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SYNODUS EPISCOPORUM
BOLLETTINO

della Commissione per l'informazione della
X ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
DEL SINODO DEI VESCOVI
30 settembre-27 ottobre 2001

"Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo"


Il Bollettino del Sinodo dei Vescovi è soltanto uno strumento di lavoro ad uso giornalistico e le traduzioni non hanno carattere ufficiale.


Edizione italiana

12 - 05.10.2001

SOMMARIO

NONA CONGREGAZIONE GENERALE (VENERDÌ, 5 OTTOBRE 2001 - POMERIDIANO)

Alle ore 17.00 di oggi venerdì 5 ottobre 2001, alla presenza del Santo Padre, con la preghiera dell’Adsumus, ha avuto inizio la Nona Congregazione Generale della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, per la continuazione degli interventi dei Padri Sinodali in Aula sul tema sinodale Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo Presidente Delegato di turno Em.mus D.nus Card. Bernard AGRE, Arcivescovo di Abidjan.

A questa Congregazione Generale che si è conclusa alle ore 18.55 con la preghiera dell’Angelus Domini erano presenti 247 Padri.

INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)

Quindi, sono intervenuti i seguenti Padri:

Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi:

S.E.R. Mons. Vincent Michael CONCESSAO, Arcivescovo di Delhi (India)

Qualche giorno fa eravamo tutti sgomenti quando alla televisione abbiamo visto la distruzione del World Trade Center e abbiamo sentito della morte di oltre seimila innocenti. In alcuni paesi del mondo oggi sono cose che avvengono quotidianamente, e spesso un segno di disperazione che nasce dall’impotenza.

Esiste un altro tipo di terrorismo, subdolo, nascosto e di cui si parla poco. Parlo del terrorismo di un sistema economico ingiusto che ogni giorno conduce alla morte migliaia di persone. Secondo uno studio sul debito internazionale pubblicato due anni fa, undici milioni di bambini sotto i cinque anni muoiono ogni giorno nel mondo soprattutto per mancanza di cibo e di cura contro malattie prevenibili.

Con l’attuale tendenza alla globalizzazione, la situazione dei poveri sta peggiorando. Piccole industrie devono chiudere privando migliaia di persone di un impiego e di un salario; le spese statali per venire

incontro alle esigenze fondamentali dei poveri vengono ridotte come parte del programma di aggiustamento strutturale; i poveri vengono sempre più emarginati e portati alla disperazione. Diventano facili vittime dei politici e dei fondamentalisti. Abbiamo un messaggio da dar loro, non solo a parole, ma con un concreto programma di azione?

La situazione statistica della povertà nel terzo millennio fa paura. Mentre circa un miliardo di persone nel mondo sono analfabete, oltre 110 milioni di bambini in età scolare non vanno a scuola, circa 1,3 miliardi di persone non dispongono di acqua potabile e circa metà della popolazione mondiale non ha accesso a un’adeguata assistenza sanitaria, il mondo spende 400 miliardi di dollari in droghe e 780 miliardi di dollari nella difesa e la sola Europa spende 50 miliardi di dollari in sigarette e 105 miliardi in alcolici.

C’è una frase che fa paura nel Concilio Vaticano II (GS) tratta dal Decreto di Graziano: dai da mangiare all’uomo che muore di fame, perché se non gli dai del cibo, lo uccidi. E sarà un omicidio per omissione.

C’è abbastanza nel mondo d’oggi per tutto ciò di cui la gente ha bisogno, ma non è sufficiente alla loro avidità (Mahatma Gandhi). Non dovremmo prendere chiaramente posizione con e per i poveri e contro il sistema per il quale non contano nulla? Farà parte del nostro impegno per una cultura della vita e una civiltà dell’amore. I nostri motivi di speranza dovranno riflettersi nella nostra celebrazione della Parola e dei Sacramenti ed anche nel nostro quotidiano interagire con la gente. Matteo era un esattore delle tasse, socialmente un emarginato. Gesù lo chiama: Vieni, seguimi. Matteo lo segue e viene trasformato. Un altro esempio è Zaccheo. Colpito dal gesto di Gesù, egli cambia. Il nostro ministero è quello di offrire a tutti la speranza.

[00143-01.03] [in118] [Testo originale: inglese]

Rev. P. Peter-Hans KOLVENBACH, S.I., Preposto Generale della Compagnia di Gesù

Desidero esporre alcune considerazioni sul dialogo interreligioso di cui tratta l'Instrumentum Laboris nel capitolo 5 ai numeri 135-136. Sotto la guida dei vescovi già impegnati in questo campo molti membri della vita consacrata si dedicano alla missione della Chiesa di intraprendere e proseguire il dialogo interreligioso, convinti di trovare l'unica vera religione nella fede insegnata loro dalla Chiesa cattolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato la missione di comunicare la buona novella a tutti i popoli, di qualsiasi religione. In questa missione, difficile e delicata, dove uno impara a procedere solo attraverso prove ed errori, la vita consacrata aspetta e apprezza la guida e il sostegno dei vescovi.

