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SOLENNNE RITO DI CANONIZZAZIONE DEL BEATO GIUSEPPE MOSCATI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Piazza San Pietro - Domenica, 25 ottobre 1987

 

1. “Venite, benedetti del Padre mio” (Mt 25, 34). Oggi ultima domenica collegata col Sinodo dei vescovi, parla a noi Cristo, rivolgendoci questo medesimo invito. Parla il Figlio Eterno, al quale il Padre ha dato “ogni giudizio”.

Di fatto, le suddette parole sono tratte dalla pagina evangelica sul giudizio finale, a cui tutti saremo convocati alla fine dei tempi: “E saranno riunite (davanti al Figlio dell’uomo) tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri” (Mt 25, 32).

Il brano evangelico, che è stato oggi proclamato, abbraccia soltanto la prima parte della descrizione del giudizio. Essa parla insieme del definitivo compimento della vocazione dell’uomo in Dio e della piena realizzazione del senso della vita umana: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”! (Mt 25, 34).

Nell’ultima domenica del Sinodo, il cui tema è la vocazione e missione dei laici nella Chiesa, questa desidera ripetere - quasi dal cuore stesso della liturgia odierna - all’intero popolo di Dio, e in particolare ai nostri fratelli e sorelle laici, questo invito: “Ricevete il regno” (cf. Mt 25, 34).

2. Questo invito è, in pari tempo, una chiamata alla santità. Che cos’è la santità? La santità è unione dell’uomo con Dio nella potenza del mistero pasquale di Cristo. Nella potenza dello Spirito di Verità e d’Amore. Proprio di ciò parla il Vangelo di oggi. L’amore ha la forza di unire l’uomo a Dio. E questo amore definitivo matura attraverso le molteplici opere di carità che l’uomo compie nel corso della sua vita: “Mi avete dato da mangiare . . . mi avete dato da bere . . . mi avete ospitato . . . mi avete vestito . . . mi avete visitato . . . siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 35-36).

Quando? Come?

“In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). In questa domanda: “quando . . . come?”, noi avvertiamo come un senso di sorpresa. Nella risposta di Cristo c’è la rivelazione dell’ammirabile misura dell’amore. L’Amore ha sempre e dappertutto la possibilità di raggiungere Gesù Cristo in persona. Esso ha la capacità sempre e dappertutto di unire l’uomo col cuore stesso di Dio. E in questo cuore, come in un perenne fuoco, l’amore “umano” - l’amore a misura delle quotidiane opere dell’uomo - supera se stesso. Partecipa di colui che solo è in pienezza l’Amore.

3. Le note parole dell’Apostolo tratte dalla Lettera ai Corinzi - a quel capitolo 13 che è conosciuto come “inno alla carità” - sono in un certo senso un commento alle parole di Cristo nell’odierno Vangelo.

L’Apostolo prima “descrive”, nei suoi tratti essenziali, l’amore che nasce nel cuore dell’uomo e matura fino alla sua piena dimensione: quella propria di Dio.

Egli dunque scrive: “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13, 4-7).

E poi San Paolo insegna che proprio questo amore “non avrà mai fine” (1Cor 13,8). Esso cammina con ciascuno di noi fino al cospetto del Dio Vivente, quando ci sarà dato vederlo “a faccia a faccia” (1 Cor 13, 12). L’amore ci permetterà di ritrovare noi stessi dinanzi all’infinita maestà di Dio che è santità perché è amore. Solo l’amore ci permetterà di guardare “in faccia” a colui che “è l’amore” (1 Gv 4, 8)

4. Oggi la Chiesa ci invita alla mensa della parola di Dio, per rileggere, alla sua luce, la più grande e definitiva vocazione di ciascuno di noi. In particolare di ciascuno e ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, che nel corso dei giorni e delle settimane passati siete stati in un certo senso protagonisti del grande lavoro del Sinodo.

La Chiesa pone dinanzi ai vostri occhi la figura di un Uomo, che elevato alla gloria degli altari in questa solenne canonizzazione, dice a tutti i laici nella Chiesa:

Considerate . . . la vostra vocazione!” (1 Cor 1, 26).

L’uomo che da oggi invocheremo come santo della Chiesa universale, si presenta a noi come un’attuazione concreta dell’ideale del cristiano laico.

Giuseppe Moscati, medico primario ospedaliero, insigne ricercatore, docente universitario di fisiologia umana e di chimica fisiologica, visse i suoi molteplici compiti con tutto l’impegno e la serietà che l’esercizio di queste delicate professioni laicali richiede.

Da questo punto di vista il Moscati costituisce un esempio non soltanto da ammirare, ma da imitare, soprattutto da parte degli operatori sanitari: medici, infermieri e infermiere, volontari, e quanti, direttamente a indirettamente, sono impegnati nell’assistenza agli infermi e nel vastissimo mondo della sanità e della salute. Egli si pone come esempio anche per chi non condivide la sua fede.

5. Tuttavia fu proprio questa fede a conferire al suo impegno dimensioni e qualità nuove, quelle tipiche del laico autenticamente cristiano. Grazie ad esse gli aspetti professionali, nella sua vita, si integravano armoniosamente fra loro, si sostenevano l’un l’altro, per essere vissuti come una risposta a una vocazione, e quindi come una collaborazione al piano creatore e redentivo di Dio.

