PIO XII
ESORTAZIONE
IN AUSPICANDO SUPER
AL CLERO INDIGENO
In occasione dell’inaugurazione del nuovo Seminario di San Pietro, in Roma, sul monte Gianicolo, destinato ad accogliere alunni provenienti da regioni missionarie, i quali a loro volta svolgeranno un giorno il loro apostolato in terre lontane, il Pontefice espone le principali condizioni cui il sacerdote deve attenersi.
Diletti Figli, salute e Apostolica Benedizione.
Inaugurandosi sul monte Gianicolo il Collegio di San Pietro, provvidamente destinato ad accogliere giovani indigeni che crescono quali speranze del clero, Ci si offre graditissima l’opportunità di effondere dal Nostro cuore paterno parole di augurio e di esortazione a tutto il Clero Indigeno, fiore dell’apostolato missionario, che con l’aiuto celeste renderà ubertosi frutti per l’avvenire.
Già in molti luoghi infatti, si sono felicemente sviluppate, mercé l’instancabile e assidua opera degli araldi di Cristo, le sacre Missioni, le quali hanno quasi raggiunto lo scopo, che è loro proprio, di stabilire la Chiesa in nuove terre, in modo che, fissate ivi profondamente le radici, essa possa vivere prosperamente da sé e liberamente esplicarsi, senza l’aiuto di sacerdoti esteri.
Per questo felice evento si stimolano in modo particolare gli animi dei chierici e dei fedeli indigeni alla riconoscenza e al ringraziamento verso i missionari esteri, che con la solerzia di una grande carità spinta fino all’effusione del sangue, non raramente versato, hanno preparato questi lieti tempi di ben copiose messi. In questi infatti, si avvera quel proverbio: « Altri semina ed altri miete… altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro »(1).
Quali le condizioni per cui questi recenti germogli della Chiesa hanno potuto fiorire e prosperare fecondamente? Ci piace accennare ad alcune, certamente le principali.
In primo luogo è assolutamente necessaria una viva brama della propria santificazione e della salute altrui. Ciò che unisce l’uomo a Dio e lo rende non indegno ministro della sua misericordia, è, senza dubbio, la santità di vita e di costumi, che non può ottenersi senza il dono della grazia divina. Lo zelo per le anime e i frutti dell’apostolato si riducono a nulla, se la buona volontà dell’uomo e la sua attività non vengono aiutate e corroborate dall’aiuto soprannaturale di Dio: « Pertanto, né colui che pianta è qualche cosa, né colui che annaffia, ma è Dio che fa crescere »(2).
Perciò, diletti Figli, badate sollecitamente ed acquistare e far crescere le importanti virtù del sacerdote; applicatevi alla meditazione delle verità eterne e alla preghiera quotidiana a Dio; attendete alla frequente lettura di sacri e pii libri; verso sera, prima che sopraggiunga il sonno, esaminate la vostra vita con un diligente esame per conoscere chiaramente quanto abbiate progredito o regredito.
Se le sacre leggi degli antichi pagani richiedevano dai sacerdoti una certa santità, come vediamo scritto in Cicerone: «Castamente vi accosterete agli dei e userete devozione… Chi farà diversamente Dio stesso ne sarà il vendicatore »(3); quanta maggiore santità si richiede dai ministri di Cristo nel sublime sacrificio che con perenne virtù viene rinnovato per la vita del mondo? Ma il sacerdote non soltanto per sé deve vivere santamente; egli è infatti l’operaio che Cristo ha assunto nella sua vigna. Lo studio della propria santificazione, se rettamente inteso, non sarà certo di ostacolo all’adempimento di tutte le parti del vostro ministero, anzi ne sarà un validissimo aiuto e incitamento.
Quanto più dunque, voi sarete adorni di elette virtù, quanto più profondamente sarete accesi di viva carità, tanto più sarete, come i primi apostoli, potenti in opere e in parola. Mossi da questa persuasione adempite alacremente i vostri doveri: quali l’annunziare la parola di Dio, l’istruire gli ignoranti nella fede, il ricevere debitamente le confessioni, assistere gli infermi, specialmente i moribondi, il consolare gli afflitti, sostenere i vacillanti, ricondurre gli erranti a vita buona. Per questo vostro sacro ministero molto vi gioverà l’abbondanza della scienza divina e umana; né piccolo aiuto vi sarà anche la conoscenza delle lingue e dei costumi dei popoli che dovete informare alle norme evangeliche; così pure vi gioverà certamente la lunga esperienza che hanno i religiosi, membri di Istituti esteri, che si trovano presso di voi, partecipi certamente e con voi associati alle stesse fatiche, per estendere il regno di Dio nel mondo. « O Sacerdoti, grandi e incliti strumenti di Dio, dai quali dipende tutta la felicità dei popoli! »(4).
Sia inoltre sempre fisso e irremovibile nelle anime vostre, diletti Figli, che la santificazione di ciascuno e l’efficacia dell’apostolato si appoggiano e si sostengono, come su solido fondamento, nella costante e fedele devozione alla sacra gerarchia. Se voi, infatti, sarete strettamente sottomessi ai vostri Vescovi, mediante i vincoli di carità e di obbedienza, aderirete anche fermamente e perpetuamente alla inconcussa cattedra di Pietro, sulla quale poggia tutta la Chiesa.
Non si può concepire certamente alcuna vita, sia fisica che morale, senza una certa unità. Già nei primi tempi della Chiesa San Cipriano scriveva: «Un solo Dio, un solo Cristo, una la Chiesa, una la cattedra, fondata per volontà del Signore, sopra Pietro. Ho stabilito che si facesse un altro altare e un nuovo sacerdozio; non può esservene un altro oltre questo unico altare e questo unico sacerdozio. Chiunque radunerà altrove, disperde »(5).
Non vi è alcun esercito che possa, senza unità di comando, senza disciplina, non solo conseguire vittoria, ma neppure avere consistenza in se stesso: in breve si dissolve e viene sopraffatto da certa rovina. Voi siete dunque i manipoli della milizia della Chiesa cattolica: se sarete congiunti con la Chiesa Romana con amore e fedeltà, se sentirete costantemente all’unisono con questa Sede Apostolica, sarete sempre intrepidi, e pur tra tante fatiche e difficoltà e pericoli, combattendo in prima fila le battaglie del Signore, giammai vi verranno meno la fiducia e la fortezza.
Siate dunque, diletti Figli, sparsi in tutto il mondo, la splendida testimonianza della Chiesa una e universale; sforzatevi con tutte le forze e lavorate, affinché spronati da profonda consapevolezza dei vostri doveri, siate voi stessi lucerne ardenti dalle quali si effonda la luce di ogni virtù sul popolo cristiano.
Affinché corrispondiate pienamente a questa Nostra aspettazione e perché ogni cosa abbia un felice esito, secondo i voti di tutti, impartiamo a voi tutti, diletti Figli, con paterna carità nel Signore, l’Apostolica Benedizione, auspicio della divina grazia e a testimonianza del Nostro animo.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 28 giugno, vigilia della festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, l’anno 1948, decimo del Nostro Pontificato.
1 Joann., IV, 36-38.
2 I Cor., III, 7.
3 Leg., II, 8
4 S. Carolus Borr., in Syn. I, Concio I.
5 M. L., IV, 336.
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