In questa sua missione di dialogo, sarà di grande aiuto per la vita consacrata che il vescovo promuova nella sua diocesi la consapevolezza del significato e della pratica di questo dialogo. Infatti, quasi quarant'anni dopo il Concilio, molti cattolici ancora non comprendono bene ciò che la Chiesa si propone nella missione e in una spiritualità di dialogo. Alcuni pensano che non si deve fare altro se non predicare sui tetti; mentre altri non si sentono preparati per una discussione teologica con uomini e donne di altre religioni.

Il dialogo non è compito soltanto di esperti e professionisti. Dialogo vuol dire condividere la propria vita a tutti i livelli con persone di altre religioni. Proprio a questo mira l'insegnamento della Chiesa quando delinea i ben noti .quattro. livelli di dialogo:

- condivisione della vita a livello di essere con altri in un cammino comune,

- condivisione a livello di lavoro con altri nel dialogo di azione e di solidarietà per il bene comune,

- condivisione con altri di idee e convinzioni, studiando e discutendo insieme questioni, anche teologiche,

- condivisione con altri dell'esperienza di Dio, in quanto possibile, nel dialogo sugli impegni religiosi e spirituali.

A ciascuno di questi livelli, come ha detto il Papa Giovanni Paolo II nella Redemptoris Missio (57), il dialogo è dovere e responsabilità di ogni cristiano e di ogni comunità cristiana. Come espressione del comandamento nuovo, questo dialogo chiede un approccio integrale e non può rimanere al livello di parole gentili, di un linguaggio ambiguo o di riunioni che, più che veri incontri, sono avvenimenti per i media.

L'Instrumentum Laboris insiste sulla responsabilità del vescovo di insegnare con le parole e con l'esempio che cosa significhi in realtà il dialogo. Attraverso lettere pastorali e dichiarazioni pubbliche che tengano sempre conto del dialogo interreligioso, il vescovo insegna ai fedeli della sua diocesi il significato e la pratica del dialogo, le sue motivazioni, le sue possibilità e le sue condizioni. Il vescovo insegna con la disponibilità a incontrare persone di altre religioni e a discutere con loro; con il desiderio di fare dichiarazioni comuni su questioni importanti; con il proposito di lavorare insieme per la pace e la riconciliazione, sempre pronto - secondo lo spirito del Signore - a fare il primo passo. Il vescovo insegna anche istituendo nella diocesi un'efficiente commissione per il dialogo, con atti significativi di augurio nelle festività delle altre religioni e ricevendo volentieri le loro visite in occasione di celebrazioni cristiane e, infine, assicurando una preparazione adeguata in modo che membri di diverse religioni possano vivere insieme in seminari, facoltà e case di formazione di vita consacrata. Il Santo Padre ha ormai aperto in questo modo tante porte che finora erano chiuse da secoli.

Modello del dialogo resta sempre il modo di agire del Signore. Il suo dialogo con la samaritana e la scoperta della fede da parte di un militare romano sono solo due esempi del Verbo di Dio che propone, non impone, la buona novella. La dimensione kenotica del Signore prende uno speciale significato per una spiritualità del dialogo. Senza perdere la propria identità, il Signore ha assunto per amore forma e somiglianza umane. Il Papa Giovanni Paolo II indica l'inno kenotico della lettera ai Filippesi come caratteristica essenziale della spiritualità missionaria (Redemptoris Missio 88) della quale il dialogo interreligioso è una dimensione.

Il vescovo è chiamato a insegnare questo amore, umile e spesso umiliante, che nutre il dialogo, ripetendo - particolarmente in circostanze di violenza e polarizzazione - la verità del vangelo, annunziando che il Signore ama tutti senza eccezione; che non si può mai ricorrere alla violenza nel nome di un Cristo che ama, e che è proprio il sincero amore per gli altri nello Spirito ciò che deve caratterizzare i cristiani nel prendere parte ad un dialogo che testimonia l'amore cristiano.

[00144-01.03] [in119] [Testo originale: italiano]

S.Em.R. Card. Friedrich WETTER, Arcivescovo di München und Freising (Germania)

La Chiesa non ha mai esposto il proprio insegnamento vincolante sull’ufficio e il servizio del Vescovo in modo tanto chiaro e completo come nel Concilio Vaticano Secondo. L’insegnamento sull’ufficio del Vescovo si colloca in una visione trinitaria. In concreto, si sviluppa nell’incorporazione dell’apostolo nel mandato di Cristo ricevuto dal Padre. La parola di Gesù: "Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi... Ricevete lo Spirito Santo" (Gv 20,21ss), è in certo qual modo l’annuncio della creazione dell’episcopato. Al Vescovo è stata conferita la pienezza del Sacramento dell’ordine. Secondo l’insuperabile interpretazione di Sant’Ignazio di Antiochia, i sacerdoti e i diaconi partecipano a quest’ufficio ed esercitano il proprio servizio in communio con il Vescovo.

