UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE
DEL SOMMO PONTEFICE
CANTATE AL
SIGNORE
LE “SCHOLAE CANTORUM” AL SERVIZIO DELLA LITURGIA
Giubileo delle Corali
Aula Paolo VI, venerdì 21 ottobre 2016
Questo mio intervento non è l’intervento di uno specialista
nell’arte della musica e del canto. Non lo può essere e non lo vuole
essere. Considerando anche il contesto del vostro raduno, che
avviene qui a Roma in occasione del pellegrinaggio giubilare, ciò
che desidero comunicarvi sgorga da un cuore sacerdotale, che trova
nella liturgia la fonte e il culmine della vita quotidiana a
servizio del Signore e della Chiesa. E proprio per questo avverte
l’importanza fondamentale della musica e del canto, quali vie
privilegiate per partecipare in pienezza e con frutto al mistero
celebrato.
Parlerò, pertanto, anzitutto di liturgia: ovvero, di alcuni
aspetti importanti relativi alla sua identità. A partire da essi,
offrirò alla vostra considerazione alcune indicazioni perché le
“scholae cantorum” o corali, cantando al Signore, svolgano la loro
preziosa opera al servizio della liturgia. Procederò, di
conseguenza, per quadri successivi, ai quali darò il titolo di
orientamenti
1° ORIENTAMENTO
La liturgia e l’opera di Cristo
Afferma la
Sacrosanctum Concilium: “Per realizzare
un’opera così grande [l’opera della salvezza], Cristo è sempre
presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni
liturgiche” (7). Con queste semplici parole, la costituzione
conciliare sulla sacra liturgia sottolinea con chiarezza che il
primo e principale protagonista di ogni celebrazione liturgica è il
Signore.
Ciò che si è realizzato nella storia, ovvero il mistero pasquale,
il mistero della nostra salvezza, si rende oggi presente nella
celebrazione liturgica della Chiesa. In tal modo il Salvatore non è
un ricordo del tempo passato, ma è il Vivente che continua la sua
azione salvifica nella Chiesa, comunicando la sua vita, che è grazia
e anticipo di eternità.
Nella stessa celebrazione eucaristica, l’assemblea radunata
risponde al “Mistero della fede”, successivo alla consacrazione, con
le parole tanto significative: “Annunziamo la tua morte, Signore,
proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. In
questa formulazione della liturgia romana ritroviamo descritti i tre
momenti propri di ogni celebrazione sacramentale: ovvero, la memoria
del passato evento salvifico, la presente azione di grazia nella
celebrazione, l’anticipazione della gloria futura.
In tal modo, la Chiesa, convocata per la celebrazione liturgica,
rinnova ogni volta l’esperienza della verità dell’affermazione
paolina: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb
13, 9).
La liturgia della Chiesa ha una modalità discreta e al contempo
chiara di ricordare al popolo di Dio, radunato per la celebrazione
dei divini misteri, la presenza fondamentale del grande
Protagonista. Mi riferisco al saluto liturgico “Il Signore sia con
voi”, che più volte ricorre, ad esempio nella Messa. Questo saluto è
scambiato tra celebrante e fedeli all’inizio della celebrazione, più
avanti ritorna al momento della proclamazione del vangelo, ancora lo
troviamo all’inizio della preghiera eucaristica e, infine, prima
della benedizione finale e del congedo. Ogni volta viene così
augurata e manifestata la presenza del Signore. All’inizio una tale
presenza è invocata e affermata nella comunità radunata e, in un
modo peculiare, nella persona del sacerdote a motivo del sacramento
dell’ordine; al vangelo si ricorda la presenza del Signore nella sua
parola proclamata e si chiede che diventi anche presenza radicata
nel cuore dei fedeli; più tardi, introducendo la preghiera
eucaristica, si annuncia la reale presenza di Cristo nel suo Corpo
dato e nel suo Sangue sparso, presenza implorata per la vita di
tutti; infine, prima della benedizione e del congedo, si invoca la
presenza del Signore nella vita quotidiana dei suoi discepoli.
