VISITA PASTORALE NEI PAESI BASSI
SANTA MESSA PER GLI ARTISTI
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Bruxelles - Lunedì, 20 maggio 1985
1. “Dio non è lontano da ciascuno di noi, in lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 27). Così l’apostolo Paolo giudicava opportuno introdurre la sua predicazione su Gesù risorto ad Atene, davanti ad un pubblico colto, segnato dall’eredità dei poeti, dei filosofi, dei saggi, dei sapienti, degli artisti.
Cari fratelli e sorelle, sono lieto di rivolgere queste parole proprio a voi, oggi. Tutti vi sforzate di esprimere attraverso le arti plastiche, la musica o la parola, la vita più profonda dell’uomo e il cuore della realtà. Per il solo fatto di questa ricerca artistica, voi vi accostate, come a tentoni, a quel Dio - forse sconosciuto ad alcuni - che è la fonte, il sostegno trascendente e il fine ultimo degli esseri, della loro evoluzione, della loro vita. E, in quanto credenti, voi andate direttamente incontro al Dio vivo e personale che ha rivelato lo splendore della sua gloria e il suo amore immenso in Gesù Cristo, mentre cercate di vivere del suo Spirito.
“Il Signore è vicino”. Questa vicinanza fa dire a San Paolo: “Rallegratevi nel Signore, sempre” (Fil 4, 4). L’apostolo ci invita alla serenità, a una continua azione di grazia, alla fiducia nella supplica, alla pace, alla ricerca e alla realizzazione di ciò che è vero, bello e degno.
Anch’io vi auguro questa gioia nella fede. Essa viene da Dio: “Mi rallegri con le tue meraviglie” abbiamo cantato (Sal 92, 5). Essa raggiunge ciò che di più umano vi è nell’uomo. Oso pensare, infatti, che la vostra vocazione di artisti faccia nascere in voi gioie profonde, quando create o quando contemplate le opere d’arte. Colui che crede, che ama, che spera nel senso cristiano del termine, entra in un mondo nuovo. E - per analogia - anche colui che pratica con passione l’arte di cui Dio gli ha dato il gusto e il talento. Egli non vi cerca il profitto personale; egli non conta sulle proprie forze. Egli lascia sbocciare nel suo cuore il meglio di sé, come uomo libero e lucido, disinteressato. Gusta una pace profonda.
Persuaso che esiste uno stretto legame tra la fede, la carità e la speranza da una parte, e la creazione artistica dall’altra, vorrei meditare con voi sui rapporti reciproci tra queste grandi ricchezze dello spirito umano. Vi invito alla riflessione su ciò di cui certamente avete già l’intuizione: da un lato, la realizzazione di un’opera d’arte è in sé un’esperienza che presenta analogie con l’approccio al mistero cristiano, ma allo stesso modo il cristiano, animato dalla fede, dall’amore e dalla speranza teologali trova nell’arte una dimensione nuova e un mezzo d’espressione straordinario per la sua esperienza spirituale.
2. La fede accoglie il Dio vivente quale si è rivelato. Nella rivelazione, il Dio invisibile si rivolge agli uomini come a degli amici, per invitarli a condividere la propria vita (cf. Dei Verbum, 1). Attraverso gli avvenimenti della storia santa e le parole profetiche che ne danno il senso, fa loro segno e suscita la loro fede nell’alleanza che gli propone. Più ancora, nel Cristo, il Figlio diletto, il Verbo incarnato, “noi conosciamo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle cose invisibili” (“Prefazio di Natale”). Noi andiamo verso questo Dio con l’adesione libera della nostra intelligenza, ma anche con l’amore che risponde al suo amore: “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 5).
La fede è dunque un modo di guardare la vita, la storia, alla luce dello Spirito Santo e, nello stesso tempo, di guardare al di là della storia. Attraverso di essa, noi diventiamo attenti alla realtà più profonda, al di là delle cose e all’interno delle cose. Gli occhi divengono capaci di vedere la bellezza e la coesione di tutto ciò che vive in questo mondo. Alla grande luce di Dio, tutte le luci della creazione acquistano un nuovo fulgore. E, allo stesso modo, l’esperienza umana, la nascita, l’amore, la sofferenza, la morte sono poste in una luce nuova, in relazione con la vita di Cristo.
3. Perciò i credenti, dotati dalla natura di doni artistici che hanno saputo sviluppare, utilizzano volentieri i linguaggi dell’arte per evocare, attraverso la bellezza delle forme sensibili, il mistero di ciò che è ineffabile. La Bibbia stessa non fa parte, in sommo grado, del patrimonio letterario dell’umanità? Essa non ha mai cessato d’essere fonte d’ispirazione per gli artisti, siano essi architetti, scultori, pittori, poeti, compositori di opere musicali e di canti, autori di teatro, di cinema, di coreografia.
