LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
A MONSIGNOR PASQUALE MACCHI PER IL VII CENTENARIO
DEL SANTUARIO DELLA SANTA CASA DI LORETO
Al Venerato Fratello Mons. Pasquale Macchi,
Delegato Pontificio per il Santuario di Loreto
1. La Santa Casa di Loreto, primo Santuario di portata internazionale dedicato alla Vergine e, per diversi secoli, vero cuore mariano della cristianità, ha goduto sempre speciale attenzione da parte dei Romani Pontefici che ne hanno fatto meta frequente del loro pellegrinaggio e oggetto delle loro cure apostoliche. Io stesso, in due occasioni, ho avuto la gioia di potermi raccogliere in preghiera tra le sue mura benedette.
La ricorrenza ormai imminente, secondo l’antica tradizione del VII Centenario di codesto Santuario, intimamente legato alla Sede apostolica, mi offre l’opportunità di riconfermare la mia profonda devozione verso la Vergine SS.ma, costì e nel mondo cattolico tanto venerata.
Nelle cose della religione, il centenario non è mai un semplice avvenimento cronologico, ma piuttosto un momento di grazia, in cui si fa memoria riconoscente del passato e ci si protende, con rinnovato dinamismo, verso il futuro.
Nel nostro caso, tale scopo è evidenziato dal fatto che il centenario cade in un momento, in cui la cristianità intera si sta preparando a celebrare il secondo millennio della nascita del Salvatore. Maria fu storicamente l’aurora che precedette il sorgere del Sole di giustizia, Cristo nostro Dio; e tale continua ad essere, misticamente, nella vita della Chiesa, ogni volta che si attende una nuova venuta, in grazia, del Signore.
Come, perciò, negli ultimi giorni dell’avvento liturgico, la Chiesa concentra tutta la sua attenzione su Colei, dalla quale nascerà il Salvatore, così il centenario lauretano ci aiuterà a fare lo stesso durante questo “avvento” che ci porterà al Natale del duemila. Maria – ha scritto S. Bernardo – è la “via regia”, per la quale Dio è venuto verso di noi e per la quale noi possiamo, ora, andare verso di Lui (cf. Discorso I per l’Avvento, 5, Opera, ed. Cistercense, Roma, 1966, p. 174). Ella è, dunque, anche la “via regia” per prepararci al grande appuntamento del bimillenario cristiano.
2. La Santa Casa di Loreto non è solo una “reliquia”, ma anche una preziosa “icona” concreta. È nota l’importanza straordinaria che l’icona ha sempre avuto, specie presso i fedeli delle Chiese orientali, come segno attraverso il quale si opera, nella fede, una specie di “contatto spirituale” con il mistero, per usare un’espressione di S. Agostino (cf. Sermo 52, 6,16 PL 38, 360). Essa “significa” la realtà in senso forte in quanto la “rende presente” ed operante. Quanto più una icona è antica ed ha avuto parte alla vita, alle sofferenze e alle vicende storiche di un popolo o di una città, tanto più è grande la grazia che da essa deriva. Si tratta di qualcosa che trova la sua spiegazione ultima nel mistero della comunione dei Santi.
Come notavo nella mia Enciclica Redemptoris Mater, le icone “sono immagini che attestano la fede e lo spirito di preghiera del buon popolo di Dio, il quale avverte in esse la presenza e la protezione della Vergine” (n. 33).
Ebbene, tale è anche, in un certo senso, la Santa Casa di Loreto, la cui storia è intimamente intrecciata non solo con quella della regione marchigiana, che ha il privilegio di custodirla, ma anche con quella dell’intera nazione italiana, che ha celebrato costì, nel 1985, come ultimo significativo evento, un importante Convegno ecclesiale, e dell’intera cattolicità, che ha dedicato alla Vergine Lauretana innumerevoli chiese, cappelle, edicole ed immagini. Una icona consacrata dalla fede e dalla devozione di generazioni di pellegrini, che con le loro mani e con le loro ginocchia ne hanno modellato perfino le pietre. Il respiro universale di codesto Santuario è confermato dal fatto che la Vergine Lauretana, proclamata dal mio predecessore, Benedetto XV, Patrona universale dell’aviazione, viene ovunque invocata dai viaggiatori in aereo, in un abbraccio di pace che unisce idealmente tutti i continenti.