Per indole e vocazione il Moscati fu innanzitutto e soprattutto il medico che cura: il rispondere alle necessità degli uomini e alle loro sofferenze, fu per lui un bisogno imperioso e imprescindibile. Il dolore di chi è malato giungeva a lui come il grido di un fratello a cui un altro fratello, il medico, doveva accorrere con l’ardore dell’amore. Il movente della sua attività come medico non fu dunque il solo dovere professionale, ma la consapevolezza di essere stato posto da Dio nel mondo per operare secondo i suoi piani, per apportare quindi, con amore, il sollievo che la scienza medica offre nel lenire il dolore e ridare la salute.

6. Memore delle parole del Signore: “Ero malato e mi avete visitato” (Mt 25, 36), il Moscati vedeva Cristo stesso nel malato, che, nella sua debolezza, nella sua miseria, nella sua fragilità e insicurezza, a lui si rivolgeva invocando aiuto; vedeva chi gli stava innanzi come una persona, un essere in cui c’era un corpo bisognoso di cura, ma anche un essere in cui albergava uno spirito pur esso bisognoso di aiuto e di conforto.

“Ricordatevi - egli scriveva a un giovane dottore, suo alunno - che non solo del corpo vi dovete occupare, ma delle anime con il consiglio, e scendendo allo spirito, anziché con le fredde prescrizioni da inviare al farmacista”.

Infatti - sono ancora parole sue - “il medico si trova tanto spesso al cospetto di anime che stanno lì lì per capitolare e far ritorno ai principi ereditari degli avi, stanno lì ansiose di trovare un conforto, assillate dal dolore. Beato quel medico che sa comprendere il mistero di questi cuori e infiammarli di nuovo. Beati noi medici, tanto spesso incapaci ad allontanare una malattia, beati noi se ci ricordiamo che oltre i corpi abbiamo di fronte delle anime immortali, per le quali urge il precetto evangelico di amarle come noi stessi”.

Per questo, il calore umano con cui il Moscati visitava premurosamente i malati, specie i più poveri e abbandonati, avvicinandoli in ospedale e nelle loro stesse abitazioni, era tale che la gente lo cercava; il suo tratto era ricco di quella bontà rispettosa e delicata, che Gesù Cristo diffondeva intorno a sé quando andava per le strade della Palestina facendo del bene e sanando tutti (cf. At 10, 38). Fu quindi anticipatore e protagonista di quella umanizzazione della medicina, avvertita oggi come condizione necessaria per una rinnovata attenzione e assistenza a chi soffre.

7. Nel costante rapporto con Dio, il Moscati trovava la luce per meglio comprendere e diagnosticare le malattie e il calore per poter essere vicino a coloro che, soffrendo, attendevano dal medico chi li servisse con partecipazione sincera.

Da questo profondo e costante riferimento a Dio, egli traeva la forza che lo sosteneva e che gli permetteva di vivere con integra onestà e assoluta rettitudine nel proprio delicato e complesso ambiente, senza addivenire ad alcuna forma di compromesso. Egli era il maestro, il primario di ospedale che non ambiva a posizioni: se queste gli venivano attribuite, era perché i suoi meriti non potevano essere negati, e quando le occupò, seppe esercitarle con assoluta dirittura e per il bene degli altri.

Uomo integro e cristiano coerente, non esitava a denunziare gli abusi, adoperandosi per demolire prassi e sistemi che andavano a danno della vera professionalità e della scienza, a danno degli infermi come pure degli studenti ai quali sentiva di dover trasmettere il meglio delle proprie cognizioni. Gli studenti sono i medici del domani. Conscio di ciò, il Moscati pensava alla qualità dei futuri medici, prendendo anche pubblicamente posizione affinché non venisse in alcun modo mortificata la loro preparazione e formazione. Preparazione e formazione che seppe incarnare con l’esempio. Anche la morte lo colse, mentre stava visitando una inferma.

Veramente, ogni aspetto della vita di questo laico medico ci appare animato da quella nota che è la più tipica del cristianesimo: l’amore, che Cristo ha lasciato ai suoi seguaci come il suo “comandamento”. Di questa sua personale esperienza del valore centrale del cristianesimo egli ha lasciato numerose tracce nei suoi scritti. Sono parole che a noi, oggi, suonano quasi come un testamento: “Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo, egli osservava; solo pochissimi uomini sono passati alla storia per la scienza; ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell’eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per un più alto ascenso, se si dedicheranno al bene”.

8. Come non avvertire in queste parole quasi un’eco della pagina evangelica, che abbiamo oggi ascoltato? “Mi avete dato da mangiare, mi avete dato da bere . . . mi avete ospitato . . . mi avete vestito . . . mi avete visitato . . .”.

Quando? Come?

Auguro a tutti, amati fratelli e sorelle - qui convenuti in Piazza San Pietro o sparsi nelle varie parti del mondo - auguro a tutti che al termine della vostra vita possiate ripetere queste domande . . . e ricevere la stessa risposta di Cristo!

Allora “la tua luce sorgerà come l’aurora (dice il profeta) . . . e la gloria del Signore ti seguirà . . .” (Is 58, 8).

La carità “non avrà mai fine . . .

la più grande è la carità” (1 Cor 13, 8.13).

Amen!

 

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