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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI COMPONENTI DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA
PER L'INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO

Giovedì, 23 gennaio 1992

 

1. È sempre per me motivo di compiacimento e di gioia questo annuale incontro con voi, illustri Membri del Tribunale della Rota, perché mi offre propizia occasione di esprimere a cosi importante Istituzione della Chiesa Romana la mia considerazione e la mia riconoscenza, insieme con i miei cordiali auguri all'inizio del nuovo anno giudiziario.

Ringrazio innanzitutto Monsignor Decano per l'indirizzo rivoltomi e sono lieto di confermare le parole con cui egli ha concluso, poiché la sua elevazione all'episcopato ha voluto veramente essere, oltreché un atto di stima e gratitudine nei suoi confronti, un attestato di apprezzamento per il secolare e glorioso Tribunale della Rota Romana.

2. Il rapido cenno testé fatto dallo stesso Monsignor Decano ai rivolgimenti subitanei e quasi inattesi, che si sono succeduti in questi ultimi anni nel mondo intero, ed in particolare nell'Europa in cui viviamo, non può non indurre ad una sosta di riflessione su alcuni aspetti che, in una visione globale dell'odierna vita della Chiesa, direttamente interessano l'attività e il «munus specificum» del Tribunale Apostolico della Rota Romana.

Indubbiamente la sollecitudine, che è propria del ministero universale del Successore di Pietro, si estende a tutti i problemi ecclesiali che tali contingenze comportano: questa, ad esempio, è stata la ragione che mi ha spinto a convocare, nel passato mese di novembre, la speciale Assemblea del Sinodo dei Vescovi col compito di affrontare i problemi posti alla Chiesa dai cambiamenti avvenuti nel Continente europeo. Né diversamente è stato in altri più o meno recenti incontri con i vescovi di determinate regioni. Sempre l'attenzione mia e dei Fratelli nell'episcopato ha voluto essere un puntuale ed approfondito esame delle situazioni attuali, anche e soprattutto nella prospettiva del futuro, alla ricerca di quei rimedi pastorali che, fondati sulla certezza della potenza sanatrice e vivificatrice della Redenzione operata da Cristo Signore, è sembrato offrissero una risposta idonea ed efficace alle necessità spirituali incalzanti.

3. In tale ricerca, come è nella ininterrotta tradizione della Chiesa e nella incessante opera di questa Sede Apostolica, vengono sempre a confrontarsi, da una parte, le supreme esigenze della legge di Dio, impreteribile ed immutabile, confermata e perfezionata dalla Rivelazione cristiana e, dall'altra, le mutevoli condizioni dell'umanità, le sue particolari necessità, le sue più acute debolezze.

Non si tratta evidentemente di adattare la norma divina o addirittura di piegarla al capriccio dell'uomo, poiché ciò significherebbe la negazione stessa di quella e la degradazione di questo: si tratta piuttosto di comprendere l'uomo d'oggi, di metterlo a giusto confronto con le inderogabili esigenze della legge divina, di indicargli il modo a lui più consentaneo di adeguarvisi. È quanto, ad esempio, sta facendo, al presente, la Chiesa con la partecipazione dell'intera comunità - vescovi, preti, laici, Istituti culturali, teologi - mediante il nuovo Catechismo cattolico, il cui intento è di presentare il volto di Cristo alla intelligenza, al cuore, alle aspettative, alle ansie dell'umanità, in procinto di affacciarsi con trepidazione alla soglia del duemila.

In questo impegnativo ed affascinante sforzo di adeguamento si colloca anche l'ordinamento canonico, facendo esso parte, anzi esprimendo visibilmente per sua stessa natura l'anima interiore di quella società, esterna ad un tempo ma sempre misticamente soprannaturale, che è la Chiesa. Così nel campo del diritto, partendo dalla realtà di oggi e con prospettive di speranza per il futuro, si è andata elaborando la revisione del Codice canonico, che io stesso ho avuto la gioia di promulgare. Tale testo, tuttavia, cesserebbe di essere lo strumento che deve essere nel compito salvifico della Chiesa, se coloro a cui spetta non ne curassero con diligenza l'applicazione. «Canonicae leges - affermavo nella Costituzione promulgativa del Codice - suapte natura observantiam exigunt», per cui «optandum sane est, ut nova canonica legislatio efficax instrumentum evadat, cuius ope Ecclesia valeat se ipsam perficere secundum Concilii Vaticani II spiritum, ac magis magisque parem se praebeat salutifero suo muneri in hoc mundo exsequendo».