“Cantare amantis est”
“Cantare è proprio di chi ama” (Discorso 316, 1, 1). Come
tutti ricordiamo, lo afferma con felice ispirazione il grande
sant’Agostino che, in tal modo, indica un legame del tutto singolare
e privilegiato tra l’amore e il canto.
Non vi è dubbio che questo legame fa parte dell’esperienza
comune, già a un livello semplicemente umano. Chi, a motivo
dell’amore, non ha sentito sgorgare dal cuore la necessità gioiosa
del canto e della musica? Il canto prende forma in un cuore amato e
amante.
Sant’Agostino con la sua riflessione induce a compiere un passo
ulteriore, perché ci introduce nell’ambito propriamente liturgico.
Anche in liturgia, infatti, e forse soprattutto in liturgia,
“cantare amantis est”. Ma con un’accezione peculiare. Nel contesto
celebrativo, infatti, l’amore cui ci si riferisce è l’amore di Dio;
e il canto di cui si parla è il canto che sgorga da un cuore che è
stato raggiunto e salvato dall’amore divino in Cristo e che non può
fare a meno di rispondere nella logica dell’amore.
In tal modo perveniamo alla dimensione trinitaria del canto
liturgico che, proprio per questo, è sempre un canto nel Signore e
al Signore. Lo Spirito Santo è amore e crea il canto. E’ lo Spirito
di Cristo, e ci attira nell’amore per Cristo conducendoci così al
Padre. In altre parole: il canto liturgico è il canto che scaturisce
da un cuore abitato da Dio e dal suo mistero di amore.
Il cantare liturgico, pertanto, è un cantare nella fede. Non vi è
dubbio che la dimensione tecnica del canto debba essere curata, e
curata molto. Ma vi è un cuore che, soprattutto, deve essere curato.
Un cuore che, raggiunto dall’amore del Signore, diviene capace di
dare espressione alla sua risposta di amore. I componenti di una
“schola cantorum” devono essere uomini e donne che vivono con
intensità la propria relazione di fede con il Signore, che trovano
in Lui il senso della loro vita, che desiderano crescere
nell’adesione al Vangelo. Non si dà canto liturgico vero senza
un’intensa vita secondo lo Spirito, senza una vita fervorosa di
grazia. E’ fuori luogo rammentare che si è autentici cantori in
liturgia quando ci si confessa e ci si comunica abitualmente? Uomini
e donne delle “scholae cantorum”, ricordate: il canto liturgico
chiede ed esige un amore ardente per il Signore, chiede ed esige un
cammino di preghiera e di santità! Siate appassionati di Cristo!
2° ORIENTAMENTO
La liturgia e l’azione della Chiesa
“Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo
sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per
eccellenza” (Sacrosanctum Concilium, n. 7). E’ sempre il
Concilio Vaticano II, con queste parole, a ricordarci che la
liturgia è azione del Cristo totale e, dunque, anche della Chiesa.
Dall’affermazione che la liturgia è azione della Chiesa derivano
alcune considerazioni di non poca importanza. In effetti, quando si
dice che la Chiesa è soggetto agente si fa riferimento alla Chiesa
tutta, in quanto soggetto vivente che attraversa il tempo, che si
realizza nella comunione gerarchica, che è insieme realtà ancora
pellegrinante sulla terra e realtà già approdata sulle rive della
Gerusalemme celeste.
Celebrare la liturgia significa entrare nel “noi” della Chiesa
che prega. Questo “noi” ci parla di una realtà, la Chiesa appunto,
che va al di là dei singoli ministri ordinati e dei singoli fedeli,
delle singole comunità e dei singoli gruppi. Perché lì la Chiesa si
manifesta e si rende presente nella misura in cui si vive la
comunione con la Chiesa intera, quella Chiesa che è cattolica,
universale, di una universalità che raggiunge tutti i tempi, tutti i
luoghi, lasciandosi raggiungere dall’eternità.
