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ORDINAZIONE EPISCOPALE DI MONSIGNOR EMIL PAUL TSCHERRIG

OMELIA DEL CARDINALE ANGELO SODANO*

 Giovedì, 27 giugno 1996

 

Il Vangelo di oggi ci ha ancora una volta ricordato il mandato missionario universale. Al termine della sua missione terrena, Gesù si rivolse agli Apostoli dando loro l'ultima sua consegna: «A me è stato dato ogni potere in cielo ed in terra. Andate, dunque, ed ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». (Mt 28, 18-20).

Ed è con questo mandato che tutti i quattro Evangelisti concordano, quando narrano l'incontro del Risorto con gli Apostoli. Cristo li manda nel mondo, così come il Padre aveva mandato lui e dona poi loro il dono dello Spirito, che li metterà in grado di attuare il comando ricevuto.

A sua volta il Vangelo di S. Marco termina con la commovente osservazione: «Ed essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operavi insieme con loro» (Mc 16, 20).

La missione evangelizzatrice passò così da Cristo agli Apostoli e da questi ai Vescovi loro successori. E così sarà fine alla consumazione dei secoli.

«Devo annunziare la buona novella del regno di Dio» aveva detto il Signore. «Per questo sono stato mandato» (Lc 4 43). E così deve ripetere ogni Vescovo. Per questo egli è ordinato.

Certo l'ordine dato agli Apostoli: «Andate, evangelizzate», coinvolge tutti coloro che accolgono con sincerità la buona novella e, proprio in virtù di tale fede partecipata, cercano di costruire insieme il regno e di viverne le beatitudini. L'evangelizzazione diventa così universale, ecclesiale.

È però a tutti noto che, secondo la volontà di Cristo, gli Apostoli ed i Vescovi loro successori hanno una missione particolare in tale campo. Il Signore li ha chiamati ad essere gli evangelizzatori per eccellenza, fino a dire loro: «chi ascolta voi, ascolta me» (Lc 10, 16). Gesù aveva scelto gli Apostoli (Gv 15, 16), li aveva formati durante diversi anni di familiarità (At 1, 21), li aveva costituiti e mandati (Mc 3, 14-15) come testimoni e maestri autorizzati dal messaggio di salvezza. A loro volta i Dodici scelsero dei successori i quali continuassero l'annunzio del Regno.

In tale linea apostolica s'inserisce oggi il nostro caro Mons. Emil Tscherrig, chiamato dal Papa a far parte del Collegio episcopale. Fra poco, insieme ai Vescovi presenti, io gli imporrò le mani, rinnovando un rito bimillenario, che viene a noi dai tempi apostolici. Una grazia particolare scenderà su di lui: la grazia di annunciare con forza e coraggio il Vangelo di Cristo.

Certo il Vescovo non è solo chiamato ad insegnare. Egli è anche ordinato a santificare ed a governare nella Chiesa. Egli dovrà essere allo stesso tempo, Maestro, Sacerdote e Pastore: sono i tre classici aspetti del ministero episcopale ben delineati dalla dottrina cattolica circa l'episcopato.

È però evidente che l'annunzio del Vangelo deve essere il primo dovere di ogni Successore degli Apostoli, che come Cristo deve ripetere, guardando al mondo intero: «Anche alle altre città io devo evangelizzare il regno di Dio, perché per questo sono stato mandato» (Lc 4, 43).

Il nuovo Vescovo svolgerà la sua missione evangelizzatrice in Burundi. Certo, egli non è inviato come Vescovo di una diocesi particolare, ma va a Bujumbura per una missione speciale, quale è quella di Rappresentante Pontificio. È però lo stesso spirito apostolico che lo dovrà animare nel suo lavoro: nel Collegio episcopale ognuno porta la sua responsabilità, ma il fine è identico per tutti, quale è quello di annunciare il Vangelo di Cristo e di lavorare con generosità perché ecco vada permeando le coscienze degli uomini e le realtà del mondo.

La situazione attuale del Burundi, come di altri Paesi Africani, è certo complessa. Motivo maggiore per il nuovo Vescovo per dedicarsi con generosità alla sua missione pastorale, collaborando con i Vescovi del luogo affinché la luce del Vangelo di Cristo penetri nelle coscienze e le trasformi.

Nel bel «paese delle colline» c'è più che mai bisogno di proclamare che Cristo è venuto per liberarci dall'odio che divide e per chiamarci a vivere in una Chiesa che ci unisce.

Del resto questo è l'appello che già lanciò il Papa Giovanni Paolo II, allorquando nel settembre del 1990 visitò il Burundi, commentando in tutti i suoi discorsi il motto della visita. «Le Christ nous libère et nous unit”, «Cristo ci libera e ci unisce». Così parlando a Bujumbura e così parlando a Gitega. Così ai cattolici ed a tutti gli uomini di buona volontà.

