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SYNODUS EPISCOPORUM
BOLLETTINO

della Commissione per l'informazione della
X ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
DEL SINODO DEI VESCOVI
30 settembre-27 ottobre 2001

"Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo"


Il Bollettino del Sinodo dei Vescovi è soltanto uno strumento di lavoro ad uso giornalistico e le traduzioni non hanno carattere ufficiale.


Edizione italiana

14 - 08.10.2001

SOMMARIO

UNDICESIMA CONGREGAZIONE GENERALE (LUNEDÌ, 8 OTTOBRE 2001 - ANTEMERIDIANO)

Alle ore 09.00 di oggi lunedì 8 ottobre 2001, alla presenza del Santo Padre, con il canto dell’Hora Tertia, ha avuto inizio la Undicesima Congregazione Generale, per la continuazione degli interventi dei Padri Sinodali in Aula sul tema sinodale Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo. Presidente Delegato di turno S.Em.R. Card. Giovanni Battista RE, Prefetto della Congregazione per i Vescovi.

In apertura della Undicesima Congregazione Generale, il Presidente Delegato di turno ha pronunciato le seguenti parole:

Iniziamo oggi la seconda settimana dei nostri lavori.

Le notizie giunte ieri sera circa le operazioni in Afganistan suscitano la nostra preghiera per la pace e la giustizia. Di cuore ripetiamo: Da pacem Domine.

Dio illumini coloro che hanno responsabilità.

[00222-01.04] [nnnnn] [Testo originale: latino]

Dopo l’intervallo, il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, S.Em.R. Card. Jan Pieter SCHOTTE, C.I.C.M., Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi ha dato la seguente comunicazione:

Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Anthony Theodore Lobo, Vescovo di Islamabad-Rawalpindi (Pakistan), a causa della situazione venutasi recentemente a creare nella sua diocesi, per motivi di necessità ha dovuto lasciare la nostra Assemblea, per essere vicino ai suoi fedeli.

Porta con sé la benedizione del Santo Padre per la Chiesa particolare del Pakistan e per tutta quella regione.

Lo accompagnino anche la nostra preghiera e la nostra sollecitudine fraterna in carità pastorale e affetto collegiale.

[00221-01.02] [nnnnn] [Testo originale: latino]

A questa Congregazione Generale che si è conclusa alle ore 12.25 con la preghiera dell’Angelus Domini erano presenti 231 Padri.

INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)

Sono intervenuti i seguenti Padri:

Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi:

S.Em.R. Card. Crescenzio SEPE, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Curia Romana)

Ringrazio la Segreteria Generale per l'"Instrumentum Laboris" una sintesi chiara della dottrina e del ministero dei Vescovi nel contesto di avvenimenti storici, di situazioni sociali e di nuovi orientamenti dei tempi in cui viviamo. Vorrei però far presente che nel Capitolo V del citato Documento, la "missionarietà" del Vescovo va ulteriormente approfondita. La "missione" del Vescovo, specie oggi, non è uno dei tanti doveri, ma è un'esigenza prioritaria in quanto fondante la sua azione pastorale.

Sono tanti i documenti che parlano del dovere "missionario" del Vescovo diocesano e del suo diritto-dovere di operare "in solido" con il Romano Pontefice per l'Evangelizzazione del mondo, nello spirito di S. Paolo che si consumava per la "sollicitudo omnium ecclesiarum ". In quanto membri del Collegio episcopale, i Vescovi cum Pontifice e sub Pontifice hanno "il mandato e la potestà di ammaestrare tutte le Genti, di santificare gli uomini nella verità e di pascerli" (C.D. 3). E il Decreto "Ad Gentes " è ancora più esplicito: "Tutti i Vescovi, in quanto membri del Corpo episcopale. . . . sono stati consacrati non soltanto per una Diocesi, ma per la salvezza di tutti gli uomini " (n. 38).

Coscienti della natura missionaria del proprio ministero pastorale, i Vescovi devono fare. in modo che lo spirito missionario vivifichi tutta l'attività ecclesiale delle loro Diocesi in modo da renderle effettivamente missionarie, specialmente con 1'invio in missione di alcuni dei loro sacerdoti, "fidei donum" debitamente preparati sia spiritualmente che intellettualmente. Il Motu Proprio "Ecclesiae Sanctae ", inoltre, riafferma la collaborazione inter-ecclesiale anche sul piano economico (III, art. 8), da considerare non come un'elemosina, ma come un dovere da compiere verso le Diocesi più bisognose.

Per un rinnovamento della vita missionaria nelle Diocesi abbiamo il cammino ben tracciato dalle Encicliche "Evangelii Nuntiandi" Paolo VI, e dalla "Redemptoris Missio" di Giovanni Paolo II. La Chiesa è "per sua natura missionaria" (AG 2) e noi come Vescovi, in quanto successori degli Apostoli, dobbiamo impegnarci fino in fondo nell'"opus maximum" che è la salvezza delle anime attraverso l'Annuncio evangelico in tutto il mondo. . Dobbiamo quindi "spingerci al largo", perché come dice il Santo Padre: "La Missione di Cristo Redentore, affidata alla sua Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento... Tale missione è ancora agli inizi" (R.M., 1). Dopo duemila anni di Cristianesimo i cattolici, rispetto alla popolazione mondiale, sono solo un sesto. A questo riguardo, però, è pur sempre critica e ancor più dolorosa la realtà rilevata dal Papa che "la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento" (R.M., 2 ). Se il comando di Cristo "Andate e... battezzate..." (Mt 28, 19) ha ancora un senso, anche le nostre decisioni dovrebbero essere consequenziali. I Pastori devono, pertanto, guidare con il coraggio della sapienza, con la "parresia" della parola e con la forza dell' esempio il gregge loro affidato per le vie nuove del mondo nuovo in sicurezza di fede e in unione di carità.

[00136-01.03] [in111] [Testo originale: italiano]

S.Em.R. Card. Godfried DANNEELS, Arcivescovo di Mechelen-Brussel, Presidente della Conferenza Episcopale (Belgio)

Il vescovo si trova al centro di una rete di rapporti in cui deve collocarsi. Ne va della sua felicità. Egli deve innanzitutto collocarsi nel suo rapporto con Dio. Deve condurre giorno e notte una lotta contro il tempo e le esigenze della sua agenda per salvaguardare, nella sua vita, quella essenziale finestra aperta verso Dio nella preghiera.

Egli è inoltre collegato alla Chiesa universale e alla persona di Pietro. In un’epoca in cui tante certezze morali e religiose sono scosse, abbiamo tanto bisogno di un papa forte, quanto di un collegio episcopale forte. Non abbiamo nulla da guadagnare promuovendo l’uno a scapito dell’altro.

