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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI GIORNALISTI
DELL’ASSOCIAZIONE DELLA STAMPA ESTERA IN ITALIA

Domenica, 17 gennaio 1988

 

Signor Ministro,
Signori Direttori Generali,
Cari amici giornalisti.

1. A voi il mio cordiale saluto! Sono vivamente grato per le parole di benvenuto del vostro presidente e per l’invito a visitare la vostra sede, rivoltomi a nome dei giornalisti soci dell’Associazione della stampa estera in Italia.

Oggi, in occasione dell’incontro con i fedeli della vicina parrocchia di san Lorenzo in Lucina, mi è stata offerta l’opportunità di accettare il vostro invito, che si situa nel contesto del 75° anniversario della fondazione del vostro sodalizio, avvenuta nel lontano 1912. La mia presenza qui, nella vostra sede, vuole essere soprattutto espressione di sincero apprezzamento per il lavoro, a cui dedicate le vostre energie.

2. Nel corso dei miei viaggi pastorali, ho voluto incontrarmi in diverse parti del mondo con i vostri colleghi e con quelli tra voi, che in più d’una occasione hanno condiviso con me le fatiche dei trasferimenti. In tali circostanze ho manifestato la mia stima per tutte le dimensioni del complesso fenomeno della comunicazione sociale, il cui nucleo centrale consiste sempre, in definitiva, nella trasmissione di valori e di informazioni tra voi, giornalisti, e i destinatari dei mezzi in cui operate.

La complessità tecnica delle trasmissioni e della riproduzione di immagini non può nascondere il fatto essenziale della comunicazione: un rapporto in due direzioni, tra l’operatore dell’opinione pubblica e il pubblico al quale egli si dirige. Parlando a un gruppo di vostri colleghi, ho avuto occasione di dir loro che i giornalisti “come comunicatori, debbono ascoltare oltre che parlare”. Ascoltare le esigenze e le necessità della gente; ascoltare soprattutto la voce con la quale si manifesta la dignità di ogni essere umano, di ogni donna, di ogni uomo, di ogni bambino in qualsiasi circostanza della vita. Il giornalismo, testimone dell’attività quotidiana dell’uomo, non può trascurare di testimoniare in favore della sua originaria dignità, non può separare l’uomo dalla dignità che gli è propria. Il giornalismo che non ascolta l’uomo, finirà per disprezzarlo.

“Ascoltare” l’uomo è rispettarlo nell’affrontarne i problemi individuali e sociali. E inoltre promuoverne l’educazione e il riposo. Ma è soprattutto fornirgli, mediante la vostra attività, un’informazione, che sia al di là d’interessi personali o di parte, un’informazione che, essendo indipendente, non si piega a concezioni ideologiche o a compromessi di potere. L’uomo che ha scelto la professione d’informare, deve cercare appassionatamente la verità per se stessa, perché amarla in funzione d’altro sarebbe già un rinunciare ad essa. Su questa base di indipendenza e di rigore nel servizio alla verità il vostro lavoro può rendere un contributo inestimabile alla società. La società ha bisogno d’informazione vera e, entro i limiti della giustizia e della carità, completa. E voi siete i responsabili a cui spetta di offrirgliela.

3. Conosco almeno alcuni dei problemi che voi incontrate nella vostra quotidiana fatica. Voi sentite la pressione del potere - nelle sue distinte forme ideologiche o economiche - che vi si avvicina per condizionare le vostre informazioni. Dovete lavorare abitualmente - forse come nessun altro professionista - entro limiti di tempo piuttosto ristretti. A volte vi viene chiesto di scrivere su argomenti o temi lontani o addirittura contrari ai vostri principi. Spesso, le esigenze di lavoro vi tengono lontani dalla vostra famiglia e dalla vostra casa, e siete sottoposti a frequenti cambi di residenza, passando da un paese all’altro.

Come non ricordare, di fronte a tali situazioni, che voi siete più importanti del vostro lavoro? La vostra personale dignità umana è superiore a un “successo” intravisto o a una promozione promessa. Se vi lasciate dominare da una dinamica puramente “professionalistica”, la vostra vita si rivelerà “eccentrica” a se stessa, e la vostra intimità personale risulterà invasa dal vuoto. Il prodotto del vostro lavoro favorisce negli altri il riposo e la distensione. Non è dunque giusto che coltiviate anche voi, nella vostra vita, uno spazio per voi stessi, per le vostre famiglie, per quel clima di serenità che facilita all’uomo l’apertura alla trascendenza e l’ascolto della voce di Dio?

La Chiesa - l’ho detto ai vostri colleghi in varie occasioni - sta dalla vostra parte. Siate cristiani o no, nella Chiesa troverete sempre la giusta stima per il vostro lavoro e il riconoscimento della libertà di stampa. La Chiesa, però, va ancora più in là perché, accanto ai diritti, sostiene l’esistenza di doveri. Il dovere della verità. Il dovere dell’indipendenza dalle manipolazioni, che distorcono la verità. Il dovere di rispettare l’uomo, ogni uomo, in ogni luogo, nella sua dignità di figlio di Dio.