Lasciando, Perciò, come è doveroso, piena libertà alla ricerca storica di indagare sull’origine del Santuario e della tradizione lauretana, possiamo affermare, a buon diritto, che l’importanza del Santuario stesso non si misura solo in base a ciò, da cui ha tratto origine, ma anche in base a ciò che esso ha prodotto. È il criterio che ci dà Cristo stesso, quando invita i suoi discepoli a giudicare ogni albero dai suoi frutti (cf. Mt 7, 16).
3. La Santa Casa di Loreto è “icona” non di astratte verità, ma di un evento e di un mistero: l’Incarnazione del Verbo. È sempre con profonda commozione che, entrando nel venerato sacello, si leggono le parole poste sopra l’altare: “Hic Verbum caro factum est”: Qui il Verbo si è fatto carne. L’Incarnazione, che si ricorda dentro codeste sacre mura, riacquista di colpo il suo genuino significato biblico; non si tratta di una mera dottrina sull’unione tra il divino e l’umano ma, piuttosto, di un avvenimento accaduto in un punto preciso del tempo e dello spazio, come mettono meravigliosamente in luce le parole dell’Apostolo: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4, 4).
Maria è la Donna, è, per così dire, lo “spazio” fisico e spirituale insieme, in cui è avvenuta l’Incarnazione. Ma anche la Casa in cui Ella visse costituisce un richiamo quasi plastico a tale concretezza. “A Loreto – come ebbi a dire nella festa dell’Immacolata di qualche anno fa, durante la recita dell’Angelus – si medita e si riscopre la nascita di Cristo, il Verbo divino, e la sua vita terrena, umile e nascosta per noi e con noi; a Loreto la realtà misteriosa del Natale e della Santa Famiglia diventa, in qualche modo, palpabile, si fa esperienza personale, commovente e trasformante” (Angelus dell’8 dicembre 1987).
Il mistero dell’Incarnazione si compì attraverso alcuni “momenti” che racchiudono, a loro volta, i grandi messaggi che il Santuario lauretano è chiamato a tener vivi nella Chiesa. Essi sono: 1. il saluto dell’angelo, cioè l’annunciazione 2. la risposta di fede, il “fiat” di Maria e 3. l’evento sublime del Verbo che si fa carne.
Possiamo riassumerli con tre parole: grazia, fede e salvezza, che sono le stesse usate dall’Apostolo per descrivere il mistero cristiano: “Per grazia siete salvi, mediante la fede” (Ef 2, 8). La pietà cristiana ha mirabilmente espresso questi tre momenti nella preghiera dell’Angelus, che possiamo considerare, per il suo contenuto, come la preghiera lauretana per eccellenza: “L’angelo del Signore portò l’annuncio a Maria...”, “Eccomi, sono l’ancella del Signore...”, “E il Verbo si è fatto carne...”.
4. Il racconto dell’Annunciazione, con al vertice la grande parola “piena di grazia” (kecharitoméne), proclama la verità fondamentale che all’inizio di tutto, nei rapporti tra Dio e la creatura, c’è il dono gratuito, la libera e sovrana elezione di Dio, tutto ciò insomma che nel linguaggio della Bibbia è racchiuso nel termine “grazia”. La grazia di Dio è la spiegazione ultima di tutta la grandezza di Maria e, dietro di lei, del suo castissimo sposo San Giuseppe e della Chiesa intera. La grazia che Maria ha ricevuto non è soltanto qualcosa di intenzionale, una benevola disposizione di Dio nei suoi riguardi, ma è qualcosa di reale, è la “gratia Christi” a lei accordata in anticipo in virtù dei meriti della morte del Figlio. È, in definitiva, lo stesso Spirito Santo. Dire, dunque, di lei che è “piena di grazia” equivale a dire che è piena di Spirito Santo.
