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SYNODUS EPISCOPORUM
BOLLETTINO

della Commissione per l'informazione della
X ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
DEL SINODO DEI VESCOVI
30 settembre-27 ottobre 2001

"Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo"


Il Bollettino del Sinodo dei Vescovi è soltanto uno strumento di lavoro ad uso giornalistico e le traduzioni non hanno carattere ufficiale.


Edizione italiana

10 - 04.10.2001

SOMMARIO

SESTA CONGREGAZIONE GENERALE (GIOVEDÌ, 4 OTTOBRE 2001  ANTIMERIDIANO)

Dopo la recita dell’Angelus Domini, Giovanni Paolo II, prima di concludere la sesta Congregazione Generale, giovedì mattina, 4 ottobre, si è rivolto ai Padri Sinodali con queste parole:

Questa mattina ho ricevuto l’Onorevole George Bush, ex Presidente degli Stati Uniti d’America, padre dell’attuale Presidente. Ho voluto assicurargli che la nostra Assemblea vive profondamente questa tragedia, che ha scosso tutta l’umanità. L’11 ottobre sarà per tutti noi il giorno della preghiera. Pregheremo anche noi da qui per le vittime e per la pace nel mondo.

[00148-01.04] [nnnnn] [Testo originale: italiano]

SETTIMA CONGREGAZIONE GENERALE (GIOVEDÌ, 4 OTTOBRE 2001 - POMERIDIANO)

INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)

Alle ore 17.00 di oggi, alla presenza del Santo Padre, con la recita del Pro Felici Synodi Exitu, ha avuto inizio la Settima Congregazione Generale, per la continuazione degli interventi dei Padri Sinodali in Aula sul tema sinodale Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo. Presidente Delegato di turno S.Em.R. Card. Giovanni Battista RE, Prefetto della Congregazione per i Vescovi.

A questa Congregazione Generale che si è conclusa alle ore 18.55 con la preghiera dell’Angelus Domini erano presenti 247 Padri.

INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)

Sono intervenuti i seguenti Padri:

Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi:

S.Em.R. Card. Alfonso LÓPEZ TRUJILLO, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia (Città del Vaticano)

San Paolo scrive a Timoteo per fortificarlo nella "buona battaglia" (1 Tim 6, 12) della quale ha dato testimonianza quando è stato sparso in libagione.

Dare testimonianza della verità è essenziale per il coraggio di essere vescovo, soprattutto nelle cause più significative e urgenti, quali sono oggi il Vangelo della famiglia e della vita. Se è allarmante la dimensione della sfida, è stimolante la capacità di gioiosa proclamazione di questa causa centrale dell’umanità, la crescente dinamica della difesa della famiglia e dell’umanità, in cui si gioca il futuro della Chiesa.

Al di là di ciò che realizzano le Diocesi, le Conferenze, le parrocchie e i movimenti, all’interno della Chiesa Cattolica, e nel dialogo con i popoli, con ritmo crescente si schiudono ampie speranze nell’ambito ecumenico, come abbiamo recentemente sperimentato in Romania, in una profonda convergenza, al Congresso Internazionale sulla Famiglia e la Vita nel Terzo Millennio, preparato dalla Chiesa Ortodossa di Romania e dalla Chiesa Cattolica, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la Famiglia. Qualcosa di simile ha avuto luogo a San Pietroburgo qualche tempo fa.

Questa buona battaglia che è al tempo stesso dura e difficile è un servizio all’umanità nella verità, universo della libertà. È un servizio di carità e di tenerezza materna. Assicurare un modo degno di vivere, uno stile di vita, nella famiglia, senza false alternative, non è forse preservare la dignità e la libertà, nella dimensione di un Bene comune universale? Come far capire, nella solidità della comunione ecclesiale, pilastro e fondamento della verità (1 Tim 3, 15), che ciò che si insegna in nome di Cristo è orientato al bene di ogni persona umana che corre il rischio di una dolorosa schiavitù nella quale la stessa umanità mostrerebbe un volto disumano, come il personaggio di Kafka, che si svegliò con la sorpresa di essersi trasformato in insetto? In questa buona battaglia, resa urgente dall’amore, davanti a tanta ostilità, si configura un mondo come quello che Dio vuole, al cui fedele servizio senza cedimenti è chiamato il vescovo.

Proseguiamo nella preparazione del "Lexicon" per risolvere le ambiguità di un linguaggio abilmente concertato che crea una tattica confusione semantica. Hanno collaborato numerosi specialisti per chiarire quasi 75 voci o espressioni.

Infine, insieme con l’Arcivescovo di Manila, Cardinale Jaime Sin, invitiamo i Pastori e le loro delegazioni al IV Incontro Mondiale del Papa con le Famiglie che si terrà nel gennaio dell’anno 2003.

[00139-01.04] [in114] [Testo originale: spagnolo]

S.E.R. Mons. Anthony Theodore LOBO, Vescovo di Islamabad-Rawalpindi (Pakistan)

In molti paesi esistono gravi problemi nella formazione nei Seminari, e di conseguenza per i sacerdoti. Sacerdoti sia diocesani che religiosi, come pure religiose, stanno abbandonando la loro vocazione, anche dopo dieci o quindici anni. C’è una tendenza alla mediocrità. Ciò si manifesta nella mancanza di un "sensus fidei" e di un "sensus ecclesiae" e nella mancanza di pietà e zelo sacerdotale. Ciò che manca è un profondo, crescente, intimo rapporto da persona a Persona con Cristo. Una delle cause potrebbe essere l’ignorare (se non escludere completamente) le devozioni popolari nella vita dei seminaristi, e successivamente dei sacerdoti.