Il vescovo fa parte del collegio episcopale, un collegio cum Petro et sub Petro. Ciò comporta la grazia e il dovere della collegialità. Lo strumento più importante di questa collegialità è il Sinodo dei vescovi. Certo, il suo funzionamento è da migliorare: tutto è perfettibile. L’iter concreto di questa riforma va senz’altro affidato al Consiglio di segreteria eletto a fine sinodo, oppure a un gruppo ad hoc. Ma ogni eventuale riforma deve lasciare a tutti i vescovi la possibilità di parlare liberamente e al riparo da pressioni esterne, di sviluppare tutti gli argomenti che hanno a cuore per il bene della Chiesa. Anche se i sinodi ordinari rimangono strumenti preziosi della collegialità affettiva, la collegialità effettiva si troverebbe senz’altro avvantaggiata da una convocazione più frequente, con un numero di partecipanti più ristretto, di sinodi più mirati e dedicati a uno o più temi specifici. Peraltro, questo tipo di sinodo speciale è previsto.

Per quanto riguarda il rapporto fra Roma e le conferenze episcopali, è indubbiamente opportuno che vi si pratichi la sussidiarietà. Ma sarebbe importante condurre uno studio serio sulla natura di questa sussidiarietà e delle sue applicazioni concrete, per uscire dall’astrazione, che, alla periferia, non può che alimentare sentimenti di frustrazione e di critica.

Il vescovo ha il compito di annunziare la verità. Ha anche quello di farla accettare e di comunicarla. Sarebbe bene che, già in partenza, nella stesura stessa dei testi del Magistero, vi si praticasse, oltre all’ars definiendi, anche l’ars persuadendi et communicandi. In questo senso, e tenendo conto delle quasi inevitabili distorsioni praticate, volontariamente o meno, dai grandi mezzi di comunicazione, i dicasteri romani potrebbero comunicare i loro testi in anticipo, soprattutto alle conferenze episcopali, che vivono su terreni vulcanici dove le eruzioni mediatiche sono frequenti, e dove di tanto in tanto le allergie antiautoritarie assumono un andamento epidemico.

Infine, il vescovo si trova a vivere con molti paradossi. Deve essere al tempo stesso: predicatore, santificatore, pastore. E ancor più - se non altro per essere d’esempio - tanto fermo quanto misericordioso. Solo Cristo è capace di portare tutti questi titoli e di metterli in pratica. Solo perché ha la grazia di parlare e di agire in persona Christi, il vescovo può vivere nella speranza questo "grande divario" che gli è imposto dalla necessità di far fronte a quella coincidentia oppositorum che caratterizza tutto il suo ministero.

[00160-01.04] [in134] [Testo originale: francese]

S.E.R. Mons. Julián HERRANZ, del clero della Prelatura personale dell’Opus Dei, Arcivescovo titolare di Vertara, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi (Curia Romana)

Il più chiaro "Identikit" spirituale del Vescovo, successore degli Apostoli, fu disegnato dallo stesso Gesù, con due tratti vigorosi, una mattina su un monte della Galilea. Cristo - narra San Marco nel brano sulla scelta dei Dodici: 3, 14 - "chiamò a sé quelli che Egli volle", "perché stessero con Lui (primo tratto) e per "inviarli a predicare" (secondo tratto). Cioè, Gesù chiamò gli Apostoli innanzitutto perché rimanessero con Lui e, così, cresciuti e formati nella divina amicizia, potessero essere inviati a predicare il suo Vangelo. Ciò significa che, nel Terzo Millennio come nel primo, in qualsiasi tipo di cultura o di ambiente sociale, l'efficacia del nostro servizio al Vangelo dipenderà primariamente, non dai programmi e dai progetti pastorali, non dalle risorse umane a nostra disposizione, non dalla riforma degli organismi o delle strutture di governo, ma innanzitutto dal vigore della nostra vita contemplativa, dal grado di intimità della nostra amicizia personale con Gesù. Questa giusta risposta alla nostra vocazione ci aiuterà anche all'esercizio della giustizia nel ministero pastorale.

Si sentono nel Sinodo molti e opportuni richiami alla sensibilità dei Vescovi nei riguardi della giustizia sociale, la giustizia cioè nella vita civile. Io mi riferirò invece ad un aspetto della giustizia nella società ecclesiale, concretamente, al dovere dei Vescovi di garantire e di promuovere i diritti dei fedeli laici nella vita e nella missione della Chiesa. Questi diritti sono stati espressi in modo organico per la prima volta nella legge della Chiesa in oltre 100 canoni del "Codice di Diritto Canonico" del 1983 e nel "Codice dei Canoni delle Chiese Orientali" del 1990: preparati in 20 anni di lavoro, svolto sì nella Curia Romana, ma con la continua ed utilissima collaborazione collegiale dell'intero Episcopato cattolico.

Tutte queste norme promulgate in applicazione del Concilio Vaticano II tendono a favorire che diventino realtà crescenti nella loro vita quotidiana - famiglia, lavoro professionale, attività nel mondo della cultura, della politica, dei mass-media, ecc. - le esigenze ascetiche e apostoliche insite nella chiamata universale alla santità derivata dal Battesimo. Così i laici parteciperanno, nel modo secolare loro proprio, alla missione che Cristo ha affidato alla Chiesa. La "giustizia pastorale" esige da noi la sollecita tutela di questi diritti. Sono molti, ma - per brevità - accennerò soltanto a tre:

"I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai Sacramenti" (can. 213). Molti fedeli, però, esprimono lamentele al riguardo: non riescono mai o quasi mai a trovare confessori, pur non mancando i sacerdoti in parrocchia; rilevano che la celebrazione eucaristica domenicale - centro della comunità dei fedeli - non è dovutamente curata, oppure è sostituita senza vera necessità da una semplice liturgia della Parola; che - contrariamente alle norme canoniche sul culto pubblico ( cfr. can. 937) - le chiese sono sempre chiuse nei giorni infrasettimanali, e non possono ricevere la Comunione o trattenersi in preghiera davanti al Santissimo Sacramento, e così via.

"I fedeli, in quanto sono chiamati mediante il battesimo a condurre una vita conforme alla dottrina evangelica, hanno diritto all'educazione cristiana" (can. 217). Eppure, quanta ignoranza - per mancanza di catechesi, di omelie ben preparate, ecc. - si riscontra tra i fedeli in materia di fede e di morale, sicché essi sono molto vulnerabili al relativismo religioso e perfino alla silenziosa apostasia.

"Compete ai fedeli rivendicare e difendere legittimamente i diritti di cui godono nella Chiesa presso il foro ecclesiastico competente a norma del diritto" (can. 221, § l). Eppure, non sono poche - dobbiamo riconoscerlo sinceramente - le diocesi e le nazioni in cui i tribunali ecclesiastici non sono dovutamente organizzati e funzionanti, perché non si è fatto tutto il necessario per avere i giudici ben preparati di cui c'è bisogno, specie per il corretto e sollecito corso dei processi matrimoniali.

