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ALL’ISTITUTO PER LE OPERE DI RELIGIONE

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Martedì, 11 dicembre 2012

 

Saluto i Dirigenti dell’Istituto e tutti voi cari amici,

1. La vostra è una comunità di lavoro peculiare che si svolge – si potrebbe dire - quasi nel Palazzo Apostolico e, come per ogni comunità che si riconosce nei valori della religione – e quindi della fede – deve coltivare nel suo seno quel modo di essere che supera le relazioni solamente materiali e umane e che si radica nella vita dello spirito.

La lettera del Beato Giovanni Paolo II sul significato del lavoro prestato alla Sede Apostolica, di cui ricorre il 30° anniversario, sottolinea “il rapporto interiore col lavoro” che nel dipendente della Sede Apostolica deve esistere in misura tutta speciale.

Il magistero della Chiesa da sempre - ma soprattutto nelle encicliche sociali degli ultimi Papi, senza contare i carismi di numerosi santi - ha evidenziato che per il cristiano anche il lavoro è fonte di vita spirituale tanto quanto la vita di preghiera e di penitenza.

Come dice il Concilio Vaticano II, «per i credenti una cosa è certa: l’attività umana individuale e collettiva, ossia quell’ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, considerato in se stesso, corrisponde al disegno di Dio» (Gaudium et spes, n. 34). 

La fatica che il lavoro necessariamente comporta offre al cristiano la possibilità di partecipare nell’amore all’opera che il Cristo è venuto a compiere per mezzo della sofferenza e della morte di croce.

Ogni lavoratore si dimostra vero discepolo di Gesù, portando a sua volta la croce ogni giorno nell’attività che è chiamato a compiere.

Bisogna, dunque, che la spiritualità cristiana del lavoro diventi sempre più un patrimonio desiderato e irrinunciabile per ciascuno di noi, e dimostri quella maturità che può far fronte alle tensioni e alle inquietudini dell’epoca odierna.

Gesù Cristo nelle sue parabole sul Regno di Dio si richiama costantemente al lavoro umano: al lavoro del pastore, dell’agricoltore, del medico, del seminatore, del padrone di casa, del servo, dell’amministratore, del pescatore, del mercante, dell’operaio. Parla pure dei diversi lavori delle donne. Presenta l’apostolato a somiglianza del lavoro manuale dei mietitori o dei pescatori. Inoltre, si riferisce anche al lavoro degli studiosi.

Nel racconto evangelico letto poc’anzi, Matteo fa l’esempio di un pastore che compie alla perfezione il proprio dovere, aggiungendo alla “professionalità”, potremmo dire, con la quale svolge il lavoro quotidiano di pascere il gregge, quel tratto di amorevolezza che aggiunge al bene compiuto anche la bontà del cuore.

La ricerca della pecora che si è smarrita per lui è cosa ovvia; la gioia nel ritrovarla è sincera; il ricondurla nel gregge nonostante la fuga è un risultato che lo riempie di soddisfazione.

Questo modo di rapportarsi con il proprio lavoro, visto come servizio al prossimo, come mezzo per compiere il bene verso la propria famiglia e più ancora verso la società circostante, spesso smarrita e incredula, è inscritto nell’ampio progetto del bene comune tanto auspicato anche nella sfera economica, ed è precisa volontà di Dio: “Così – dice l’evangelista – è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda”.

La mèta di una spiritualità del lavoro consiste in una “pastoralità” feriale, alla quale tutta la Chiesa partecipa, Vescovi, Sacerdoti e laici, ciascuno impegnato affinché nessuno si senta escluso, non considerato, oppure, per la nostra indifferenza, senta lontano o inesistente anche l’amore di Dio.

Pensiamo a quanti non aspettano altro che di essere “cercati” per intraprendere la via del ritorno verso Dio, verso una vita onesta e coerente, verso un’esistenza conforme al progetto di Dio.