Ne consegue che fa parte dell’essenza della liturgia il fatto che
questa abbia anzitutto il tratto della cattolicità, dove unità e
varietà si compongono in armonia così da formare una realtà
sostanzialmente unitaria, pur nella legittima diversità delle forme.
E poi il tratto della non arbitrarietà, che evita di consegnare alla
soggettività del singolo o del gruppo ciò che invece appartiene a
tutti come tesoro ricevuto, da custodire e trasmettere. E ancora il
tratto della continuità storica, in virtù della quale l’auspicabile
sviluppo appare quello di un organismo vivo che non rinnega il
proprio passato, attraversando il presente e orientandosi al futuro.
E, infine, il tratto della partecipazione alla liturgia del cielo,
per il quale è quanto mai appropriato parlare della liturgia della
Chiesa come dello spazio umano e spirituale nel quale il cielo si
affaccia sulla terra. Si pensi, solo a titolo esemplificativo, al
passaggio della Preghiera eucaristica I, nella quale chiediamo:
“…fa’ che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo, sia
portata sull’altare del cielo…”.
“Sentire cum Ecclesia”
Non è pensabile una “schola” che non viva con singolare intensità
il “sentire con la Chiesa” (sant’Ignazio di Lojola), ovvero il
desiderio di condividere la vita della Chiesa e quel rito liturgico
mediante il quale si rinnova in lei e per lei il mistero della
salvezza. Una “schola”, pertanto, è chiamata a vivere il suo
servizio alla liturgia, per le vie di un canto che abbia i tratti
della cattolicità (unità e varietà delle forme), dell’oggettività
(non arbitrarietà del singolo), della continuità (equilibrio tra
tradizione e innovazione), della bellezza (svelamento del volto
dell’amore di Dio).
La “schola” vive della vita della Chiesa, si pone al servizio
della sua celebrazione, non pretende di essere protagonista e di
porsi al centro del rito, ma assolve con gioia il compito di
tradurre nel canto e nella musica il mistero celebrato.
La liturgia non è l’occasione data alla “schola” per esprimersi
davanti a un’assemblea radunata. Per soffermarci su un semplice ma
importante dettaglio: la “schola” non dovrebbe mai essere in
posizione frontale rispetto all’assemblea. La liturgia è la grande
preghiera della Chiesa alla quale la “schola” partecipa insieme a
tutta l’assemblea assolvendo il proprio specifico compito.
Ci si potrebbe domandare, al riguardo, il motivo per cui la
Chiesa, dal Concilio di Trento fino a oggi passando per il Concilio
Vaticano II, abbia insistito nell’indicare il canto gregoriano e la
polifonia sacra classica come particolarmente pertinenti alla
celebrazione liturgica.
La risposta non è difficile: gregoriano e polifonia classica sono
le forme storiche del canto sacro che hanno saputo tradurre in note,
in melodia e in canto l’autentico spirito liturgico, ponendosi al
servizio umile, e per questo grande, della liturgia della Chiesa. Un
tale patrimonio, pertanto, va conservato ed eseguito; non perché sia
l’unico, ma perché ha ancora oggi la capacità di servire la liturgia
e orientare le nuove forme musicali secondo lo spirito della
liturgia.
A titolo esemplificativo, e per entrare in un dettaglio
celebrativo, trovo sempre molto educativo quanto il Santo Padre
Francesco raccomanda per la liturgia papale. Fin dall’inizio ha
espresso il desiderio che il canto non andasse mai oltre il rito,
ovvero che le parti cantate non costringessero la celebrazione ad
attendere la loro conclusione. E’ giusto e deve essere sempre così.