[00162-01.03] [IN136] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Henryk MUSZYŃSKI, Arcivescovo di Gniezno (Polonia)

Sia il vaticano II sia l’Instrumentum laboris tra le tria munera del vescovo e dei presbiteri al primo luogo mette il servizio della Parola. Il termine latino del Sinodo in corso, Minister, è plurisignificativo. Il Nuovo Testamento parlando del ministero della Parola usa alternamente i termini ministro, ma anche servo, anzi schiavo.

Ambedue i termini rilevano, che il Cristo Risorto stesso è il vero annunciatore del Suo Vangelo. Questo presuppone la strettissima relazione personale con Cristo Risorto e la totale donazione di tutte le forze e talenti nel servizio del Vangelo. Il Vaticano II, citando sentenza di Sant’Agostino: Verbi Dei inanis forinsecus praedicator qui non est eius auditor (DV 25). L’attualità di queste parole ci ha ricordato Giovanni Paolo II: in particolare è necessario che l’ascolto della Parola diventi un incontro vitale (...) che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l’esistenza (NMI 39). Instrumentum laboris insiste, che ogni vescovo è il segno, il servitore e il profeta della speranza. Oggi anche la più fervente e viva testimonianza personale non è sufficiente. I vescovi sono i testimoni ed i profeti della speranza anche nella dimensione collegiale, la quale non si può limitare alle istituzioni della Chiesa universale (Curia romana, istituzione dei Sinodi), ma si esprime nella strettissima collaborazione delle diverse Chiese particolari, ed abbraccia tutte le istituzioni collegiali dei vescovi (p:e CCEE, CELAM, SCEAM, ComECE, ecc.). Le diverse Conferenze Episcopali, seguendo l’esempio del Sinodo dei Vescovi, dovrebbero cercare di risolvere i più importanti problemi pastorali e morali in comunione fra di loro. La comune testimonianza delle Chiese, esercitata nello spirito dell’unità collegiale e comunione ecclesiale, è un segno concreto e credibile del Vangelo della speranza. Un esempio della concreta realizzazione del Vangelo della speranza è la comune lettera pastorale delle Conferenze Episcopali della Polonia e della Germania, pubblicata nel 1995, a proposito del 50° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale.

Il principio della sussidiarietà, come concetto sociale può aiutare molto sul livello pratico, ma non può definire la relazione tra la collegialità e la struttura gerarchica della Chiesa, perché entrambe sono dall’istituzione divina. Parlando della Chiesa si dovrebbe piuttosto adoperare il principio teologico d’ausiliarità, dove ogni membro svolge una funzione affidata direttamente da Dio stesso: Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo come Egli ha voluto (cfr. 1Cor 12, 18), per formare un solo corpo che è la Chiesa. A questo punto discutere sulla necessità delle "strutture sussidiarie", pare ancora molto prematuro. Tale concetto esige un approfondimento teologico, e il presente sinodo potrebbe dare un genuino contributo a questo tema.

[00166-01.03] [in139] [Testo originale: italiano]

S.Em.R. Card. Darío CASTRILLÓN HOYOS, Prefetto della Congregazione per il Clero (Curia Romana)

Il terzo millennio inizia accompagnato da un collegio episcopale fedele nella missione trasmessa da Gesù ai Dodici, preparato e selezionato accuratamente dalla Chiesa, unito a Pietro e, impegnato nel portare agli uomini d'oggi il messaggio di salvezza e di speranza. Come nei tempi migliori della Chiesa, ci sono oggi, dappertutto, Vescovi pienamente dediti all'evangelizzazione, non pochi Confessori e Martiri della fede; anche quest'aula ha la gioia di poter abbracciare fratelli che hanno portato le catene per Cristo.

l) Il "munus regendi» presenta nell'odierna cultura non poche difficoltà.

L'uomo della modernità, ancora non finita, fonda la sua libertà sull'autonomia assoluta della sua ragione, vive la pretesa del «homo autonomus» che solo accetta l'alterità sulla base del consenso, e le regole sociali sul gioco democratico. Da questa fonte sgorgano indipendenza e democraticismo. Non manca chi traveste questo schema culturale sotto le parole «communio - collegialitas», teologicamente indebolite. La figura del vescovo, portatore di un messaggio e di un potere trascendente, solo si può capire pienamente alla luce del Cristo Risorto. Il «munus regendi» «in persona Christi capitis» fa del vescovo il primo servitore della famiglia diocesana. Il potere diventa diaconia, il governo servizio. Il vescovo è il «leader sacramentale» della Chiesa locale, che, unito a Pietro la porta sulle tracce di Gesù. È il paterfamilias (L.G. 27) che prende cura complessiva della casa, la difende, la nutre, la purifica. Forse l'aspetto che domanda più sacrificio dal vescovo è, nel governo, l'esercizio della «potestas iurisdictionis» per preservare la coerenza evangelica e l’ordine. Non è facile unire alla prudenza la tempestività, alla mansuetudine la fortezza, alla misericordia la giustizia, alla difesa del bene individuale quella del bene comune (Cfr. S Giovanni Crisostomo, sul Sacerdozio, l, 6).

Il vescovo dominato dalla paura, non sarà né l'uomo del vangelo, né l'uomo della speranza. Impaurito di fronte alla pubblica opinione non preserva la fede con la correzione opportuna. Origine ricordava al vescovo novello il monito di San Paolo: «essere maestro, capace di confutare i contraddittori per chiudere la bocca, con la sua sapienza, ai chiacchieroni e seduttori» (Tito 1, 9). San Girolamo aggiunge; «Una condotta su cui non c'è nulla da ridire, ma è muta, se è di qualche utilità per l'esempio che da, non è meno dannosa per il silenzio. La rabbia furiosa dei lupi deve essere messa a tacere dai latrati dei cani e dal bastone del pastore». (Lett. 2, 69). Il vescovo come maestro insegna, come governante corrige; come liturgico celebra il culto divino, come governante è fermo di fronte agli abusi; come maestro predica la morale, come governante svela e corrige i fallimenti e preserva i costumi.

Il vescovo, guida, leader della comunità diocesana, non manca di fare sforzi, perché il pensiero di Cristo abbia un posto nello spazio pubblico.

Forse potremo presentare al Santo Padre, tra le proposizioni rispettose, una che permetta richiedere, nella scelta di candidati al Episcopato, quelle doti che assicurino alla Chiesa, posta a confronto con il secolarismo, l’apostasia pratica e la prostrazione dei costumi, vescovi che la guidino con coraggio, inseriti nella genetica spirituale d'Ignazio, d'Ireneo, d'Atanasio, d'Eusebio di Vercelli, di Borromeo, di Faulhaber e quelli che, aldilà della cortina di ferro, difesero e mantennero la fede.

2) Il vescovo Padre e guida dei suoi sacerdoti.

Di questa paternità vorrei sottolineare due aspetti: la preoccupazione per il loro bene e la misericordia. Il bene dei sacerdoti è il bene della Chiesa. Sapere le condizione di famiglia, lo stato di salute corporale e spirituale, le gioie e le sofferenze, la stanchezza, la solitudine dei sacerdoti è compito del vescovo.

