito" (Rm 12, 11).

Un sano ottimismo pastorale in fondo non è altro che la fede nella forza della parola di Dio, nella presenza di Cristo, nell'azione dello Spirito Santo, nella fondamentale bontà della persona umana.

Tale ottimismo sostiene lo zelo e rende fruttuoso il servizio sacerdotale, come del resto ci insegna la storia dei santi sacerdoti.

Ma può davvero innestare un tale ottimismo sacerdotale chi non lo vive profondamente giorno per giorno?

Lo spirito di sacrificio

Il Vangelo dell'odierna Messa (Mt 8, 18-22) ci propone la terza riflessione. "Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai". Gli rispose Gesù: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".[...] "Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre". Ma Gesù gli rispose: "Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti"".

È vero che questo brano non è di facile interpretazione. Ed è pure vero che esso riguarda tutti quanti vogliono seguire Cristo, tutti i fedeli, e non solo i pastori. Comunque, questo testo sottolinea che il seguire Cristo esige l'abnegazione, le rinunce, il sacrificio, talvolta l'abbandono delle cose più amate, nonché rileva la necessità di sovrapporre a tutti gli altri valori la sequela di Cristo.

Se questo vale per ogni cristiano, vale in modo del tutto particolare per il sacerdote, che nella propria vita e nel proprio operare deve assimilarsi a Cristo che è stato - ed è in ogni Santa Messa - nello stesso tempo "sacerdos et victima" (cfr CCC. n. 1566).

La nuova Ratio cita al riguardo le parole della Pastores dabo vobis: il sacerdote "dall'Eucaristia riceve la grazia e la responsabilità di connotare in senso "sacrificale" la sua intera esistenza" (n. 19).
La realizzazione di questo postulato esprime la Ratio quando richiede dal sacerdote "di vivere la radicalità evangelica nell'obbedienza, nella povertà e nella castità nel celibato" (n. 23a, cfr nn. 23-26).

Per il sacerdote il punto principale e costante di riferimento deve essere Cristo e la missione affidatagli da Cristo tramite la Chiesa. La realizzazione di questa missione egli la deve sovrapporre a tutti gli altri valori; per realizzare questa missione deve essere disposto ad ogni sacrificio, e perfino a dare la propria vita.

Anche qui ripeto la costatazione con la quale ho concluso le precedenti riflessioni: per formare i futuri sacerdoti ad una radicalità evangelica non bastano le parole, ci vuole che i formatori si rivelino autentici e credibili modelli a questo proposito. "Verba docent, exempla trahunt"!

Conclusione

Per concludere vorrei enucleare proprio questa ultima affermazione. Non si deve mai perdere di vista che l'efficacia della formazione dei candidati al presbiterato non dipende soltanto dalla maggiore o minore presa in considerazione degli orientamenti e delle norme della nuova Ratio, ma in grandissima parte anche dalla personalità dei formatori, dalla loro visione e realizzazione del sacerdozio ministeriale, dal loro amore di Cristo e della Chiesa, dal loro zelo, dal loro ottimismo pastorale, dalla gioiosa connotazione "sacrificale" della loro esistenza sacerdotale.

Non c'è alcun dubbio, infatti, che la personalità sacerdotale dei moderatori svolge un ruolo di primaria importanza nella formazione dei futuri presbiteri. I seminaristi devono trovare in essi modelli a cui ispirarsi, modelli che entusiasmano. Altrimenti rimarranno vani molti altri sforzi.

Quindi - in ordine al pieno successo del presente Convegno - è necessario che queste giornate non siano segnalate soltanto dalle considerazioni accademiche e da molteplici accorgimenti, ma anche, e non secondariamente, da un sincero esame di coscienza, dalla riflessione su se stesso davanti al Signore, e dalla conseguente crescita del genuino impegno sacerdotale da parte di ciascuno di Voi.

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