Nell’ottica dell’ecclesiologia di comunione appare evidente che il collegio degli apostoli prosegue nel collegio episcopale. Perciò, come l’ufficio degli apostoli, dal momento della sua creazione attraverso Gesù Cristo, è stato inteso come collegiale in unione con Pietro e sotto la sua guida, così il collegio episcopale della Chiesa cattolica e apostolica va inteso in unione con il Successore dell’Apostolo Pietro e sotto la sua guida.

La dimensione cristologica e pneumatologica dell’ufficio episcopale deve essere oggi particolarmente sottolineata. Infatti attualmente esistono correnti che vogliono ridurre l’ufficio spirituale nella Chiesa a una funzione meramente organizzativa. Contro questo relativismo ecclesiologico occorre ancorarsi saldamente all’aspetto sacramentale dell’ufficio episcopale, che vale anche per il presbiteriato e il diaconato. Per corrispondere ancor più efficacamente a questo magistero di collegialità, vorrei riflettere su quanto segue:

1. Per l’ordinazione di un Vescovo nei primi secoli, era decisivo il voto dei vescovi della provincia ecclesiastica quale espressione della collegialità episcopale. Purtroppo, secondo l’odierna prassi, essi non vengono presi in considerazione. Senza dubbio il loro voto ha un peso ecclesiologico superiore di quello del capitolo del Duomo, che si effettua in alcuni paesi. Per questo motivo propongo: Prima che il Nunzio Apostolico invii la Terna a Roma, dovrebbe riunire allo scopo il Consiglio dei Vescovi della provincia ecclesiale e inoltrare le sue decisioni alla Sede Apostolica insieme al suo voto. La libera scelta del Santo Padre rimane in tal modo indisturbata.

2. Il metodo di lavoro del Sinodo dovrebbe essere più conciso. Propongo quindi che venga trattato un numero concreto di quesiti che sono importanti per tutta la Chiesa e che attendono di essere chiariti.

3. Per quanto riguarda la collegialità, anche nelle Chiese locali occorre che la consapevolezza dell’intima unità dell’ufficio apostolico venga approfondita teologicamente in modo analogo e che abbia effetto anche sulla spiritualità dei sacerdoti e dei diaconi. In tal modo è possibile evitare una pericolosa riduttività individuale della comprensione del mandato spirituale.

[00145-01.04] [in120] [Testo originale: tedesco]

S.E.R. Mons. Eusébio Oscar SCHEID, S.C.I., Arcivescovo di São Sebastião do Rio de Janeiro (Brasile)

Si definisce la missione evangelizzatrice del vescovo, servo del Vangelo per la speranza del mondo, come "Sacramento della Bontà di Dio". Sacramento qui inteso in senso analogico, come un segno concreto che trasforma persone e relazioni umane.

Non si pretende rimanere solo a livello di idee, ma scendere alla realtà della vita, attingendo in modo particolare i presbiteri e i giovani, tanto carenti di questa bontà.

Si parte da un'analisi ben generale, dalla Bontà nella Sacra Scrittura, specialmente nel Nuovo Testamento, quando la "bontà filantropica di Dio appare nel nostro Salvatore" (cf. Tt. 3, 4) e si manifestò nei momenti focali della storia della salvezza. I primi apostoli rimasero affascinati dai gesti di bontà di Gesù verso loro stessi, verso gli ammalati, i bambini, gli abbandonati in generale.

I nostri cari presbiteri, più che qualsiasi altro, sentono la necessità premente di scorgere in noi quella testimonianza di bontà che li coinvolge e li stimola ad affrontare le grandi sfide dell’attualità.

I giovani, a quanto pare, (la maggioranza di loro) non si sono ancora lasciati accattivare dai valori teandrici del Vangelo.

Il cammino più aperto punta alla bontà come accoglienza, comprensione, empatia. La bontà sarà per loro (come per tanti altri) un segno efficace per conquistarli alle più nobili cause della società odierna, come "sentinelle della notte" che annunciano l'aurora di un mondo nuovo.

[00146-01.03] [in121] [Testo originale: italiano]

- S.E.R. Mons. Aleksander KASZKIEWICZ, Vescovo di Grodno (Bielorussia)

La Bielorussia si trova sulla via della ricerca del proprio futuro. Sul piano politico vuole trovarlo nei legami con la Russia. Nei confronti con l’Occidente si cerca di accentuare le divergenze, fino al sottolineare la propria, presunta superiorità.

Sul piano culturale e spirituale, la realtà della Bielorussia è molto più complessa. La storia dimostra il ricco patrimonio arricchito dal cristianesimo. La ricchezza è il compendio del cattolicesimo e dell’ortodossia. Nel passato, la supremazia di una delle due tradizioni dipendeva dall’appartenenza politica dei territori. Inoltre, rimaneva in relazione con il proprio dinamismo. Nel periodo comunista i valori cristiani si sono salvati grazie ai testimoni del Vangelo conosciuti per nome, e quegli eroi ignoti, che nelle prove sono rimasti fedeli a Gesù.