Secondo Karl Rahner, abbiamo bisogno sia dell’Oggettiva Spiritualità della Bibbia e della Liturgia che della Spiritualità Soggettiva delle devozioni popolari. Esse sono complementari. Senza la dimensione soggettiva, non esiste base o fondamento su cui costruire una vita liturgica o vivere la Parola di Dio. Ironicamente, il trascurare la dimensione soggettiva (devozioni) ha spesso portato a trascurare la dimensione oggettiva (Breviario, sacramento della riconciliazione).

Sembra che il vuoto si riempia in tre modi: innanzitutto con l’intrattenimento (film, video, TV via cavo, internet), che potrebbe essere controllato da un "sensus fidei". In secondo luogo da una mancanza di apprezzamento degli insegnamenti ufficiali della Chiesa (Magisterium), che indicano un debole "sensus ecclesiae". In terzo luogo, soprattutto tra i religiosi e le religiose, un’esasperazione della dimensione profetica della vita cristiana, trascurando le dimensioni sacerdotale e regale.

Il risultato di corsi e lezioni di seminario impartite a studenti che mancano della dimensione soggettiva della spiritualità, è che tutto il programma del seminario si riduce semplicemente all’impartire informazioni o terminologia riguardanti la Scrittura, i Dogmi, la Morale e il Codice di Diritto Canonico. Perfino la spiritualità viene insegnata con delle lezioni. Ciò che tristemente manca è l'interiorizzazione e Integrazione di questi corsi nella vita di ciascuno.

Si presume erroneamente che l’Informazione faccia automaticamente passare all’azione. Talcott Parsons, nel suo libro: Social Theory and Social Action (Teoria sociale e azione sociale), spiega perché non è così. Perché tutte le informazioni passano sempre attraverso il Sistema Culturale, il Sistema Sociale e il Sistema della Personalità e soltanto allora si mutano in azione. Quindi, se il sistema culturale (consumismo, edonismo e violenza) non viene trasformato, e il sistema sociale (divisione in caste o classi, razze e religioni) non viene cambiato e il sistema della personalità (debolezza, errori, fallimenti) non viene corretto, non possiamo aspettarci che dai seminari escano sacerdoti buoni e santi. Piuttosto, avremo dei sacerdoti che sono una parte del problema invece di una parte della soluzione.

Infine, anche quando si raggiunga tutto ciò, occorre sostenere la buona formazione acquisita e per far ciò dobbiamo seriamente pensare a una vita comunitaria per i sacerdoti diocesani. Gesù e i suoi apostoli vivevano in comunità. Ciò consentirà loro di mantenersi saldi contro ogni cultura sacerdotale corrotta, che purtroppo predomina in molti luoghi. Dovremmo unire insieme le parrocchie.

Se il Sinodo attua i cambiamenti sopra descritti, avremo dei sacerdoti che saranno Araldi di Speranza per il nuovo millennio.

[00107-01.04] [in084] [Testo originale: inglese]

Rev. P. Antonio PERNIA, S.V.D., Superiore Generale della Società del Verbo Divino

Il mio intervento fa riferimento ai nn. 133 e 134 dell’Instrumentum Laboris, che trattano della "azione e cooperazione missionaria" riguardo al ruolo del vescovo nella Chiesa. Secondo l’IL, "la stessa collocazione del vescovo nella Chiesa e la missione che vi è chiamato a svolgere fanno di lui il primo responsabile della permanente missione di portare il Vangelo a quanti ancora non conoscono Cristo, redentore dell’uomo" (n. 133). Vorrei sottolineare soltanto due delle numerose implicazioni di questa asserzione:

(1) Prima di tutto, questa asserzione implica che il vescovo è chiamato ad assumere non solo il ruolo petrino di pascere il gregge che è già radunato, ma anche la missione paolina di giungere a coloro che non si sono ancora uniti al gregge e offrire loro Cristo. Pietro e Paolo. Il Pastore e il missionario. Questi due aspetti costituiscono parte integrante del ruolo del vescovo nella Chiesa. In questo contesto, la presenza di congregazioni di vita consacrata nella diocesi può costituire un grande aiuto nell’assicurare che si mantenga viva la dimensione missionaria della Chiesa locale. Spesso infatti i carismi della vita consacrata vengono tradotti in pratica con maggiore efficacia nelle situazioni di frontiera.

È piuttosto spiacevole notare che, secondo l’esperto di statistica David Barrett, oltre il 90% dei nostri missionari professionisti sono primariamente al servizio di popolazioni cristiane, mentre meno del 10% è impegnato nel servizio a coloro che non sono ancora stati evangelizzati o non hanno ancora ascoltato il Vangelo di Cristo. In effetti, in molti luoghi, la mancanza di sacerdoti sta assorbendo molti religiosi e missionari nel lavoro pastorale per la Chiesa locale, lontano da compiti specificamente missionari. Sarà compito del vescovo discernere nel concreto quali necessità rivestano maggiore urgenza, se quelle pastorali o quelle missionarie. In ogni caso, il sentimento diffuso presso l’Unione dei Superiori Generali è stato di rivolgere un appello ai consacrati e alle consacrate affinché si permetta loro di mettere in pratica il proprio carisma ai confini della Chiesa e ai margini della società.

