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VISITA IN POLONIA
DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

LECTIO MAGISTRALIS
DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE,
IN OCCASIONE DEL CONFERIMENTO DEL DOTTORATO HONORIS CAUSA

Università Cattolica di Lublino
Giovedì, 30 aprile 2009

 

LA PROSPETTIVA CRISTIANA
DEL BENE DELLA PERSONA E DELLA SOCIETÀ

 

Magnifico Padre Rettore,
Signori Docenti,
Signori Discenti
,

per l'intervento che mi accingo a svolgere, ho voluto scegliere un argomento di grande attualità. Lo sintetizzo così: “La prospettiva cristiana del bene della persona e della società”. Si tratta di un tema vasto che abbraccia i grandi problemi della pace, della non violenza, della giustizia per tutti, della protezione del lavoro come fonte di sussistenza, della sollecitudine per i poveri del mondo, del doveroso rispetto del creato. Vi rientrano anche le problematiche attinenti alla vita umana, alla famiglia e al matrimonio, quanto mai vive nell'odierna società globalizzata.

Un'esigenza fondamentale della vita sociale

L'uomo è per sua natura un "animale politico" (zõon politikon). L'insieme di più esseri umani conviventi in un territorio non costituisce, pertanto, un semplice aggregato di individui, ma una comunità di persone nella quale i bisogni e le aspirazioni di ciascuno, gli eguali diritti e i simmetrici doveri, si collegano e si coordinano in un vincolo solidale ordinato a promuovere il pieno sviluppo della persona e la costruzione del bene comune. Ciò implica l'affermazione di "regole di condotta" connaturate al concetto medesimo di società, che non soltanto rispecchino giudizi di valore universalmente riconosciuti, ma presiedano al corretto svolgimento dei concreti rapporti tra gli uomini, equilibrando le libertà individuali e orientandole verso la giustizia. Senza tali regole, non esiste una società libera e giusta.

In effetti, quando mancano chiare e legittime regole di convivenza, oppure se queste non vengono equamente applicate, la forza tende a prevalere sulla giustizia, l'arbitrio sul diritto, e la libertà viene messa a rischio fino a scomparire. La legalità, ossia il rispetto e la pratica delle leggi, costituisce perciò una condizione fondamentale perché vi siano libertà, giustizia e pace tra gli uomini. Ma le leggi devono corrispondere all'ordine morale, poiché se il loro fondamento immediato è dato dall'autorità legittima che le emana, la loro giustificazione più profonda viene dalla loro corrispondenza alla natura umana e alla stessa dignità della persona, creata da Dio, per cui vindice di tale dignità non è semplicemente lo Stato, ma Dio stesso (cfr Pro 22, 22-23; 23, 10-11; Is 11, 4; Sal 72, 2 ss; Gb 34, 28; Mt 18, 10).

E' necessaria una teologia della creazione

Il concetto di natura, di legge naturale e di diritto naturale, presuppone una teologia della creazione. Senza un adeguato concetto di creazione si può facilmente giungere all'idea che la ragione, lungi dal riscontrare nella natura umana indicazioni idonee per comprendere il progetto in essa racchiuso dal Creatore, la veda piuttosto come un semplice oggetto di manipolazione fisica, biologica, culturale e sociale. La conseguenza etica è allora che tutto è "relativo": l'uomo, la famiglia, l'amore, la società, l'etica, la religione, ecc... Così la coscienza resta senza un punto di riferimento sicuro, perché se la condizione umana può essere radicalmente cambiata, anche il suo bene - il bene umano - può subire mutamenti profondi. In realtà cambiamenti di tal genere non sono ipotizzabili, perché non l'uomo, ma Dio è all'origine della natura umana. Il bene umano, pertanto, come la stessa condizione umana, non è oggetto di scelta, ma di doveroso riconoscimento e di coerente attuazione. Per questo la Rivelazione parla di una derivazione dell’autorità da Dio e, di conseguenza, del valore e del limite delle leggi umane. Gesù ricorda a Pilato che egli non avrebbe alcun potere su di lui se ciò non gli venisse dall’alto (cfr Gv 19, 11). San Paolo scrive che non esiste autorità che non appartenga a Dio, sicché chi si ribella alla legittima autorità è a Lui che si contrappone (cfr Rm 13, 1-2; Tt 3,1: 1 Pt 2, 13-14).

