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 DISCORSO DI PAOLO VI
AL SACRO COLLEGIO E ALLA PRELATURA ROMANA


Giovedì, 23 dicembre 1965

 

Signor Cardinale!

Siamo lieti e riconoscenti dei voti natalizi, che Ella, degno interprete dei sentimenti del Sacro Collegio, della Prelatura e della Curia Romana, Ci esprime. Li accogliamo volentieri, con commossa sensibilità, sempre consapevoli dell’esiguità della Nostra Persona, che non a Sé li riferisce, ma al Suo apostolico ufficio, alla Chiesa perciò ed a Cristo, cui omnis honor et gloria; e che per tanto ne apprezza maggiormente la graziosità che li ispira, e la trascendente intenzione, a cui si dirigono. Volentieri, diciamo, perché attestano la bontà dei cuori, donde provengono; volentieri, perché Ci confortano con attestato di adesione, di fedeltà, di cooperazione, quale non potremmo desiderare più caro, più valido, più proficuo, al grave e complesso ministero a Noi affidato; volentieri ancora, perché codesti voti mostrano di comprendere quale momento abbia vissuto e si appresti a vivere, e quali nuovi compiti attendano la consueta e fedele, ma forse più ardua operosità di quanti prestano alla Santa Sede i loro servizi; e volentieri finalmente, perché le espressioni cortesi, ora ascoltate, Ci sono pegno di codesta rinnovata prestazione, e non solo di tempo e di opera, ma di spirituale comunione altresì di carità e di orazione. Auguri così pieni di significato e di valore, auguri che sono promesse, auguri che si rivestono di soprannaturale bontà ed efficacia, non possono non esserci molto graditi. Per questo di cuore li accogliamo, di cuore li ricambiamo. La santa festività del Natale, che ne è l’occasione, offre anche a Noi una dovizia di sentimenti e di benedizioni, che devotamente e cordialmente Noi pure effondiamo, per Lei, Signor Cardinale, per il Sacro Collegio e per quante degne persone, presenti ed assenti, si associano a codesta augurale professione.

Ella Ci parla anche degli avvenimenti. Dovremmo, fra gli altri, ricordare quelli che riguardano cotesto Sacro Collegio, come la creazione di nuovi Cardinali, alcuni dei quali scelti con criterio più largo di quello consueto, per accrescere la rappresentatività del Sacro Collegio stesso; e poi non possiamo dimenticare le perdite ch’esso ha temporalmente subito con la pia morte di alcuni Cardinali, ben degni di memoria, quali i Cardinali Gerlier, Micara, Nostro Vicario per la diocesi di Roma, Meyer, Fossati, Bevilacqua: sono figure a cui dobbiamo il Nostro grato e devoto ricordo e il Nostro pio suffragio.

Poi altri avvenimenti meriterebbero particolare menzione: il Nostro viaggio a Pisa per il Congresso eucaristico nazionale, al quale ha fatto seguito la Nostra Enciclica «Mysterium Fidei»; e poi l’altro viaggio, a cui Ella, Signor Cardinale, ha fatto cenno quello, veramente singolare sotto ogni aspetto, che Ci ha offerto la fortuna di portare un messaggio d’incoraggiamento e di pace all’Assemblea delle Nazioni Unite, a New York, il 4 ottobre scorso; Ella, con altri Eminenti Colleghi scelti per rispecchiare in loro l’universalità della Chiesa, Ci è stato al fianco, e ha fatto bene a dare a simile avvenimento una testimonianza degna della sua importanza. Tacciamo, ancora in tema di viaggi, quelli compiuti dai Nostri Legati, i Cardinali Antoniutti e Cento, l’uno a Manila, l’altro a Fatima; molte cose e tanto belle si potrebbero dire; come una menzione merita parimente l’andata a Firenze del Nostro Cardinale Segretario il Cardinale Cicognani nel novembre scorso, per onorare la centenaria memoria della nascita di Dante; cinquecento Padri conciliari intervennero alla solenne commemorazione, che posò, a nome Nostro, il monogramma di Cristo sul battistero, dove Dante divenne cristiano: né vogliamo tralasciare di mettere in rilievo il dono d’una croce d’oro, collocata sulla tomba del Poeta a Ravenna, la quale finora era priva d’un tale segno di religione e di speranza. Dante meritava tali segni della Nostra ammirazione e della Nostra venerazione; diremo anzi che la sua memoria altro segno riceverà che la tenga viva e fiorente: pubblicheremo a giorni un «Motu proprio», col quale provvediamo a che sia istituita, aere Nostro, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, una cattedra di Filologia dantesca. Ma la lista dei fatti memorabili dell’anno decorso non sarebbe finita; la lasciamo incompleta per rivolgere brevemente il Nostro pensiero al fatto che tutti li soverchia, vogliamo dire la quarta e finale sessione del Concilio ecumenico, al quale Ella, Signor Cardinale, ha pure dedicato nelle sue parole la sua attenzione.