(2) In secondo luogo, oggi i missiologi ci parlano di un cambiamento nel modo d’intendere la missione, ossia del passaggio da una concezione geografica o territoriale a una concezione sociale o relativa alla situazione. La Redemptoris missio fa riferimento a ciò nel paragrafo 37, laddove parla di "mondi e fenomeni sociali nuovi". Oggi preferiamo parlare di "situazioni missionarie" piuttosto che di "territori di missione". Una particolare sfida missionaria, oggi, è il carattere sempre più multiculturale del mondo. Qualche giorno fa, l’Arcivescovo Hamao, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, nel suo intervento, ci ha messo in guardia dal fenomeno della migrazione che caratterizza il mondo attuale. Una conseguenza della migrazione internazionale è che i popoli delle diverse culture oggi non solo hanno contatti più stretti, ma spesso devono vivere gli uni accanto agli altri. Numerose città del mondo sono abitate da gruppi culturali molto diversi. Spesso la diversità culturale significa anche diversità di religione. La migrazione sta cambiando il volto delle nostre città.

Il nostro mondo, sempre più multiculturale, sfida la Chiesa a diventare anch’essa multiculturale. Una Chiesa multiculturale verrà considerata dagli estranei e dagli stranieri non solo più tollerante, ma anche più accogliente. Parte del lavoro missionario del vescovo consisterà nel promuovere una Chiesa multiculturale, cioè una Chiesa che promuova il riconoscimento del prossimo, il rispetto per la diversità culturale e una sana interazione tra le culture. Ritengo che anche in questo ambito le congregazioni di vita consacrata abbiano qualcosa da offrire. Non solo si tratta per la maggior parte di congregazioni internazionali, ma spesso i loro membri possiedono anche un patrimonio di esperienza riguardo a quello che significa vivere in una cultura diversa. Gli uomini e le donne consacrati possono aiutare a promuovere una Chiesa autenticamente multiculturale.

[00108-01.04] [in085] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Raphael S. NDINGI MWANA'A NZEKI, Arcivescovo di Nairobi (Kenia)

In questa breve presentazione vorrei trattare l’argomento dell’episcopato come servizio - una testimonianza per il mondo, dandogli il titolo di disponibilità.

I. La disponibilità quotidiana del vescovo verso Dio tramite la preghiera, la meditazione e la riflessione sul Vangelo davanti al Santissimo Sacramento. Questa disponibilità verso Dio deve esser presente sin dalle prime ore del giorno. Qui noi riflettiamo su chi siamo, su ciò che siamo. Su come ci rapportiamo ai nostri fedeli. Su come il nostro Signore e Maestro Gesù Cristo si rapportava alla gente. Su come lui portava avanti la sua missione (cfr. Mc 3, 7-11; Lc 4, 42). Qui noi incontriamo il Signore faccia a faccia. Noi lo ascoltiamo. Parliamo con Lui. Presentiamo a Lui la nostra visione nella chiamata a servire Lui e il suo popolo. Noi Gli confidiamo i nostri bisogni, le nostre ansietà, le nostre sconfitte. Gli confessiamo i nostri peccati e Gli chiediamo perdono. In questo momento noi manifestiamo la nostra nullità e lasciamo che Egli ci elargisca la sua misericordia - ci trasformi in strumenti efficaci per la proclamazione della "Buona Novella". "Ti basta la mia grazia; la mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza" (2 Cor 12, 9). Questa disponibilità verso Dio tramite la preghiera e la meditazione non può essere sostituita da nient’altro. Né altro può prendere il suo posto. Il nostro legame con Cristo nel Santissimo Sacramento ci dà non soltanto forza morale e spirituale, ma anche forza fisica per portare avanti la nostra missione come fece Lui con quelli prima di noi. "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre" (Eb 13, 8).

II. La disponibilità del vescovo verso se stesso.

Noi siamo esseri umani, poveri e deboli, e portiamo sulle spalle una pesante responsabilità. Per servire bene i nostri fedeli, infondere loro la speranza e dargli coraggio, dobbiamo prenderci un po’ di riposo. Stare un po’ per conto nostro. Rilassarci, riguadagnare le energie perdute. Essere noi stessi. Dobbiamo prenderci un po’ di tempo qui e adesso per essere pronti ad affrontare la sfida del nostro ministero e del servizio al nostro popolo - a tutto il popolo della nostra Chiesa particolare, sia che esso appartenga alla nostra fede sia che non vi appartenga. Ci serve del tempo per operare per la gente e con la gente. Tempo per parlare a noi stessi, per ascoltare noi stessi. Tempo per rispondere fedelmente alle domande sulla nostra vocazione. Scegliere cosa fare o dove trovarci in questo momento è così importante che dobbiamo chiedere al Signore l’ispirazione e allo Spirito Santo di guidarci. Il nostro tempo libero dovrebbe condurci al Signore e al Suo popolo al fine di servirlo a qualunque costo. Questo tempo libero dovrebbe anche aiutarci a gettare le nostre reti in profondità (Gv 21, 6).

