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SYNODUS EPISCOPORUM
BOLLETTINO

della Commissione per l'informazione della
X ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
DEL SINODO DEI VESCOVI
30 settembre-27 ottobre 2001

"Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo"


Il Bollettino del Sinodo dei Vescovi è soltanto uno strumento di lavoro ad uso giornalistico e le traduzioni non hanno carattere ufficiale.


Edizione italiana

16 - 09.10.2001

SOMMARIO

TREDICESIMA CONGREGAZIONE GENERALE (MARTEDÌ, 9 OTTOBRE 2001 - ANTEMERIDIANO)

Alle ore 09.00 di oggi martedì 9 ottobre 2001, memoria facoltativa dei SS. Dionigi, vescovo e Compagni, martiri e memoria facoltativa di S. Giovanni Leonardi, sacerdote, fondatore dei Chierici Regolari della Madre di Dio, alla presenza del Santo Padre, con il canto dell’Hora Tertia, ha avuto inizio la Tredicesima Congregazione Generale, per la continuazione degli interventi dei Padri Sinodali in Aula sul tema sinodale Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo. Presidente Delegato di turno S.Em.R. Card. Bernard AGRÉ, Arcivescovo di Abidjan.

A questa Congregazione Generale che si è conclusa alle ore 12.25 con la preghiera dell’Angelus Domini erano presenti 229 Padri.

INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)

Sono intervenuti i seguenti Padri:

Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi:

S.E.R. Mons. Norbert Wendelin MTEGA, Arcivescovo di Songea (Tanzania)

Il grido pressante dei paesi in via di sviluppo giunge oggi come un appello ad "alleviare la povertà". Lasciamo che il grido di questi poveri venga udito dalla comunità internazionale e dalle Chiese. Essi gridano per un segno e un gesto di pace, poiché si trovano in una situazione senza speranza e di impotenza. La povertà è la causa fondamentale di molte miserie. Essa riduce l’uomo a subire trattamenti

indegni, lo rende vittima di manipolazioni da parte dei ricchi e dei potenti, lo rende privo di voce. È causa di molte ingiustizie. La povertà può avere diverse forme e gradi. Per noi del terzo mondo il tipo peggiore di povertà è l’ignoranza. Può essere l’ignoranza della fede, dei valori umani e morali, ma anche ignoranza sotto forma di analfabetismo totale o di poca o limitata conoscenza. L’ignoranza e l’analfabetismo sono un male e una minaccia per i poveri in questo secolo di globalizzazione e tecnologia, poiché la competizione li rende vittime. Gli ignoranti e gli illetterati saranno sempre più emarginati e dimenticati mentre le persone ricche ed educate prenderanno in mano il timone del potere economico, sociale e politico. I poveri diventeranno più poveri e i ricchi più ricchi. Solo i ricchi frequenteranno le scuole superiori e le università, troveranno lavoro, controlleranno l’economia, entreranno in politica; e quando arriverà il momento delle elezioni, solo le persone ricche ed educate avranno la possibilità di svolgere campagne elettorali e governare. Speriamo che questo non accada nelle nostre diocesi, poiché anche nella Chiesa può verificarsi il pericolo di raccogliere le vocazioni alla vita religiosa e al sacerdozio nelle famiglie, nelle tribù o fra le persone più ricche e meglio educate. Giungerà il momento in cui i poveri, sentendosi privi di voce e di difese, saranno costretti a reagire contro chi è ricco ed educato. Ciò porterà a conflitti violenti. L’ignoranza e l’analfabetismo talvolta sono stati causa diretta o indiretta dei conflitti e del fanatismo violento in alcune società. Altre volte la causa erano dei provvedimenti iniqui e discriminatori riguardo all’educazione e alla distribuzione dei servizi sociali a cittadini dello stesso paese. Come vescovi dobbiamo portare la speranza nel mondo delle persone povere e ignoranti. Dobbiamo investire nell’educazione e, laddove è possibile, coordinare i nostri sforzi con quelli dei nostri governi. Come fratelli in Cristo, uniamo il nostro impegno e le nostre risorse per rafforzarci l’un l’altro nell’adempiere a questa missione di diffondere l’amore di Cristo mediante l’educazione dei poveri. Dobbiamo difendere i loro diritti, la giustizia, la dignità e l’uguaglianza. Essi hanno fame di verità, conoscenza ed educazione. Soffrono a causa della discriminazione e del degrado. Hanno bisogno della fede e della Dottrina Sociale della Chiesa per acquisire la verità che li rende liberi. Hanno bisogno di formare la propria coscienza. Hanno bisogno di una buona educazione secolare che li sostenga e restituisca loro dignità. Ringraziamo i dicasteri e le altre organizzazioni di assistenza per il sostegno dato all’educazione nei nostri paesi di missione. Dobbiamo ringraziare le Conferenze episcopali di Europa, Stati Uniti e Australia per il loro aiuto economico a tali fini. Il mese prossimo, la Conferenza episcopale della Tanzania conferirà dei diplomi nelle comunicazioni sociali - i primi del paese - ai primi 35 studenti interamente sostenuti dalla Conferenza episcopale italiana. Ringraziamo la CEI e la Chiesa in Italia. La Conferenza episcopale tedesca e il Governo tedesco stanno finanziando i corsi di diploma nella nuova università e da dieci anni inviano denaro attraverso la nostra Commissione Cristiana per i Servizi Sociali per sostenere le Chiese in Tanzania in un programma ecumenico molto serio, atto a migliorare i servizi educativi e sanitari in tutto il paese. A voi, Fratelli nell’Episcopato, e ai fedeli delle vostre diocesi, diciamo grazie. Per favore continuate a sostenerci. A nome dei poveri, lanciamo un appello per un aiuto ancora maggiore. Da parte nostra ci impegniamo a sacrificare la vita per i poveri, seguendo l’esempio di nostro Signore Gesù Cristo il Buon Pastore.

[00210-01.05] [in170] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Jesús E. CATALÁ, Vescovo di Alcalá de Henares (Spagna)

Il Concilio Vaticano II ha descritto il ministero episcopale secondo la prospettiva del triplice "munus": profetico, sacerdotale e reale, il cui esercizio concreto comporta una grande varietà di compiti che il vescovo deve affrontare nella sua diocesi. Quest’ampia gamma di azioni concrete può portarlo ad una dispersione nell’esercizio del suo ministero, in quanto richiesto per azioni così diverse. Un contributo a focalizzare il ministero può venire dal fatto di considerare il vescovo come "testimone di Gesù Cristo", missione che è alla base dell’esercizio del triplice "munus" episcopale. Il decreto Christus Dominus (n. 11) ci ricorda che "i vescovi devono compiere il loro dovere apostolico come testimoni di Cristo", assolvendo il mandato del Signore di essere suoi testimoni "a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (At 1, 8).

Secondo gli Atti degli Apostoli, la condizione per appartenere al gruppo dei Dodici Apostoli, è quella di essere stati testimoni del Risorto (cfr. At 2, 32; 3, 15; 13, 31) e aver vissuto con Lui, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è asceso al cielo (cfr. At 1, 22). In quanto successori degli Apostoli, i vescovi hanno la missione di essere testimoni del Risorto. Si tratta fondamentalmente di essere testimoni di "Qualcuno".

Ai testimoni di Gesù viene chiesto in varie occasioni di rendere testimonianza davanti alle autorità e ai giudici, secondo la prospettiva che Gesù aveva annunciato agli Apostoli (Mc 13, 9; Mt 10, 18; Lc 21, 13). Le sofferenze sopportate per testimoniare Gesù portano ad essere lieti nella speranza (cfr. Rm 12, 12). San Cipriano, vescovo di Cartagine, in una lettera al fratello Cornelio, vescovo di Roma, scrive: "Non vi è modo di esprimere quanto siano state grandi qui la gioia e la letizia nel venire a sapere della vostra vittoria e della vostra forza: di come tu sia stato alla testa dei tuoi fratelli nel confessare il nome di Cristo e di come questa tua confessione, a capo della tua Chiesa, sia stata, a sua volta, rafforzata dalla confessione dei fratelli" (Cipriano, Lettera 60, 1). La parola può convincere ma l’esempio trascina. La testimonianza dei fratelli maggiori nell’episcopato è uno sprone per i vescovi più giovani.

[00224-01.04] [IN171] [Testo originale: spagnolo]

S.E.R. Mons. Michel-Marie-Bernard CALVET, S.M., Arcivescovo di Nouméa (Nuova Caledonia)

Vorrei soltanto ricordare qui alcuni aspetti della missione del vescovo che emergono con maggiore evidenza in un contesto così singolare, caratterizzato da una scarsa popolazione diluita su uno spazio immenso. Le nostre Chiese sono giovani in tutti i sensi del termine, in genere sono a misura d’uomo, come lo sono le popolazioni di tutte queste isole, dove nessuno può passare inosservato. Il vescovo è conosciuto da tutti, la permanenza della sua funzione rafforza ulteriormente l’impressione che egli faccia personalmente parte del paesaggio, come i responsabili consueti. A differenza di questi ultimi, egli vive la sua responsabilità in una solitudine di fatto: i vescovi vicini si trovano a migliaia di chilometri. Insieme ai suoi sacerdoti, ai religiosi, ai catechisti e agli altri laici impegnati, egli veglia sull’unità di quella parte di popolo di Dio che gli è stata affidata. Il servizio della Parola di Dio assume spesso una dimensione ecumenica o persino ancor più vasta, specie in caso di crisi sociale o politica.

Egli deve inoltre vegliare sull’unità della Chiesa nella sua dimensione universale; nelle nostre diocesi l’attaccamento filiale al Successore di Pietro è spontaneo. La collaborazione con i vescovi in uno spirito di collegialità è per noi tutti un sostegno di grande importanza: essa si esercita ad almeno quattro livelli:

- la Conferenza episcopale, malgrado le distanze e le differenze culturali

- le regioni geografiche o linguistiche che esistono all’interno della Conferenza episcopale

- le provincie ecclesiastiche, quando hanno una base reale e sufficiente, cosa molto auspicabile ma che purtroppo non sempre accade...

- i legami con altre Conferenze episcopali, in particolare nel quadro della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Oceania.

Così, vivere un’ecclesiologia di comunione sia all’interno, sia all’esterno della diocesi determina una tensione pratica che fa parte della vita; bisogna continuamente ritrovare l’equilibrio. L’uso razionale dei moderni mezzi di comunicazione ha modificato il nostro modo di lavorare insieme e ha reso possibile ciò che appena 22 anni fa, all’inizio del mio episcopato, era impensabile.

Per concludere, a nome dei miei confratelli delle Isole dell’Oceania vorrei ricordare qui un momento indimenticabile in cui la Chiesa che è in Oceania ha fatto esperienza di collegialità "cum Petro et sub Petro".

Noi, che siamo lontani, non siamo stati dimenticati né lasciati da parte da Lei, Santo Padre, quando ha deciso che fra i Sinodi continentali vi sarebbe stata anche l’Oceania. Quel Sinodo per l’Oceania, al quale furono convocati tutti i vescovi in attività delle quattro Conferenze episcopali della regione (Australia, Papua-Nuova Guinea e Isole Salomone, Nuova Zelanda e C.E.PAC:) è stata un’esperienza indimenticabile di collegialità per i partecipanti, ma anche un tempo forte di partecipazione ecclesiale per i numerosi fedeli, sacerdoti, religiosi e laici d’Oceania, che avevano studiato i Lineamenta. Adesso nella nostra regione vi è una grande attesa del documento che dovrebbe presentarci i frutti di questo Sinodo...

[00212-01.04] [in173] [Testo originale: francese]

S.Em.R. Card. Antonio María ROUCO VARELA, Arcivescovo di Madrid, Presidente della Conferenza Episcopale (Spagna)

La riforma autentica della Chiesa e la riforma autenticamente cattolica dell’episcopato sono sempre andate di pari passo nella storia della Chiesa. Anche nella nostra epoca, che è quella del Vaticano II. E con un’insistenza particolare. Uno dei più importanti centri di gravità degli insegnamenti conciliari è stata la Teologia dell’Episcopato e il rinnovamento canonico e pastorale della figura e del ministero del vescovo nella Chiesa; attraverso la dottrina della collegialità episcopale, ma anche, e con un vivo senso dell’attualità storica, portando alla luce il principio della sacramentalità dell’origine, del fondamento e del contenuto del ministero episcopale.

Trentasei anni dopo, numerosi sono stati i frutti dello sviluppo teorico e pratico della collegialità nell’ambito delle realtà strutturali. C’è da chiedersi se la stessa cosa sia accaduta con il principio della sacramentalità nell’ambito delle realtà vive: della crescita in santità di tutti i membri della Chiesa, di una loro maggiore forza e dedizione apostolica e missionaria e anche nell’evangelizzazione e santificazione delle realtà temporali. Rispondere a questo interrogativo costituisce la sfida principale dell’attuale Sinodo. La risposta non può trascurare un elemento essenziale: la crisi della fede, ampiamente diffusa nei vecchi paesi di tradizione cristiana, che non si arresta alle porte delle comunità cristiane e che "si globalizza" anch’essa.

La risposta dovrà passare attraverso il servizio del vescovo al Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo per la speranza del mondo, annunciandolo, insegnandolo e mostrandolo come suo "testimone autentico" a tutti: sacerdoti, consacrati, laici, teologi e opinione pubblica. Questo servizio sarà possibile al vescovo se coltiverà l’amore personale per Gesù Cristo, basato sulla preghiera di tutta la Chiesa, soprattutto delle contemplative come Santa Teresa di Gesù e le sue due figlie: Santa Teresa di Gesù Bambino e Santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein. "Il cristiano del futuro sarà mistico...o non sarà cristiano", Karl Rahner.

[00223-01.04] [IN174] [Testo originale: spagnolo]

S.Em.R. Card. Miloslav VLK, Arcivescovo di Praha (Repubblica Ceca)

1. Nell'indice dell'Instrumentum laboris ricorre tante volte l'espressione "ministro", "ministero", "servitore", "servizio". E' una parola-chiave che vuol essere un messaggio di questo Sinodo. L'atteggiamento esistenziale del servizio è lo stile di vita che fa della missione del vescovo un riflesso coerente di Gesù, del Servo di Dio. Egli infatti non è venuto per essere servito, ma per servire (cfr. Mc 10, 45) e rivelare così la vita della Trinità. Ha chiamato gli apostoli a seguirlo su questa via: "Vieni, seguimi!". Tale vocazione risuona nel noto inno della Lettera ai Filippesi: "ekénosen", si è svuotato, spogliato di sé (cfr. Fil 2, 6-8). Un modello di pro-existentia. Una summa del servizio. Modello splendido del vescovo-servitore! "Abbiate gli stessi sentimenti..." (cfr. Fil 2, 5).

2. Questa realtà del vescovo-servitore non si può intendere in modo individualistico, quasi il vescovo fosse una specie di "imprenditore privato". Nell'attuazione del suo compito è legato a coloro che egli serve e, prima ancora, per la collegialità, al Papa ed agli altri vescovi. Parlando ad un gruppo di vescovi, Giovanni Paolo II ha ribadito: "Il Signore Gesù (...) non ha chiamato i discepoli ad una sequela individuale ma inscindibilmente personale e comunitaria. (...) Un rinnovato annuncio del Vangelo non può essere coerente ed efficace se non è accompagnato da una robusta spiritualità di comunione" (Oss. Rom., 17.2.95).

Nella vita del vescovo sono quindi strettamente legate queste due realtà: il suo ministero e la spiritualità di comunione. Camminano mano nella mano l'atteggiamento personale di essere servitore e il dovere primario di costruire la comunione attraverso il ministero. Perciò il vescovo "tende a favorire e garantire la presenza attiva e santificante di Cristo in mezzo alla sua Chiesa" (Instr. lab. n. 51).

Questa priorità della comunione è un segno dei tempi riconosciuto dai Papi e dall’insegnamento ecclesiale e confermato dallo Spirito attraverso la fioritura dei nuovi Movimenti. Con la loro vita radicalmente evangelica, questi Movimenti sono impegnati a diffondere a tutti i livelli nella Chiesa e nella società uno spirito di comunione.

3. Molti di noi abbiamo ricevuto un'educazione individuale o individualistica e adesso sentiamo queste sfide: essere ministri nello stile della kenosi, costruttori della comunione con una spiritualità non soltanto individuale) ma personale e comunitaria. Ciò richiede un esercizio, una "formazione continua" anche per i vescovi.

4. Da vera serva del Verbo, Maria impersona in se la "proesistenza" totale e così è modello dei ministri del Vangelo. Lei sia la nostra Hodighitria - colei che ci indica la via.

[00213-01.04] [IN175] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Georges Edmond Robert GILSON, Arcivescovo di Sens (Francia)

1. Il Concilio Vaticano II ha espresso l’urgenza dell’impegno profetico del vescovo e del Collegio Episcopale: annunciare il Vangelo è la nostra priorità. Ci è affidato il compito di essere i "custodi della fede cristiana". Il magistero, però, non può che essere esercitato in un clima di "benevolenza". Gli apostoli, quali noi siamo, devono innanzitutto impegnarsi ad incontrare l’altro in quanto altro. Noi non siamo religiosi del Libro bensì credenti in Colui che è il Verbo di Dio.

2. Oggi, nella nostra Francia, vi sono luoghi e ambienti in cui il Vangelo è ignorato. Gesù Cristo è un estraneo! Occorrono degli evangelizzatori. Facciamo un esempio: io sono il vescovo-prelato della Missione di Francia, comunità di sacerdoti secolari che per la maggior parte sono "sacerdoti professionisti". Essi devono trovare il cammino dell’incontro e del dialogo. Devono rischiare la condivisione quotidiana e accogliere quella parte di verità che nutre l’altro, il prossimo non cristiano, nella sua vita intima. Dio precede il testimone del Vangelo.

3. Il tempo di preghiera e di vita comune missionaria permette il lavoro di comprensione della fede e la ricerca teologica che si sforza di esprimere la fede di sempre nei linguaggi e nelle culture attuali. È qui che entra in gioco la responsabilità del vescovo. Egli diventa artefice della fede vissuta nella fedeltà al messaggio. Il servizio del magistero episcopale deve innanzitutto realizzarsi attraverso un lavoro di accompagnamento, ascolto, sostegno, interrogazione, elaborazione, proposta, discernimento, rassicurazione insieme e vicino a coloro che il vescovo invia a svolgere la missione di apostoli. Sono loro che restituiscono alla Chiesa la sua capacità concreta di esprimere la pertinenza teologica e antropologica dei misteri cristiani. Il vescovo è apostolo insieme a loro.

[00214-01.04] [in176] [Testo originale: francese]

S.Em.R. Card. Walter KASPER, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani (Città del Vaticano)

La questione ecumenica non è un accessorio; essa si pone al centro dell'attività pastorale del vescovo. L'impegno ecumenico è una delle grandi sfide dell'inizio del nuovo millennio. Il frutto più importante del dialogo ecumenico degli ultimi 35 anni è la ritrovata fraternità di tutti i cristiani. Ma oggi ci troviamo davanti a nuove sfide. Ci rendiamo conto che il cammino ecumenico sarà presumibilmente ancora lungo e difficoltoso.

Dobbiamo riflettere sul modo secondo il quale possiamo responsabilmente strutturare l'attuale periodo intermedio. Non possiamo ancora riunirci attorno all'unica mensa del Signore, ma potremmo già fare insieme molto più di quanto facciamo abitualmente:

1. Ecumenismo di vita. Non nel senso di un qualcosa che si aggiunge all'attività ecumenica, bensì di un ecumenismo di vita quotidiana. 2. Ricezione e formazione. Sarebbe già molto se i validi risultati dei dialoghi ecumenici fossero recepiti ovunque. Ciò richiede una formazione ecumenica per i laici, per i sacerdoti e anche per i vescovi. 3. Ecumenismo ad intra. Dobbiamo attuare la spiritualità di comunione prima di tutto in noi stessi e far diventare la nostra Chiesa accogliente per le altre Chiese e Comunità ecclesiali. Dobbiamo quindi creare un migliore equilibrio nella comunione tra le Chiese particolari e la Chiesa universale. 4. L'ecumene come impegno spirituale. Noi non possiamo "fare" o organizzare l'unità; l'unità è un dono dello Spirito. Dobbiamo essere ecumenicamente uniti nella nostra preghiera per 1'unità, e dobbiamo pregare, come fecero gli apostoli con Maria, affinché discenda su di noi lo Spirito di Dio e per l'avvento di una nuova Pentecoste .

[00211-01.04] [IN172] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Francisco VITI, Arcivescovo di Huambo (Angola)

Illuminati dalla fede, possiamo dire che la nostra vocazione fondamentale e universale è l’accettazione riconoscente del dono misericordioso di questa filiazione divina adottiva in Cristo e di questa fratellanza fra noi. Una fratellanza senza frontiere, che non viene né dal sangue, né dalla volontà dell’uomo, né da un’opzione sociale, ma piuttosto da Dio stesso. Il servizio del Vangelo per la speranza del mondo è senz’altro quello della fratellanza e della solidarietà della famiglia umana.

Necessario alla salvezza eterna, accessibile a tutti gli uomini e donne di buona volontà, il cammino della filiazione divina adottiva è legato inseparabilmente a quello della fratellanza. In effetti, nella sua libertà sovrana, il Signore ha voluto che quanti amano il Suo Nome amino anche la Sua immagine.

La lettura della Bibbia ci mostra che, fin dall’inizio, il Dio della creazione si presenta come Dio per l’uomo e con l’uomo. Avendolo creato a sua immagine, Egli ha fatto di lui il suo primo amore sulla terra, il primo valore del mondo.

L’Apostolo San Paolo presenta il Salvatore del mondo come la nostra pace. E la pace, come sappiamo, è vivere-insieme e agire-insieme. È accettazione reciproca e reciproco riconoscimento, nell’uguaglianza della dignità umana. La pace è comunione dei cuori uniti nella consapevolezza di una sola origine e nello sforzo concertato per seguire un unico destino non solo adesso, ma al di là del tempo, nell’eternità. Parlo della pace integrale, quella dei figli di Dio. Essa è solidarietà fraterna che il Signore ha guadagnato per noi sul trono della croce. E cosa potrebbe esservi di più contrario alla pace che fare la guerra per farla finita con le guerre? La guerra è la morte, è la separazione: essa non costruirà mai il vivere-insieme e meno ancora l’agire-insieme.

La pace è dialogo, è l’ascolto reciproco e pazientemente ripreso, come ci dice Giovanni Paolo II nei suoi Messaggi per le Giornate Mondiali della Pace, in particolare in quello del 1985 che si intitola: "Se vuoi la pace, vai verso i poveri". Il dialogo fa parte della saggezza delle nazioni e rivela il senso della storia. Per dimostrare quanto sia fondata quest’affermazione, richiamo la vostra attenzione sul documento che ho appena citato. Il Santo Padre fa riferimento ai 150 conflitti armati che vi sono stati dopo la grande guerra mondiale. Essi non hanno portato alla giustizia e ancor meno alla pace. Per fare la pace, i belligeranti hanno dovuto entrare in dialogo. Da allora, non avrebbe potuto esservi nulla di più contrario alla pace che la prassi dell’esclusione dell’avversario e il rifiuto del dialogo. Per quanti vorrebbero rendere perpetua la guerra, vi sarà sempre un pretesto contro l’avversario. Eppure, interi paesi saranno condannati allo spopolamento, e delle libertà fondamentali saranno consegnate nelle mani dei più forti, mettendo grandi moltitudini a rimorchio della storia.

In un capitolo intitolato "The Wealth of Knowledge", uno storico dell’economia scriveva: "Institutions and culture first; money next; but from the beginning and increasingly, the payoff was to knowledge", e cioè: "Prima di tutto istituzioni e cultura, poi il denaro, ma alla lunga quel che paga è la conoscenza". E qui tocchiamo un punto nevralgico della dignità dei popoli come della Pace mondiale. Infatti, l’istruzione condiziona il progresso. Quest’ultimo è sinonimo di pace. In nome dei poveri e della solidarietà evangelica, vi prego, fratelli del mondo "sviluppato" di venire in nostro aiuto. Edifichiamo insieme la Pace-Progresso, nella fratellanza solidale. Grazie!

[00215-01.04] [in177] [Testo originale: francese]

S.E.R. Mons. Cyril Baselios MALANCHARUVIL, O.I.C., Arcivescovo Metropolita di Trivandrum dei Siro-Malankaresi (India)

Il mio intervento fa riferimento al Cap. II, nn. 35 ss. dell’Instrumentum laboris, cioè alle immagini ecclesiali del vescovo ispirate all’immagine di Cristo.

Sarebbe inutile da parte mia cercare di elaborare le immagini del vescovo nella Chiesa essendo, queste, ampiamente ispirate all’immagine di Cristo. Lo fa appunto l’Instrumentum laboris nel capitolo citato. Vorrei però sottolineare che la pluralità di immagini di Cristo, che vediamo nel Nuovo Testamento, emerge dalla realtà della Sua personalità e dai diversi ruoli che Egli ha svolto nella missione di redenzione assegnatagli dal Padre. La conclusione è chiara. Sebbene l’immagine del vescovo nella Chiesa sia radicata nella sua vocazione divina al ministero episcopale e descritta in linea con l’immagine di Gesù Cristo, essa viene poi concretamente plasmata dai ruoli che svolge nell’adempiere tale ministero. Dovremmo quindi distinguere l’immagine ideale che egli dovrebbe proiettare dall’immagine effettiva che acquisisce nell’esercizio del suo ministero. L’Instrumentum laboris ci dà certamente, e giustamente, l’immagine ideale del vescovo nella Chiesa. In altre parole, descrive la natura e la missione dell’ufficio episcopale nella Chiesa, così come è stato progettato nell’economia della salvezza. In questo contesto mi torna alla mente un episodio. Una volta ho presenziato a un funerale. Sono stati tenuti molti discorsi funebri alcuni dei quali esaltavano l’estinto in termini altamente elogiativi. Al termine, la consorte del defunto era talmente confusa che ha chiesto al figlio di andare a controllare se fosse davvero suo padre l’uomo che giaceva nella bara.

Nello sforzo di operare il rinnovamento del nostro ministero episcopale, è importante e necessario scoprire quale sia effettivamente l’immagine del vescovo che è emersa in concreto nel corso della storia del ministero episcopale nella Chiesa, e se sia stata distorta. Se scopriamo una discrepanza fra l’ideale e il reale, è il momento di concentrare la nostra attenzione sui modi e sui mezzi a nostra disposizione per eliminare l’anomalia. In questo contesto, forse, faremmo bene a guardare al passato e a verificare attentamente se i ruoli che i vescovi hanno assunto, o si sono visti imporre, abbiano distorto l’immagine originale che avrebbero dovuto avere nell’esercizio del loro ministero episcopale così come fu loro affidato da Gesù Cristo stesso o come fu stabilito dagli Apostoli nella formazione delle Chiese e comunità apostoliche. Esercizio che è, in particolare, quello di ammaestrare e battezzare con autorità divina tutte le nazioni (cfr. Mt 28, 18 ss.), svolgere il ministero nell’amore di Gesù (cfr. Gv 21, 15 ss.), pascere il gregge di Dio più mediante l’esempio di vita che esercitando il proprio potere (cfr. 1 Pt 5, 1 ss.), coltivando le virtù cristiane in una vita di Fede (cfr. 1 Tm 5, 1 ss.). Vale anche la pena di verificare se noi nella Chiesa non ereditiamo per caso alcune immagini distorte dell’ufficio episcopale prodotte dai fattori culturali e sociopolitici che hanno influenzato l’assetto istituzionale della Chiesa in varie parti del mondo.

Nell’analizzare l’immagine del vescovo così come è plasmata dall’esercizio del suo ministero episcopale, potremmo sottolineare il ruolo significativo che nel processo riveste il nostro popolo. Effettivamente le sue concezioni, le sue convinzioni e le sue percezioni hanno un influsso considerevole sul processo di formazione dell’immagine del vescovo. Il ruolo del vescovo per e in mezzo al popolo dev’essere rilevante per il popolo stesso sia nella vita sulla terra, sia oltre.

Per quanto riguarda l’India, il nostro popolo - qualunque sia la razza, la lingua o la religione - ha a cuore un’immagine del vescovo come uomo di Dio, dotato di grande potenza spirituale, potremmo dire un uomo pieno di Spirito, molto al di sopra delle cose del mondo, capace di dominarne la forza e gli allettamenti, che spicca nettamente come testimonianza costante della presenza del divino nel mondo e per il mondo; un’immagine fedele soltanto a Gesù Cristo eppure accessibile ai suoi discepoli, che hanno ricevuto in abbondanza lo Spirito Santo e i suoi potenti doni.

[00216-01.04] [in178] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Victor Adibe CHIKWE, Vescovo di Ahiara (Nigeria)

In molte parti del mondo, e in particolare nelle Chiese più antiche dell’Occidente, vi è una notevole diminuzione delle vocazioni sacerdotali e religiose. D’alto canto, il numero di giovani che si sentono chiamati al sacerdozio sta aumentando. Molti lo definiscono "boom delle vocazioni". I paesi del terzo mondo, dove prevale tale crescita, hanno un alto tasso di natalità. Il motivo di tale aumento non è solo dato dalla povertà o dalla mancanza di lavoro, come qualcuno potrebbe pensare. In quelle aree, è possibile trovare numerose vocazioni nelle famiglie dei ceti medi. Ad ogni modo, Cristo ha reclutato i suoi apostoli tra i ceti umili della società. Le persecuzioni dei primi cristiani hanno contribuito alla diffusione del Vangelo. Allo stesso modo Dio può servirsi dei problemi dei rifugiati e delle difficoltà nei paesi poveri per sopperire ai bisogni spirituali delle Chiese più antiche.

È doloroso per un vescovo respingere molte vocazioni autentiche solo perché non ne ha bisogno. La Chiesa, rappresentata come famiglia di Dio, dovrebbe gioire dei doni dei suoi membri e trarne beneficio.

I vescovi delle aree in cui vi è carenza di vocazioni dovrebbero sentirsi liberi di rivolgersi ai loro fratelli nell’episcopato dove esistono molte vocazioni per chiedere aiuto, e al contempo aiutarli a formare questi sacerdoti. Questo significherebbe mettere veramente in pratica la comunione e la cooperazione nella missione. Ad gentes, Redemptoris missio e Ecclesia in Africa sono chiari a tale riguardo. Non dovrebbe rappresentare un deterrente il fatto che esistono dei casi in cui alcuni sacerdoti si rifiutano di tornare alle loro diocesi dopo avere studiato in Europa e in Nord America e altri sacerdoti finiscono nei guai. Non si dovrebbero perdere di vista i numerosi sacerdoti provenienti da paesi di missione che sono missionari in altri paesi del terzo mondo in Africa, in Asia e nelle isole caraibiche, vivendo in condizioni difficili.

Nei mezzi di comunicazione sembra esservi la tendenza a fare uscire da ogni proporzione e contesto i problemi dei sacerdoti nei territori di missione, spesso generalizzandoli. Ciò non fa bene all’immagine della Chiesa; è anzi un tentativo calcolato di rendere ridicola la Chiesa e la sua disciplina del celibato. Pur non scusando il cattivo comportamento di alcuni sacerdoti in Africa e altrove, occorre ribadire con forza che esistono moltissimi sacerdoti che mettono in pratica i consigli evangelici e rendono testimonianza alla fede.

[00217-01.04] [in179] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Paul K. BAKYENGA, Arcivescovo di Mbarara (Uganda)

Espongo le mie riflessioni ispirate ai numeri 24, 96 e 141 dell’Instrumentum laboris.

Il n. 24 dice: "In futuro, la Chiesa del terzo millennio vedrà un lento decentramento della presenza dei cattolici verso i paesi dell’Africa e dell’Asia, ove, come anche in America Latina, fioriscono giovani Chiese piene di fervore e di vitalità, ricche di vocazioni sacerdotali e religiose, che spesso vengono in aiuto alla scarsità di vocazioni in Occidente".

Si tratta di un’affermazione profetica che dà grande speranza alla Chiesa. Mentre il vecchio albero può veder scemare la propria vitalità, quella dei suoi giovani getti è o dovrebbe essere causa di gioia, poiché è da quel seme che i giovani germogliano. L’impegno missionario delle Chiese dell’Occidente durante il millennio appena conclusosi comincia lentamente a dare frutti per il Regno di Dio.

Al fine di impedire agli uccelli predatori dell’aria di raccogliere laddove non hanno seminato, i giovani, che sono oltre il 60 per cento delle popolazioni di quei paesi, devono ricevere una cura particolare. Essi sono il futuro della Chiesa e dell’umanità. Un ministro della speranza non può fare nulla di meglio che costruire il futuro con coloro ai quali è affidato.

Investire nei giovani, investire nelle giovani Chiese potrebbe essere una delle priorità dell’intera Chiesa in quanto famiglia di Dio nel terzo millennio.

Tuttavia, vi è un nuovo fenomeno che investe le popolazioni di queste giovani Chiese e la loro giovane popolazione. Parlo della minaccia dell’AIDS, per la quale ancora non esistono cure. Le giovani popolazioni di queste giovani Chiese sono particolarmente colpite da questa malattia. Vi è una generazione di orfani che stanno perdendo speranza nella vita dopo aver perduto i genitori a causa della pandemia di AIDS. Come pecorelle senza pastore, molti orfani, privi del sostegno dei genitori, si rivolgono a sette millenaristiche che ne sfruttano la credulità, con conseguenze terribili come è avvenuto a Kanungu, nell’Uganda sudoccidentale, nel marzo del 2000.

Nella situazione attuale, il vescovo, memore della sua funzione di padre e difensore dei poveri, deve essere vicino a questi orfani, così che essi possano almeno acquisire delle capacità utili per la loro vita futura.

Come lo storpio alla porta del Tempio (At 3), questi orfani guardano a noi mentre saliamo al Tempio e guardano alle nostre Chiese.

Al pari di Pietro e di Giovanni che vissero in quel tempo, potremo dare speranza ai giovani, specialmente agli orfani, se diremo loro: "Guardateci! Non possediamo né argento né oro, ma abbiamo Gesù, che è più grande di loro". Il Successore di Pietro ci ha detto in nome di Gesù: "Duc in altum". Investiamo quindi nei giovani, investiamo nelle giovani Chiese. Presto cresceranno e si uniranno a noi per lodare Dio.

[00218-01.04] [in180] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Marcello SEMERARO, Vescovo di Oria (Italia)

La comunione dei vescovi ha un valore enorme anche per quel compito d'annuncio e di comunicazione del Vangelo per la speranza del mondo, che il Papa ha assegnato come tema centrale di riflessione per quest'assemblea sinodale. Vorrei, in particolare, sottolineare che la prima forma di comunicazione e d'annuncio del Vangelo è appunto la comunione.

Tra comunione e comunicazione, in effetti, esiste di per sé una strettissima correlazione che, già intuita e anche descritta da S. Tommaso d'Aquino (come mostra lo studio dei suoi lemmi communio/comunicare/communicatio fatto con l'ausilio del Index Thomisticus preparato dal p. R. Busa S.J.), è oggi sempre più messa in risalto dagli studi antropologici e dalle scienze della comunicazione. Comunicazione, infatti, non è prima di tutto trasmissione di informazioni e di notizie, bensì, e più profondamente, ad un livello ontologico, apertura e dono di se all'altro. Cioè comunione.

Tutto questo può essere riportato al livello proprio della vita della Chiesa e riferito al compito, affidato da Gesù ai suoi Apostoli, di annunciare il Vangelo a tutte le creature sino ai confini della terra. Vorrei semplicemente affermare che si annuncia l'Evangelo non soltanto con la parola, ma anche con la comunione.

Per spiegarmi vorrei citare un passo dalla "Regola non bollata" di san Francesco d'Assisi, la cui figura così informata dalla vita apostolica è già stata rievocata in questa nostra Assemblea. Nel testo è scritto così: "I frati poi che vanno tra gli infedeli possono comportarsi tra loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio (cfr. 1Pt 2, 13) e confessino d'essere cristiani. L'altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio..." ( cap. 16).

Questa norma francescana, che mette in risalto la forza evangelizzante della fraternità, può essere applicata, ritengo, anche alla communio episcoporum e vorrei farlo con un'espressione di Paolo VI, che mi pare davvero pertinente: quando "opera concorde e unita", la collegialità episcopale gli appare "sospinta dal soffio dello Spirito, per dare una testimonianza a Cristo e al suo Vangelo, per continuare nel mondo lo slancio missionario della Redenzione, per irradiare la verità che, partita dal cuore del Padre, è brillata sul volto di Cristo... (cfr. 2Cor, 4, 6)" (Alloc. In questa fase del 24.05.1976).

[00219-01.04] [IN181] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Denis WIEHE, C.S.Sp., Vescovo coadiutore di Port Victoria (Isole Seychelles)

1) Santità e ministero episcopale

Sono stato consacrato vescovo molto recentemente, il 15 agosto, e nell’iniziare il mio ministero, ciò che più mi stimola è la testimonianza di tanti di coloro che ci hanno preceduto come successori degli Apostoli. Riflettendo e meditando sulla vita dei nostri predecessori mi colpisce molto un fatto: essi crescono in santità via via che svolgono il loro compito di insegnare, servire e soprattutto amare il Popolo di Dio cui sono stati inviati. E’ tramite l’esercizio del nostro ministero, e non al di fuori di esso, che ci santifichiamo. E mentre ci santifichiamo, entriamo ogni giorno, ogni anno più pienamente nel ministero che ci compete. Naturalmente, dobbiamo prenderci un po’ di tempo libero per la preghiera e per la nostra formazione permanente, per ri-centrare la nostra vita su Cristo, unico e solo Buon Pastore. Egli ci restituisce al nostro gregge rinvigoriti, e ci rammenta quanto instancabilmente Egli abbia provveduto al popolo, di cui aveva pietà perché era come un gregge senza pastore.

2) Ministero partecipativo

Leggiamo nel libro dell’Esodo, cap. 18, che dietro consiglio di suo suocero, Mosè scelse 70 anziani per aiutarlo nel compito di provvedere alle esigenze del popolo di Dio. Forse questo è il primo riferimento a quello che oggigiorno chiamiamo "ministero partecipativo". Via via che aumenta la richiesta del nostro tempo e delle nostre risorse, entrambi limitati, in un mondo ogni giorno più complesso, forse noi, come Mosè, dovremmo fare più attenzione a questo modello partecipativo di ministero, non soltanto da un punto di vista pratico, ma anche per ragioni più ecclesiologiche: vi sono altri, ministri sia ordinati sia istituiti, che condividono il nostro ministero pastorale e vanno associati ad esso.

3) Conferenze episcopali

La mia diocesi, Port-Victoria nelle Isole Seychelles, è una diocesi insulare. Al pari di molte altre diocesi simili, è piccola e isolata e le risorse umane sono limitate. In questa situazione, l’aiuto degli altri vescovi della Conferenza episcopale è di vitale importanza. La condivisione fra vescovi, il reciproco sostegno, come anche la collaborazione concreta attorno a progetti specifici, sono essenziali se vogliamo sviluppare la vita della Chiesa nella nostra regione del mondo. Lo sviluppo delle Conferenze episcopali nella Chiesa, a partire dal Concilio Vaticano II, è una benedizione, ed è con grande interesse che prenderò parte al dibattito intrapreso in questo Sinodo circa il loro sviluppo e il loro specifico status in quanto espressione della collegialità dei vescovi.

[00220-01.04] [in182] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Pablo Jaime GALIMBERTI DI VIETRI, Vescovo di San José de Mayo (Uruguay)

Parlando del ministero di governo del vescovo, l’Instrumentum laboris (nn. 117 ss.) afferma che "Una delle forme con le quali si esprime la carità pastorale, allora, è la compassione, a imitazione di Cristo".

Si tratta di una compassione intelligente, che "non può essere disgiunta dalla verità di Cristo", né rimanere svincolata dalla "legge canonica della Chiesa". L’autorità, secondo il Vangelo, abbraccia una duplice dimensione, materna e paterna. La dimensione materna corrisponde ad una capacità di empatia, mentre quella paterna consiste nella capacità di proporre la verità, determinare percorsi e stabilire norme di condotta.

Gesù si fece "vicinanza" del Padre. "Abba" è la massima sintesi di una grazia che noi discepoli di Cristo osiamo balbettare. Questo è il Vangelo della Speranza più vicina e piena, che fa esultare di gioia fino ai recessi più nascosti l’anima vuota e annoiata, sommersa dalla nausea o "di-vertita" nei miraggi della società dei consumi.

In questa "società senza padre" e con molteplici situazioni di "abbandono", il tema del nostro dibattito sinodale appare estremamente attuale e urgente. Chi non desidera l’abbraccio vigoroso di un padre, che invece di uno sguardo accusatorio sia disposto a far festa perché il figlio che era abbandonato è tornato a casa?

Troveranno gli "orfani" e gli "abbandonati" di questo mondo questa Speranza tramite il nostro ministero episcopale? Gesù prega specialmente per noi affinché facciamo nostra l’esperienza dei discepoli in cui dimora il suo Spirito: "Non vi lascerò orfani" (Gv 14, 18; cfr. Is 49, 14-15).

[00225-01.03] [in183] [Testo originale: spagnolo]

S.E.R. Mons. Martin ROOS, Vescovo di Timişoara (Romania)

Per quanto riguarda il tema "Il vescovo e la particolare cura per i sacerdoti" (Instrumentum laboris (86-88) è stata richiamata l’attenzione sul tentativo di sviluppare la formatio permanens nelle nostre diocesi, che abbiamo iniziato già due anni fa e grazie alla quale finora abbiamo fatto esperienze straordinariamente positive.

La nostra diocesi è piccola, con un centinaio di sacerdoti per 70 parrocchie. I sacerdoti della diocesi, sia diocesani che religiosi, trascorrono ogni anno una settimana intera al vescovado. Pregno, mangiano e celebrano l’Eucaristia con il loro vescovo, che è a loro disposizione anche per colloqui comunitari o personali. In tal modo essi fanno esperienza di comunità con i confratelli che lavorano allo stesso Regno di Dio e lottano contro le medesime difficoltà.

Il programma concreto prevede per il primo anno conferenze di argomento pastorale-liturgico, che il vescovo stesso tiene ai suoi sacerdoti. Il secondo anno gli stessi sacerdoti organizzano il proprio programma, mentre la celebrazione dell’Eucaristia e della liturgia delle ore, come pure i pasti, restano in comune. La biblioteca teologica più importante è disponibile per lo studio in una sala di lettura. Noi chiamiamo le settimane del primo anno "settimana di clausura", quelle del secondo anno "settimana sabbatica".

I singoli gruppi vengono messi insieme dall’ordinariato episcopale in base ad opzioni. Durante i mesi estivi i seminaristi stanno a casa. Fa parte del programma anche una visita al vescovo emerito.

Per concludere vorrei trasmettere una supplica ai confratelli della nostra Conferenza episcopale. Accade sempre più spesso che sacerdoti del nostro paese, soprattutto in Europa occidentale, cerchino di essere incardinati in queste diocesi, senza che il loro Ordinario ne sia al corrente. Vi preghiamo di prendere contatto con noi prima di prendere una decisione in questo senso.

[00241-01.04] [in184] [Testo originale: tedesco]

S.B.Em. Card. Stéphanos II GHATTAS, C.M., Patriarca di Alessandria dei Copti (Egitto)

Anche se, dopo l’entusiasmo degli anni successivi al Vaticano II, il Dialogo ecumenico in apparenza non risponde sufficientemente alle aspettative del popolo cristiano, è pur vero che molto è stato fatto in questo campo, con molti Cuori pieni di speranza.

Oltre a ciò che ogni vescovo tenta di fare in questo senso nella sua Eparchia - e ciò che fa il Consiglio delle Chiese del vicino Oriente, di cui fa parte la Chiesa Cattolica, il nostro simposio annuale dei sette Patriarchi cattolici d’Oriente invita i nostri fratelli Patriarchi Ortodossi - greco, siro, e armeno - a una giornata di incontro fraterno, e loro rispondono ben volentieri. Molti punti pastorali sono stati regolati (Battesimo, matrimonio, insegnamento del catechismo) e alcuni problemi che ci dividevano sono stati risolti. Il dialogo di vita è stato instaurato tra i Capi e i fedeli delle diverse Chiese Cattoliche e Ortodosse. Inoltre, nella nostra ultima riunione annuale che si è svolta il mese scorso, i nostri fratelli Patriarchi Ortodossi hanno insistito affinché si tenga durante l’anno un’altra riunione fraterna.

Certo, la questione del Primato del Sommo Pontefice di Roma resta uno scoglio per i nostri fratelli Ortodossi. Ma noi preghiamo e riponiamo tutta la nostra fiducia nell’opera dello Spirito Santo, e conserviamo la viva speranza che il Santo Padre Giovanni Paolo II, che chiede umilmente di essere aiutato nel compito petrino di guidare la Chiesa in queste questioni ecumeniche così delicate, trovi una conclusione giusta ed equa affinché, come Cristo, il Buon Pastore, Egli possa "riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Gv. 11,52).

[00242-01.05] [in185] [Testo originale: francese]

S.E.R. Mons. John Olorunfemi ONAIYEKAN, Arcivescovo di Abuja, Presidente della Conferenza Episcopale (Nigeria)

Vorrei richiamare l’attenzione di questa augusta assemblea sulle sfide di dialogo e collaborazione con popoli di fede islamica, che nascono dall’esperienza dei vescovi della Nigeria.

I Vescovi dell’Africa, riuniti in Sinodo dal Papa nel 1994, hanno affermato che in Africa l’Islam rappresenta un difficile ma necessario partner nel dialogo. Ritengo che ciò sia vero anche per la Chiesa universale, come hanno messo in luce i recenti clamorosi avvenimenti in modo tanto potente e tragico. L’Islam è adesso in prima linea nell’attenzione mondiale.

A livello di Chiesa mondiale, è stata riservata una notevole attenzione al mondo islamico. Il Santo Padre, soprattutto nel corso delle sue visite pastorali in molte parti del mondo, sostenuto dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ha svolto un’opera meravigliosa per promuovere il dialogo cristiano-musulmano. Tuttavia queste iniziative al massimo livello devono essere completate, mediate e confermate da un’azione opportuna a livello locale.

Nella maggior parte dei paesi, esiste un certo grado di presenza dell’Islam. In alcune nazioni è predominante e domina. Ai paesi che sembrano aver fatto dell’intolleranza religiosa e del fanatismo la base della politica di stato, non dovrebbe essere consentito di continuare ad agire indisturbati nell’aperta violazione dei diritti umani in nome della religione.

Il nostro Paese, la Nigeria, presenta una situazione privilegiata di dialogo e collaborazione cristiano-musulmana, con la nostra popolazione di circa 120 milioni di anime egualmente ripartite tra cristiani e musulmani. La maggior parte del tempo viviamo effettivamente in pace e armonia reciproche, mentre affrontiamo la sfida di costruire una nazione libera, giusta e prospera.

Si presentano tuttavia ogni tanto situazioni in cui i conflitti scoppiano e talvolta sono violenti e sanguinosi. Tali difficoltà sorgono soprattutto per due ragioni: gli sfoghi verbali e le attività di fanatici, da entrambe le parti, e la manipolazione dei politici che abusano della religione per scopi egoistici. Il tentativo di imporre la Sharia come legge dello stato è uno di questi casi. La nostra risposta a tutte queste sfide consiste nell’approfondimento della fede, nel dialogo paziente e nell’impegno a perseguire il bene comune. Siamo pienamente fiduciosi che, con la grazia di Dio e nonostante tutto, potremmo ancora fare della nostra nazione un modello di comunità cristiano-musulmana armoniosa e giusta, che sia di esempio per il mondo.

[00243-01.05] [in186] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Philippe OUÉDRAOGO, Vescovo di Ouahigouya (Burkina Faso)

1) La Chiesa - Famiglia di Dio, fermento del mondo nuovo

Dopo l’Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi convocata nel 1994 da Papa Giovanni Paolo II, le diocesi del Burkina, nella scia della dinamica della solidarietà pastorale organica, di comunione ecclesiale e di cooperazione missionaria, si sono messe in marcia tra il 1997 e il 2000 per celebrare ognuna il proprio Sinodo diocesano. Questa iniziativa collegiale, animata dalla ferma convinzione di appartenere alla stessa Chiesa-Famiglia di Dio, si è conclusa con la celebrazione di un Sinodo interdiocesano nazionale da cui è uscito questo orientamento pastorale: La Chiesa - Famiglia di Dio, fermento del mondo nuovo.

In un’ecclesiologia di comunione e di missione, si tratta di edificare una Chiesa di tipo familiare attraverso la struttura della comunità cristiana di base (C.C.B.) deificata sul modello della Ss. Trinità, delle prime comunità degli Atti degli Apostoli e dei valori positivi della famiglia africana.

"La Chiesa non può crescere se non rafforzando la comunione tra i suoi membri, a cominciare dai suoi Pastori" (Ecclesia in Africa, n.17). Tenendo conto di questa lungimirante affermazione del Santo Padre, le due principali Conferenze dell’Africa Occidentale, vale a dire l’AECAWA (anglofona) e la CERAO (francofona) si sono incontrate a Ouagadougou dal 16 al 19 novembre 2000 sul tema: "Edificare la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa Occidentale: sfide e risorse alle soglie del terzo millennio".

I vescovi della regione del sud hanno celebrato e riaffermato la loro comunione e hanno posto le basi per unirsi e affrontare insieme le molteplici e complesse sfide dell’Africa: cooperazione missionaria, integrazione regionale, promozione della pace, della solidarietà e della fraternità.

2) Il vescovo, speranza per il mondo nuovo

Per far emergere il mondo nuovo, occorre certamente aprire dei cammini d’evangelizzazione, ma occorre anche reperire degli agenti apostolici ben formati, numerosi e santi. Da qui l’importanza della pastorale vocazionale: sostegno ai seminari maggiori e minori per la formazione dei futuri sacerdoti, per la formazione e la vita dei catechisti... A questo fine, la cooperazione tra Chiese è estremamente necessaria.

Inoltre, la solidarietà nell’ambito della Chiesa - Famiglia di Dio è urgente per favorire il progressivo autofinanziamento delle Chiese più povere.

...Una simile prospettiva sarebbe illusoria se i cristiani, a cominciare dai pastori, non facessero propria la Forza della Buona Novella... La Forza d’amare...

"Si può esagerare in tutto, salvo nell’Amore" (Charles de Foucauld)

[00227-01.04] [in187] [Testo originale: francese]

AVVISI

"BRIEFING" PER I GRUPPI LINGUISTICI

L’ottavo "briefing" per i gruppi linguistici avrà luogo domani mercoledì 10 ottobre 2001 alle ore 13.10 (nei luoghi di briefing e con gli Addetti Stampa indicati nel Bollettino N. 2).

Si ricorda che i Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) sono pregati di rivolgersi al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali per il permesso di accesso (molto ristretto).

"POOL" PER L’AULA DEL SINODO

L’ottavo "pool" per l’Aula del Sinodo sarà formato per la preghiera di apertura della Sedicesima Congregazione Generale di giovedì mattina 11 ottobre 2001.

Nell’Ufficio Informazioni e Accreditamenti della Sala Stampa della Santa Sede (all’ingresso, a destra) sono a disposizione dei redattori le liste d’iscrizione al pool.

Si ricorda che i Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) e fotoreporters sono pregati di rivolgersi al Pontificio Consiglio per le Comunicazione Sociali per la partecipazione al pool per l’Aula del Sinodo.

Si ricorda che i partecipanti al pool sono pregati di trovarsi alle ore 08.30 nel Settore Stampa, allestito all’esterno di fronte all’ingresso dell’Aula Paolo VI, da dove saranno chiamati per accedere all’Aula del Sinodo, sempre accompagnati da un ufficiale della Sala Stampa della Santa Sede, rispettivamente dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali.

BOLLETTINO

Il prossimo Bollettino N. 17, riguardante i lavori della Quattordicesima Congregazione Generale dell’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi di questo pomeriggio, sarà a disposizione dei Signori giornalisti accreditati, domani mattina mercoledì 10 ottobre 2001, all’apertura della Sala Stampa della Santa Sede.

 

 
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- Indice Bollettino Synodus Episcoporum - X Assemblea Generale Ordinaria - 2001
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- Indice Sala Stampa della Santa Sede
 
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