Uomini e donne delle “scholae cantorum”, ricordate: il canto si
inserisce nel rito e lo serve armonizzandosi con esso, adeguandosi
ai suoi tempi e ai suoi ritmi. Non è il rito liturgico che deve
adeguarsi al canto. Servire il rito, non asservirlo: ecco la vostra
vocazione. Siate appassionati della Chiesa e del servizio alla sua
liturgia!
3° ORIENTAMENTO
La liturgia e la preghiera della Sposa in adorazione del suo
Sposo
Nella liturgia l’opera di Cristo e l’azione della Chiesa si
intrecciano vitalmente. Ed è qui che si inserisce il tema della
partecipazione, di quella partecipazione piena, consapevole e attiva
raccomandata dal Concilio Vaticano II (cf.
Sacrosanctum Concilium, n. 14).
Ci domandiamo: Che cosa è l’opera di Cristo? E’ quell’atto
pregato mediante il quale il Signore offre la vita al Padre per la
salvezza del mondo.
Ma che cosa avviene in quell’atto pregato del Signore, in quel
suo atto che è preghiera? In quell’agire gli elementi della terra
vengono accolti e trasformati nel suo corpo e nel suo sangue, così
che il nuovo cielo e la nuova terra vengono anticipati. In
quell’agire si compie il gesto di adorazione supremo che riconduce
alla verità del proprio essere l’umanità tutta e la creazione
intera: ogni realtà ritrova la sua ragione d’essere in Dio e nella
dipendenza da lui.
Così la liturgia è adorazione in quanto rende presente in modo
sacramentale il sacrificio della croce nel quale Gesù ha reso gloria
al Padre con il suo sì, segno di un amore condotto “fino alla fine”,
adorazione radicale di Dio e della sua volontà. La liturgia è
preghiera in quanto preghiera di Cristo rivolta al Padre nello
Spirito, perché accolga il suo sacrificio.
Ecco perché la liturgia cristiana è atto che conduce
all’adesione, ovvero alla riunificazione dell’uomo e della creazione
con Dio, all’uscita dallo stato di separazione, alla comunione di
vita con Cristo.
Tutto questo è quanto la Chiesa, Sposa di Cristo, vive nella
celebrazione della liturgia. In effetti, ciò che ancora risulta
essenziale per la liturgia è che coloro che vi partecipano preghino
per condividere lo stesso sacrificio del Signore, il suo atto di
adorazione, diventando una solo cosa con lui, vero corpo di Cristo.
In altre parole, ciò che è essenziale è che alla fine venga superata
la differenza tra l’agire di Cristo e il nostro agire, che vi sia
una progressiva armonizzazione tra la sua vita e la nostra vita, tra
il suo sacrificio adorante e il nostro, così che vi sia una sola
azione, ad un tempo sua e nostra. Quanto affermato da san Paolo non
può che essere l’indicazione di ciò che è essenziale conseguire in
virtù della celebrazione liturgica: “Sono stato crocifisso con
Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,
19-20).
“Actuosa participatio”
Favorire la “partecipazione attiva” di tutto il popolo di Dio è
certamente uno dei compiti della “schola”, per quanto attiene al
canto liturgico. E questo certamente significa sostenere e
accompagnare il canto di tutta l’assemblea, perché davvero tutti
possano unirsi coralmente al cantare nella celebrazione. D’altra
parte rimane vero che anche momenti di solo ascolto potranno
favorire una piena partecipazione, quando l’ascolto non sarà fine a
se stesso, ma orientato a “innalzare le menti a Dio attraverso la
partecipazione interiore” (Musicam Sacram, 2, 15).
Ritengo importante ritrovare sempre più il senso pieno della
partecipazione attiva, alla quale si perviene sia prendendo parte
effettiva alle parti cantate, sia anche ascoltando un canto che per
la sua nobiltà è capace di favorire l’ingresso nel mistero celebrato
per via di commozione interiore, emozione spirituale; nel senso più
alto del termine, per via di cuore.