III. La disponibilità del vescovo verso i suoi fedeli.

I nostri fedeli come anche gli altri vogliono che siamo presenti quando hanno bisogno di noi. Spesso deleghiamo troppo la nostra disponibilità ai nostri collaboratori col pretesto che siamo troppo impegnati. Impegnati a che fare? Prima vengono le persone, poi l’amministrazione. Chi è più impegnato di Sua Santità Giovanni Paolo II? Nessuno. In questo Sua Santità è un grande modello per noi. Malgrado la sua grande responsabilità si è reso e continua a rendersi disponibile per tutta la Chiesa, per tutta la gente - Cattolici, credenti in altre religioni, non credenti, ricchi e poveri, persone semplici e persone importanti. Ha visitato tutti i continenti eppure nessuno nella Curia è più informato o aggiornato su argomenti e affari della Chiesa di Sua Santità. Bravo Santo Padre La disponibilità di Sua Santità verso tutta la Chiesa ha rafforzato la comunione dei vescovi locali con l’episcopato del mondo e in modo molto speciale con il vescovo di Roma. È interessante vedere come, grazie alla disponibilità di Sua Santità, in una Chiesa africana locale, il Papa sia veramente un segno di unità di tutta la Chiesa - un segno "personale", visibile. Solo il teologo più cinico o poco realista liquiderebbe questo concetto come mero semplicismo o sentimentalismo. Il ministero petrino ha un significato reale per le persone - un centro concreto e personalizzato. La disponibilità di Sua Santità verso il popolo africano durante le sue visite pastorali ci ha incoraggiato a realizzare ciò che siamo e ad accettare con grande fede ciò che Papa Paolo VI ci ha detto: "L’insegnamento di Gesù Cristo e la Sua redenzione sono, di fatto, il completamento, il rinnovamento e l’elevazione verso la perfezione, di tutto ciò che è buono nella tradizione umana. Questo è il motivo per cui l’africano che diventa cristiano non disconosce se stesso, ma affronta gli antichi valori della tradizione ‘in spirito e verità’".

[00110-01.03] [in087] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Tomé MAKHWELIHA, S.C.I., Arcivescovo di Nampula (Mozambico)

Le vocazioni e la pastorale vocazionale hanno meritato una attenzione più prioritaria nella vita della Chiesa. Infatti, la Chiesa ha inteso e continua a intendere come essenziale l’esistenza del ministero sacerdotale e anche quella di ministri ordinati, siccome di fedeli consacrati con i Consigli Evangelici. La Chiesa riconosce che non può mettere radici in mezzo agli uomini, quando viene a mancare il ministero sacerdotale o quando è scarso (cfr. AG 16; 19).

Siamo tutti un po’ sconvolti dalla crisi delle vocazioni verificatasi negli ultimi decenni. Siamo coscienti delle preoccupazioni crescenti della Chiesa alle soglie del Terzo Millennio. Gli ultimi Sommi Pontefici hanno fatto riferimento a questa crisi, da Pio XII (Menti Nostrae, 1950), Giovanni XXIII (Allocuzione al Congresso Mondiale delle Vocazioni, 1961), al Pontefice presente.

La preoccupazione dell'Episcopato oggi è come mantenere accesa questa preoccupazione per le vocazioni e per la pastorale vocazionale.

Spetta mettere in pratica quanto raccomanda il Vaticano II: "al vescovo tocca stimolare il proprio gregge a favorire le vocazioni e curare per questo scopo lo stretto collegamento di tutte le energie e di tutte le iniziative" (OT 2).

Il punto di partenza sarà sempre quello suggerito dallo stesso Concilio, cioè di coinvolgere in questa pastorale tutte le componenti del Popolo di Dio: le comunità cristiane, le parrocchie, i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose, gli stessi candidati.

Dobbiamo aver presenti tre elementi fondamentali nella pastorale delle vocazioni:

1. La partecipazione di tutta la comunità cristiana.

2. La creazione di commissioni a tutti i livelli: Diocesi, parrocchia, comunità cristiana.

3. Creazione di Centri Vocazionali:

- presso la sede vescovile

- presso le parrocchie urbane e rurali

- presso le comunità di campagna.

Trattasi di centri per l'accompagnamento e formazione dei candidati, prima di essere ammessi in seminario o nelle case di formazione di vita consacrata.

[00111-01.02] [in088] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Tadeusz GOCŁOWSKI, Arcivescovo di Gdańsk (Polonia)

Il radicalismo è una chiave che permette di seguire Gesù autenticamente e riguarda soprattutto coloro che sono usciti dal Cenacolo dopo la Pentecoste, quindi i vescovi. Il Pontefice nella sua omelia all'inizio del sinodo parlava della povertà dei vescovi. Per noi è un segno importante, anzi una sfida.