Ella Ce ne ha sobriamente, ma esattamente delineato l’esteriore svolgimento; e tanto basterebbe per provocarci a commenti, a riflessioni, a confronti, a interiori esplorazioni, a giudizi, che, terminato il grande momento conciliare, sentiamo sorgere nel Nostro spirito; ma non è questa l’ora di attardarci a così attraente e complessa considerazione. Ciò che la Provvidenza Ci ha concesso di celebrare avrà, e non tanto da Noi quanto da pensosi studiosi, avrà dai Nostri successori, il suo giudizio e la sua storia. Noi siamo ancora troppo vicini al Concilio, or ora finito, per farne un esame, sia pure sommario, che richiede una certa distanza di prospettiva. Ci basta ora offrire a questa illustre adunanza una duplice osservazione.

La prima riguarda il carattere assolutamente positivo del Concilio; diciamo cioè che il Concilio ha avuto regolarissimo svolgimento; che ha fedelmente seguito criteri e temi, indicati per sommi capi fin dal momento della sua convocazione dal Nostro compianto e venerato predecessore Giovanni XXIII; che è stato caratterizzato dall’universalità di presenza della Gerarchia cattolica, dalla serietà e gravità dei temi discussi, dalla libertà di giudizio e di dibattito, dalla carità, dalla fede e dalla pietà, sia dei Padri conciliari che delle cerimonie e delle discussioni, che è stato coronato dall’unanimità, si può dire, delle sue deliberazioni e dalla ricchezza dottrinale e normativa dei suoi documenti conclusivi: è un nuovo patrimonio di esempi, di insegnamenti, di decreti, di programmi e di speranze, che il Concilio affida alla Chiesa. Le giornate terminali del Sinodo ecumenico ce ne hanno dato la esaltante coscienza. Dobbiamo ringraziare profondamente il Signore.

L’altra osservazione riguarda il carattere impegnativo delle conclusioni del Concilio. Non è stato, né doveva essere un Concilio trasformatore, come alcuni critici esteriori, non sempre consapevoli della natura della Chiesa e dell’essenza divina della religione cattolica, avrebbero sognato che fosse; e nemmeno è stato radicalmente riformatore, come altri Concilii, per altri tempi e per diversi bisogni che non i nostri, hanno cercato di essere; ma rinnovatore, sì, è stato il nostro Concilio: quale abbondanza di dottrina religiosa, quale copia di tradizioni ecclesiastiche, quale quantità di esperienze spirituali il Concilio ha, in un certo senso, riesumate e tradotte in termini di straordinario interesse moderno! E possiamo aggiungere, per alcuni punti dottrinali e pratici, il Concilio è stato anche innovatore, derivando, con fedele coerenza, dalle fonti genuine della Sacra Scrittura e della buona teologia, certi criteri e precetti, che, a lode di Dio e a vantaggio della missione della Chiesa, possiamo dire nuovi, Questa eredità del Concilio costituisce un impegno. La Chiesa, se pur si è alleggerita di qualche superata e secondaria norma canonica, si è caricata di nuovi doveri. Il Concilio non ha inaugurato un periodo di incertezza dogmatica e morale, di indifferenza disciplinare, di superficiale irenismo religioso, di rilassamento organizzativo; al contrario esso ha voluto iniziare un periodo di maggiore fervore, di maggiore coesione comunitaria, di maggiore approfondimento culturale, di maggiore aderenza al Vangelo, di maggiore carità pastorale, di maggiore spiritualità ecclesiale. E se questo auspicato aumento di vita cristiana si vuole giustamente promosso nello spirito di libertà, proprio dei cittadini del regno di Dio, ciò non autorizza alcuno a sottrarsi dall’obbligo di corrispondere alle istanze della vocazione cristiana, sì bene invita ciascuno a farle proprie queste istanze, con cresciuta coscienza, con spontaneo amore, con personale fedeltà, con intima contentezza.

