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VIAGGIO PASTORALE IN BENIN, UGANDA E KHARTOUM

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BENIN

Arcivescovado di Cotonou (Benin) - Mercoledì, 3 febbraio 1993

 

Cari fratelli nell’Episcopato,

1. Al termine della mia prima giornata sul suolo del Benin, mi è particolarmente gradito avere questo incontro fraterno con voi, pastori delle comunità diocesane del paese, e ringrazio cordialmente Monsignor Lucien Monsi-Agboka, Vescovo d’Abomey e Presidente della Conferenza Episcopale, per quanto mi ha amabilmente espresso a vostro nome. “La nuova evangelizzazione”: questo è il tema generale che avete scelto per la visita del Papa in Benin. È dunque a questo argomento di attualità che si riferiscono le mie proposte, che si iscrivono nella linea dell’enciclica Redemptoris missio: “Come il Signore risorto conferì al collegio apostolico con a capo Pietro il mandato della missione universale, così questa responsabilità incombe innanzitutto sul collegio dei vescovi” (n. 63).

2. Sulla funzione dei vescovi, sia in quanto collegio che come pastori che conducono personalmente le differenti diocesi, il Concilio Vaticano II si esprime così: “Tra i principali doveri dei vescovi, eccelle la predicazione del Vangelo” (Lumen gentium, n. 25). Oggi più che mai, il mondo ha bisogno della predicazione della Buona Novella. Essa vuole portare il Vangelo non soltanto nelle aree geografiche dove non è ancora giunto ma anche e soprattutto in tutti gli ambienti della famiglia umana, che esso è destinato a vivificare dall’interno. Lo scopo dell’evangelizzazione è dunque, con l’accoglienza della fede, il cambiamento interiore, la conversione della coscienza personale e collettiva degli uomini.

3. Dopo le iniziative dei primi missionari e dei loro successori, la Chiesa in Benin è cresciuta con l’aiuto dei suoi stessi abitanti. Essa ha ormai i suoi sacerdoti, i suoi vescovi e anche un Cardinale, a cui è stata affidata a Roma la responsabilità di un dicastero di grande importanza e del quale apprezzo la collaborazione.

Le vocazioni sacerdotali che maturano sono una testimonianza della vitalità delle comunità cristiane. Il grande seminario Saint-Gall, di cui la Chiesa in Benin può essere fiera, ha dato a numerose diocesi dell’Africa dell’Ovest generazioni di sacerdoti con una profonda vita spirituale e animati da un grande zelo missionario. Lasciatemi esprimere, a nome della Chiesa, la mia gratitudine per il lavoro compiuto a Ouidah, in questo centro di preparazione alla vita sacerdotale. Auspico che, grazie ad una collaborazione sempre più fruttuosa tra i vescovi e il corpo insegnante, sia fornita una formazione di qualità ai seminaristi e che si continui a dare prova di prudenza per la chiamata agli Ordini: certamente, la Chiesa si augura di avere sacerdoti in gran numero, ma non a qualunque prezzo, perché soltanto sacerdoti secondo il cuore di Cristo possono rispondere alle immense necessità della messe. In Benin, come in altri paesi africani, i laici impegnati e i valorosi catechisti sono al fianco dei pastori per dare alle comunità cristiane fondamenti sempre più solidi. Continuate, cari fratelli, a fare prendere più viva coscienza ai fedeli laici del loro posto e della loro missione nella Chiesa; sviluppate in essi il senso della corresponsabilità nell’opera mai finita dell’evangelizzazione.

4. Nel corso degli anni difficili che il vostro paese ha conosciuto, non avete rinunciato a portare la luce del Vangelo al vostro Popolo. Nel 1989, lo avete invitato alla conversione con un documento che, a detta di molti, ha profondamente segnato la vita nazionale; l’avete incoraggiato a partecipare alla ricostruzione del paese; e, un anno fa, l’avete aiutato a riflettere sulle esigenze della democrazia. Spero che continuiate pazientemente e instancabilmente la vostra opera di buoni samaritani; in effetti, il lungo periodo di un regime fortunatamente oggi scomparso ha fortemente provato i vostri connazionali e indebolito la loro capacità di reazione: l’uomo ferito deve ritrovare tutte le risorse della sua umanità. Gli abitanti del Benin hanno bisogno della vostra presenza comprensiva e della vostra sollecitudine pastorale. Aiutateli a riprendersi e a raccogliere le loro energie per il bene comune!