Si dice che dopo il Concilio Vaticano II i vescovi vendevano i palazzi, portavano i pastorali di legno. Era senza dubbio un modo di avvicinarsi ai poveri. Tuttavia pare che non basti. Reclamare i diritti dei poveri senza politicizzare il problema, collaborare con le organizzazioni governative e nongovernative al di sopra delle divisioni politiche - questa pare che sia la strada giusta per la Chiesa per affrontare il problema della povertà del mondo. Non basta "vestirsi da povero" ma bisogna amare la povertà come Cristo.

L’Immagine Vivente non riguarda solo la povertà. Gesù Cristo indica ancora, come il modello da seguire, la semplicità e umiltà che sono tanto importanti nella vita del vescovo. Il vescovo deve essere padre, fratello e amico. Non può essere un "guru", ma deve essere, parlando nella lingua contemporanea, un leader spirituale, leader che guida la società dei cristiani. Il vescovo deve essere l’autorità spirituale per i fratelli. Lui è il leader nel campo della sua missione.

In tale contesto si deve considerare il pericolo dell’odierna mentalità democratica che vuole entrare anche nell'ambito della Chiesa. In alcuni luoghi si può osservare il popolo di Dio che vuole eleggere i vescovi oppure decidere, secondo il proprio parere, quale dovrebbe essere l'insegnamento della Chiesa. In questo momento conviene ricordare l'affermazione di S. Agostino: "Con voi sono un cristiano, per voi sono un vescovo". La Chiesa appartiene a Cristo, e il potere nella Chiesa viene da Cristo, non dall'uomo

Il fenomeno preoccupante di oggi, il decrescente numero dei coraggiosi e autentici cristiani e dei sacerdoti esige da noi il ritorno al radicalismo, non solo quello interno, ma anche quello esterno, leggibile per tutti.

[00112-01.02] [in089] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Józef Mirosław ŻYCIŃSKI, Arcivescovo di Lublin (Polonia)

In mezzo a processi culturali e sociali radicalmente nuovi, il vescovo, unito a Cristo e "realisticamente aperto al mondo" (IL 12), è stato il maestro della speranza cristiana. Per la nostra generazione, la messe di Cristo è già diventata un solo villaggio globale. Nuove sfide sorte dall’attuale rivoluzione culturale esigono la nostra risposta pastorale. È nostro dovere portare l’ottimismo cristiano alla gente che soffre di frustrazione e disperazione. I loro drammi sono i drammi della Chiesa che condivide la gioia e il dolore del popolo di Dio. Ciò che rappresenta la sfida principale al processo di globalizzazione è la falsa antropologia che sottende alle trasformazioni culturali. Nel secolo scorso varie forme di falsa antropologia hanno dato vita a due sistemi totalitari. Adesso, in un approccio pragmatico-commerciale, si cerca di trasformare la comunità umana in una società di consumatori. In questo approccio, perfino i valori spirituali debbono essere sostituiti con le loro controparti commerciali, offerte dall’ideologia della New Age.

I processi globali, potenziati da una sofisticata politica pubblicitaria, creano bisogni artificiali e costituiscono una nuova gerarchia di valori. È più facile manipolare persone che concentrano la loro attenzione su questi falsi bisogni, che spesso vengono presentati come segni di libertà e di progresso. Nel formare questa nuova mentalità, il ruolo fondamentale è giocato dai mezzi di comunicazione di massa. Secondo la loro prospettiva, ciò che è importante deve essere spettacolare. Se una versione contemporanea del "Vangelo secondo i media" sostituisse il Vangelo della tradizione cristiana, probabilmente i momenti spettacolari della Domenica delle Palme sarebbero presentati come avvenimento centrale, mentre la preghiera solitaria di Gesù nell’oscurità del Getsemani passerebbe inosservata.

Nell’affrontare la sfida del "nuovo sgargiante disordine mondiale" noi vescovi dobbiamo cercare nuovi mezzi per introdurre i valori del Regno di Dio nel nostro villaggio globale. È nostro dovere difendere sia i valori umani universali che la "dignità della persona, la quale si manifesta in tutta la sua pienezza nel mistero del Verbo incarnato" (Giovanni Paolo II, CA 47). È nostro dovere rendere testimonianza ai valori invisibili del Regno del Padre in un mondo globalizzato; valori quali la solidarietà e la santità, la riconciliazione e il perdono, la libertà e la verità. In un mondo globale, abbiamo bisogno di valori universali per evitare quella mentalità provinciale in cui si ignora il grande retaggio culturale, fondamentale tanto per la tradizione umana che per quella cristiana. Il ruolo basilare di questi valori è stato universalmente riconosciuto in un’espressione speciale di solidarietà umana dopo l’ultimo attacco terroristico. Purtroppo la pratica quotidiana porta nuovamente alla luce situazioni in cui la legge della domanda e dell’offerta diventa più importante dei valori umani universali.

Nella nostra società pluralistica, quest’assenza pratica di valori umani universali può essere vista come sintomo di una crisi dell’umanesimo contemporaneo. C’era un tempo in cui i valori universali venivano negati su base ideologica. I sostenitori del cosiddetto modello antropologico dell’homo sovieticus affermavano che sia i principi etici che i principi di vita in Unione Sovietica erano talmente specifici, che non era possibile inserirvi alcuno degli standard universali riconosciuti nella tradizione cristiana.