Anche la Nostra Curia Romana, sollevata da tante cure particolari per il decentramento già iniziato di non poche funzioni canoniche, non potrà probabilmente restringere i suoi quadri: tante sono le attività nella Chiesa, che richiedono una confluenza centrale ed una guida unitaria, e tante sono le previsioni di nuovi sviluppi organizzativi, che il Concilio stesso ha suggeriti; nuovo lavoro, nuova responsabilità, nuovo addestramento, nuova compagine daranno certamente, .nonostante ogni buon proposito di semplificazione, altri incrementi, altri doveri. E Noi siamo sicuri che la Curia Romana, come finora ha egregiamente corrisposto ai suoi obblighi, servendo insieme la Sede Apostolica e l’intera Chiesa cattolica, resa più aperta e più esperta dalla grande esperienza del Concilio ecumenico, e riformata saggiamente secondo i bisogni, saprà fronteggiare validamente i problemi del periodo Postconciliare; e ciò non solo per nuova efficienza organizzativa e professionale, ma per altezza di spirito altresì, coltivando con cresciuto ardore le virtù proprie della sua missione, l’amore e l’imitazione di Cristo, la dedizione disinteressata al servizio della Santa Sede e di tutta la Chiesa, la competenza dei propri uffici e la conoscenza della storia e della vita.

Sarà questo, Dio voglia, il Post-Concilio, per la cui felice e feconda pienezza vanno i Nostri auguri; i Nostri auguri di Natale.

Quanto è per Noi edificante e consolante sapere, e quasi vedere, che tutta la Gerarchia, reduce dal Concilio, è già all’opera per trasfondere nel Popolo di Dio i tesori di sapienza e di pietà, dei quali il Concilio l’ha arricchita! Quanta letizia Ci procurano le notizie della filiale, quasi impaziente, volontà delle belle comunità diocesane e parrocchiali, delle famiglie religiose, delle associazioni cattoliche, di dare al Concilio un’effettiva applicazione!

Quanta fiducia Ci nasce nel cuore pensando che il Giubileo, da Noi indetto proprio per infondere in tutta la Chiesa cattolica il fermento vivificante del Concilio, avrà larga e meditata accoglienza in innumerevoli anime! Quale speranza che questa onda di fervore religioso arriverà anche a quei fedeli, con cui non Ci è facile, per tenaci opposizioni tuttora esistenti in alcuni Paesi, liberamente comunicare, e porterà anche a loro il gaudio della comunione cattolica! Quale desiderio infine, profondo e paterno, Ci fa auspicare che all’onore e alla gioia della riconciliazione con la Madre Chiesa abbiano ad essere presenti, mediante questo singolare Giubileo, tanti figli lontani ed illusi, da Noi sempre e sempre più ricordati ed amati!

E quale voto allora Ci nasce nel cuore: che il mondo, a seguito del Concilio, cresca nella giustizia, nel benessere, nella fratellanza e nella pace! Ecco, sia questo voto universale .di grazia soprannaturale e di naturale prosperità da Noi innalzato al Signore per l’imminente Natale; e possa il Sacro Collegio e tutta la Curia romana, possa la Nostra diletta diocesi di Roma, possa l’intera famiglia cattolica, e possa il mondo tutto averne beneficio dalla «benignità e dall’umanità del Salvatore nostro Dio» (Tit. 3, 4), nel cui nome a tutti impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione.



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