La Chiesa cattolica opera con relativa libertà. Al primo piano, abbiamo posto la ricostruzione del proprio presbiterio. Quindi procediamo per l’organizzazione delle parrocchie per re-evangelizzare la società dei credenti.

L’altro campo dell’attività della Chiesa è portare il Vangelo alla maggioranza della società, che non ha perso la sensibilità spirituale, nonostante la propaganda ateistica.

Il problema che appesantisce la situazione è la pressante attività delle sette. I sucessi che raggiungono sono il risultato della tempestività d’agire e del modo in cui si presentano.

Il cattolicesimo e l’ortodossia operano sullo stesso campo. Questo è il fatto ecumenico.

Il vescovo, con il suo presbiterio, è mandato per una parte della Chiesa e della famiglia umana. Il suo compito è conoscerla ed allargarle gli orizzonti tramite l’annunzio della Parola, con la Persona di Gesù Cristo, Dio-Uomo, l’Unico Salvatore del mondo - messa al centro.

Da qui sorge il compito del vescovo: di essere il custode, l’interprete e l’annunziatore del Vangelo e della Tradizione. Lui, insieme con la sua Chiesa trapassa la soglia della speranza, perché condivide la sua sorte di vita, con la consapevolezza di possedere la parola di salvezza.

[00085-01.05] [in064] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Justo MULLOR GARCÍA, Arcivescovo titolare di Bolsena, Nunzio Apostolico, Presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica (Città del Vaticano)

L'oratore ha esordito citando tre delle frasi del discorso tenuto dal Santo Padre alla Pontificia Accademia Ecclesiastica in occasione del suo tricentenario: "Siete qui innanzitutto per provvedere alla vostra santificazione: lo esige il vostro futuro servizio alla Chiesa e al Papa; quanto qui imparate è orientato a far presente la Parola di Dio fino ai confini della terra; voi non sarete promotori - né potreste mai esserlo - di alcuna ‘ragion di stato’...". Ha commentato in proposito: "I Suoi Legati attuali e futuri Le sono grati, Santità, di queste linee di pensiero e di azione..."

Rivolgendosi poi ai Padri Sinodali, ha mostrato la sintonia profonda di tali affermazioni pontificie col tema del Sinodo. La speranza del mondo, ha commentato, anche quando si tratta di mondo in parte secolarizzato, sta nella nostra santità personale. E ciò indipendentemente dal posto occupato a capo o al servizio di una diocesi, di un Dicastero della Curia Romana o di una Rappresentanza Pontificia.

Compito dei pastori non è solo quello di parlare da maestri. Quali discepoli di Cristo, dai vescovi devono emergere gesti che parlino. L’autenticità è il prezzo da pagare affinché gli uomini che la guardano oggi dall’esterno, vedano nella Chiesa e nella sua Gerarchia il volto di Cristo.

Le citate parole rivolte da Giovanni Paolo II ai futuri diplomatici della Santa Sede delineano tre atteggiamenti ecclesiali di fondo - l’uno personale, l’altro pastorale e il terzo socio-politico - validi per tutti i cristiani, a cominciare dai vescovi.

Quale incaricato della formazione dei futuri diplomatici pontifici, l’oratore ha tratteggiato i criteri e le norme che regolano attualmente la loro formazione. Ha invitato infine i vescovi non solo a rispondere affermativamente agli eventuali inviti a inviare loro sacerdoti alla Pontificia Accademia Ecclesiastica o alla Curia Romana, ma anche a prendere l’iniziativa, per esempio in occasione delle visitae ad limina, di proporne alcuni ritenuti particolarmente idonei a prestare il servizio di collaboratori del ministero petrino.

[00073-01.04] [in052] [Testo originale: italiano]

S.Em.R. Card. François Xavier NGUYÊN VAN THUÂN, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (Città del Vaticano)

Soprattutto oggi, in un contesto foriero di gravissimi pericoli, la Chiesa cattolica, deve essere quel sacramento che Dio ha voluto per operare per l'unità e la fraternità del genere umano, nella giustizia e nella pace. Prima della diversità, di qualsiasi diversità, c'è, infatti, una vocazione originaria dell'umanità all'unità, ad essere e a concepirsi come famiglia unita nella solidarietà e nella pace. Il , prezioso bene dell'unità del genere umano è il compito arduo e il bene arduo che impegna la Chiesa.

Il nuovo scenario mondiale chiede a noi, Vescovi, un accresciuto discernimento spirituale e pastorale su come e che cosa la Chiesa cattolica può fare in termini di annuncio e di presenza. Mi pare quanto mai urgente che tutti si convenga sui preziosi orientamenti spirituali e pastorali della Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, uno dei frutti più stimolanti dell'esperienza del Grande Giubileo. Mi riferisco soprattutto alla preziosa indicazione della crescita in santità di vita che comporta anche la crescita nell'impegno e nella testimonianza delle opere della carità e della solidarietà. Soprattutto in questi frangenti in, cui è forte la tendenza ad imboccare strade senza uscita, la Chiesa deve mettere sempre di più in risalto come, senza un ritorno al Vangelo, non si possano risolvere i drammatici problemi connessi alla difesa e alla promozione dei diritti umani, alla risoluzione dei numerosissimi e sanguinosi conflitti, all'urgente esigenza di dare risposte concrete, alla povertà di miliardi di esseri umani.