Per portare nuova speranza a quanti sono nella disperazione, è nostro compito far scoprire la bellezza di questi valori universali che si irradiano dal Discorso della Montagna di Cristo. All’alba di una nuova epoca nella storia umana, Maria, Madre di Cristo, nel suo Magnificat ha espresso il suo ottimismo proclamando il mistero della salvezza, nascosto nel paradosso della storia umana. Alle soglie del terzo millennio, cerchiamo di seguire il suo esempio predicando i valori universali del Regno di Dio nel nostro villaggio globale.

[00113-01.04] [in090] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Leonardo Z. LEGASPI, O.P., Arcivescovo di Caceres (Filippine)

Dopo i recenti attacchi terroristici in America sono andati in rovina non soltanto edifici e vite innocenti, ma anche le speranze e i sogni degli uomini e delle donne di oggi per un mondo pacifico e ordinato.

Dopo l’11 settembre 2001 il mondo si confronta con un futuro minaccioso, con i suoi potenziali di caos e insicurezze ancora maggiori. Le formule politiche, economiche e tecnologiche per un futuro migliore sono giunte al capolinea, lasciandosi dietro un buco nero di disperazione. Ancora una volta tutta la creazione geme nei dolori del parto.

In questo paesaggio di disperazione, questa X Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi si apre portando un messaggio, vale a dire che la speranza del mondo in questi tempi di calamità è il Vescovo in qualità di servitore del Vangelo di Gesù Cristo.

Il mondo vorrà ascoltare e credere che questo è vero?

Anche noi stessi, vescovi, ci chiediamo cosa Dio vuole che facciamo in questo Sinodo, la cui inaspettata riprogrammazione diventa provvidenziale in questo momento cruciale della storia umana. Perciò, il mondo attende il nostro messaggio, la nostra testimonianza, il nostro manifestare che nella verità noi possediamo in modo credibile e autentico la formula della speranza.

Esistono due settori dell’umanità che hanno particolarmente bisogno della speranza che possiamo offrire - i poveri e i giovani. I poveri - perché la miseria costante li porta alla disperazione. I giovani - perché la cultura moderna li ha sfruttati e li ha svuotati di ogni speranza.

Ciò che poveri e giovani si aspettano da noi non sono i luoghi comuni, ma la "testimonianza dell’azione", che il nostro Instrumentum laboris ha sottolineato, perché la speranza nasce quando viene vissuta. Dobbiamo offrire una speranza viva e di testimonianza, non solo in quanto vescovi di diocesi individuali, ma in quanto vescovi riuniti collegialmente qui, affinché il mondo veda la Chiesa universale quale depositaria del messaggio e del potere di rinnovare e salvare il mondo.

Che testimonianza di speranza viva possiamo offrire? Per i poveri la cui disperazione nasce dal loro asservimento a un sistema economico ingiusto, la speranza che offriamo dovrebbe comprendere mezzi concreti per promuovere la giustizia ed effettuare una più giusta distribuzione delle risorse mondiali. Per i giovani, la cui disperazione nasce dalla perdita di significato e scopo nella vita, dobbiamo offrire la visione di una Chiesa quale coraggiosa e vibrante comunità di speranza, alla cui vita e al cui operato i giovani possono partecipare come co-artefici di una nuova umanità incentrata in Cristo.

Sia dai poveri che dai giovani, la Chiesa deve essere vista chiaramente come il sacramento di speranza del mondo il cui messaggio è credibile in quanto i suoi servitori del Vangelo di Gesù Cristo, i vescovi, vivono le beatitudini nelle loro stesse vite.

[00115-01.03] [in092] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Ramón Ovidio PÉREZ MORALES, Arcivescovo di Los Teques (Venezuela)

I laici "costituiscono numericamente la maggior parte" della comunità ecclesiale. Il rinnovamento ecclesiale ed ecclesiologico ha reinterpretato il laico come soggetto attivo e partecipativo all’interno del Popolo profetico, sacerdotale e regale. Questo tratto maggioritario ci chiama a una maggiore attenzione nel riconoscimento, valutazione, formazione e animazione dei laici, mirando a una loro presenza più cosciente, reale ed efficace nella Chiesa e nel mondo.

La (nuova) evangelizzazione si vede attualmente arricchita e potenziata grazie ai ministeri conferiti a laici, uomini e donne. Questa collaborazione dei laici con il ministero ordinato, parallelamente ad altre forme di cooperazione ‘ad intra’ della comunità ecclesiale (servizi, Consigli, ecc.) non possono, nonostante tutto, diluire o far dimenticare ciò che è specifico del laico: la sua indole secolare. La promozione del laico in quanto tale rientra quindi nella linea di ciò che gli è proprio (la dimensione secolare) e non di ciò che gli viene affidato per delega (ministeri che gli sono concessi), benché si tratti di cose di altissimo valore.

L’Evangelii nuntiandi insegna chiaramente che l’evangelizzazione punta a raggiungere non solo la persona ma anche il suo ambiente culturale. La "nuova evangelizzazione" e, di conseguenza, l’evangelizzazione della cultura, impegna tutto il Popolo di Dio, anche se non nello stesso modo, tutti i suoi membri e i suoi settori. Al laico, inserito in una famiglia e nel cuore stesso del secolare, spetta tradurre il Vangelo in linfa e fermento dell’economia, della politica e della cultura. Il laico non ha bisogno, quindi, di una "delega" per la sua attività di evangelizzazione della cultura. Ha bisogno, questo sì, di un vescovo che lo accompagni con una spiritualità adeguata, lo rispetti e comprenda le sue decisioni, lo incoraggi e lo conforti nei suoi impegni, lo aiuti e lo orienti nella sua formazione.