In varie parti del mondo, purtroppo, ancor oggi le ragioni del più forte e la violenza fisica continuano a prevalere: se negli stati di diritto per fortuna questo non è più consentito, non si può tuttavia non constatare che, grazie soprattutto all’influenza dei media, si va diffondendo la cultura che considera normale, se non addirittura invidiabile, il prevaricare del più intelligente, del più organizzato, del più informato e del più ricco. Per questo una legge umana talora deve essere contestata, se contraddice il suo fondamento ultimo. Ecco perché, come leggiamo negli Atti degli Apostoli, Pietro e Giovanni esclamano davanti al Sinedrio: "Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi" (At 4, 19). Il rispetto della legalità non è dunque un semplice atto formale, ma un gesto personale che trova nell'ordine morale la sua anima e la sua giustificazione.

Un vivo senso dell'etica

Proprio perché la legalità ha la sua radicalizzazione ultima nella moralità dell'uomo, la condizione primaria per uno sviluppo del senso della legalità è la presenza di un vivo senso dell'etica come dimensione fondamentale e irrinunciabile della persona. In tal modo l'attività dell'individuo e della società si potrà svolgere nel rispetto della persona umana e dei suoi diritti fondamentali, e saranno evitate tutte le strumentalizzazioni che rendono l'uomo "miseramente schiavo del più forte", come scriveva il Servo di Dio Giovanni Paolo II nell'Esortazione Apostolica Christifideles laici (n.5). "E il più forte - egli continuava - può assumere nomi diversi: ideologia, potere economico, sistemi politici disumani, tecnocrazia scientifica, invadenza dei massmedia" (ibid.). Pertanto, solo nel rispetto di precise condizioni il desiderio di giustizia e di pace che sta nel cuore di ogni uomo potrà trovare appagamento, e gli uomini da "sudditi" si trasformeranno in veri e propri "cittadini". Quanto mai attuale è la lezione del poeta francese Charles Péguy: “La democrazia o sarà morale o non sarà democrazia”.

Un autentico amore per la giustizia

Qualcuno considera come un "segno dei tempi" il fatto che oggi si senta sempre più attestare il rifiuto della disonestà ed invocare il ripristino dell'ordine morale. Effettivamente si fa strada, nel comune sentire della gente, un bisogno di giustizia che sorge in primo luogo dal disgusto per la disonestà tollerata o persino condivisa e le cui dimensioni, quando di colpo vengono rivelate, sgomentano.

Lo sta a dimostrare anche l’attuale crisi economica che è una palese dimostrazione che quelle che Giovanni Paolo II nella lettera enciclica Sollicitudo rei socialis aveva chiamato “strutture di peccato”, producono solo frutti velenosi. Strutture di peccato che egli descriveva come nate dal consolidarsi, nelle persone ed anche nelle nazioni, “…della brama esclusiva del profitto e della sete del potere col proposito di imporre agli altri la propria volontà… a qualsiasi prezzo”. Frutto del cristallizzarsi di alleanze ed aggregazioni di interesse nelle cui decisioni “apparentemente ispirate solo dall'economia o dalla politica si nascondono vere forme di idolatria: del denaro, dell'ideologia, della classe, della tecnologia” (n. 37). Queste “strutture di peccato” hanno prodotto quella ideologia del mercato senza regole che è arrivata ad oscurare le menti ed inaridire i cuori di persone professionalmente molto valide, strapagate proprio per il loro ingegno, privandole di quel buon senso del padre di famiglia, che le leggi presuppongono debba orientare ogni amministratore di società.

Vale la pena notare che la responsabilità della caduta del senso della giustizia, della legalità e della moralità è da attribuirsi non solo a chi ricopre posti e funzioni nelle istituzioni pubbliche, bensì anche ai privati cittadini, sia pure con rilevanza diversa a seconda dei ruoli sociali che rivestono.

Va accolta certamente con favore l'accresciuta sensibilità verso i valori fondamentali della moralità e della legalità nella vita sociale di ogni nazione, come pure l'esigenza della loro attuazione. Ci si deve però chiedere: questo risveglio del senso della giustizia e questa sete di legalità si accompagnano ad un effettivo e generale recupero di tali valori? Certamente la tensione etica dà forza alle speranze di una società migliore, apre un orizzonte positivo di auspici e d'impegno, tempera il senso di disagio e di declino politico-sociale che si potrebbe avvertire in taluni ambiti sociali. Tuttavia, poiché l'attuazione della legalità non si esaurisce nella proclamazione di un teorema astratto, ma esige un cammino operoso, vorrei segnalare alcuni rischi che, a mio avviso, possono inquinare o rendere meno fecondo l'impegno collettivo per il ripristino della legalità e per la costruzione di una nuova eticità sociale.