La liturgia, da una parte, mette in atto dei simboli che esprimono e realizzano la presenza sacramentale di Cristo. Come dicevo a Roma proclamando beato fra Angelico patrono degli artisti: “In lui la fede è diventata cultura e la cultura è diventata fede vissuta . . . In lui l’arte diventa preghiera” (Giovanni Paolo II, Homilia occasione oblata celebrationis iubilaei artificum in basilica S. Mariae supra Minervam, 2, 18 febbraio 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/1 [1984] 430).
4. Ciò non significa che la sola fede esplicita sia generatrice di arte religiosa. Poiché, in sé, l’arte implica un cammino quasi analogo a quello della fede. Ogni arte autentica interpreta la realtà al di là di ciò che percepiscono i sensi: nasce dal silenzio dello stupore, o dell’affermazione di un cuore sincero. Si sforza di avvicinare il mistero della realtà. L’essenziale dell’arte si situa nel più profondo dell’uomo, in cui l’aspirazione a dare un senso alla propria vita si accompagna a un’intuizione fugace della bellezza e della misteriosa unità delle cose.
Certo, gli artisti sinceri e umili ne sono ben coscienti: qualunque sia la bellezza dell’opera delle loro mani, sanno che disegnano, scolpiscono e creano immagini che non sono che riflessi della bellezza divina. Qualunque sia la potenza evocatrice della musica e delle parole essi sanno di non cantare che un’eco balbuziente del Verbo di Dio. Potrebbero dire con San Paolo: “Dio non dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo . . . la divinità non è simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’immaginazione umana” (At 17, 24. 29). Dio è sempre al di là.
E la realtà più profonda delle cose è al di là. Ma le nostre opere artistiche agiscono su questo “al di là” come segni. Se la nostra conoscenza e il nostro linguaggio sono frammentari, ci è dato talvolta di cogliere la profondità e l’unità degli esseri. È certo che la fede è d’altra natura: essa suppone un incontro personale di Dio in Gesù Cristo, con la luce e l’attrazione che vengono da lui. Ma ogni arte autentica è, a suo modo, una via d’accesso alla realtà più profonda che la fede mette in piena luce. Un mondo senza arte difficilmente si aprirebbe alla fede. Esso rischierebbe di restare estraneo a Dio, come davanti ad un “Dio ignoto” (At 17, 23).
5. Se l’uomo incontra Dio nella fede, dandogli il suo amore con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le sue forze e tutta la sua mente (cf. Lc 10, 27), è nella carità che egli incontra veramente il suo prossimo (cf. 1 Cor 13, 4-7). L’amore volge allora lo sguardo sulla realtà profonda dell’essere incontrato. Esso permette di entrare in simpatia con lui, di comprenderlo, di vedere il bene che è sopito in lui, di avere compassione delle sue miserie visibili o nascoste (cf. Lc 10, 33). L’uomo che ama il suo prossimo sa interpellarsi attraverso di esso in modo radicale, irreversibile, come il buon samaritano. Egli si accosta a lui. Partecipa all’umanità dei suoi fratelli, familiari o lontani. Il credente vi scopre ancora di più il riflesso di Dio che ha creato l’essere umano, uomo e donna, a sua immagine. Il cristiano ha imparato a riconoscere, dietro il volto dell’altro, soprattutto del povero, il profondo mistero del figlio dell’uomo stesso (cf. Mt 25, 31-40).
Parte dal cuore e, sotto l’impulso dello Spirito Santo, raggiunge il volto in cui si esprime l’appello di Dio: tale è la via dell’amore. E questo amore trova naturalmente nell’arte - la pittura, il canto, la musica, l’opera letteraria - un’espressione della sua profondità e delle emozioni vibranti che l’accompagnano.