Occorre mantenersi su due binari: l'accompagnamento permanente e la formazione permanente.

La misericordia del vescovo, riflesso della misericordia di Dio, non è una distruzione della legge per coprire sbagli e peccati, ma una espressione della paternità che sa trovare la strada del amore anche se deva punire, come una medicina, o preservare la santità della Chiesa e il bene comune della società cristiana.

[00207-01.03] [in167] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Jacques SARR, Vescovo di Thiès (Senegal)

Vogliamo esprimere al Beatissimo Padre, la nostra gratitudine filiale per il programma pastorale e spirituale delineato nella lettera Apostolica "Tertio Millennio Ineunte", le prospettive pastorali in seguito al recente Concistoro e a questi giorni di collegialità effettiva e d’intensa comunione missionaria.

L’Instrumentum laboris sarà, con la futura esortazione post-sinodale, una guida preziosa per i vescovi nel loro ideale di vita e il loro ministero episcopale.

La prima preoccupazione del Vescovo è di Evangelizzare, santificare, guidare il popolo di Dio che gli è stato affidato; ma anche l’autonomia nella scelta del personale, dei mezzi di sussistenza e di lavoro, compiti urgenti che non lasciano sempre intatte le energie e l’ardore per la missione.

I fedeli e i non cristiani considerano spesso il Vescovo come un "capo", un "patrono" al quale bisogna costantemente fare riferimento. Egli si considera come un umile servitore all’ascolto dei fedeli di Cristo, un pastore devoto e un padre amorevole. Si rende conto della pesantezza del suo compito e vuole portarla nella fede, con l’aiuto indispensabile dei suoi diretti collaboratori, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici.

Spesso deve remare contro corrente, e accettare di essere, come il suo Maestro e Signore, un "segno di contraddizione". È a questo prezzo che sarà un servitore pertinente e credibile del Vangelo di Gesù Cristo in una società africana che soffre a causa del sottosviluppo, dei mali di ordine etico-spirituale e politico.

La parola della Chiesa, del Papa, dei vescovi e delle conferenze episcopali sulle questioni della società è sempre auspicata e attesa, e ben accolta come parola di vita, di pace e di speranza, dai fedeli e dagli uomini di buona volontà.

La Chiesa in Africa, si rallegra già per la prossima pubblicazione di un Compendium della dottrina sociale della Chiesa che permetterà di far conoscere alle nostre società il Vangelo della vita, della pace e della speranza; spera che sia incoraggiato l’insegnamento dei Documenti della Santa Sede (lettere apostoliche, lettere Encicliche,...ecc.) nei seminari, nelle case e nei centri di formazione. Chiede un Direttorio per la nuova evangelizzazione voluto dai nuovi tempi e una grossa teologia e spiritualità del Vescovo Padre e fratello nella Chiesa per il mondo.

[00167-01.04] [in140] [Testo originale: francese]

S.E.R. Mons. Giuseppe COSTANZO, Arcivescovo di Siracusa (Italia)

L'Instrumentum laboris al n. 41 afferma: «I libro dei Vangeli posto sul capo del vescovo è segno di una vita tutta sottomessa alla Parola di Dio e spesa nella predicazione del Vangelo con pazienza e dottrina».

In un mondo chiuso alla trascendenza e privo di speranza, il vescovo è chiamato ad essere il servitore della speranza: deve testimoniarla con la vita, deve promuoverla con opportune iniziative. A lui anzitutto spetta il compito non solo di dare speranza, ma anche di proclamare davanti a tutti "le ragioni della speranza" (cfr. 1Pt 3,15).

Per essere tale, deve costantemente alimentarsi della Parola di Verità e aderire totalmente ad essa. Solo con la luce e la consolazione che gli vengono dalle Scritture il vescovo può tenere viva la sua speranza (cfr. Rm 15,4) e accenderla negli altri.

Sono molteplici, oggi, gli eventi che minacciano la speranza e che potrebbero indurre allo scetticismo e alla sfiducia. Quest'ultima, però, sarebbe la più grande sciagura. Infatti, senza speranza (teologale ed escatologica) vien meno la capacità progettuale, diventa fiacco l'impegno pastorale e sterile l'azione apostolica. La speranza, invece, è l'antidoto migliore alla cultura immanentistica, all'indifferenza nei confronti dell'attesa escatologica, alla sfiducia, alla paura e al pessimismo. La nostra speranza poggia su quattro solidi pilastri: la certezza delle promesse di Dio, la fedeltà di Dio alla sua Parola, la risurrezione di Cristo e la certezza che Cristo, Signore della storia, è perennemente presente in essa ed è «Pater futuri saeculi» (Is 9,6).

Per dare speranza al mondo il vescovo dev'essere fedele "servitore del Vangelo di Gesù Cristo": deve testimoniarlo ed annunciarlo.

In ordine alla speranza la Parola di Dio ha un triplice ruolo: la suscita, la alimenta e la purifica.

Consegnato al Vangelo e nutrito di Vangelo, il vescovo è in grado di discernere ciò che è vile da ciò che vale, senza lasciarsi abbindolare o ingannare. Afferrato saldamente alla speranza, il vescovo diventa per il suo popolo sentinella vigile, profeta coraggioso, guida sicura, presenza amica, figura rassicurante.

[00168-01.03] [in141] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Francesco MARCHISANO, Arcivescovo titolare di Populonia, Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa (Città del Vaticano)

L' Instrumentum laboris, trattando nel capitolo terzo del Ministero episcopale al servizio del vangelo, ed in particolare del Ministero della Parola (n. 110), espone ampiamente la necessità di favorire «il dialogo con le istituzioni culturali laiche». Per raggiungere tale scopo si mette in risalto l'apporto determinante che può dare la conoscenza e la valorizzazione del patrimonio culturale, artistico e storico di ogni diocesi, elencando opere d'arte, archivi, biblioteche. Queste non sono solamente ricchezze storiche, ma soprattutto testimonianze di fede, di speranza e di carità delle varie generazioni che possono stimolare un approfondimento della vita religiosa attuale.

Il Santo Padre, creando la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa; ebbe a dirmi: «Se io, quale arcivescovo di Cracovia, ho potuto fare qualche cosa di bene con i "lontani", è perché ho sempre cominciato con i Beni Culturali della Chiesa, che hanno un linguaggio che tutti conoscono, un linguaggio che tutti accettano, e su questo linguaggio ho potuto innestare un dialogo che per altra via sarebbe stato impossibile».

I cristiani, fin dalle catacombe, sono ricorsi alle espressioni artistiche per tre motivazioni fondamentali: per una funzione di culto, cioè per mettere al servizio di Dio ciò che di più bello poteva offrire la creatività umana; per una funzione di catechesi, diventando la pittura e la scultura la Biblia pauperum; per una funzione di carità, svolta soprattutto dalle famiglie religiose che fecero dei loro centri luoghi di carità operosa.