Non ridurre la giustizia alla legalità

Un evidente rischio nel cammino verso l'auspicata costruzione di un futuro migliore, viene dal ridurre il concetto di giustizia a quello di legalità. Osservare le leggi è il primo gradino - elementare ed indispensabile - per la civile convivenza; osservare il codice penale è il minimo dei minimi. La giustizia come virtù, la giustizia della vita, è altra cosa. Di fronte alla coscienza etica, la parola "corruzione" abbraccia molte più situazioni che quelle sanzionate dal precetto penale. Corruzione della vita è anche l'infedeltà al proprio dovere. L’autentica giustizia coincide con l’autentica moralità.

Si vede quindi il ruolo primario della virtù morale infusa e della virtù teologale della carità: la giustizia è radicalmente impotente a riuscire nel suo compito se è sganciata dalla carità, la sua vera ragion d'essere.

Carità e giustizia secondo una visione cristiana della vita morale

Se volessimo ancora definire la giustizia cristiana, si potrebbe dire che essa è «la virtù morale che ci fa rispettare la persona del nostro fratello in Cristo, almeno secondo i suoi diritti, in vista di assicurare tra lui e me il minimo di relazioni necessarie a una unione di carità» (P. Carpentier).

In tal modo viene tolto dall'esercizio della giustizia ogni specie di giuridismo : infatti si considera l'altro come persona, anzi come fratello in Cristo. La distinzione delle persone - un quid essenziale alla giustizia - viene conservata (le persone sono destinate a divenire interiori le une alle altre, senza tuttavia perdere la propria personalità!); ma non è separata dalla loro unione nella famiglia umana e cristiana.

Secondo la Gaudium et spes, la carità considera che gli uomini «creati a immagine di Dio, avendo la stessa origine, da Cristo redenti, godono della stessa vocazione e del medesimo destino divino» (n. 29). Perciò i cristiani incorporati a Cristo, costituiscono una nuova fraterna comunione nel suo Corpo che è la Chiesa, in cui tutti, figli del medesimo Padre, so­no uniti nella solidarietà del Corpo Mistico (n. 32).

«Infatti, la vera unione sociale esterna fluisce dall’unione delle menti e dei cuori, ossia da quella fede e carità, con cui l'unità della Chiesa è stata indissolubilmente fondata nello Spirito Santo. La forza che la Chiesa riesce ad immettere nella società umana oggi, consiste in quella fede e carità portate ad efficacia di vita» (n. 42).

Così la carità si può dire il motore della giustizia. Virtù dinamica quanto nessun'altra, perché, infusa dallo Spirito Santo, inclina e sospinge dall'interno, per istinto soprannaturale, a compiere gli obblighi della giustizia, anzi a interiorizzarli e a superarli nel dono di sé.

La prima Enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est, si è occupata di un tema davvero tra i più grandi ed affascinanti del pensiero degli ultimi due millenni. Ed è su questo sfondo di vaste proporzioni che noi possiamo ora considerare alcuni aspetti del rapporto fra carità e politica, che ci si rivela come una modalità nella quale si declina la relazione fra giustizia e amore.

Politica e giustizia

Secondo Benedetto XVI esiste un nesso profondo fra la politica e la giustizia. Egli afferma che “compito centrale della politica” è quello di edificare “il giusto ordine della società e dello Stato” (n. 28). Di fronte a delle concezioni di basso profilo o meramente pragmatiche ed utilitaristiche della politica, il Papa invita ad avere una visione “alta” di essa: “la giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia” (id.).