2. Un altro aspetto sul quale vorrei soffermarmi brevemente non può che essere il tempo dell'Avvento, il tempo liturgico che stiamo vivendo:

tempo di attesa, di vigilanza, di riflessione che ci viene proposto ogni anno per invitarci a controllare la nostra bussola, per orientarla verso Colui che, sì, è già venuto una prima volta ad abitare in mezzo a noi, ma che soprattutto verrà un giorno e viene ogni giorno: Colui che è, che era e che viene.

Durante il tempo di Avvento la Chiesa con le sue tappe liturgiche vuole renderci capaci di cantare con piena coscienza, nei vespri del Natale: "Oggi Cristo è nato".

Cristo che celebreremo nel Natale è il mistero più paradossale: Cristo venuto ad abitare nel tempo, nelle successioni e nelle trasformazioni creaturali che si operano nel tempo, supera il tempo con la sua trasfigurazione pasquale.

Non è sbagliato porre il Cristo al centro della storia cosmica, classificandola in due grandi epoche: prima della nascita di Cristo e dopo, poiché Lui è veramente lo spartiacque della storia umana, il punto di riferimento, l'Alfa e l’Omega.

Tuttavia, dice Papa Benedetto XVI: «Il limite tra il prima e dopo Cristo non è un confine tracciato nella storia o nel calendario, ma è un segno interiore che attraversa il nostro cuore. Finché viviamo nell'egoismo, siamo ancora oggi coloro che vivono prima di Cristo».

3. Un terzo elemento che vorrei evidenziare proprio oggi, 11 dicembre, è il Santo del giorno: San Damaso Papa.

Spagnolo d’origine ma nato a Roma nel 305, consolidò il prestigio della “Sede Apostolica” espressione coniata proprio sotto di lui. Fu intransigente nel volere che le sorti della Chiesa non fossero legate al potere politico, rappresentato in quel tempo dalla sede imperiale di Costantinopoli.

La prima sede era per lui quella romana perché fondata sugli apostoli Pietro e Paolo, la seconda quella alessandrina perché costituita da Marco su ordine di Pietro e la terza quella antiochena perché in essa erano passati temporaneamente Pietro e Paolo.

Quella romana aveva quindi il diritto di chiamarsi “Sede Apostolica” ed essere alla guida di tutte le Chiese.

Il primato le fu conferito da quell’affermazione di Cristo riportata nel Vangelo, rivolta a Pietro: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”.

Notano gli storici che alla fine del suo pontificato, Damaso poteva dire di aver compiuto la sua opera: la retta fede era stata ristabilita nell’Orbe, la memoria dei martiri era onorata e affidata ormai alla storia, la Parola di Dio poteva leggersi anche nella lingua romana senza pericolo di contraffazioni (ebbe grande cura della lingua latina), la Sede apostolica era rispettata, tutta la Chiesa viveva in pace.

Il cortile più prestigioso del Palazzo Apostolico è proprio intitolato a San Damaso.

Mi piace ricordarlo per chiedere a questo grande Papa del IV secolo dopo Cristo, anch’egli – come direbbe Papa Benedetto XVI – “lavoratore alla vigna del Signore”, la sua intercessione per quell’aspetto specifico del nostro lavoro che si svolge in stretta armonia con le finalità proprie della “Sede Apostolica” o “Santa Sede”.

Con questi pensieri, sono lieto di rivolgere a tutti voi i miei più cordiali auguri di buon lavoro, nel senso etimologico più vero, come abbiamo sentito dal Vangelo; auguri di un Santo Natale rigeneratore della nostra fede e del nostro impegno cristiano.

Le feste del Natale, ormai vicine, non possono non ricordarci il ruolo che la Vergine Maria ha avuto in questo straordinario evento. A lei chiediamo il dono della generosità premurosa e accogliente da vivere gli uni verso gli altri e con quanti usufruiscono del nostro servizio quotidiano.

La benedizione del Signore scenda sulle vostre famiglie, soprattutto sui bambini, e riempia di gioiosa speranza tutti coloro che vi sono cari.

   

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