L'evangelizzazione del sociale, che ha nella dottrina sociale della Chiesa il suo strumento fondamentale, ha bisogno di una più puntuale considerazione che tenga in debito conto l'evolversi delle questioni culturali, economiche e politiche, a livello nazionale e internazionale, sulle quali la Chiesa cattolica deve sempre di più riflettere per aggiornare efficacemente il suo messaggio di giustizia e di pace. In questa prospettiva risulta quanto mai opportuno intensificare il riferimento e la connessione del magistero sociale dei Vescovi con quello universale del Santo Padre, in modo che ne risulti un insegnamento coerente, unitario nei suoi fondamenti e nei suoi principi ispiratori. In un momento contrassegnato da tanti smarrimenti spirituali e culturali, la diffusione della dottrina sociale della Chiesa, con il suo illuminante insegnamento sulla dignità della persona umana, sul valore della comunità, sul dovere di perseguire la giustizia e la pace, si impone come una tra le più significative opportunità per dare un contributo sostanziale al rinnovamento della cultura economica e politica attuali e anche come una delle più solide basi per alimentare il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale e far crescere la fiducia e la speranza, nelle quali ogni uomo esprime la propria umanità. Il futuro della comunità umana, di tutte le comunità, specialmente ora, dipende dalla crescita in umanità delle persone che le compongono.

[00095-01.04] [in072] [Testo originale: italiano]

S.Em.R. Card. Frédéric ETSOU-NZABI-BAMUNGWABI, C.I.C.M., Arcivescovo di Kinshasa, Presidente della Conferenza Episcopale (Repubblica Democratica del Congo)

La Conferenza Episcopale Nazionale della Repubblica democratica del Congo ha esaminato con grande interesse l’Instrumentum laboris. Vorremmo quindi riassumere in due punti il pensiero dei vescovi del Congo per questo nuovo millennio di grazia e di speranza.

Il Vescovo africano di oggi.

Vivendo tra la sua gente, il vescovo africano ne condivide le gioie e le sofferenze, le speranze e le angosce. Riveste un ruolo importante nella costruzione della civiltà dell'amore e del Regno di Dio in Africa. Sia che si tratti di problemi legati alla famiglia, all'habitat, alla salute, all'insegnamento, ai salari, ai mezzi di comunicazione sociale o alla politica, il vescovo africano ha una sola parola da dire e una sola azione da intraprendere. Egli è la voce di chi non ha voce per far regnare la verità, la giustizia, il rispetto per la persona e per i suoi diritti inalienabili come il Buon Pastore che dà la vita per il suo gregge.

Dal punto di vista dell’incarnazione del messaggio di Cristo nelle realtà africane, fatta salva l’unità della fede in Gesù Cristo, i vescovi africani devono elaborare un linguaggio catechetico e teologico appropriato che corrisponda meglio alla mentalità dei loro popoli (cfr. Ad Gentes n. 22). Chiamato ad essere il promotore dell’inculturazione della fede, il vescovo deve incoraggiare i teologi che, nelle loro riflessioni e nelle loro ricerche, elaborano un’autentica teologia africana.

Per il resto, ci si augurerebbe che i differenti uffici dei dicasteri romani manifestassero maggiore attenzione nella ripartizione dei sussidi, visto che per mettere in piedi delle infrastrutture di base per un’evangelizzazione profonda della persona africana, spesso mancano i mezzi materiali.

Promuovere la collegialità episcopale.

Ci auguriamo vivamente che la Santa Sede confidi nelle Conferenze Episcopali nazionali e regionali, essendo queste il luogo privilegiato dell’esercizio della collegialità e dello spirito di comunione con la Chiesa universale e tra le Chiese particolari. E questo soprattutto nella soluzione dei problemi pastorali, di organizzazione o di gestione delle diocesi e dei seminari; nella scelta, nella nomina e nel trasferimento dei vescovi. Giacché, vivendo nelle loro comunità e condividendo regolarmente le loro preoccupazioni pastorali, i pareri dei vescovi di una conferenza nazionale o regionale dovrebbero essere accolti con molta più attenzione nelle nunziature e nei dicasteri romani. Ascoltare i vescovi e farvi affidamento è una necessità della collegialità.

Speriamo che le relazioni tra i nunzi apostolici e i dicasteri romani e i vescovi diocesani, siano caratterizzate da una collaborazione più fraterna e da una reale sollecitudine pastorale nel rispetto delle competenze. Che il nunzio sia fra i vescovi diocesani come un confratello che condivide con loro nella fede le loro preoccupazioni pastorali, cercando insieme le nuove vie della missione nella Chiesa-famiglia di Dio.