Cari giornalisti della stampa estera, vi ringrazio ancora per l’invito che mi avete rivolto in questa ricorrenza anniversaria. Approfitto dell’occasione per chiedervi di portare alle vostre famiglie un saluto speciale del Papa. E rivolgo anche un saluto ai vostri collaboratori in questa sede, alle persone responsabili dei servizi postali e telefonici, che tanto agevolano il vostro lavoro quotidiano. A tutti il mio saluto più cordiale unito ad una particolare preghiera a Dio per voi e per i vostri cari.  

Al termine del discorso il Santo Padre ha aggiunto:

Ho parlato della vostra indipendenza, ma per dire la verità ho parlato lungo tutto il testo della vostra e della nostra umana dipendenza. C’è una dipendenza che ci fa onore, la dipendenza che ci costituisce come uomini, come persone: e questa è la dipendenza dalla verità. L’uomo nella sua dimensione personale viene costituito appunto da questa dipendenza e grazie a questa dipendenza dalla verità è indipendente. Non può essere indipendente altrimenti. Questa piccola spiegazione dei termini è utile per non lasciare, come dire, una eventuale contraddizione. Si, c’è qualche contraddizione, ma di superficie, nel profondo c’è una logica, una logica della nostra esistenza umana, della nostra dignità umana, della nostra personalità umana.

Questa, la prima osservazione per completare il discorso. Ma poi c’è un altro allegato, più circostanziale. Quando ho saputo che voi celebrate la ricorrenza dei 75 anni ho pensato subito a questa stessa ricorrenza nella vita degli ecclesiastici, perché questi 75 anni sono famosi anche in Vaticano. La vostra presidente ha detto che il Vaticano è una realtà un po’ complessa. Si, io devo vivere in questa complessità. Ma uno degli elementi di questa complessità del Vaticano, ma non solamente del Vaticano, è il 75°, perché 75 vuol dire l’anno in cui il Vescovo, anche il parroco, deve presentare all’istanza superiore la disponibilità a rinunciare al suo compito, alla sua funzione. Non viene automaticamente messo in pensione, come si dice nel linguaggio più professionale, civile, amministrativo, ma deve presentare la sua disponibilità. Ecco io non vorrei fare un paragone fra la situazione che esiste in Vaticano e quella che esiste nella vostra Associazione. Sono convinto che questo 75° anniversario non deve servire a rinunciare. A rinunciare a che cosa? Ad essere giornalisti? A rinunciare a costituire questa Associazione? A rinunciare a fare giornalismo? Tutto questo è impossibile. Allora, lo dico per tranquillizzare la mia coscienza e forse anche la coscienza di voi tutti e, soprattutto, della vostra presidente, nessuna paura, niente paura per i 75 anni. Se in Vaticano c’è qualche paura, nessuna in questa vostra Associazione.

A me piace incontrare i giornalisti sull’aereo. Poi escono cose diverse e preferisco non leggere tutto. Noi tutti siamo dipendenti dalla verità ma, d’altra parte, siamo condizionati, anche esternamente, dalla società, ma poi interiormente. Naturalmente, tra quello che è la verità e quello che uno pensa che sia la verità ci sono piccoli spazi vuoti, qualche divergenza, forse anche qualche contraddizione. Ma non dobbiamo meravigliarci troppo.

Allora mi viene alla memoria la parola di Aristotele, molte volte ripetuta nella storia della filosofia, che affermava che la prima condizione per conoscere, per la scienza, anzi per la filosofia, è quella di meravigliarsi, è l’ammirazione. La realtà deve creare ammirazione. Auguro a voi anche questa ammirazione. Voi non siete scienziati, ma siete tutti servitori della informazione, cioè della conoscenza. La vostra professione, la vostra vocazione, possiamo dire, si trova lungo la strada della conoscenza umana. Dovete conoscere voi per primi e poi far conoscere agli altri: e qui subentra il problema della verità da comunicare. Qui entra di nuovo il problema della responsabilità, responsabilità per la comunicazione. Vi auguro questa disponibilità, questa apertura spirituale per essere capaci di ammirare tutto ciò che è buono, che è vero, che è bello, tutto ciò che vi circonda nel mondo, soprattutto nella creazione di Dio, ma poi anche nelle opere umane. Ci sono tante cose da ammirare. Certo sono piuttosto i poeti a trasmettere agli ascoltatori, ai lettori, questa dimensione, questo aspetto della realtà, ma penso che ognuno di voi deve essere un po’ poeta. Una vocazione, “anthropos poietikos”.

Grazie ancora una volta. Auguro tutto il bene per le vostre famiglie che non sono venute.

 

© Copyright 1988 - Libreria Editrice Vaticana

 



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