6. A modo suo l’arte, in sé, testimonia già un misterioso slancio che parte dal cuore dell’uno verso il volto dell’altro. Più ancora che la descrizione di un paesaggio naturale - che pure costituisce un bel soggetto per l’arte - essa è scoperta ed espressione dei lati nascosti dell’altra persona, della sua gioia profonda o del suo segreto tormento, della sua forza o della sua debolezza, delle sue speranze, della sua ricerca di comprensione e di amore. Sì, nelle sue forme più autentiche, l’arte è l’espressione stessa dell’uomo e, in un certo senso, di tutta l’umanità. Essa sgorga dalla sorgente del cuore, quando non è ancora dispersa in tanti ruscelli. L’arte è il linguaggio dell’uomo, quell’essere che ha la capacità di stupirsi prima che di perdersi nella molteplicità delle cose, prima di lasciarsi assorbire da innumerevoli attività che gli danno l’illusione di vivere intensamente. È in questo istante di unità che lo sguardo dell’artista si rivolge di preferenza al volto dell’altro. Quel volto è per lui lo specchio dell’anima e attraverso di esso della realtà tutta. Le cose delle quali si serve nella sua opera sono state tutte toccate dalla mano dell’uomo e si riferiscono a lui. Esse sono il frutto della sua attività e, reciprocamente, questa attività lo ha plasmato. Sì, l’arte è un’espressione privilegiata della simpatia accordata dall’uomo al suo simile, dell’amore portato a ciò che di più profondo è nell’uomo. Un mondo senza arte rischia d’essere un mondo chiuso all’amore. E nei momenti più privilegiati dell’opera di un artista si intuisce che, se la natura è già un riflesso della bellezza divina, il volto dell’uomo è la più bella icona del Dio vivente. Mai il viso dell’uomo è altrettanto bello come quando lascia trasparire la presenza di colui dal quale riceve la vita.
7. Non solo l’arte permette di comunicare il mistero dell’uomo che vuole evocare, rappresentare, dipingere, cantare, ma crea un legame tra tutti gli uomini che la praticano, la contemplano o ne gioiscono. In quanto espressione di tutto ciò che è pienamente umano, essa è universale e sfida il tempo e lo spazio. La memoria umana non cessa di tornarvi. Attraverso le epoche e le culture diverse, l’arte autentica si rivolge a tutti gli uomini. Li riunisce, come fa l’amore. Il potere, l’ambizione, la brama di possedere sono cause di divisione: si possiede ciò di cui l’altro è sprovvisto. Ma quando ascoltiamo insieme un concerto, quando ammiriamo un’opera d’arte, riceviamo tutti questo dono, ciascuno a modo suo, e questa esperienza ci arricchisce.
8. È come dire “l’arte ha le sue esigenze”. Quale senso dell’uomo comunica? Quale visione dell’amore presenta? Quale comunione tra gli uomini ispira? Da quale rispetto è animata per la coscienza dell’uomo, per il suo senso religioso? Sarebbe giusto chiederlo agli artisti. L’albero si riconosce dai frutti. È il cuore dell’artista che si rivela attraverso le sue opere. A voi, cari fratelli e sorelle, che ponderate la vostra responsabilità in questo settore, voglio dire, con San Paolo: “Tutto quello che è vero, nobile e giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4, 8).
E all’attività artistica si applicherebbero anche queste parole di Gesù agli apostoli: “La vostra luce brilli agli occhi degli uomini affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5, 16). Per voi questa luce è la bellezza della vostra opera d’arte. Nel suo messaggio agli artisti, il Concilio Vaticano II diceva: “Voi siete i guardiani della bellezza del mondo: basti questo a liberarvi da gusti effimeri e senza valori veri, a rendervi capaci di rinunciare ad espressioni strane o malsane. Siate sempre e dovunque degni del vostro ideale” (Katholiek Archief, 21 [1966] 13, k. 425).
Certo, l’arte è sempre una “prova”. Ma non tutte le prove sono egualmente ispirate e felici. Alcune sembrano allontanarsi dalla vocazione dell’arte a tradurre il bello, il vero, l’amore, ciò che vi è di più profondo nella natura che è l’opera di Dio, e nel cuore dell’uomo segnato da un destino trascendente. E quando l’arte è interprete di realtà propriamente religiose o si vuole “sacra” si è in diritto di chiederle di evitare ogni falsificazione, dissacrazione, attentato al sentimento religioso delle persone, alle verità delle fede, alle virtù che costituiscono il loro ideale. Questo rispetto degli uomini per ciò che essi hanno più a cuore è fondamentale per la dignità dell’arte.
9. Radicata nella fede e nella carità, vi è un’altra virtù teologale che anima il cristiano: è la speranza. Il poeta Péguy si meravigliava davanti alla “bambina” Speranza. Bernanos, Graham Greene ne hanno parlato a modo loro, descrivendola in situazioni di miseria, di impotenza, di silenzio apparente di Dio.
Spesso oggi un velo di tristezza oscura la nostra cultura. Il cuore umano sembra talvolta incapace di sperare. È l’effetto delle gravi minacce che incombono sull’avvenire dell’umanità (cf. Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 15-16)? Ciò deriva, forse, dalle difficoltà attuali dell’organizzazione del lavoro e della società che priva un buon numero di contemporanei dell’impiego o di redditi sufficienti? È il peso degli ostacoli che impediscono a popoli e gruppi sociali di capirsi, di partecipare, di amarsi, a uomini e donne di comunicare, di fondare “focolari” stabili, di impegnarsi con fiducia gli uni verso gli altri? Senza dubbio la società è frammentata e gli uomini difendono ciascuno il proprio ambito, solitari e scoraggiati. Ma soprattutto dubitano del senso della vita; dubitano dell’amore con cui Dio li ha amati, dubitano della possibilità di superare gli ostacoli e le tentazioni. Inoltre, il loro cuore è talvolta influenzato da ideologie materialistiche che riducono l’uomo a una cosa o che inaspriscono le opposizioni tra gli uomini. I “sospetti” rappresentati da certe forme di pensiero moderno tarpano le ali della speranza. In breve, molti hanno oggi difficoltà ad accogliere le energie del loro cuore e a riacquistare speranza.
10. Questa lacerazione della cultura occidentale si riflette in modo particolare nell’arte. Il tragico dell’uomo è messo a nudo, lentamente, ma inesorabilmente. Talvolta con orgoglio, talvolta con rassegnazione. Certo, la sofferenza umana è sempre stata un tema dell’arte. Tutti i grandi artisti si sono imbattuti, talvolta per tutta la vita, nel problema della sofferenza e della disperazione. Ciononostante molti hanno lasciato trasparire dalla loro arte qualcosa della speranza che è più grande della sofferenza e della decadenza. Esprimendosi nella letteratura, o nella musica, plasmando la materia, dipingendo, essi hanno evocato il mistero di una nuova salvezza, di un mondo rinnovato. Anche nella nostra epoca questo deve essere il messaggio di artisti autentici, che vivono sinceramente tutto ciò che è umano e perfino il tragico dell’uomo ma che sanno con precisione svelare nel tragico stesso la speranza che ci è data. “Questo mondo ha bisogno di bellezza per non cadere nella disperazione” (Concilio Vaticano II, Nuntius ad artifices datus: Constitutiones, Decreta, Declarationes, pp. 1090 s.).
11. Il credente, da parte sua, non minimizza alcuno degli ostacoli né alcuna delle minacce che gravano sull’umanità. Egli stesso conosce prove d’ogni genere. Ma le vive nella prospettiva della redenzione compiuta da Cristo. Anche la sofferenza diventa il luogo della compassione di Dio, della solidarietà con coloro che soffrono, dell’offerta di sé, dell’amore. Essa è cammino di salvezza, di riscatto; essa si incarna nella passione di Cristo che è culminata nella risurrezione. Gli artisti credenti non possono mancare di esprimere ciò nella loro arte. Oggi, molti insistono sulle miserie umane rappresentando specialmente la passione di Cristo ma, per essi, la passione non saprebbe limitarsi al silenzio di Dio né alla durezza inumana degli uomini. Essa è compassione e speranza. Gesù stesso ci ha formati alla speranza. Come un artista divino egli parlò per tutta la sua vita con parabole. Ma nel suo ultimo incontro con i discepoli ha parlato apertamente senza più adoperare similitudini (cf. Gv 16, 29).
E tuttavia era l’ora della dispersione e della solitudine. Ma egli esprime molto chiaramente la causa e il motivo della sua serenità e della sua forza: “Io non sono solo, il padre è con me . . . voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia, io ho vinto il mondo” (Gv 16, 32-33). Ecco, per ogni discepolo di Cristo la sorgente della speranza, della pace che sorpassa ogni intelligenza e, si può dire anche, della gioia (cf. Fil 4, 4. 7. 9).
12. Voi sapete, cari amici, che l’arte è per la fede, la carità, la speranza un’espressione privilegiata. L’arte autentica contribuisce a risvegliare la fede assopita. Apre il cuore al mistero dell’altro. Eleva l’animo di colui che è troppo deluso o troppo stanco per sperare ancora. L’artista che è cristiano ha quindi nella Chiesa, nel mondo, una vocazione alla scelta. Il suo linguaggio simbolico evoca la realtà che è “al di là delle cose” come a dire: “Dio non è lontano da ciascuno di noi”. Voi ricordate l’appello del Concilio agli artisti, che vi rivolgo anche oggi: “Da lungo tempo la Chiesa ha fatto alleanza con voi . . . Voi l’avete aiutata a rendere sensibile il mondo invisibile . . . Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito divino!” (Katholiek Archief, 21 [1966] 13, k. 425).
Se l’artista è creatore attraverso il genio che ha ricevuto in dono, come potrebbe non essere creatrice la grazia di Dio nel cuore dell’uomo? “Vieni, Spirito creatore!”. In questo tempo di preparazione alla Pentecoste, a tutti coloro che sono venuti a congiungersi al mondo dell’arte, rivolgo queste parole: “Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo”.
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