Le biblioteche ecclesiastiche, raccolgono invece il sapere teologico e non teologico. Gli archivi ecclesiastici costituiscono in tante nazioni la testimonianza più antica e più importante di vita, fede, cultura, storia. La Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa ha inviato a tutti i vescovi del mondo una serie di documenti riguardanti la funzione pastorale delle biblioteche ecclesiastiche, degli archivi ecclesiastici, dei musei ecclesiastici, mettendo altresì in risalto la necessità e l'urgenza della loro catalogazione ed inventariazione.

In questo ultimo decennio ho potuto costatare ovunque una marcata accentuazione del patrimonio storico-artistico per incrementare storia, cultura, fede locali. Auspico dunque vivamente che la dimensione della cultura artistica e storica sia tenuta presente nel documento che sintetizzerà il lavoro ed i suggerimenti di questo Sinodo, perché tutti i pastori possano da essa ed in essa trovare un mezzo valido per la nuova evangelizzazione. Se, come ha affermato Dostojewsky, «la bellezza salverà il mondo», la Chiesa troverà nel proprio patrimonio artistico-culturale un aiuto per «salvare il mondo», per cui ogni diocesi e parrocchia potrà usufruirne come mezzo di insegnamento dottrinale, di evangelizzazione e di dialogo anche con i lontani.

[00169-01.03] [in142] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Franghískos PAPAMANÓLIS, O.F.M. Cap., Vescovo di Syros (Grecia)

Riferendosi al numero 131 dell'Instrumentum Laboris, ha fatto notare che la sostanza del cammino ecumenico verso l'unità consiste nella purificazione delle strutture affinché corrispondano alla sana ecclesiologia del Vaticano Il. Intanto ha fatto notare che una certa prassi della Chiesa cattolica smentisce in pratica i principi teorici dei vari documenti. Ha auspicato il ripristino voluto dal Vaticano II dell'autorità dei Patriarchi delle Chiese orientali cattoliche (O.E. numero 9) e l'autonomia delle loro Chiese di cui sono "padri e capi". Che i vescovi non si devono considerare vicari dei Romani Pontefici perché rivestiti di autorità propria (L.G. 27). Che si instauri la collegialità nel governo della Chiesa, proponendo un Sinodo permanente che collabori nell'armonia e nella carità dello Spirito Santo col Successore di Pietro, capo naturale di questo eventuale Sinodo permanente. Concludendo ha fatto notare che in questi ultimi 40 anni di più intenso cammino ecumenico la Chiesa cattolica ha un merito ed un demerito. Il suo merito è quello che i suoi figli, "i cattolici, con gioia riconoscono i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati" (U.R. numero 4). I figli della Chiesa cattolica guardano con spirito fraterno i fratelli ortodossi e parlano con rispetto ed amore per loro. Mentre il demerito della Chiesa cattolica è quello di non essere riuscita a diventare credibile agli occhi dei nostri fratelli ortodossi, perché la sua prassi è lontana dai principi ecclesiologici annunciati nei vari documenti. Passiamo finalmente dalle parole ai fatti.

[00171-01.03] [in143] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. John NJUE, Vescovo di Embu (Kenia)

1) Il Vescovo: Maestro della Fede

Il Concilio Vaticano Secondo ha affermato tra l’altro che "tra le funzioni principali dei vescovi eccelle la predicazione del Vangelo. I vescovi, infatti, sono gli araldi della fede, che portano a Cristo nuovi discepoli, sono i dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica" (LG 25). Il dovere del Vescovo di insegnare, sempre in comunione con il Romano Pontefice, è ben spiegato nel paragrafo 103 dell’Instrumentum laboris. Su questo sfondo, vorrei ribadire il punto sull’insegnamento della fede e la catechesi nel paragrafo 104 in rapporto all’attenzione dedicata ai movimenti ecclesiali del paragrafo 99.

2) Il Vescovo: attenzione ai nuovi movimenti ecclesiali

Una delle sfide pastorali che il vescovo deve affrontare in quanto maestro della fede consiste nel prestare attenzione ai nuovi movimenti ecclesiali che sono in sintonia con l’appello del Santo Padre alla "nuova evangelizzazione". Si resta colpiti dalla loro capacità di farsi mezzi efficaci di conversione in Gesù Cristo, grazie alla loro capacità di testimoniare la verità del Vangelo. Il paragrafo 99 dell’Instrumentum laboris tuttavia richiama la nostra attenzione sul fatto che alcuni movimenti ecclesiali, "quando restano ai margini della vita parrocchiale e diocesana, non aiutano la crescita della Chiesa locale". Di più: c’è il rischio di minare la comunione della Chiesa particolare. La fede cattolica è relativamente giovane in molte parti dell’Africa e in tale situazione il ruolo del Vescovo quale maestro è messo alla prova dall’arrivo di nuovi movimenti ecclesiali che restano alla periferia delle parrocchie e della vita diocesana. Desidero confermare la richiesta che nel sinodo si dedichi attenzione allo "affrontare il tema dello statuto teologico e giuridico di tali movimenti all’interno della Chiesa particolare e precisare la loro relazione concreta con il Vescovo" (99).

3) Il Vescovo: Custode della Comunione di Fede

Il Vescovo è un custode a tempo pieno della verità, che rassicura e conferma il gregge della sua diocesi. Ciò significa che non può addormentarsi neppure un attimo nel suo dovere di vegliare. Credo che ciò faccia parte del "munus" che il Vescovo accetta di portare nel rito dell’ordinazione. Qui egli accetta di predicare il Vangelo fedelmente e costantemente e di mantenere puro e senza omissioni il deposito di fede secondo la tradizione sempre e ovunque custodita dalla Chiesa fin dagli Apostoli. Credo faccia parte del mio dovere sorvegliare e custodire tutti i battezzati della mia diocesi nella comunione della stessa fede apostolica consegnata dagli Apostoli fino ad oggi.

[00172-01.04] [in144] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Javier ECHEVARRÍA RODRÍGUEZ, Vescovo titolare di Cilibia, Prelato della Prelatura personale della Santa Croce e dell’Opus Dei (Spagna)

L'Instrumentum laboris, al n. 74, si riferisce ai rapporti tra Vescovi quando sono presenti in un territorio diverse Chiese "sui iuris" oppure una Prelatura personale o un Ordinariato militare. I loro rapporti con le Chiese locali debbono esprimere necessariamente l’unità della Chiesa, che è "unità di comunione". Le Prelature personali si collocano in questo contesto di communio e non possono essere considerate come strutture "alternative" alle Chiese particolari bensì al loro servizio, in quanto, nel portare a compimento le peculiari opere pastorali per le quali esistono, di per sé convergono armonicamente con la pastorale ordinaria delle Chiese locali in cui sono presenti e sono perciò orientate all’edificazione della medesima ed unica Chiesa di Cristo. Tale convergenza è una realtà intrinseca alla natura ecclesiologica di queste istituzioni, anche perché i fedeli di una Prelatura personale - come quelli di un Ordinariato militare - sono al contempo fedeli della Chiesa locale in cui vivono.