4. L'applicazione della legge canonica comporta, però, anzi presuppone la sua corretta interpretazione: e qui si innesta e si colloca la funzione precipua del Dicastero Rotale.

È a tutti noto che l'interpretazione giudiziale - in forza del canone 16 paragrafo 3 - non ha valore di legge e obbliga esclusivamente le persone o concerne le cose per cui la sentenza è stata pronunziata; ma non per questo l'opera del giudice è meno rilevante o meno essenziale. Se l'attività di giudicare consiste nel far calare la legge nella realtà, e quindi nell'attuare concretamente la volontà della norma astratta - pur limitatamente ai casi portati in giudizio -, non si può negare la delicatezza della funzione intermediatrice che il giudice è chiamato a svolgere fra l'ordinamento e i soggetti ad esso sottoposti. L'astratta maestà della legge - anche di quella canonica - resterebbe un valore avulso dalla realtà concreta in cui esiste ed agisce l'uomo in genere, e il fedele in specie, se la norma stessa non venisse rapportata all'uomo per il quale è stata stabilita.

Già da questo punto di vista più generale ben si comprende l'opera vitale che a voi, Giudici rotali, è riservata. Ma vi è qualcosa di più particolare e specifico che vi riguarda, essendo voi membri di un Tribunale Apostolico, e come tali chiamati a svolgere uno specifico ruolo in quel rapporto, a cui poc'anzi ho accennato, della Chiesa col mondo di oggi.

Ancora e proprio nell'ambito della interpretazione della legge canonica, particolarmente ove si presentano o sembrano esservi «lacunae legis», il nuovo Codice - esplicando nel canone 19 ciò che poteva essere desumibile anche dall'omologo canone 20 del precedente testo legislativo - pone con chiarezza il principio per cui, fra le altre fonti suppletorie, sta la giurisprudenza e prassi della Curia Romana. Se poi restringiamo il significato di tale espressione alle cause di nullità di matrimonio, appare evidente che, sul piano del diritto sostantivo e cioè di merito, per giurisprudenza deve intendersi, nel caso, esclusivamente quella emanante dal Tribunale della Rota Romana. In questo quadro è quindi da intendere anche quanto afferma la Costituzione Pastor bonus, ove attribuisce alla stessa Rota compiti tali per cui essa «unitati iurisprudentiae consulit et, per proprias sententias, tribunalibus inferioribus auxilio est».[1]

5. Due esigenze allora si impongono al vostro specifico ufficio: quella di salvaguardare l'immutabilità della legge divina e la stabilità della norma canonica e, insieme, quella di tutelare e difendere la dignità dell'uomo.

È stata appunto la continua attenzione al rispetto e alla tutela delle esigenze dell'uomo di oggi a guidare il Legislatore canonico nella revisione del Codice, modificando istituti non più congruenti con la cultura odierna e introducendone altri che garantiscono diritti imprescindibili e irrinunciabili. Basti qui pensare a tutta la nuova legislazione canonica circa le persone nella Chiesa ed in particolare circa i «christifideles»; come pure alla riforma del diritto processuale, organizzato in un complesso di norme più snelle e più chiare e soprattutto più attente al doveroso riguardo per la dignità umana.

Del resto, è stata la giurisprudenza di codesto Tribunale che, pur muovendosi entro i confini invalicabili della legge divino-naturale, ha saputo prevenire ed anticipare statuizioni canoniche, in materia ad esempio di diritto matrimoniale, poi definitivamente consacrate nel vigente Codice. Il che non sarebbe stato possibile, se la ricerca, l'attenzione, la sensibilità portate sulla realtà «uomo» non avessero guidato ed illuminato l'opera giurisprudenziale della Rota, con l'ausilio naturalmente e con la reciproca influenza della scienza canonistica ed insieme delle discipline umanistiche fondate in una corretta antropologia filosofica e teologica. In tal modo, anche mediante il vostro specifico lavoro, la Chiesa mostra al mondo, insieme col suo volto di ministra di redenzione, anche quello di maestra di umanità.

Invocando quindi da Dio luce e vigore per ciascuno in così arduo compito, imparto di cuore a voi tutti - Giudici, Officiali ed Avvocati - la Benedizione Apostolica, quale pegno della sua onnisciente e onnipotente assistenza.


[1] Art. 126: AAS 80 (1988), p. 892.

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