Non poche persone, in effetti, riescono a cantare meglio con il
cuore che con la bocca, e a esse il canto di coloro cui è dato di
cantare con la bocca può realmente far cantare il cuore, in modo che
queste cantano, in qualche modo, anche in quelle persone e sia
l’ascolto riconoscente sia l’esecuzione dei cantori diventano
insieme un’unica lode.
Con grande equilibrio e saggezza siamo chiamati a percorrere le
vie di una partecipazione attiva e davvero piena, grazie alla quale
ogni componente della persona che prega - intelligenza, volontà,
affetti, sentimenti - possa essere aiutata a entrare nel grande
atto di adorazione di Cristo al Padre. Alla luce di questo si dovrà
e si potrà fare uso di quella bella e arricchente varietà di forme
di canto e di musica, che ritroveranno sempre la loro unità nel
condurre mente e cuore di tutti a una partecipazione piena.
Uomini e donne delle “scholae cantorum”, ricordate: il vostro
canto sia sempre un atto di adorazione al Signore e sia un atto
capace di condurre voi a un’adesione sempre più piena a Dio; il
vostro canto sia sempre un atto capace di condurre tutta l’assemblea
all’adorazione e all’adesione a Dio. Siate appassionati della
partecipazione adorante!
4° ORIENTAMENTO
La liturgia e l’orientamento del cosmo
La liturgia della Chiesa, che ha senza dubbio il carattere della
storicità in quanto radicata negli eventi della storia della
salvezza, rimane pur sempre anche in relazione alla liturgia
cosmica, riferibile alla creazione e alla natura. Vi è infatti,
nella liturgia della Chesa, tutta la novità unica della realtà
cristiana; e tuttavia essa non ripudia la ricerca della storia delle
religioni, ma accoglie in sé tutti gli elementi portanti delle
religioni naturali, mantenendo in tal modo un significativo legame
con loro.
E’ riscontrabile, pertanto, un legame inscindibile tra creazione
e alleanza, ordine cosmico e ordine storico di rivelazione.
La liturgia cristiana, che porta in sé tutta la novità della
salvezza in Cristo, conserva e raccoglie ogni espressione di quella
liturgia cosmica che ha caratterizzato la vita dei popoli alla
ricerca di Dio per il tramite della creazione. Nell’Eucaristia
trovano approdo di salvezza tutte le espressioni cultuali antiche.
E’ quanto mai significativa e istruttiva, anche da questo punto di
vista, la Preghiera eucaristica I o Canone romano, là dove ci si
riferisce ai “doni di Abele, il giusto, il sacrificio di Abramo,
nostro padre nella fede, e l’oblazione pura e santa di Melchisedech,
tuo sommo sacerdote”.
Come non ritrovare in questo passaggio della grande preghiera
della Chiesa un riferimento ai sacrifici antichi, al culto cosmico e
legato alla creazione che ora, nella liturgia cristiana, non solo
non è rinnegato, ma anzi è assunto nel nuovo ed eterno sacrificio di
Cristo Salvatore?
D’altra parte, in questa stessa prospettiva, non si può che
guardare ai molteplici segni e simboli cosmici dei quali la liturgia
della Chiesa, insieme ai segni e ai simboli tipici dell’alleanza, fa
uso al fine di dare forma al nuovo culto cristiano. Si pensi alla
luce e alla notte, al vento e al fuoco, all’acqua e alla terra,
all’albero e ai frutti. Si tratta di quell’universo materiale nel
quale l’uomo è chiamato a rilevare le tracce di Dio. E si pensi
ugualmente ai segni e ai simboli della vita sociale: lavare e
ungere, spezzare il pane e condividere il calice.
L’intero cosmo, nella liturgia, è assunto nella grande preghiera
del Signore e ritrova il suo vero orientamento: le altezza dei
Cieli, Dio.