La Santa Casa di Loreto, dove ancora risuona per così dire, il saluto “Ave, piena di grazia”, è dunque un luogo privilegiato, non solo per meditare sulla grazia, ma anche per riceverla incrementarla, ritrovarla, se persa, mediante i sacramenti. Soprattutto il sacramento della riconciliazione, che ha avuto sempre un posto così rilevante nella vita di codesto Santuario.
5. Il secondo momento del mistero dell’Incarnazione è, come accennavo sopra, il momento del “fiat”, cioè della fede: “Allora Maria disse: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38). È certamente riferendosi a questo momento che Elisabetta, di lì a poco, proclama Maria “beata” per aver creduto (cf. Lc 1, 45). Il Concilio Vaticano II ci insegna a vedere nella fede, – più ancora che nei suoi privilegi, la vera grandezza della Madre di Dio. Ella fu la prima credente della nuova alleanza, colei che “avanzò nella peregrinazione della fede” (Lumen gentium, 58). Grazie alla sua fede Maria, come dice S. Agostino, concepì il Cristo “nella sua mente, prima ancora che nel suo corpo” (Sermo 215, 4, PL 38, 1074).
Il secondo messaggio che risuona tra le mura della Santa Casa è, dunque, quello della fede. A Loreto si è come contagiati dalla fede di Maria. Una fede che non è solo assenso della mente a verità rivelate, ma anche obbedienza, accettazione gioiosa di Dio nella propria vita, un “sì” pieno e generoso al suo disegno.
Notavo nella Redemptoris Mater come la fede di Maria continua a trasmettersi in mezzo al popolo cristiano anche “mediante la forza attrattiva e irradiante dei grandi Santuari, nei quali non solo individui o gruppi locali, ma, a volte, intere nazioni e continenti cercano l’incontro con la Madre del Signore, con Colei che è beata perché ha creduto” (n. 28). E questo si applica in modo del tutto singolare al Santuario di Loreto. Non si contano le anime di semplici fedeli e di Santi canonizzati dalla Chiesa che tra le pareti del sacello lauretano hanno avuto la loro “annunciazione” cioè la rivelazione del progetto di Dio sulla loro vita, e, sulla scia di Maria, hanno pronunciato il loro “fiat” e il loro “eccomi!” definitivo a Dio.
S. Leone Magno diceva che “i figli della Chiesa sono stati generati con Cristo nella sua nascita” (Sermo VI, 2; PL 54, 213) e la Lumen gentium afferma, a sua volta, che Maria “è veramente madre delle membra di Cristo, perché cooperò con la carità alla nascita dei fedeli della Chiesa, i quali di quel capo sono le membra” (n. 53). Questo viene a dire che il “sì” di Maria fu, in qualche modo, anche un “sì” detto a noi. Concependo il capo, Ella “concepiva”, cioè, alla lettera “accoglieva insieme con lui”, almeno oggettivamente, anche noi, che siamo le sue membra. In questa luce la Santa Casa nazaretana ci appare come la Casa comune nella quale, misteriosamente, anche noi siamo stati concepiti. Di essa si può dire ciò che un salmo dice di Sion: “Tutti là sono nati” (Sal 87, 2).
6. Il terzo momento è, infine, quello dell’Incarnazione del Verbo, cioè della venuta tra noi della salvezza. La preghiera dell’Angelus lo rievoca con le parole sublimi del prologo: “E il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Accogliendo con fede la grazia, Maria divenne vera Madre di Dio e figura della Chiesa. “Ogni anima che crede – scrive infatti S. Ambrogio – concepisce e genera il Verbo di Dio... Se, secondo la carne, una sola è la Madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo quando accolgono la parola di Dio” (Esposizione del Vangelo di Luca, II, 26, CSEL, 32, 4, p. 164).
