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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 93,  December 2003, pp. 283-289

Ripartire da Cristo, pane e parola di vita.

Egli è la nostra speranza

Card. Geraldo Majella AGNELO

Arcivescovo di São Salvador da Bahia (Brasile)

La Costituzione della Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II ci insegna che “Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore” (SC 10). Queste parole, già da sole, ci danno unÂ’idea del ruolo centrale che lÂ’Eucaristia ha nella vita della Chiesa. AllÂ’Eucaristia tutto deve essere condotto; dallÂ’Eucaristia, come da un centro, tutto deve nascere; è questa che dà un senso alla nostra vita, che ci avvicina alla ragione ultima della nostra speranza.

A proposito, abbiamo terminato la celebrazione della Santissima eucaristia nella quale “abbiamo visto la vera Luce, abbiamo ricevuto lo Spirito Celestiale, abbiamo trovato la vera fede, abbiamo adorato la Trinità indivisibile, perché questa ci ha salvato” (Antifona della comunione bizantina).

Non possiamo avere dubbi riguardo al fatto che la celebrazione del memoriale del Signore è essenzialmente occasione di contemplazione del Cristo che si rende palese, poiché qui Gesù si manifesta e si dà, ed essendo Egli la Luce che illumina ogni cosa, la sua parola ci santifica, perché il suo Spirito realizza il miracolo per cui la sostanza cosmica, il pane e il vino, è trasformata nella materia celeste del suo corpo glorioso e trasfigurato (métabolé).

In questa nostra riflessione presenteremo qualche considerazione che ci aiuterà ad approfondire il tema: “Ripartire da Cristo, Pane e Parola di Vita”. Il nostro presupposto iniziale è il cristocentrismo della liturgia. Se la vita cristiana significa, come disse San Gregorio Palamas, Â“acquisizione dello Spirito Santo”, nella liturgia, essa è tutta epifania di Cristo. Egli manifesta la sua persona e la sua volontà verso i fedeli nella parola proclamata che si riassume nelle esigenze della missione e nella certezza che il Signore cammina con i suoi, ad Emaus.

In questo venerdì, 21 novembre, vogliamo ricordare il pellegrinaggio di Maria, ancora molto piccola, alla città santa di Gerusalemme quando, secondo la tradizione, fu consacrata a Javé dai suoi santi genitori, Gioacchino e Anna.

Questo è il nostro terzo giorno di partecipazione al Congresso Mondiale per la Pastorale dei Migranti e dei Rifugiati, che si sta celebrando in questa città di Roma. Abbiamo cominciato la giornata davanti a Cristo, Parola creatrice (Dabar), che viene dalla bocca e dal cuore del Padre, per nutrire la vita, perché Egli stesso è la vita, così come dice il libro della Genesi.

Liturgia, linguaggio originale per celebrare il mistero

Davanti allo sviluppo della semiotica e delle scienze del linguaggio, vediamo che la Chiesa usa un linguaggio peculiare e originale per celebrare la sua sacramentalità: essa esprime la sua fede e i suoi misteri attraverso un linguaggio semantico, morfologico, gestuale ed estetico (Luis Maldonado). La nostra sensibilità liturgica ci fa capire come lÂ’atto celebrativo comunitario sia essenzialmente un momento educativo e di dialogo: la presenza di Gesù nella liturgia è percepibile nella struttura dello stesso rito. Durante la Liturgia della Parola, il libro degli Evangelisti sta al centro dellÂ’altare, come il trono di Cristo sulla terra. Nella Liturgia eucaristica, invece, il centro gravitazionale della tavola del Signore sta nel calice, memoriale della Passione sulla croce, e nel pane, viatico che nutre i pellegrini. Diventa manifesto che la Parola, piena dello Spirito Santo, culmina nellÂ’offerta del dono del Figlio al Padre, alla Chiesa e allÂ’umanità intera.

Sappiamo che la Parola entra nella storia, non solamente comunicando, ma ancor prima creando uomini e donne e incoraggiandoli a imprimere il loro spirito in tutti i beni dellÂ’universo.