Quante volte il Santo Padre, durante il suo viaggio in Burundi, ha ripetuto il saluto cristiano: «Pace! La pace di Cristo sia sempre con voi», «Amahoro Tugire amahoro ya Kristu!»

«Ascoltate il mio appello, — disse il Papa fin dal suo arrivo in Burundi, il 5 settembre 1990 —. È un appello che vi rivolgo con la franchezza dell'amicizia: consolidate la vostra unità, non con rassegnazione o nella diffidenza, ma radicandola solidamente nella riconciliazione e nel perdono. Per alcuni, ciò può sembrare irraggiungibile, perché le ferite ancora fanno male. Però voi dovete tornare ad incontrarvi, e superare insieme ciò che vi ha diviso, per costruire un'unità nuova. Voi dovete appoggiarvi sul principio dell'uguale dignità di ogni uomo. È un principio che non può mai essere abbandonato. Ogni uomo è figlio di Dio e noi dobbiamo rispettarlo, chiunque egli sia. È perché siamo tutti delle creature amate da Dio, noi siamo dei fratelli. Per questo, noi possiamo vivere sulla stessa terra, condividere lo stesso nutrimento e la stessa educazione».

Ed il grido del Papa si faceva ancor più pressante, allorquando rivolgendosi in particolare ai figli della Chiesa, diceva loro che tale missione è particolarmente la loro, nell'attuale realtà del Paese. «In realtà, il rispetto dell'uomo, l'amore fraterno, lo spirito di riconciliazione e del perdono, la speranza costruttrice sono realtà iscritte nel cuore del messaggio cristiano» (cfr Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XIII/2, 1990, pag 445-446).

Questo stesso messaggio evangelico sarà ora portato in Burundi dal Rappresentante Pontificio. In profonda comunione con i Vescovi del luogo e con i sacerdoti loro collaboratori, egli sarà araldo di pace ed artefice di unità.

Per compiere tale missione, una grazia speciale scenderà su Mons. Emil Tscherrig attraverso l'imposizione delle mani dei Vescovi presenti e la preghiera consacratoria.

Tutti i presenti si uniranno in spirito a tale invocazione. Si uniranno in particolare i parenti, gli amici, i numerosi fedeli venuti dalla diocesi di Sion, guidati dal venerato Card. Henri Schwery e dal loro attuale Vescovo, S.E. Mons Norbert Branner.

[Proseguendo poi in lingua tedesca e francese il Cardinale celebrante ha soggiunto:]
Cari amici di Sion, fra poco io dirò la seguente preghiera di ordinazione «Effondi ora sopra questo eletto la potenza che viene da te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida. Concedi a questo tuo servo Emilio, da te eletto all'Episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di compiere in modo irreprensibile la missione del sommo sacerdozio».

Voi accompagnerete in spirito questa preghiera, dopo di aver invocato tutti insieme l'intercessione del Santi del cielo con il canto delle Litanie.

Dovrete poi continuare ad accompagnare il ministero del nuovo Vescovo con la vostra continua preghiera. Nel consolante mistero della comunione dei santi, egli si sentirà sempre sorretto dalla vostra solidarietà.

Certo voi sarete fieri che un altro figlio della vostra terra sia chiamato a far parte del Collegio episcopale. Ne è lieta anche tutta la Chiesa, che oggi riceve un nuovo Pastore.

Nostro dovere sarà però quello di continuare a sostenerlo nella sua missione e di pregare poi il Signore della messe che continui a suscitare in Sion, in Svizzera, come in tutta la Chiesa, numerose e sante vocazioni, anche per il futuro.

Caro Don Emilio, il Santo Padre a nome di Cristo Buon Pastore ti ha chiamato all'Episcopato e ti ha affidato una grande missione nel cuore dell'Africa. Oggi, già nel clima della solenne festa dei Santi Pietro e Paolo, tu ricevi le facoltà e le grazie legate all'Ordine dell'Episcopato.

Il Vangelo che ti imporrò sul capo sia la luce che guida i tuoi passi. L'anello che ti imporrò al dito ti ricordi il dovere della tua totale fedeltà alla Chiesa, Sposa di Cristo. La mitra con cui cingerò il tuo capo richiami sempre tutti al rispetto della tua dignità apostolica. Il pastorale che ti porrò nelle mani ti serva sempre per condurre gli uomini verso Cristo Gesù, il nostro unico Redentore. «In nessun altro, infatti, c'è salvezza; non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati» (At 4, 10-12). Amen!

*L'Osservatore Romano 29.6.1996 p.4.

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