Ecco così enucleato un primo rapporto esistente fra giustizia e politica: è vera carità il donare all’uomo e alla società quella luce di verità che purifica la ragione, mettendola in grado di riconoscere la giustizia e perseguirla nell’azione politica. La Chiesa con il suo insegnamento indica perciò dei valori che sono irrinunciabili se si vogliono instaurare nella società rapporti veramente giusti e costruire l’autentico bene comune. E’ per questo che auspica un’azione di tutti per “fronteggiare le grandi sfide attuali, rappresentate dalle guerre e dal terrorismo, dalla fame e dalla sete, dalla estrema povertà di tanti esseri umani, da alcune terribili epidemie, ma anche dalla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e dalla promozione della famiglia, fondata sul matrimonio e prima responsabile dell’educazione” (Discorso di Benedetto XVI al Presidente della Repubblica Italiana, 20 novembre 2006). Se ciò fosse maggiormente compreso, anche dagli stessi cattolici, verrebbero meno le ricorrenti e pretestuose accuse di ingerenza che spesso oggi vengono accampate, quando i Pastori della Chiesa ricordano ai fedeli e a tutti gli uomini di buona volontà quei “valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell'essere umano, riconoscibili anche attraverso il retto uso della ragione” (id.). Come ricorda il Papa nell’Enciclica Deus caritas est, “la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell'argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare” (n. 28).

Sussidiarietà e opere di carità

Per queste ragioni detta Enciclica rivendica un altro caposaldo della visione cristiana della società: il principio di sussidiarietà: “Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga... le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto. La Chiesa è una di queste forze vive: in essa pulsa la dinamica dell'amore suscitato dallo Spirito di Cristo. Questo amore non offre agli uomini solamente un aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell'anima, un aiuto spesso più necessario del sostegno materiale” (n. 28).

Questa risulta, fra l’altro, una via innovativa; quella di uno Stato “leggero” che lascia spazio all’iniziativa locale, aiutandola a favorire i servizi alla comunità che può e vuole dare. Molte esperienze concrete indicano la realizzabilità di una alleanza fra Stato e cittadini per fornire servizi sociali senza affidarli tutti a grandi strutture sociali, facendo invece leva sulla propensione dell’essere umano a praticare nel proprio ambito, attorno alla propria famiglia quella cultura della carità, della fraternità, della prossimità che è propria della famiglia sana. Si può pensare al grande mondo del volontariato, quello che affronta i problemi del prossimo non per avere, ma con il cuore, per essere vicino al prossimo e realizzare così il rapporto giustizia-carità.

Benedetto XVI pensa anche, in particolare, a quelle “organizzazioni caritative della Chiesa (che) costituiscono un suo ‘opus proprium’, un compito a lei congeniale, nel quale essa non collabora collateralmente, ma agisce come soggetto direttamente responsabile, facendo quello che corrisponde alla sua natura” (n. 29).

Oggi l’azione caritativa svolta dalla Chiesa riscuote sia presso i cittadini sia presso le Autorità civili un vivo apprezzamento per la molteplicità delle sue attenzioni e per lo spirito di abnegazione di chi in esse opera. Negli incontri che il Santo Padre e noi suoi collaboratori abbiamo con personalità politiche e di governo di ogni parte del mondo non è infrequente raccogliere espressioni di riconoscimento per l’azione caritativa della Chiesa e delle sue articolazioni. Perfino nell’attuale contesto secolarizzato, che tante volte si mostra ostile verso la Chiesa e i cristiani, non viene meno l’ammirazione per quanto i discepoli del Signore e le Comunità cristiane fanno per alleviare tante forme di povertà e di bisogno. Anche il non credente non può fare a meno di inchinarsi con rispetto profondo davanti a figure come Madre Teresa di Calcutta. Certamente, come sottolinea il Santo Padre nell’Enciclica, la carità “non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L'amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi” (n. 31), tuttavia essa provoca una grande attrazione anche su chi non crede.

La Chiesa ha saputo e sa risvegliare un senso sociale che affonda le sue radici nella fraternità universale, oggi più che mai sentita come riscoperta di una coscienza sociale mondiale; la coscienza che nel mondo l’umanità è una sola famiglia.

E’ in forza di questo apprezzamento, che le legislazioni statali concedono agli enti e alle attività caritative della Chiesa cattolica esenzioni, agevolazioni o finanziamenti: si tratta di forme di riconoscimento dell’importante apporto che da essi deriva al bene della società civile e dei suoi membri. Anzi, l’attività caritativa della Chiesa diviene una delle motivazioni che inducono gli Stati ad addivenire ad accordi bilaterali con la Santa Sede ed è fra le questioni che tali patti internazionali regolano. Per esempio in preambolo dell’Accordo stipulato nel 2005 con la Città Libera e Anseatica di Amburgo si fa menzione della “persuasione che, nella società pluralista di una Città cosmopolitica che si concepisce come mediatrice tra i popoli, la fede cristiana, la vita cristiana e l'azione caritativa danno nello stesso tempo anche un contributo al bene comune come pure al rafforzamento del senso di responsabilità civica dei cittadini”.