Sarebbe inoltre auspicabile che le diverse Conferenze Episcopali nazionali e regionali potessero elaborare e presentare alla Segreteria di Stato il "profilo del nunzio apostolico" da accreditare in questo nuovo millennio a questa o quell’area geografico-culturale. Questa è una necessità di comunione e di collegialità fra le Chiese particolari e i differenti dicasteri della Santa Sede.

[00109-01.04] [in086] [Testo originale: francese]

S.E.R. Mons. Orlando B. QUEVEDO, O.M.I., Arcivescovo di Cotabato, Presidente della Conferenza Episcopale (Filippine)

Mi riferisco alla spiritualità e alla carità pastorale del Vescovo, Instrumentum laboris, nn. 44-46, 117-119. Nella Messa di apertura del Sinodo, il Santo Padre ci ha ricordato che la povertà è un tratto essenziale di Gesù e "rappresenta uno dei requisiti indispensabili" perché il Vangelo venga ascoltato e accolto. L’affermazione del Santo Padre suggerisce come noi Vescovi dovremmo rispondere alla realtà globale dell’enorme povertà, allo scandaloso divario tra ricchi e poveri, e ai nuovi molteplici volti della povertà nel mondo che combatte con il problema della sopravvivenza e la disperazione di vita. In Gesù, Dio ha fatto visita ai poveri e Lui stesso si è fatto povero, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (2Cor 8, 9). Gesù ha proclamato loro la Buona Novella (cfr. Lc 4, 18; Is 61, 1). Li ha chiamati ad essere suoi discepoli. Erano suoi amici. Lui viveva con loro. Li chiamava "beati" perché ad essi apparteneva il Regno di Dio (Lc 6, 20). Nell’ultimo tra i suoi fratelli e sorelle, egli impresse la sua speciale divina presenza (cfr. Mt 25, 40-45). Gesù era la Spes Pauperum. A immagine del Gesù povero oggi, anche noi Vescovi dobbiamo essere con i poveri per presentare Gesù come loro speranza. Dobbiamo diventare la loro voce morale, difendendo i loro diritti e denunciando le ingiustizie sociali. Dobbiamo condividere le loro angosce, meditare, pregare e agire con loro. Non dobbiamo permettere distinzioni di classe nei Sacramenti. Soprattutto dobbiamo essere poveri. Ciò esige una profonda conversione del cuore in modo da avere l’atteggiamento mentale e i valori di Cristo povero, la sua semplicità e austerità, la sua libertà totale dalla ricchezza, il suo amore preferenziale per i poveri, la sua mancanza di ambizione verso gli onori, la sua completa fiducia in Dio suo Padre. Questi sono gli elementi fondamentali di una Spiritualità di Povertà. Come Vescovo io non posso essere che povero se seguo il modello dell’Incarnazione. Con la Grazia di Dio, grazie all’immersione nella vita dei poveri, io assumo la condizione del povero. Divento povero in spirito e di fatto. La mia povertà evangelica sarà un segno eloquente per i poveri dell’amore di Dio e della sua preferenza per loro. Anche allora, alla fine di ogni giornata, lo Spirito di Dio mi muoverà il cuore con la domanda: "Sono veramente un Pastore e un Servitore dei Poveri? Sono loro i miei amici con cui passo il tempo migliore? Con la mia vita e il mio ministero sono veramente il segno di Cristo che è la Spes Pauperum?"

[00147-01.04] [in122] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Óscar Mario BROWN JIMÉNEZ, Vescovo di Santiago de Veraguas (Panama)

La mia esposizione si basa sui nn. 139-143 dell’IL. Nel testo citato veniamo invitati a contemplare la figura del Vescovo come il ministro del Vangelo che, per fedeltà a quest’ultimo, deve illuminare i nuovi problemi sociali e le nuove povertà che gravano sulla nostra epoca.

La Chiesa non ha la pretesa di risolvere le difficili questioni economiche e sociali contemporanee, ma non può rinunciare ad annunciare il Vangelo, da cui derivano i principi fondamentali per costruire un sistema sociale ed economico equo.

Tra questi problemi occorre citare il crescente divario tra ricchi e poveri; le guerre per ragioni etniche, religiose o socio-politiche; il terrorismo e la violenza istituzionalizzata. A questo andranno aggiunti: la manipolazione genetica, gli aborti, il traffico di armi e il narcotraffico.

Nel mezzo di questa problematica, noi cristiani dobbiamo dar ragione della nostra speranza di costruire un mondo di pace, in cui Dio regna come Padre e Sovrano, gli uomini si riconoscono come fratelli e vengono rispettati i diritti umani, che sono universali e indivisibili.