5. Sono felice del grande servizio che la gerarchia di questo paese, nella persona di Monsignor Isidoro de Souza, ha reso alla nazione in un momento importante e mi congratulo con voi. In generale, formulo l’augurio che colui che ha creduto di dover accettare eccezionalmente, per spirito evangelico, una missione temporanea di ordine politico ritorni senza indugi alla missione che gli è propria, la responsabilità delle anime, per la quale ha ricevuto l’ordinazione. In effetti, in questo campo, conviene che il testimone sia passato ai fedeli laici appena possibile, secondo quanto dichiara il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Non spetta ai pastori della Chiesa intervenire direttamente nell’azione politica e nell’organizzazione della vita sociale. Questo compito fa parte della vocazione dei fedeli laici, i quali operano di propria iniziativa con i loro concittadini” (n. 2442). Possano i cattolici in Benin penetrare nella dottrina sociale della Chiesa per essere veramente luce, sale e lievito, ed essere in grado di animare con uno zelo cristiano tutte le realtà temporali!

6. L’evangelizzazione, che è al centro del ministero episcopale, passa attraverso l’inculturazione della fede. È un tema che vi è caro ed è oggetto delle vostre riflessioni, anche in prospettiva dell’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per l’Africa. Il messaggio evangelico gioca un ruolo profetico e critico. Esso vuole rigenerare, passare al vaglio ciò che sarebbe ambiguo o appannato, tanto nei costumi ancestrali che nelle pratiche recentemente importate dall’estero. Così potrà essere assunto tutto ciò che è buono, nobile e vero, affinché il mistero cristiano sia espresso secondo il genio africano. Quest’opera d’inculturazione richiede molto tempo, lucidità teologica, discernimento spirituale. È stato necessario del tempo per l’Europa, la prima fuori dal Medio-Oriente a beneficiare dell’annuncio della Buona Novella attraverso gli Apostoli, perché il Vangelo vi facesse nascere una cultura cristiana. Sarà necessario del tempo all’Africa per fare lo stesso. Il Concilio Vaticano II ha offerto un triplice criterio di discernimento per l’assunzione dei valori culturali dei popoli, e cioè: la loro attitudine a contribuire alla gloria di Dio Creatore; la loro attitudine a mettere in luce la grazia del Salvatore; e infine la loro attitudine a ben ordinare la vita cristiana (cf. Ad gentes, 22). Fondata sulla tradizione apostolica ed ecclesiastica, l’inculturazione appare come la grande sfida della Chiesa Cattolica in Africa, alle soglie del terzo millennio. A partire dalla linfa cristiana, si tratta di produrre frutti autenticamente africani, in unione con le altre Chiese particolari del continente e con la Chiesa universale. Per voi, pastori in Benin, si tratta di vedere come un abitante del Benin può essere cristiano in tutto il suo essere.

7. C’è un altro aspetto della vocazione episcopale che conviene meditare: i vescovi sono, nelle loro diocesi e all’estero, artefici dell’unità cattolica. Essi fanno loro, in modo tutto particolare, la preghiera suprema di Gesù per i suoi: “Padre Santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi” (Gv 17, 11). Nel momento della consacrazione episcopale, ciascuno di noi ha ricevuto, attraverso l’imposizione delle mani, lo Spirito che ci conferisce la pienezza del sacerdozio e fa di noi i pastori del Popolo santo. E il Signore mi ha dato, in mezzo a voi, l’incarico di confermarvi in questa missione, affinché insieme assicuriamo l’unità della Chiesa, la sua fedeltà e la sua crescita: questa funzione personale del Successore di Pietro, ho la gioia di adempierla con questa visita pastorale in Benin e, una volta ancora, vi ringrazio di darmene l’occasione. “Siate i pastori del gregge di Dio che vi è affidato” (1 Pt 5, 2). Il pastore ha il compito di radunare e di guidare: è ciò che fa il vescovo. Egli lo fa quando presiede l’Eucaristia, sacramento che edifica la Chiesa. Egli lo fa quando invia i battezzati nel mondo per essere testimoni del Vangelo. So che esiste un clima di unità e di collaborazione fraterna tra voi, e ne ringrazio Dio. A questo riguardo, vorrei rendere omaggio al predecessore di Monsignor Lucien Monsi-Agboka nell’incarico di presidente della Conferenza episcopale: Monsignor Christophe Adimou, arcivescovo emerito di Cotonou, la cui saggezza, la serenità, il senso pastorale e la chiaroveggenza in ore difficili hanno contato molto nella buona intesa che regna oggi tra voi.

8. Cari fratelli, condividete con le vostre comunità diocesane questo tesoro di unità e questa coesione, “perché il mondo creda” (Gv 17, 21). In questo modo, potrete meglio fare fronte all’assalto delle sette, che si sono moltiplicate e che danno un’idea deformata del cristianesimo. Continuate ugualmente a testimoniare la vostra unità aiutandovi l’un l’altro: le diocesi del Nord hanno bisogno delle diocesi del Sud. In alcune regioni, il Benin è ancora allo stadio della pre-evangelizzazione e voi risentite della mancanza di operatori pastorali. So che alcuni sacerdoti del Sud si dedicano al Nord: mi rallegro con voi per queste iniziative generose e disinteressate. Inoltre, come alcuni tra voi ne hanno fatto esperienza, il lavoro pastorale si arricchisce e porta più frutti quando apre risolutamente all’universale la porzione di Chiesa di cui si è ricevuta la responsabilità.