La parola, icona dellÂ’invisibile

Il tempo e lo spazio aiutarono a far sì che tutta la parola creatrice fosse udita e, allo stesso tempo, potesse essere contemplata attraverso lo sguardo del cuore:

“Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi lÂ’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi stiate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo” (1 Gv 1, 1-4).

Che stupenda testimonianza del carattere sacramentale della Parola! LÂ’intelligibilità si è mostrata nella visibilità, la parola si è comunicata nellÂ’immagine ed è stata contemplata e udita in mezzo a noi. La teologia cristiana ha usato i termini “imago” ed “eikòn”, che nella lingua del Nuovo Testamento, il greco, hanno due significati: riflesso e somiglianza. Ogni immagine riflette lÂ’invisibile e, quando profondamente contemplata, produce comunicazione e una certa somiglianza. Il Signore Gesù è “immagine del Dio invisibile” (Col 1,15); per questo ci rende simili a lui stesso, ci offre la divinizzazione e riflette in noi ciò che Egli stesso riceve da suo Padre.

Per molto tempo, nellÂ’ellenismo, si è creduto che il visibile avesse il primato sullÂ’udibile, mentre la cultura ebraica dava più importanza allÂ’udibile. Ma, il teologo G. Kittel, ci fa sapere che, nei testi messianici, l’“Ascolta Israele” ha lasciato il posto all’“alza gli occhi e guarda”, dunque, la Parola eterna si è umanizzata, essendo vista, toccata, ascoltata. Nella trasfigurazione sul monte Tabor il Signore si è riunito con Mosè ed Elia, i grandi veggenti del popolo eletto: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8). Il protomartire cristiano, il diacono Santo Stefano, ha visto il cielo aperto nellÂ’ora estrema in cui venne immolato. Perfino lÂ’Apocalisse, così ricca di parole dottrinali, culmina plasticamente in unÂ’apoteosi di forme e di colori. Dinanzi a Giovanni, che affrontava una profonda depressione, Dio ha risposto con molte immagini che rivelavano e proteggevano allo stesso tempo il suo mistero. Giovanni allora confessò: “Prima ti conoscevo solo per sentito dire; ma adesso i miei occhi ti vedono” (Gv 42, 5). Constatiamo che nelle Scritture giudaico-cristiane, la parola e lÂ’immagine sono intercomplementari e comprovano lÂ’unità della rivelazione.

Armonia tra parola e sacramento

Mentre la parola tende alla dimostrazione, lÂ’immagine mostra e rivela: Israele ha lottato contro gli idoli, false immagini, e così ha atteso rassegnato lÂ’immagine vera. E così Dio ha rivelato il suo volto umano, la Parola si è trasformata in oggetto di contemplazione e adorazione. “E volgendosi (Gesù) ai discepoli, in disparte, disse loro: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete»Â” (Lc 10,23).

Gesù ha curato i sordi e ha aperto gli occhi dei ciechi. LÂ’invisibile è diventato visibile: “Chi vede me, vede il Padre”. A partire da questo momento, lÂ’immagine è parte dellÂ’essenza cristiana: la parola, nella sua efficacia, si fa cibo: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo” (Mt 26, 26): mentre lo riceviamo, lo accogliamo, e ne siamo nutriti e vivificati. Poi, nel giorno della Pentecoste, tutto si è acceso con le lingue di fuoco e così la Parola illuminava, comunicava, purificava e riscaldava lÂ’uomo.

Nel triduo pasquale, la croce è il centro gravitazionale, che nel suo mistero di silenzio, ci fa ascoltare tutto quello che Dio ha da dirci. Tuttavia, il Simbolo della fede, o Credo, senza smettere di essere simbolo, confessa i misteri della nostra fede, con la narrazione dei successivi avvenimenti della storia della salvezza, senza parole puramente dottrinali.

Potremmo dire che la celebrazione dellÂ’Eucaristia è lÂ’attuazione sacramentale della Bibbia: in essa la Parola è data in rappresentazione liturgica. Dio annullò “il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce; avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà, ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo (Col 2, 14-15).