[00149-01.03] [in123] [Testo originale: spagnolo]

S.Em.R. Card. Ivan DIAS, Arcivescovo di Bombay (India)

"Per voi io sono vescovo, con voi sono cristiano". Con questa frase Sant’Agostino indica il modo in cui il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune di tutti i fedeli battezzati dovrebbero interagire in un vescovo. In virtù della sua chiamata, il vescovo è un successore degli Apostoli, entra a far parte del Collegio dei vescovi e gli viene affidato il compito di insegnare, santificare e guidare il santo popolo di Dio. Oggi sembra che i vescovi vengano in un certo senso identificati con la dimensione istituzionale della Chiesa, mentre l’episcopato è anche un carisma. Anzi, San Paolo colloca gli "apostoli" in cima all’elenco dei carismi (cfr. 1Cor 12, 28; Ef 4, 11). Nel vescovo, quindi, istituzione e carisma dovrebbero fondersi armoniosamente e aiutarlo a coordinare i carismi di quanti sono affidati alla sua cura pastorale, perché essi sono un dono speciale dello Spirito Santo offerto liberamente agli appartenenti al suo gregge (siano essi sacerdoti, religiosi o laici) e non devono essere ignorati o disprezzati, ma piuttosto usati con ordine e dignità per la costruzione del Regno di Dio sulla terra.

È importante sottolineare il valore del carisma dei laici nell’enorme sfida che la Chiesa sta affrontando nell’ambito della nuova evangelizzazione del mondo. Il Terzo Millennio cristiano ha annunciato l’ora del laicato. Anche se fin dagli albori del cristianesimo vi sono stati molti santi ed evangelizzatori fra i laici, fra re e regine, fra le persone sposate, fra i vedovi e le vedove, fra i giovani e gli anziani, fra i soldati, i medici, gli studiosi e gli statisti, oggi è sorta "la pienezza del tempo" per il laicato. Lo Spirito Santo ha fatto maturare più in fretta l’apostolato dei laici, ispirando molte testimonianze laiche e facendo sorgere molte associazioni laiche, movimenti ecclesiali e comunità che servano come indispensabile aiuto al lavoro dei vescovi, sacerdoti e religiosi, in un rinnovato impeto pentecostale per annunciare la Buona Novella di Gesù Cristo. Siamo entrati in un’era in cui, ancora una volta, istituzione e carisma devono fondersi in armonia; vescovi, sacerdoti, religiosi, laici devono lavorare fianco a fianco, secondo lo specifico carisma di ciascuno, per diffondere il Regno di Dio. Nella sua Lettera Apostolica Novo millennio ineunte (n. 45), Papa Giovanni Paolo II parla di spiritualità della comunione. I vescovi devono quindi considerare i laici come compagni nella missione di evangelizzazione nella difesa della vita nascente, degli anziani e dei malati terminali, e come utili agenti del dialogo ecumenico e interreligioso. Anche tramite i laici, come per il clero e i religiosi, un vescovo può imparare ciò che lo Spirito dice alla sua Chiesa. I vescovi devono curare particolarmente la formazione permanente dei laici, cosicché essi possano veramente essere il sale della terra e la luce del mondo, sempre pronti a "rispondere a chiunque vi chieda conto della speranza che è in voi" (1Pt 3, 15). I laici, uomini e donne, devono essere formati a sostenere la fede senza essere esitanti, difensori della fede senza avere un atteggiamento difensivo; persone che ben conoscono i capisaldi della dottrina cristiana e l’ethos della loro identità cattolica.

Oltre alle tre icone presentate nell’Instrumentum laboris per illustrare l’immagine del vescovo come servitore-guida, ossia quelle del Buon Pastore, del pescatore di uomini e di Gesù che lava i piedi ai Suoi apostoli, vi è un’altra icona che la esprime in modo significativo, quella di Gesù che va verso a Gerusalemme a dorso d’asino. Al pari di quell’asino, che simboleggia l’umiltà, la docilità e il servizio, il vescovo deve porre Gesù al di sopra di tutto nella sua vita poiché Egli (Gesù) guida il suo popolo festante verso la Gerusalemme celeste.

[00150-01.04] [in124] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Ignacio GOGORZA IZAGUIRRE, S.C.I.de Béth, Vescovo di Ciudad del Este (Paraguay)

Importanza della testimonianza di vita

I vescovi si sentono identificati con il contenuto generale dell’Instrumentum laboris. Presentano alcune loro caratteristiche:

1° Santità del vescovo

L’esempio del Buon Pastore ci invita a cercare di vivere nella carità come segno di comunione. Questa comunione è alimentata dalla frequente partecipazione a diversi incontri ed eventi. Subiamo tuttavia delle limitazioni. La Parola di Dio ci fortifica e ci illumina nel nostro ministero di profeti e di annunciatori del messaggio di salvezza.

Il popolo, in generale, aspetta e chiede questi messaggi.

Vi è una vicinanza anche con i religiosi. Ogni due anni realizziamo un incontro assieme ai vescovi e ai superiori maggiori.

2° Promotori della giustizia e della pace

Contemplando nelle nostre comunità diocesane dei volti addolorati, sofferenti a causa delle ingiustizie e del disinteresse per il bene comune da parte dei vari settori della società, cerchiamo di essere promotori e difensori della giustizia a favore dei bisognosi.

Cerchiamo anche di essere costruttori di pace, facendo da ponte di comunicazione fra i vari settori della società.

3° Ministri della speranza

Ci avviciniamo a tutti con semplicità per condividere le loro gioie e i loro dolori assieme alla loro storia. Molte volte siamo la loro ultima speranza davanti ai tanti abusi e ai tanti inganni che subiscono costantemente.

4° Alcuni problemi particolari

Siamo interrogati dai nostri limiti, dalla mancata comprensione della missione.

In molti cristiani esiste una dicotomia tra fede e vita.

Desiderano un maggior protagonismo dell’episcopato in questi momenti di crisi politica. Alcune organizzazioni contadine criticano la Chiesa perché non sempre le accompagna nelle loro lotte.

Si osserva anche una scarsità di rapporti concreti con le religiose e i religiosi.

5° Proposte

Necessità della formazione permanente dei vescovi.

Aprire biblioteche diocesane per i vescovi e i sacerdoti.

[00151-01.04] [IN125] [Testo originale: spagnolo]

S.Em.R. Card. Jānis PUJATS, Arcivescovo di Riga, Presidente della Conferenza Episcopale (Lettonia)

L’Instrumentum laboris di questo Sinodo è un Vademecum ben elaborato per i vescovi. Ma nella situazione concreta, che cos’è più essenziale e necessario per la salvezza delle anime? Nelle Sacre Scritture leggiamo che Nabucodonosor ebbe una visione, e cioè una statua il cui capo era d’oro, il petto d’argento, il ventre di ferro e i piedi di fango. E poiché i piedi non erano forti, tutta la statua andò in totale rovina. Come testimonia la storia, non andò in rovina soltanto la statua del re Nabucodonosor, ma anche l’una o l’altra provincia della Chiesa. Il pericolo è presente quando il popolo vive nel peccato.

Qualcuno ha detto molto bene: "La Chiesa cammina con i piedi dei suoi parroci". I responsabili della salvezza del popolo sono i pastori. Pertanto, il lavoro pastorale dev’essere organizzato correttamente. E’ uno sconvolgimento dell’ordine se i sacerdoti mancano di ascoltare le confessioni dei fedeli e se il popolo accede alla Comunione senza il sacramento della Penitenza. Ecco l’odierna statua del re di Babilonia!

Che prezioso dono ha dato Cristo alla Sua Chiesa: "Accogliete lo Spirito Santo: perché a chi rimetterete i peccati saranno rimessi...". Questo dono (o talento) non è nostra proprietà personale, ma ci è dato per rimettere i peccati dei fedeli. Pertanto i fedeli vi hanno diritto. Infatti esso è loro necessario per la salvezza. Sappiamo dal Vangelo che colui che nascose il talento del suo padrone fu giudicato come servo indegno.

Il Signore ha dato sette Sacramenti come preziosi talenti per la salvezza del popolo. Il popolo conosce la fede della Chiesa soprattutto da quello che vede e ode nella vita liturgica: in che modo i sacerdoti nel tempio servono Dio attraverso il popolo. Lo servono con pietà, fede e amore. In particolare in che modo i sacerdoti si comportano nei confronti della Santissima Eucaristia.

Nei seminari va pertanto restituita al pristino splendore la disciplina della Liturgia Sacra.

[00152-01.04] [in126] [Testo originale: latino]

AVVISI

LAVORI SINODALI

La Decima Congregazione Generale avrà luogo domani mattina 6 ottobre 2001, per l’Auditio Auditorum I, la prima Auditio per gli interventi degli Auditori in Aula sul tema sinodale.

BRIEFING PER I GRUPPI LINGUISTICI

Il quinto briefing per i gruppi linguistici avrà luogo domani sabato 6 ottobre 2001 alle ore 13.10 (nei luoghi di briefing e con gli Addetti Stampa indicati nel Bollettino N. 2).

Si ricorda che i Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) sono pregati di rivolgersi al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali per il permesso di accesso (molto ristretto).

POOL PER L’AULA DEL SINODO

Il sesto "pool" per l’Aula del Sinodo sarà formato per la preghiera di apertura della Undicesima Congregazione Generale di lunedì mattina 8 ottobre 2001.

Nell’Ufficio Informazioni e Accreditamenti della Sala Stampa della Santa Sede (all’ingresso, a destra) sono a disposizione dei redattori le liste d’iscrizione al pool.

Si ricorda che i Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) e fotoreporters sono pregati di rivolgersi al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali per la partecipazione al pool per l’Aula del Sinodo.

Si ricorda che i partecipanti al pool sono pregati di trovarsi alle ore 08.30 nel Settore Stampa, allestito all’esterno di fronte all’ingresso dell’Aula Paolo VI, da dove saranno chiamati per accedere all’Aula del Sinodo, sempre accompagnati da un ufficiale della Sala Stampa della Santa Sede, rispettivamente dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

BOLLETTINO

Il prossimo Bollettino N. 13, riguardante i lavori della Decima Congregazione Generale della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi di domani mattina sabato 6 ottobre 2001, sarà a disposizione dei Signori giornalisti accreditati a conclusione della Congregazione.

 

 
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- Indice Bollettino Synodus Episcoporum - X Assemblea Generale Ordinaria - 2001
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- Indice Sala Stampa della Santa Sede
 
[Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]

 

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