La complessità del mondo contemporaneo genera molteplici fenomeni di carattere transregionale, i quali richiedono peculiari risposte pastorali. Quando siffatti fenomeni presentano caratteristiche adeguate, una Conferenza Episcopale potrebbe proporre alla Santa Sede, in conformità con gli auspici del Concilio Vaticano II, l'erezione di una Prelatura personale di ambito nazionale avente lo scopo di integrare l'azione pastorale delle Diocesi interessate, come venne segnalato anche dall'Esortazione Apostolica Ecclesia in America.

[00184-01.03] [im146] [Testo originale: italiano]

S.Em.R. Card. Dionigi TETTAMANZI, Arcivescovo di Genova (Italia)

Dopo una riflessione teologica sul Vescovo come "successore degli Apostoli" per cogliere il fondamento sacramentale specifico della collegialità episcopale e della spiritualità di comunione, dell'apostolicità e della "traditio" da conservare con fedeltà e coraggio, della missionarietà universale e della disponibilità al martirio, l'intervento si sofferma sulla speranza teologale come attesa e anticipazione della vita eterna. Nel contesto di una cultura inebriata dai valori della terra e del tempo presente i Vescovi sono chiamati a porsi l'interrogativo sul posto che la verità/realtà della vita eterna occupa nel loro ministero, nella consapevolezza di trattarsi non di qualcosa di secondario o di opzionale, bensì di essenziale e di irrinunciabile, perché tocca tutti i dati costitutivi e specifici della fede ed esperienza cristiana.

Nel loro ministero di insegnamento i Vescovi sono chiamati a sollecitare i sacerdoti perché annuncino la vita eterna, utilizzando in modo delicato e coraggioso l'evento della morte e l'occasione pastorale dei funerali cristiani.

Sono chiamati, inoltre, nel loro ministero di santificazione ad assicurare una celebrazione dell'Eucaristia e dei Sacramenti che ne faccia emergere il valore di attesa e di anticipazione della vita eterna, ricuperando anche in questo modo il senso del sacro e del mistero, di fronte a celebrazioni stanche, insipide e troppo appiattite sugli aspetti umani sociologici e psicologici.

Infine nel loro ministero di governo i Vescovi sono chiamati ad educare alla libertà vera e matura quale si ha nella responsabilità davanti a Dio e ad educare alla coscienza morale come "voce di Dio" e quindi come anticipazione del giudizio finale di Dio giusto e misericordioso.

E' necessario pero' ricordare che la vera speranza cristiana non ci distoglie dalle nostre responsabilità di fronte alle innumerevoli miserie e ingiustizie della storia. Ci dà piuttosto una luce e una forza nuova per assolvere tali responsabilità, con la certezza che a vincere sarà la vita e non la morte. É questo l'ethos cristiano che ci viene dalle Beatitudini evangeliche.

Il Vangelo di Gesù Cristo è Vangelo di speranza perché è già ora annuncio ed esperienza di vita eterna.

[00185-01.03] [IN147] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Telesphore Placidus TOPPO, Arcivescovo di Ranchi (India)

La maggior parte delle Chiese locali attuali, nei territori supervisionati dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, sono frutto della forza eroica, della fede, dello zelo e dell’impegno dei diversi istituti missionari.

I missionari fondatori di Chiese e i loro compagni erano uomini di fede e discernimento. Fu loro interesse e sollecitudine gettare le fondamenta della futura vasta Chiesa locale, prepararne le infrastrutture, gli apostolati e le strutture di cui avrebbe avuto bisogno, e individuare ed educare le vocazioni al sacerdozio secolare indigeno, che sarebbe diventato il sostegno della Chiesa locale che si andava rapidamente formando. Costruire la Chiesa locale: era questo che consideravano la loro unica e sola missione. Tali generosi primi missionari avevano lo spirito di Giovanni Battista, che era disposto a diminuire di modo che chi veniva dopo di lui potesse crescere.

Ma poi arrivarono la seconda, la terza e le successive generazioni. Queste iniziarono, naturalmente, a preoccuparsi degli interessi del proprio istituto. Nel prendere le decisioni davano la priorità alle sollecitudini e ai fini della propria congregazione. Iniziarono a reclamare come propri quegli apostolati che inizialmente erano stati designati a servire principalmente come estensioni e strumenti della Chiesa locale. Mentre in precedenza veniva data la priorità al clero secolare diocesano, incominciò ad emergere una nuova sollecitudine per le vocazione degli istituti religiosi stessi, al punto di appropriarsi a tal fine delle infrastrutture originali, a grande detrimento dello sviluppo della Chiesa locale. Tendevano a tenere sotto il proprio controllo i centri vitali del servizio, l’influenza, i redditi e gli strumenti dell’apostolato, e di conseguenza questo lasciò la Chiesa locale mutilata. Mantenevano per sé i posti centrali, lasciando quelli più remoti alla diocesi.

Dobbiamo chiedere agli attuali Superiori delle società fondatrici di cedere alla Chiesa locale ciò di cui ha bisogno e che inizialmente le era destinato. Tuttavia loro decidono secondo la propria discrezione e mantengono il controllo su alcune delle questioni vitali nella crescita e nello sviluppo della giovane Chiesa locale. "Ubi Episcopus, ibi Ecclesia" non sembra più valere.

Chiedo che la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli effettui uno studio approfondito di ciò che è accaduto e sta attualmente accadendo in molti territori di missione per quanto riguarda gli istituti religiosi e il loro rapporto con la Chiesa locale. Le Chiese locali vengono private di alcune importanti case di formazione e degli apostolati dei media che gli istituti religiosi hanno deciso di tenere per sé. Un’inchiesta indipendente servirebbe a porre rimedio alla situazione. Solo una Chiesa unita nella testimonianza e nel servizio potrà essere un faro di speranza per il futuro dell’evangelizzazione.

[00186-01.05] [in148] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Medardo Joseph MAZOMBWE, Arcivescovo di Lusaka, Presidente della Conferenza Episcopale (Zambia)

Noi in Zambia siamo grati per la scelta del tema: "Il Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo". Questo Sinodo sul Vescovo è al servizio di tutti i Sinodi che lo hanno preceduto: su evangelizzazione, giustizia e pace, formazione sacerdotale e vita consacrata. Questo Sinodo in modo speciale getta maggiore luce sul Sinodo Africano, che è stato un Sinodo di speranza e ha guardato alla Chiesa come Famiglia di Dio.