Qual è, a questo proposito, il messaggio che la Santa Casa di Loreto, quale “Santuario dell’Incarnazione”, deve contribuire a diffondere nel mondo? Essa ci richiama alla mente la salvezza nel suo “stato nascente” che è sempre, come si sa, il più carico di suggestione; rende in qualche modo “presente” quell’istante unico nella storia in cui la grande novità fece la sua irruzione nel mondo. Essa aiuta, perciò, a ritrovare, ogni volta, lo stupore, l’adorazione, il silenzio necessari davanti a tanto mistero. Aiuta a far sì che l’evento del bimillenario cristiano, che ci apprestiamo a celebrare, sia l’occasione per riscoprire l’immenso significato che l’Incarnazione del Verbo ha per la fede e la vita dei cristiani. Lo stesso contrasto, che si nota a Loreto, tra la povertà e la nudità delle pareti interne della Santa Casa e il suo splendido rivestimento marmoreo, quante cose ci aiuta a capire del mistero dell’Incarnazione! “Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8, 9). Nulla esprime meglio la trascendente grandezza delle opere divine quanto la rinuncia e l’assenza di ogni grandezza e apparenza umana. La nudità della Santa Casa di Nazaret annuncia la nudità della croce e il mistero dell’Incarnazione contiene già “in nuce” il mistero pasquale. Si tratta dello stesso mistero di “spoliazione” e di “kenosi”, nel quale Maria è stata intimamente associata al Figlio (cf. Redemptoris Mater, 17).
Un aspetto che deve essere tenuto particolarmente vivo nel Santuario lauretano è quello che riguarda il ruolo dello Spirito Santo negli inizi della salvezza. Grazie ad esso, se da una parte l’Incarnazione annuncia il mistero pasquale, dall’altra prelude già alla Pentecoste. Parlando della fine del secondo millennio, nella mia Enciclica Dominum et vivificantem, scrivevo: “La Chiesa non può prepararsi ad esso in nessun altro modo, se non nello Spirito Santo... Ciò che nella pienezza del tempo si è compiuto per opera dello Spirito Santo, solo per opera sua può ora emergere alla memoria della Chiesa” (n. 51). E dove si potrebbe parlare con più efficacia del ruolo dello Spirito Santo, “datore di vita”, se non nel Santuario lauretano, che ricorda il momento e il luogo in cui Egli compì la suprema delle sue operazioni “vivificanti”, dando vita, nel seno di Maria, all’umanità del Salvatore?
7. Ciò che abbiamo detto ci aiuta a vedere più chiaramente quale potrebbe essere la funzione dei grandi Santuari, particolarmente quello di Loreto, nel nuovo contesto religioso di oggi: non luoghi del marginale e dell’accessorio ma, al contrario, luoghi dell’essenziale, luoghi, dove si va per ottenere “la grazia”, prima ancora che “le grazie”. Oggi è necessario, per rispondere alle nuove sfide della secolarizzazione, che i Santuari siano luoghi di evangelizzazione, vere e proprie cittadelle della fede, nel senso globale che questa parola aveva sulla bocca di Gesù quando diceva: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15). “Si potrebbe forse parlare – scrivevo sempre nella Redemptoris Mater – di una specifica “geografia” della fede e della pietà mariana, che comprende tutti questi luoghi di particolare pellegrinaggio del popolo di Dio” (n. 28).