9. Nella vostra missione, avete la gioia di essere assistiti da religiosi e religiose, attivi e contemplativi. Le loro vite di persone consacrate li dispongono a essere ugualmente, nella vostra scia, artefici di unità, che lottano per spezzare le barriere tra gli uomini. Auguro che in Benin, come altrove in Africa, si sviluppino tra le persone consacrate e i pastori una comprensione cordiale e una stima reciproca. A questo fine, sarebbe utile presentare ai seminaristi un’informazione seria sulla vita religiosa. Spero ugualmente che le strutture di collegamento già esistenti tra vescovi e superiori religiosi siano rivitalizzate per una comprensione sempre più grande e una collaborazione più attiva nella pastorale d’insieme. Abbiate a cuore di considerare come vostro compito pastorale una promozione illuminata della vita religiosa: la sua presenza è al tempo stesso un segno che l’evangelizzazione attecchisce nella Chiesa particolare e una garanzia di approfondimento della fede per i membri della comunità diocesana. In pratica, piuttosto che moltiplicare le fondazioni, contribuite al consolidamento di quelle che già esistono. Aiutate le persone consacrate a rimanere fedeli al carisma del loro fondatore e ai loro voti, affinché esse diano l’esempio del dono totale al Signore. Le giovani generazioni hanno bisogno di avere sotto gli occhi, per plasmare la loro vita, modelli di impegno definitivo, come risposta al Dio d’amore che ha stabilito con gli uomini un’alleanza nuova ed eterna.

10. Attenta a un evidente “segno dei tempi”, la Chiesa considera che il dialogo entra naturalmente nel suo programma d’azione. “Il dialogo interreligioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. Inteso come metodo e come mezzo per una conoscenza ed un arricchimento reciproci, non è in contrapposizione con la missione ad gentes, anzi ha speciali legami con essa e ne è un’espressione” (Redemptoris missio, 55). Nella convinzione che la carità di Cristo può superare tutti gli ostacoli (cf. Rm 12, 21), continuate a sviluppare con i credenti di altre religioni un’atmosfera che permetta di preservare per tutti le condizioni di un’adesione alla fede data in piena libertà. Incoraggiate la conoscenza e il rispetto reciproci, in una ricerca comune della crescita della persona umana, che non può essere raggiunta senza determinazione per evitare ogni violenza psicologica, morale o fisica. Su questo punto, che vi riguarda in modo particolare in Benin, permettetemi di invitarvi a meditare ciò che è stato detto nel corso del mio incontro del 19 agosto 1985 con la gioventù musulmana a Casablanca, come pure il documento “Dialogo e annuncio” pubblicato nel maggio 1991 dal Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso e la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

11. Sull’esempio del Salvatore, pieno di misericordia e di compassione per i suoi fratelli, abbiate per tutti, e soprattutto per i giovani, una parola di speranza. Il vostro popolo, lo riconoscete, ha bisogno di essere liberato dalle antiche paure: paura degli antenati ai quali si sarebbe stati infedeli, paura degli stregoni, paura dei “gris-gris”, egli ha bisogno di sentirsi dire che è amato da Dio, che è liberato da Cristo dai mali che affliggono l’umanità e che ha talenti particolari da sviluppare, a vantaggio dell’Africa e del resto del mondo. “La virtù della speranza risponde all’aspirazione alla felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo; essa assume le attese che ispirano le attività degli uomini; le purifica per ordinarle al Regno dei cieli: salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono: dilata il cuore nell’attesa della beatitudine eterna. Lo slancio della speranza preserva dall’egoismo e conduce alla gioia della carità” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1818). Ridate speranza al vostro popolo e ravvivate la sua fede nell’avvenire. Come scrivete nella vostra lettera pastorale del febbraio 1992, consolidate ciò che è stato “seminato nella fatica e nelle lacrime, con il sostegno di Dio”. Il vostro paese conta un gran numero di donne e uomini coraggiosi, dediti al bene comune, che vivono di fede, “che lavorano come se tutto dipendesse da loro e che pregano come se tutto dipendesse da Dio”. Con tutto il cuore, rinnovo loro la mia benedizione apostolica; e voi stessi, pastori di questo caro Popolo di Dio, affido alla sollecitudine materna di Notre-Dame e vi benedico ugualmente con grande affetto fraterno.

 

 



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