Sacramentalità della Parola

Immergiamoci nel mistero della Parola, quale dialogo dellÂ’Alleanza e incontro tra i suoi partner. Il prossimo 4 Dicembre, celebriamo il quarantesimo anniversario dalla promulgazione del Sacrosanctum Concilium che, con sapienza, ci dice:

“Nella celebrazione liturgica la sacra Scrittura ha una importanza estrema. Da essa infatti si attingono le letture che vengono poi spiegate nell'omelia e i salmi che si cantano; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preghiere, le orazioni e i carmi liturgici; da essa infine prendono significato le azioni e i simboli liturgici. Perciò, per promuovere la riforma, il progresso e l'adattamento della sacra liturgia, è necessario che venga favorito quel gusto saporoso e vivo della sacra Scrittura, che è attestato dalla venerabile tradizione dei riti sia orientali che occidentali” (SC 24).

La Liturgia della Parola, nei Sacramenti, così come la Liturgia delle Ore, rende attuale il dialogo vivo tra Dio e lÂ’umanità, i partner dellÂ’Alleanza. Il signore ci propone: “Voi sarete il mio popolo e io sarò il suo Dio”. In Gesù lÂ’Alleanza si è fatta nuova e definitiva, il suo “si” è la proposta del Padre. Ma ogni generazione è invitata ad aderire a questa proposta definitiva: nellÂ’ascolto dellÂ’offerta di Gesù aderiamo alla sua volontà, attenti e grati. Fa eco allora la nostra risposta, in cui uniamo la nostra voce a quella di Gesù: “Si Padre…”. Così la Liturgia della Parola si svolge in un ambiente di orazione; i testi biblici sono proclamati da ministri che rappresentano il Signore, che parla al suo popolo con volto e voce umani. Acclamazioni, salmi, preghiere, atteggiamenti corporali, veglie, incensi e processioni accompagnano la celebrazione, e non per convincere idealmente o informare, ma per realizzare lÂ’incontro tra i partner dellÂ’Alleanza, stabilendo così legami e realizzando lÂ’inter-comunione.

La pasqua di Cristo nella pasqua della gente: il mistero di Gesù reinterpretato nella prospettiva dei sofferenti

Tra i contraenti privilegiati dellÂ’Alleanza ci sono i poveri, destinatari preferiti della Parola. Questo dato evangelico è vissuto con gratitudine, soprattutto in numerose comunità cristiane dellÂ’Africa, dellÂ’Asia e dellÂ’America latina, Chiese di poveri nelle quali si trovano emigranti e rifugiati. In quel momento Gesù esultò di gioia per lÂ’azione dello Spirito Santo e disse: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te” (Mt 11, 25). Coloro che soffrono sono i destinatari privilegiati dei messaggi del Regno e la loro libertà è la prova dellÂ’autenticità e dellÂ’efficacia della Parola, conformemente alle testimonianze dellÂ’Esodo 3, 7-10, di Luca 4, 16-21 e di Matteo 11, 2-6.

“Giovanni intanto, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere di Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro? Gesù rispose loro: andate a riferire a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista e gli zoppi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano lÂ’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la Buona Novella, e beato colui che non si scandalizza di me”.

Quando Dio è autenticamente annunciato, con atti o parole, gli esclusi sentono la presenza dellÂ’Emanuele che dà loro la forza e il coraggio perché si sollevino, poiché, secondo ciò che dice Matteo, Gesù stesso ha subito tanti ostacoli, come i poveri di oggi che proseguono senza sapere “dove poggiare il capo”. Egli ha sofferto la fatica, la fame e la sete, è stato vittima di violenza, come tanti migranti al giorno dÂ’oggi: è fuggito al massacro nei primi attimi della sua vita e ha trovato rifugio e ospitalità al di fuori della sua matrice nazionale, religiosa e culturale. Questa interpretazione della storia di Gesù suscita attenzione e discernimento nella lettura e nellÂ’interpretazione del mondo di oggi, sempre con i criteri della Parola e attenti ai suoi richiami, affinché possiamo scoprire la presenza amorosa e liberatoria del Signore là dove lui si trova: nella vita della persona, nella realtà ecclesiastica e nella storia dellÂ’umanità – “Hospes venit, Christus venit” (S. Benedetto).

La presenza di Cristo nella Scrittura, alimentando la Chiesa, è stata veementemente difesa da San Geronimo nel suo commentario sul libro dellÂ’Ecclesiastico:

“Io penso che il corpo di Cristo sia il Vangelo e che i suoi insegnamenti siano le Sacre Scritture. Quando, dunque, Gesù dice: “chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue non ha vita”, possiamo sicuramente capire che sta parlando dellÂ’Eucaristia. Ma è ugualmente certo che il Corpo di Cristo e il suo Sangue sono la Parola della Scrittura, il suo divino insegnamento. Quando partecipiamo alla celebrazione dellÂ’Eucaristia, stiamo attenti a che nessuna briciola si perda. Quando ascoltiamo la Parola di Dio, quando la Parola di Dio è data al nostro ascolto e noi ci mettiamo a pensare ad altre cose, allora che attenzione poniamo? Alimentiamoci della carne di Cristo, non soltanto nella comunione, ma anche nelle letture delle Scritture”.

Relazione tra la “Mensa della Parola” e la “Mensa dellÂ’Eucaristia”

Consideriamo lÂ’intimo nesso che cÂ’è tra le due mense che nutrono la fede, la speranza e la carità del popolo cristiano, la Mensa della Parola e la Mensa dellÂ’Eucaristia. Nella celebrazione dellÂ’Alleanza, così come è narrata nellÂ’Esodo 24,1-11, constatiamo nitidamente due parti: in un primo momento, Mosè presenta al popolo le tavole della legge, ricevute dal Signore, con la proposta della celebrazione dellÂ’Alleanza: il popolo riunito in assemblea liturgica, ascolta attento e dichiara fermamente la sua accettazione. In un secondo momento si verifica il rito dellÂ’alleanza, sia con la refezione della comunione, quando “mangiarono e bevvero”, sia nel sacrificio degli animali, quando il sangue fu sparso sullÂ’altare e sul popolo.

La nostra celebrazione dellÂ’Eucaristia, come sappiamo, segue questo schema essenziale. La Liturgia della Parola è il momento in cui la comunità, riunita per mezzo dello Spirito, accoglie la proposta del Signore, contenuta nelle letture, nei salmi, nel vangelo, nellÂ’omelia, e nellÂ’aderire alla sua proposta, professa la fede e presenta le preghiere che concretizzano lÂ’adesione allÂ’offerta trinitaria. La Liturgia eucaristica rappresenta il momento in cui si sigilla il patto dellÂ’Alleanza nel rito memoriale della consegna sacrificale di Gesù e nella comunione del pane e del vino “trasfigurati” dallo Spirito nella realtà di Cristo. Allora i due momenti della Cena formano “un solo atto di culto” (SC 56), dunque lÂ’unico Pane di vita è servito in due mense e le promesse diventano realtà.

Nella stessa direzione camminano i molti Sacramenti e Sacramentali: il rito della parola e il rito sacramentale, formando un unico atto di culto, sono essenzialmente collegati. Nelle due liturgie il Signore “dice” e “fa accadere” oggi ciò che è annunciato, rivelando la sua persona e la sua proposta vitale, realizzando la nostra comunione con lui e la nostra trasformazione in lui. Il rito della Parola ha unÂ’efficacia sacramentale, trasformatrice, come la parola di Gesù nel curare il cieco o il paralitico; così in ogni sacramento, la Parola mostra la sua efficacia.

Caratteristiche della Parola di Dio nella liturgia cristiana

La Parola di Dio, nella celebrazione della Liturgia, è la costellazione ricca di presenza e azione multiforme della Trinità. Essendo profezia, annuncia le promesse di Dio già realizzate in Gesù e nella diffusione dello Spirito Santo. Allo stesso tempo, denuncia tutto ciò che impedisce la venuta del Regno di Dio: nella Liturgia Gesù risuscitato è presente ed è Egli stesso a parlare quando si leggono e si interpretano le Sacre Scritture; Egli è presente anche nella comunità riunita nel suo nome e presieduta dallo Spirito. Lo Spirito Santo presiede a tutte le azioni della Liturgia, poiché assiste la comunità della fede affinché essa ascolti e comprenda quello che il Signore ha da dire nel presente, stabilendo un dialogo profondo tra la Bibbia e la vita, nei multiformi avvenimenti: mentre la “Parola del Signore” e la “Parola della Salvezza”, le Sacre Scritture sono ricche della presenza attiva di Gesù e dello Spirito.

Ricordando Gesù partecipiamo al suo destino e ai suoi atti di salvezza

Nel cuore della celebrazione eucaristica continuano a risuonare le parole di Gesù, riferite da Paolo e Luca: “Fate questo in ricordo di me” (1Co 11,23-26; Lc 22,19-20). Questo è il mistero della nostra fede. Qual è il mistero, il fondamento su cui poggiano la nostra missione e lÂ’identità ecclesiale? NellÂ’acclamazione, dopo il richiamo allÂ’istituzione dellÂ’Eucaristia, troviamo la risposta alla domanda principale: riportiamo alla memoria Gesù, celebrando la sua morte e resurrezione, nella prospettiva escatologica della realizzazione esistenziale del suo Regno: la pasqua di Cristo si intreccia con la pasqua dei pellegrini, nel grande esodo dei popoli. La Chiesa, nel fervore del rinnovamento post-conciliare, va imparando a vivere e a interpretare i fatti come processo pasquale. Da dove viene la sapienza, la forza, lÂ’allegria che permeano le nostre comunità immerse nelle guerre, nella fame e nella crisi economica, anche negli stessi paesi ricchi? La Chiesa vive della sua convinzione profonda nella fede, e non smette di sentire e presentire la presenza del Risuscitato nella sua Eucaristia, nella totalità della sua Liturgia e nella globalità dei segni e degli avvenimenti. La grande sfida è scoprire che la presenza di Gesù non è statica ma dinamica: il Signore è lo Spirito (2 Cor 3,17). La presenza di Cristo nella Liturgia presuppone nello stesso tempo la presenza attiva, dinamica e trasformatrice dello Spirito. Cristo e lo Spirito ci fanno immergere, sempre di più, nel mistero del Padre. E così viviamo unÂ’orazione continua, portando nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la sua vita si manifesti nella sua carne mortale ( SC 12; 2Cor 4,10-11). Lo Spirito ci prende e trasforma la nostra intelligenza, i nostri affetti e i nostri atteggiamenti in comunione con Cristo e con il suo Spirito; le battaglie dellÂ’esistenza e perfino la morte sono assunte nella prospettiva della vittoria della vita, lÂ’ingiustizia è combattuta o sopportata nellÂ’aspettativa della giustizia di Dio e del suo amore, manifesti nell’“amore crocifisso”, Gesù. Tutto il genuino amore umano viene così ad essere inteso come comunione con Dio lÂ’altissimo, epifania della sua ospitalità che abbraccia la creatura prostrata. In questo processo pasquale, che include sofferenza e passione, e che deve durare fino al compimento del Regno, passiamo dalla Mensa dei pellegrini alla beatitudine eterna, riposo perenne, in cui Dio sarà tutto in noi.

Che queste considerazioni ci aiutino a comprendere meglio la dimensione del Cristo che si manifesta in tutta la celebrazione liturgica, momento in cui la Parola-Sapienza del Padre rinnova la sua incarnazione e ci accoglie nella sua tenda di pellegrino per nutrirci, come suoi fratelli e sorelle.

Sia questa meditazione una glorificazione del Padre, attraverso il Figlio, nello Spirito Santo, perché a loro appartiene il Regno, la potenza e la gloria, per sempre!
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