È noto il ruolo determinante che svolsero nella prima evangelizzazione dell’Europa alcuni grandi monasteri, quali centri di spiritualità e veri campi-base nel cammino della fede. I grandi Santuari – divenuti oggi, anche grazie all’accresciuta mobilità umana, luoghi di più grande concorso di popolo – sono chiamati ad assolvere una funzione analoga, in vista della nuova ondata di evangelizzazione, di cui avvertiamo tanto urgente il bisogno per l’Europa e per il mondo. Occorre l’opera sapiente e zelante delle persone poste a servizio dei Santuari e di quelle che accompagnano spiritualmente i pellegrini. Per questo non si raccomanda mai abbastanza la necessità di una adeguata pastorale, aperta alle grandi sfide del mondo e ai segni dei tempi, ispirata alle direttive conciliari e del magistero più recente della Chiesa, soprattutto per quanto riguarda l’efficace amministrazione dei sacramenti e la centralità della Parola di Dio. Quante persone si sono recate ad un Santuario per curiosità, come visitatori, e sono tornate alle loro case trasformate e rinnovate, perché vi hanno ascoltato una parola che le ha illuminate!
Vale in modo tutto particolare per i Santuari ciò che Dio dice per mezzo del profeta: “Il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli” (Is 56, 7). L’efficacia dei Santuari si misurerà sempre più dalla capacità che essi avranno di rispondere al bisogno crescente che l’uomo sperimenta, nel ritmo frenetico della vita moderna, di un contatto silenzioso e raccolto con Dio e con se stesso. Quale grazia poter fare questo proprio presso la Santa Casa di Nazaret, dove Maria e lo stesso Gesù dedicarono gran parte del loro tempo alla preghiera silenziosa e nascosta.
Mi auguro, dunque, che si avveri sempre più quanto ebbi a dire nell’occasione già ricordata: “A Loreto folle innumerevoli, ogni giorno e da tutto il mondo, si accostano al Sacramento della Confessione e dell’Eucaristia e molti si convertono dall’incredulità alla fede, dal peccato alla grazia, dalla tiepidezza e dalla superficialità al fervore spirituale e all’impegno della testimonianza. Loreto è una sosta di pace per l’anima, è un incontro particolare con Dio; è un rifugio per chi cerca la Verità e il senso della propria vita” (Angelus dell’8 dicembre 1987).
8. Ho detto che i Santuari devono essere sempre più luoghi dell’essenziale, in cui si fa esperienza dell’assoluto di Dio. Ma non per questo in essi saranno dimenticati i problemi quotidiani della vita. Il ricordo della vita nascosta di Nazaret evoca questioni quanto mai concrete e vicine all’esperienza di ogni uomo e di ogni donna. Esso ridesta il senso della santità della famiglia, prospettando di colpo tutto un mondo di valori, oggi così minacciati, quali la fedeltà, il rispetto della vita, l’educazione dei figli, la preghiera, che le famiglie cristiane possono riscoprire dentro le pareti della Santa Casa, prima ed esemplare “chiesa domestica” della storia.
Tornano alla mente qui le parole con cui il mio predecessore Paolo VI espresse quella che chiamò “la lezione di Nazaret”: “Nazaret ci insegni che cos’è la famiglia, la sua comunione d’amore, la sua austera e semplice bellezza, il suo carattere sacro ed inviolabile, impariamo da Nazaret come è dolce e insostituibile la formazione che essa dà; impariamo come la sua funzione sia all’origine e alla base della vita sociale” (Discorso di Paolo VI a Nazaret, 5 gennaio 1964).
La Santa Casa ricorda, in pari tempo, anche la grandezza della vocazione alla vita consacrata e alla verginità per il Regno, la quale ebbe qui la sua gloriosa inaugurazione nella persona di Maria, Vergine e Madre. Ai giovani, poi, che innumerevoli pellegrinano alla Casa della Madre, vorrei ripetere le parole che ho rivolto loro in altra occasione: “Camminate verso Maria, camminate con Maria... Fate riecheggiare nel vostro cuore il suo fiat” (Macerata, 19/6/1993).
Possano i giovani rinnovare, alla luce degli insegnamenti della Casa di Nazaret, il loro impegno nel laicato cattolico onde riportare Cristo nei cuori, nelle famiglie, nella cultura e nella società (cf. Ivi).