[00116-01.03] [in093] [Testo originale: spagnolo]

S.E.R. Mons. Mario DE GASPERÍN GASPERÍN, Vescovo di Querétaro (Messico)

1. La missione divina di pascere il suo popolo affidata da Cristo agli Apostoli prosegue nei Vescovi, suoi legittimi successori; per questo "chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo" (Lc 10, 16; LG 20), "del resto è una verità che, reggendo bene la propria chiesa come porzione della chiesa universale, contribuiscono essi stessi efficacemente al bene di tutto il corpo mistico, che è pure un corpo fatto di chiese" (LG 23).

2. È pertanto interesse non soltanto del Sommo Pontefice ma di tutti i Vescovi, che ogni Vescovo disponga di tutti i mezzi giuridici e pastorali per compiere la sua missione. La III Conferenza dell’Episcopato Latino-americano ha segnalato la "pianificazione pastorale come la risposta specifica, consapevole e intenzionale alle necessità dell’evangelizzazione" (DP, 1307). Per questo, sono molte le diocesi che contano sul proprio piano pastorale come espressione di "quella carità e unità del corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza" (LG 26).

3. Nel carisma di governo del Pastore diocesano esercitato mediante il piano pastorale debbono confluire, ognuno alla sua maniera ma in modo vero ed efficace, tutti i doni e i carismi in conformità con l’ecclesiologia di comunione aperta alla missione (cfr. NMI 43).

4. Il Vescovo deve contare sulla comprensione e la collaborazione dei movimenti, delle congregazioni e degli ordini religiosi, eliminando le pastorali parallele e quelle che ignorano decisamente il piano pastorale. È necessario che questo Sinodo presenti al Santo Padre proposte praticabili e operative per contribuire a correggere questa situazione.

[00117-01.03] [in094] [Testo originale: spagnolo]

S.Em.R. Card. Geraldo MAJELLA AGNELO, Arcivescovo di São Salvador da Bahia (Brasile)

Tre sono gli aspetti del carisma dei vescovo che mi preme sottolineare in questo breve intervento: il Vescovo ed il mistero, il vescovo ed il suo ministero, il vescovo ed il suo carisma spirituale.

1. Il vescovo ed il mistero

Il vescovo è un uomo che è stato in contatto con l'arcano sul monte Oreb, come Mosè, e sul monte Tabor, come gli apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo. Il mistero è qualcosa d’ineffabile, che non si può raccontare, ma che si vive in profondità dentro se stessi. Chi vive il mistero diventa credibile. Quando Mosè scese dall'Oreb portava con sé non solo le tavole della legge, ma anche l'esperienza dell'incontro con Dio. La lettera agli Ebrei afferma che lui "rimase incrollabile come se vedesse l'invisibile" (Eb Il,27). I contemplativi pregano di nascosto, però non possono nascondere l'esperienza del loro incontro con Dio.

2. Il vescovo ed il suo ministero

Il triplice munus (sacerdote, re e profeta) che caratterizza la realtà ontologica d’ogni cristiano non è sempre stato vissuto armonicamente da noi vescovi. Senza colpe personali, ma a causa delle circostanze. La storia ci ricorda che per troppo tempo il vescovo è stato visto come il Pontifex che presiedeva la liturgia con tutta la coreografia che faceva di lui qualcuno più importante dello stesso Signore, e come Rex, uomo di comando al quale si deve obbedienza cieca. Com'è difficile (o impossibile?) fare comunione con il Rex e sentirsi suoi collaboratori e responsabili per il Regno di Dio.

3. Il carisma spirituale del vescovo

Prescindendo dalla bellezza di tutto il magistero ricchissimo sulla funzione del vescovo, possiamo riassumere l'essenza del carisma episcopale ricordando le parole di Gesù: "Pastores dabo vobis" (Ger 3, 15). Nel cuore e sulle sue labbra di Gesù la parola pastor sta per pater. La paternitas occupava la mente di Gesù il quale si considerava anche lo sposo nella logica del Regno messianico. "Non vi lascerò orfani" (Gv 14, 18). Gli apostoli hanno capito che. il ministero dell'annuncio doveva venire svolto creando il clima della paternità-filialità. Ne è testimone tutta la tradizione neotestamentaria e patristica. Le lettere pastorali documentano la preoccupazione di mostrare che se la Chiesa è Sponsa-Mater il Vescovo è Sponsus-Pater.

Si possono fare altre due osservazioni. Non ci sono dei corsi di formazione per preparare i futuri vescovi. Le qualità personali e intellettuali non sono garanzia d'idoneità ad assumere la guida di un gregge. L’episcopato è una grazia da vivere pastoralmente. Non può essere conferito come premio o come avallo ad una funzione politica.

[00118-01.04] [in095] [Testo originale: italiano]

S.B. Grégoire III LAHAM, B.S., Patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti (Siria)

Non è corretto annoverare il Sinodo Patriarcale fra le Conferenze Episcopali. Si tratta infatti di un organismo assolutamente distinto. Il Sinodo Patriarcale è l’istanza suprema della Chiesa orientale. Può legiferare, eleggere i vescovi e i Patriarchi, decidere in merito alle dispute.

Al n. 75 si parla del "particolare onore" tributato al Patriarca. Vorrei far notare che parlare nei documenti ecclesiastici dell’onore e dei privilegi dei Patriarchi significa sminuire il loro ruolo tradizionale.

Non si tratta di onore, di privilegi, di concessioni. L’istituzione patriarcale è un’entità specifica esclusiva dell’ecclesiologia orientale.

Con tutto il rispetto dovuto al ministero petrino, il ministero patriarcale ne è l’equivalente - servatis servandis - nell’ecclesiologia orientale.

Finché nell’ecclesiologia romana non si terrà conto di questo, non vi saranno progressi nel dialogo ecumenico.

Inoltre, il ministero patriarcale non è una creazione romana, non è frutto di privilegi concessi o accordati da Roma.

Una siffatta concezione non può che pregiudicare ogni possibile intesa con l’Ortodossia.

Lo rivendichiamo anche per la nostra Chiesa Patriarcale Melkita e per tutte le nostre Chiese orientali cattoliche.

Si è atteso troppo a lungo per applicare i decreti del Concilio Vaticano II e le Encicliche e le Lettere dei Pontefici, segnatamente di Papa Giovanni Paolo II.

Ciò fa perdere ogni fiducia nella buona volontà della Chiesa di Roma nel dialogo ecumenico.

Si vede accadere esattamente il contrario: il CCEO ha ratificato delle usanze assolutamente contrarie alla tradizione e all’ecclesiologia orientali

[00119-01.04] [in096] [Testo originale: francese]

S.E.R. Mons. Stefan SOROKA, Arcivescovo di Philadelphia degli Ucraini (Stati Uniti d’America)

La Liturgia Bizantina di San Giovanni Crisostomo definisce ripetutamente Gesù Cristo come "l’amante del genere umano". Il vescovo, che sta al posto di Gesù Cristo fra il clero e i fedeli, è chiamato a essere l’"amante" di coloro dei quali è il Pastore. L’espressione di tale amore genera speranza. La tradizione orientale attribuisce grande importanza allo Spirito Santo in quanto potente agente di unità. La promozione dell’ecumenismo nella Chiesa locale è una responsabilità del vescovo, colma di speranza. Valorizzando e preservando le loro antiche tradizioni e promuovendo l’apprezzamento per l’antico retaggio che condividiamo con le Chiese dell’Est nostre sorelle, le Chiese Cattoliche Orientali offrono una testimonianza tangibile della legittima diversità che può e deve esistere all’interno della comunione cristiana. Gli scritti dei Padri dell’Est incoraggiano il coinvolgimento attivo del clero e dei fedeli nel processo di elezione del vescovo. È necessario cercare di individuare le esigenze della diocesi e il tipo di guida intesa come servizio che clero e fedeli desidererebbero. Per quanto riguarda il vescovo emerito, San Giovanni Crisostomo esorta i vescovi a considerare la rinuncia come l’ottenimento di una corona, proprio come la stessa consacrazione. La piena possibilità di partecipare alla vita ecclesiale dovrebbe garantire che non si ostacolino le azioni dello Spirito Santo per il rinnovamento della Chiesa che amiamo e serviamo.

[00120-01.04] [in097] [Testo originale: inglese]

AVVISI

 

BRIEFING PER I GRUPPI LINGUISTICI

Il quarto briefing per i gruppi linguistici avrà luogo domani venerdì 5 ottobre 2001 alle ore 13.10, a conclusione della Ottava Congregazione Generale del mattino (nei luoghi di briefing e con gli Addetti Stampa indicati nel Bollettino N. 2).

Si ricorda che i Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) sono pregati di rivolgersi al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali per il permesso di accesso (molto ristretto).

POOL PER L’AULA DEL SINODO

Il quinto "pool" per l’Aula del Sinodo sarà formato per la preghiera di apertura della Decima Congregazione Generale di sabato mattina 6 ottobre 2001.

Nell’Ufficio Informazioni e Accreditamenti della Sala Stampa della Santa Sede (all’ingresso, a destra) sono a disposizione dei redattori le liste d’iscrizione al pool.

Si ricorda che i Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) e fotoreporters sono pregati di rivolgersi al Pontificio Consiglio per le Comunicazione Sociali per la partecipazione al pool per l’Aula del Sinodo.

Si ricorda che i partecipanti al pool sono pregati di trovarsi alle ore 08.30 nel Settore Stampa, allestito all’esterno di fronte all’ingresso dell’Aula Paolo VI, da dove saranno chiamati per accedere all’Aula del Sinodo, sempre accompagnati da un ufficiale della Sala Stampa della Santa Sede, rispettivamente dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali.

ISTRUZIONI PER LA DUPLICAZIONE E LA DISTRIBUZIONE

DISTRIBUZIONE: IMMEDIATA

[b10-01.03]

 

 


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