Stato totalitario o Stato solidaristico?

Sempre secondo l’Enciclica Deus caritas est, “Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un'istanza burocratica che non può assicurare l'essenziale di cui l'uomo sofferente — ogni uomo — ha bisogno: l'amorevole dedizione personale…. L'affermazione secondo la quale le strutture giuste renderebbero superflue le opere di carità di fatto nasconde una concezione materialistica dell'uomo” (n. 28). Benedetto XVI riprende qui la riflessione del suo Predecessore, Giovanni Paolo II, che nell’Enciclica Dives in misericordia poneva appunto la questione: “Basta la giustizia?” (cfr. n. 12).

Tra l’altro, quell’indimenticato Pontefice rilevava che la carità ha anche la funzione di smascherare progetti politici i quali, benché si approprino dell’ideale di una società giusta, in realtà opprimono l’uomo. Invitava infatti ad “avvedersi che molto spesso i programmi che prendono avvio dall'idea di giustizia e che debbono servire alla sua attuazione nella convivenza degli uomini, dei gruppi e delle società umane, in pratica subiscono deformazioni. Benché essi continuino a richiamarsi alla medesima idea di giustizia, tuttavia l'esperienza dimostra che sulla giustizia hanno preso il sopravvento altre forze negative, quali il rancore, l'odio e perfino la crudeltà.... Questa specie di abuso dell'idea di giustizia e la pratica alterazione di essa attestano quanto l'azione umana possa allontanarsi dalla giustizia stessa, pur se venga intrapresa nel suo nome...”(id.).

Benedetto XVI, ricevendo in udienza l’Ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede, il 9 febbraio 2009, ha proposto una visione dell’ordine sociale, nel quale il bene della persona umana costituisce il valore centrale. Nel suo discorso ha affermato che gli obiettivi della Chiesa e quelli dello Stato, seppure distinti, “confluiscono verso un punto di convergenza: il bene della persona umana e il bene comune della Nazione”. Riportando anche l’intervento di Giovanni Paolo II del 14 ottobre 1991, ha ricordato che “l’intesa e il rispetto, la reciproca sollecitudine per l'indipendenza e il principio di servire l'uomo nel modo migliore, all'interno di una concezione cristiana, costituiranno fattori di concordia di cui lo stesso popolo sarà il beneficiario”.

CONCLUSIONE

Esistere per e con gli altri

Questo sforzo costante conduce a valorizzare e approfondire i segni di speranza presenti in questo nostro tempo, nonostante le ombre che spesso li nascondono ai nostri occhi. In particolare, la speranza rende i credenti in Cristo attenti e responsabili "compagni di viaggio" gli uni degli altri, perché vivere è esistere per e con gli altri. Scrive in proposito il teologo tedesco Jurgen Moltmann: "L'esistenza per gli altri è l'unica via che conduce all'esistenza con gli altri". "L'esistenza per gli altri - aggiunge - è un modo di redimere la vita. L'esistenza con gli altri è invece la forma nuova della vita redenta e liberata, dove ognuno e tutti insieme possiamo essere nella gioia. In questo senso la Chiesa, e ogni comunità impregnata di carità pastorale è già fine ultimo, in quanto comunità di persone libere e fraternamente conviventi".

Impegnare la propria esistenza per la carità nella gratuità,per la giustizia, la legalità e la moralità, in sostanza: per il bene della persona e della società, è per i cristiani un'autentica via alla santità, incarnando la spiritualità del "con": con-dividere, con-donare, co­operare perché venga il Regno di Dio che ha come prima connotazione proprio la giustizia: "Il Regno di Dio... è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Rm 14,17). Questa è la meta finale a cui siamo tutti chiamati: straordinaria, ma possibile! Che Iddio ci aiuti a raggiungerla! Che Dio ci dia luce e forza per costruire una società di giustizia e di pace, ispirata al suo eterno disegno di amore.

 

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