Il giusto sforzo dei nostri tempi per riconoscere alla donna il posto che le compete nella Chiesa e nella società trova anch’esso qui un’occasione quanto mai adatta di approfondimento. Per il fatto che Dio “mandò il suo Figlio nato da donna” (Gal 4, 4), ogni donna è stata elevata, in Maria, ad una dignità tale che non se ne può concepire una maggiore (cf. Mulieris dignitatem, 3-5).
Nessuna considerazione teorica, poi, potrà mai esaltare la dignità del lavoro umano quanto il semplice fatto che il Figlio di Dio ha lavorato a Nazaret ed ha voluto essere chiamato “figlio del falegname” (cf. Mt 13, 55). Il lavoratore cristiano che ripensa la sua vocazione all’ombra della Santa Casa scopre anche un’altra importante verità: che il lavoro non solo nobilita l’uomo e lo rende partecipe dell’opera creatrice di Dio, ma può essere altresì un’autentica via per realizzare la propria fondamentale vocazione alla santità (cf. Laborem exercens, 24-27).
Infine, come non accennare alla “scelta dei poveri” che la Chiesa ha fatto nel Concilio (cf. Lumen gentium, 8) e ribadito sempre più chiaramente in seguito? Le austere e umili pareti della Santa Casa ci ricordano visivamente che è Dio stesso che ha inaugurato questa scelta in Maria, la quale, come dice un bel testo conciliare, “primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, che con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza” (Ivi, 20).
Sempre a proposito di questo tema della povertà e della sofferenza, un posto privilegiato hanno avuto nella storia del Santuario i malati che furono tra i primi ad accorrere pellegrini alla Santa Casa e a diffondere la sua fama tra le genti. Anche oggi la loro presenza, specie nel cosiddetto “treno bianco”, è quella che fa vivere al Santuario alcuni momenti vibranti di fede e di intensa devozione. Dove potrebbero essi, del resto, essere accolti meglio, se non nella casa di Colei che proprio le “litanie lauretane” ci fanno invocare come “salute degli infermi” e “consolatrice degli afflitti”? Accanto a Maria, il credente scopre che “soffrire significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente sensibili all’opera delle forze salvifiche di Dio offerte all’umanità in Cristo” (Salvifici doloris, 23).
9. Faccio voti affinché il glorioso Santuario della Santa Casa, che ha avuto una parte così attiva nella vita del popolo cristiano per quasi tutto il corso del secondo millennio che sta per concludersi, possa averne una altrettanto significativa nel corso del terzo millennio che è alle porte continuando ad essere, come per il passato, uno dei pulpiti mariani più alti della cristianità. “Possa questo Santuario di Loreto – come ebbe a dire il mio predecessore Giovanni XXIII durante la sua storica visita – essere sempre come una finestra aperta sul mondo, a richiamo di voci arcane, annunzianti la santificazione delle anime, delle famiglie, dei popoli” (AAS 54 [1962] 726).
La Vergine Lauretana dall’alto del suo colle benedica e soccorra tutti i popoli, in particolare quelli che, sull’altra sponda dell’Adriatico, dove è così viva la tradizione lauretana, sono oggi così provati da guerre fratricide! Possa, infine, accogliere sotto il suo manto tutti i cristiani in un gesto materno, ravvivando la nativa vocazione ecumenica di codesto Santuario, che ha radici, secondo la tradizione lauretana, nell’Oriente cristiano.
Nel significarle che intendo anche concedere una speciale indulgenza, a determinate condizioni, a quanti visiteranno codesto Santuario nel corso dell’anno celebrativo del centenario, ben volentieri imparto a lei, venerato fratello, ai membri della Delegazione Pontificia e della Comunità dei Padri Cappuccini, alla città di Loreto ed a tutti i pellegrini che visiteranno o prenderanno parte alle celebrazioni giubilari una particolare benedizione apostolica, in pegno di abbondanti grazie celesti.
Dal Vaticano, 15 agosto, Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, dell’anno 1993, 15° di Pontificato.
GIOVANNI PAOLO PP. II
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