“Sursum corda”
Si diceva che il canto liturgico è un canto espressivo del
mistero dell’amore: dell’amore di Dio che in Cristo si rivela in
tutta la sua bellezza; dell’amore del cuore umano, toccato dalla
fede, che desidera dare risposta all’Amore. Il canto liturgico non
può che attingere a questa sorgente viva, facendosi interprete
dell’Amore che riempie di sé l’intera creazione, che si fa Parola
nella Scrittura, che è rivelato nei misteri della nostra salvezza.
E, d’altra parte, questo stesso canto non può che dare forma alla
verità più profonda del cuore umano, segnato dal dramma del peccato
e dalla gioia straripante e meravigliata della divina misericordia;
dal dolore e dalla paura del peccato, del male e della morte, ma
anche dalla felice speranza della vittoria che in Cristo Salvatore è
già in quale modo esperienza e realtà.
E’ stato scritto: “La vera liturgia si riconosce dal fatto che è cosmica, non su
misura di un gruppo. Essa canta con gli angeli. Essa tace con la profondità
dell'universo in attesa. E così essa redime la terra” (J. Ratzinger, Cantate
al Signore un canto nuovo, p. 153-154)
Non dimentichiamo queste parole. Le “scholae cantorum”, in virtù
della loro specifica vocazione, hanno la grazia di partecipare a
questa redenzione della terra, propria della liturgia. Il canto
liturgico, infatti, fa proprio l’invito della Chiesa che sta al
cuore del rito, all’inizio della Preghiera eucaristica: “sursum
corda” – “in alto i cuori”. Pensate: al canto liturgico è affidato
lo straordinario compito di introdurre gli uomini riuniti in
preghiera, qui e ora, in questo luogo e in questo tempo, nella
comunione con Cristo; al canto liturgico è affidato l’esaltante
servizio di portare un’assemblea orante e l’intera creazione verso
l’Alto, verso l’altezza di Dio, verso l’altezza che è Dio e che in
Cristo tocca la terra, l’attira e la eleva a sé.
Ecco il motivo per cui il canto liturgico ha una sua santità. Ed
è a motivo di questa santità che non gli si addice il canto e la
musica che si ascoltano nel quotidiano. In liturgia si esce dal
quotidiano per ritornarvi nuovi, rinnovati dal Signore. Qualcuno ha
detto che il canto in liturgia è “una soglia sull’altrove”, ha una
dimensione estatica: ci conduce fuori di noi stessi per approdare in
Dio, ovvero nel cuore di noi stessi. Il canto liturgico è un ponte
sull’eternità sul quale è necessario transitare per essere raggiunti
dal mistero della salvezza.
Uomini e donne delle “scholae cantorum”, ricordate: il vostro
canto deve trascinare verso l’alto, elevare le menti e i cuori,
favorire il passaggio da questo mondo al Padre, dalla terra al
Cielo, dal tempo all’eternità. Il vostro canto non può essere
mondano e poco nobile; deve essere il canto degli angeli. Siate
appassionati delle altezze di Dio!
5° ORIENTAMENTO
La liturgia e la missione
Quella tra canto liturgico e missione è una relazione ricca e
necessaria. Proprio come quella che intercorre Eucaristia e
missione, liturgia e missione. Laddove la dimensione “missionaria” è
da intendere soprattutto con riferimento a un orientamento
ricorrente nel recente magistero pontificio, sia di Papa Benedetto
che di Papa Francesco, secondo il quale la Chiesa non cresce per
proselitismo ma per attrazione (cfr.
Evangelii Gaudium, 14).
La Chiesa che celebra la liturgia, infatti, rimane gioiosamente
“attratta”, conquistata dalla bellezza dell’amore di Dio, che in
Gesù si rivela come volto di misericordia infinita; e nell’incontro
con il Signore diviene, a sua volta, “attraente”, realmente
missionaria perché capace di comunicare al mondo la Misericordia che
salva e dona vita. E il canto liturgico, riguardo a una tale divina
bellezza, ha tanto da dire.