In qualità di servitore del Vangelo, il Vescovo è artefice e costruttore della Chiesa. In questa Famiglia di Dio, il Vescovo svolge principalmente un ministero d’amore. Il nostro ministero di Vescovo consiste nel far del bene nella Chiesa e nella società, come disse il Beato Giovanni XXIII: "Essere buoni con tutti in ogni tempo e in ogni circostanza".

Il n. 18 dell’IL dice: "In molte parti del nostro mondo la situazione di povertà (...) creano situazioni di sofferenza e di mancanza di speranza nel futuro. Costantemente i mass-media ci offrono i volti della disperazione". Il nostro ministero deve essere un servizio che ispira speranza e restituisce la dignità umana.

Un giovane teologo nigeriano, Orobator S.I., nel suo libro "La Chiesa come Famiglia - l’Ecclesiologia africana nel suo contesto sociale" cita George Ehusani quando dice: "Occorre una Chiesa che operi con impegno nell’interesse dei poveri, degli oppressi, degli emarginati e di quanti lottano per amore della giustizia. Occorre una Chiesa che venga in aiuto di quanti hanno fame di pane così come di quanti hanno fame di giustizia in solidarietà con quelli a cui manca il pane. Occorre una Chiesa di servizio, una Chiesa che soddisfi i profondi bisogni del popolo, inclusi quelli spirituali, morali e materiali. Occorre una Chiesa che si impegni nella parola e nelle azioni negli ideali del Regno che Gesù Cristo predicava e per cui la Chiesa stessa è stata fondata. Occorre una Chiesa che brilli come un faro di luce in mezzo all’oscurità del peccato, della corruzione, dell’oppressione e della disperazione. Occorre una Chiesa che sia l’incarnazione della speranza per un popolo che vive sull’orlo della disperazione".

Quando nostro Signore Gesù dà da mangiare agli affamati non lo fa soltanto come un lavoratore sociale. Lo fa come Pastore e Salvatore che è venuto perché noi possiamo avere la vita e averla in abbondanza. L’Instrumentum laboris n. 24, annuncia il Gaudium Magnum per l’Africa e noi ne siamo felici. Esso afferma: "Il futuro della Chiesa del terzo millennio si è andato man mano configurando come un decentramento della presenza dei cattolici verso i paesi dell’Africa e dell’Asia, ove ... fioriscono giovani chiese, piene di fervore e di vitalità, ricche di vocazioni sacerdotali e religiose". Il Sinodo del 1974 sull’Evangelizzazione diceva: "La Chiesa in Africa sta vivendo l’esperienza della crescita numerica più rapida della storia della Chiesa". Questo ci riempie di speranza.

Ma questa stessa Chiesa deve ancora diventare "Locus Spiritus Sancti" oppure dimora dello Spirito Santo, dove ci siano amore, rispetto e servizio reciproco. Orobator nel suo libro "La Chiesa come famiglia" afferma con vigore: "l’Africa è il continente più disumanizzato del mondo". Io aggiungerei che è il più umiliato del mondo. Le ragioni sono sia interne che esterne. Si tratta di una terra di profughi e di sfollati. Il vescovo deve essere un uomo compassionevole. Il modus per il munus docendi, munus sanctificandi, e il munus regendi dovrebbe essere il modus Christi.

Cristo, come l’ha realizzato?

1. Egli si recava sempre sulla montagna a pregare (cfr. Lc 6,12).

2. Accettava la sfida dell’azione sociale dando da mangiare agli affamati. "Dategli voi stessi da mangiare" (Lc 9,13).

3. Denunciava le ingiustizie.

Il ministero di un vescovo deve aiutare a far sì che il mondo, che sta diventando disumanizzato, diventi "Ecclesia", un popolo in comunione e un popolo in adorazione.

[00187-01.06] [in149] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Seán B. BRADY, Arcivescovo di Armagh (Irlanda)

Per essere un servitore della speranza, un vescovo deve essere un uomo di speranza. Deve trovare il tempo per meditare sui motivi di speranza nella sua vita, cioè le promesse di Cristo e la presenza dello Spirito Santo.

Uno dei grandi segni di speranza di oggi è la fame di Dio e il desiderio di preghiera che avvertono moltissime persone. Per venire incontro a questi bisogni il vescovo e i suoi primi collaboratori, i sacerdoti, devono riconciliarsi nelle loro vite seduti ai piedi del Signore, come Maria, e impegnandosi a costruire il Regno sulla terra, come Marta.

Un altro segno di speranza oggi è il numero di persone che, nella loro ricerca di significato e scopo nella vita, intraprendono lo studio della filosofia e della teologia. Essi devono essere ispirati a diventare agenti dinamici di speranza nel loro tempo, come Gesù lo era nel suo.

La volontà della Chiesa di promuovere la giustizia e la pace è un formidabile segno di speranza, specialmente per i poveri e gli oppressi. La forte e coraggiosa difesa della dignità di ogni persona umana indipendentemente dalla salute o dalla ricchezza, razza o religione, è un esempio di come il vescovo offra ragioni di speranza. Quando il vescovo mette in evidenza chiaramente l’insegnamento della Chiesa in favore della vita contro la cultura della morte, in favore del matrimonio e della famiglia, in favore della pace contro la violenza, diventa un faro di speranza per quelli che soffrono nelle tenebre della disperazione e dello scoraggiamento.

Dobbiamo stare sotto la stessa Croce degli afflitti e cercare di consolare quanti hanno il cuore spezzato. Al momento giusto il vescovo li incoraggerà a lasciare il loro dolore e cercherà di persuaderli ad offrire perdono e riconciliazione. In questi tempi, la presenza del vescovo in mezzo al suo popolo, e la sua disponibilità verso i suoi sacerdoti è di vitale importanza. È una ricca fonte di speranza mentre essi lottano per frenare i violenti, calmare le passioni e ripristinare la pace.

Il segno finale di speranza che voglio menzionare è l’invito di Papa Giovanni Paolo II contenuto in Novo Millennio Ineunte a vedere la luce della Trinità splendere sul volto dei Fratelli e delle Sorelle attorno a noi.

È in questo spirito di apprezzamento e mutua fiducia che si dovrebbe discutere la questione del rapporto tra la Chiesa universale e la Chiesa locale. Il ministero del Vescovo di Roma è segno visibile e garanzia di unità. Questo bene essenziale, come viene chiamato dalla "Ut unum sint", deve sempre essere visto come un dono dalla Chiesa particolare. Un dono che la Chiesa particolare può, in modo unico, offrire in cambio, è la sua conoscenza e l’esperienza delle condizioni della situazione locale.

[00188-01.04] [in150] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Hugo BARRANTES UREÑA, Vescovo di Puntarenas (Costarica)

Presento a questa Assemblea Sinodale alcune proposte perché il Vescovo del terzo millennio possa essere un "vero ed autentico maestro della fede" (cfr. CD 2) e un testimone della speranza.

1. Nuove forme di organizzazione: Urge rinnovare la configurazione della Curia diocesana, in modo che il Vescovo possa dedicarsi maggiormente all’ufficio di Pastore.

2. Formazione permanente del Vescovo: Occorre che il Vescovo si aggiorni e si formi per poter rispondere ai segni dei tempi.

3. Una pastorale di primo annuncio: Bisogna assegnare un posto speciale al primo annuncio, in modo che quelli che ricevono il Kerigma arrivino ad essere cristiani adulti, capaci di resistere agli impatti della postmodernità e si convertano così in testimoni autentici del Vangelo.

4. Uso più efficace dei mezzi di comunicazione sociale: È necessario che la Chiesa pronunci una parola opportuna e immediata proprio negli spazi in cui nascono le domande, ricorrendo alle stazioni radio-televisive, agli organi di stampa e ad Internet, e formando nei fedeli una coscienza critica.

5. Scuole per la formazione dei laici: I laici hanno bisogno di una formazione integrale e permanente (cfr. CFL 57) in modo da poter assimilare la loro vocazione battesimale nel ministero profetico del Vescovo.

6. Catechismi locali: La nuova evangelizzazione esige uno sforzo lucido, serio e ordinato per evangelizzare la cultura (cfr. Ecclesia in America, 70).

7. Sala Stampa diocesana (dove non esiste): organismo autorizzato a far conoscere il Magistero episcopale.

[00189-01.04] [in151] [Testo originale: spagnolo]

S.E.R. Mons. Maurice GAIDON, Vescovo di Cahors (Francia)

Il poeta e pensatore Charles Péguy parla con tenerezza della "fanciulla speranza". È lei che tiene la tavola imbandita in questo mese d’ottobre 2001 per accogliere i vescovi accorsi da tutto il mondo all’appello di Giovanni Paolo II. Viviamo un momento difficile in quanto si avvicinano gli echi di un conflitto sul quale tutti nutrono dei timori ... Dobbiamo quindi rinunciare ad ogni speranza e allontanare da noi questa parola-maestra dei due testi che illuminano le nostre discussioni (T.M.I. e l’IL che serve da supporto ai nostri dibattiti sinodali)?

Il messaggio evangelico vuole essere un portatore di speranza e i primi apostoli non si sono sbagliati quando si sono rivolti alle comunità nascenti, come ha fatto Paolo nelle sue Lettere, per invitarle a fare della speranza il motore delle loro vite di testimoni tra le difficoltà e le tribolazioni della loro epoca. Come Paolo indica al suo compagno Tito, bisogna lavorare instancabilmente per annunciare la Parola "nella speranza della vita eterna promessa all’inizio dei tempi", una formula che evidenzia la dimensione escatologica della speranza: dimensione che non si impone a sufficienza allo spirito degli operatori del Vangelo e che sarebbe quindi pericoloso far passare sotto silenzio in questo periodo in cui siamo mandati "verso il largo", "per una nuova evangelizzazione".

Se il vescovo, al n.33 dell’IL., è invitato ad essere "vigile profeta di speranza", se gli viene ricordato che: "il segreto della sua missione è... nella ferma solidità della sua speranza", bisogna rispondere in nome di Cristo alla disperazione di numerosi nostri contemporanei. Lo farà con la tenerezza del padre di famiglia e la misericordia del testimone di Gesù cercando di ricondurre a sé con la sua sollecitudine le pecorelle smarrite e i figlioli prodighi, senza mai rinunciare a strapparli alla loro disperazione. Lo farà anche aiutando a guardare Cristo nella sua gloria di Risorto, che vuole fondere la Chiesa della terra e la Chiesa del Cielo. È tempo di riprendere la lettura del testo più importante del Vaticano II, la Lumen Gentium, per riscoprirvi il capitolo 7 tutto dedicato a "la speranza della vita eterna che ci è stata promessa" e il capitolo 8 che ci invita a guardare Maria "figura della Chiesa" come modello esemplare di ogni discepolo di Gesù: Madre della speranza.

[00190-01.04] [in152] [Testo originale: francese]

S.E.R. Mons. Jean-Pierre RICARD, Vescovo di Montpellier (Francia)

La Chiesa è nel suo stesso cuore una comunione missionaria. Questa comunione è allo stesso tempo un dono del Signore da accogliere e un compito da realizzare. La realizzazione di questa comunione passa per l’apprendimento di una solidarietà fraterna in cui la diversità delle vocazioni, dei carismi e dei ministeri deve adeguarsi alla formazione del legame ecclesiale. La responsabilità di vegliare su questa costruzione quotidiana della Chiesa è peculiarità del ministero episcopale, come quella di favorire la sinergia di diversi operatori, nell’aiutare veramente a percorrere insieme questo cammino comune (sun-odos) di fede e di missione. Si può paragonare il vescovo a un tessitore che aiuta a tessere giorno dopo giorno la trama ecclesiale. Egli farà incrociare il filo verticale della comunione (con Dio) con quello della comunità fraterna. Porterà a tutti il suo aiuto, il suo accompagnamento, il suo discernimento e il chiarimento delle sue decisioni pastorali. Lo farà con pazienza, fiducia e convinzione.

Aiuterà tutti a scoprire che questa sinodalità può essere fonte di fiducia, speranza ritrovata e rinnovato dinamismo per la missione.

[00191-01.05] [in153] [Testo originale: francese]

AVVISI

"BRIEFING" PER I GRUPPI LINGUISTICI

Il settimo "briefing" per i gruppi linguistici avrà luogo domani martedì 9 ottobre 2001 alle ore 13.10 (nei luoghi di briefing e con gli Addetti Stampa indicati nel Bollettino N. 2).

Si ricorda che i Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) sono pregati di rivolgersi al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali per il permesso di accesso (molto ristretto).

"POOL" PER L’AULA DEL SINODO

Il settimo "pool" per l’Aula del Sinodo sarà formato per la preghiera di apertura della Tredicesima Congregazione Generale di martedì mattina 9 ottobre 2001.

Nell’Ufficio Informazioni e Accreditamenti della Sala Stampa della Santa Sede (all’ingresso, a destra) sono a disposizione dei redattori le liste d’iscrizione al pool.

Si ricorda che i Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) e fotoreporters sono pregati di rivolgersi al Pontificio Consiglio per le Comunicazione Sociali per la partecipazione al pool per l’Aula del Sinodo.

Si ricorda che i partecipanti al pool sono pregati di trovarsi alle ore 08.30 nel Settore Stampa, allestito all’esterno di fronte all’ingresso dell’Aula Paolo VI, da dove saranno chiamati per accedere all’Aula del Sinodo, sempre accompagnati da un ufficiale della Sala Stampa della Santa Sede, rispettivamente dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali.

BOLLETTINO

Il prossimo Bollettino N. 15, riguardante i lavori della Dodicesima Congregazione Generale dell’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi di questo pomeriggio, sarà a disposizione dei Signori giornalisti accreditati, domani martedì 9 ottobre 2001, all’apertura della Sala Stampa della Santa Sede.

 
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