Un’antica leggenda delle origini del cristianesimo in Russia
racconta che al principe Vladimiro di Kiev, che si era messo alla
ricerca della giusta religione per il suo popolo, si presentarono in
successione i rappresentati dell’Islam, del Giudaismo e della Chiesa
di Roma. Ciascuno dei rappresentanti propose la propria fede come
quella giusta, ma il principe non rimase soddisfatto delle proposte
presentate. La decisone venne presa, invece, quando gli inviati del
principe ritornarono da una solenne liturgia, alla quale avevano
partecipato nella chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli. Essi
tornarono entusiasti e riferirono al principe: “E giungemmo presso i
Greci e siamo stati condotti laddove essi servono il loro Dio. Non
sappiamo se siamo stati in cielo o sulla terra. Abbiamo sperimentato
che là Dio abita con gli uomini”. Quegli uomini erano stati
“attratti” nel mondo di Dio, conquistati dallo splendore del suo
volto, reso presente nella celebrazione dei santi misteri. La
liturgia alla quale essi avevano partecipato era stata davvero
“missionaria”, dal momento che aveva reso possibile la
contemplazione gioiosa della bellezza del Signore. Anche se il
racconto non è storico porta in sé un nucleo di verità, in quanto la
forza interiore della liturgia ha avuto un ruolo importante nella
diffusione del cristianesimo.
“Via pulchritudinis”
“La via della bellezza”. Come sottolinea l’attuale Pontefice:
“L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella Liturgia in mezzo
all’esigenza quotidiana di far progredire il bene. La Chiesa
evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la
quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di
rinnovato impulso a donarsi” (Evangellii Gaudium, n. 24).
Sarebbe riduttivo immaginare la bellezza e la gioia come il
semplice prodotto di un impegno umano. La bellezza e la gioia di cui
si parla sono anzitutto un dono che viene dall’Alto e che comunica
una vita di Cielo alla terra abitata dagli uomini.
Ciò che vale per la liturgia in genere, vale allo stesso modo per
il canto liturgico. Si pensi all’esperienza che ebbe sant’Agostino a
Milano, dopo aver ricevuto il Battesimo, da lui raccontata nelle
Confessioni: “Quante lacrime versate ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che
risuonavano dolcemente nella tua chiesa! Una commozione violenta: quegli accenti
fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la verità, eccitandovi
un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi facevano bene (Confessioni,
9, 6, 15).
Come ebbe a scrivere G.K. Chesterton: “Il mondo non perirà certo
per mancanza di meraviglie, piuttosto per mancanza di meraviglia”. E’ proprio questa
“meraviglia” che è necessario custodire e conservare con straordinaria cura. La
Chiesa è custode di una meraviglia che le è stata consegnata. Le meraviglie,
prodotto della fantasia umana, hanno vita corta e presto perdono la loro
capacità attrattiva. La meraviglia, invece, che si è rivelata nel volto di
Cristo ed è meraviglia di amore e di misericordia, è sempre nuova e non perde
mai la sua freschezza. Quella meraviglia non smette di attrarre il mondo degli
uomini, perché è la meraviglia di Dio, l’unica in grado di placare la sete di
una terra altrimenti destinata a una mortale aridità. La Chiesa, nella
celebrazione eucaristica, si immerge nella meraviglia di Dio, nella meraviglia
che è Dio. E ne esce capace di meravigliare il mondo, introducendolo
nell’amicizia del Signore. Il canto liturgico, in tutto questo, è parte
integrante: ha una capacità unica di custodire e trasmettere la meraviglia. E
voi, uomini e donne delle “scholae cantorum”, ricordate: in tutto questo siete
chiamati a essere umili ma veri protagonisti. Siate appassionati della missione!
Mons. Guido Marini
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie