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SYNODUS EPISCOPORUM
BOLLETTINO

XI COETUS GENERALIS ORDINARIUS
SYNODI EPISCOPORUM
2-23 octobris 2005

Eucharistia: fons et culmen vitae et missionis Ecclesiae


Questo Bollettino è soltanto uno strumento di lavoro ad uso giornalistico.
Le traduzioni non hanno carattere ufficiale.


Edizione plurilingue

14 - 08.10.2005

SOMMARIO

♦ COMMEMORAZIONE DEL XL ANNIVERSARIO DELL’ISTITUZIONE DEL SINODO DEI VESCOVI

Questo pomeriggio, sabato 8 ottobre 2005, alla ore 16.30, con la preghiera dell’Adsumus, ha avuto inizio la Speciale Congregazione Generale per la Commemorazione del XL Anniversario dell’Istituzione del Sinodo dei Vescovi.

In apertura, il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi,S.E.R. Mons. Nikola ETEROVIĆ ha introdotto i lavori con il seguente discorso:

Sinodo dei Vescovi:espressione privilegiata della collegialità episcopale

Beatissimo Padre, Venerabili Padri Sinodali, Carissimi Fratelli e Sorelle.

È una grande grazia di Dio Uno e Trino celebrare il 40° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi nel corso di un’Assemblea sinodale. Tale provvidenziale coincidenza situa i partecipanti a questo atto commemorativo in medias res. Infatti, è superfluo descrivere dettagliatamente l’attività sinodale a coloro che vi stanno prendendo parte attivamente.

Tuttavia il 40mo anniversario del Sinodo dei Vescovi è un’occasione per approfondire la natura teologica e giuridica di questa istituzione che, nata nel Concilio Vaticano II, ha cercato di mantenerne lo spirito e la metodologia di lavoro adattata alle sue proprietà. Non entrando nei risultati concreti, tema che oltrepassa queste parole d’occasione, per 4 decadi, il Sinodo dei Vescovi ha avuto il grande merito di sviluppare la dimensione sinodale del corpus episcoporum, di fomentare la collegialità episcopale tra i Vescovi e con il Santo Padre, Vescovo di Roma e Capo del collegio stesso in un ambiente di profonda comunione ecclesiale. Nelle Assemblee sinodali si sperimenta la vera collegialità episcopale, anche se in modo diverso che nei concili ecumenici.

Prima di ascoltare la parola degli Em.i Oratori, vorrei indicare alcuni dati statistici concernenti il Sinodo dei Vescovi.

Istituito il 15 settembre 1965, il Sinodo dei Vescovi ha finora avuto 4 Presidenti, quattro Pontefici: Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Sua Santità Benedetto XVI sta presiedendo per la prima volta un Sinodo dei Vescovi. Durante il breve pontificato, Giovanni Paolo I non ha praticamente avuto modo di esercitare l’ufficio di Presidente del Sinodo. Pertanto, Paolo VI e Giovanni Paolo II sono due Romani Pontefici che hanno segnato la storia del Sinodo dei Vescovi. Di 11 Assemblee Generali Ordinarie, finora celebrate, 4 hanno avuto luogo nel corso del Pontificato del Servo di Dio Paolo VI, rispettivamente nel 1967, nel 1971, nel 1974 e nel 1977. Lo stesso Pontefice ha tenuto 1 Assemblea Generale Straordinaria nel 1969.

Per numero di assemblee sinodali celebrate, il Servo di Dio, Giovanni Paolo II può essere denominato il Papa del Sinodo. Egli ha presieduto 6 Assemblee Generali Ordinarie, nel 1980, nel 1983, nel 1987, nel 1990, nel 1994 e nel 2001; 1 Assemblea Generale Straordinaria, nel 1985, e 8 Assemblee Speciali: 1980 per l’Olanda; 1991 I per l’Europa; 1994 per l’Africa; 1995 per il Libano; 1997 per l’America; 1998 per l’Asia; 1998 per l’Oceania e 1999 II per l’Europa.

Nella sua ormai insigne storia, il Sinodo dei Vescovi ha avuto 4 Segretari Generali: dal 1967 al 1979 Sua Eccellenza Mons. Ladislao Rubin; dal 1979 al 1985 Sua Eccellenza Mons. Jozef Tomko; dal 1985 al 2004 Sua Eminenza il Card. Jan Pieter Schotte, C.I.C.M., dal 1985 al 2004. Dall’11 febbraio 2004, tale ufficio è ricoperto da Sua Eccellenza Mons. Nikola Eterović.

Risultato delle esperienze sinodali sono state, tra l’altro, 8 Esortazioni Apostoliche post-Sinodali: l’Evangelii nuntiandi; Catechesi tradendae; Familiaris consortio; Reconciliatio et paenitentia; Christifideles laici; Pastores dabo vobis; Vita consecrata e Pastores gregis.

Occorre, poi, menzionare le 6 Esortazioni Apostoliche post-Sinodali delle Assemblee Speciali: Ecclesia in Africa; Una speranza nuova per il Libano; Ecclesia in America; Ecclesia in Asia; Ecclesia in Oceania; Ecclesia in Europa.

I menzionati documenti hanno avuto un grande influsso sulla vita della Chiesa Cattolica.

In tutte le 21 Assemblee sinodali hanno partecipato 3.972 padri, di cui in 11 Assemblee Generali Ordinarie 2.474, in 2 Assemblee Generali Straordinarie 311 e in quelle Speciali 1.187. Il numero più ridotto riguarda il Sinodo per l’Olanda con 19 padri sinodali. Il numero più elevato si riferisce all’attuale 11a Assemblea Generale Ordinaria con 256 padri sinodali.

Il Sinodo dei Vescovi ha avuto il privilegio che due cardinali Relatori Generali delle Assemblee Generali Ordinarie, rispettivamente del 1974 e del 1980, siano diventati Pontefici. Si tratta dell’Em.mo Card. Karol Wojtyła e, poi, di Sua Eminenza il Card. Joseph Ratzinger.

Nei 40 anni il Sinodo dei Vescovi ha conosciuto varie modifiche nella metodologia di lavoro. In quest’assemblea stiamo sperimentando l’ultima, fatta secondo le sagge indicazioni del Santo Padre Benedetto XVI, che ha grande esperienza sinodale.

Il Sinodo dei Vescovi è al servizio della comunione ecclesiale attraverso il collegio episcopale che ha per capo il Vescovo di Roma. Come la Chiesa è sempre viva e giovane, per la grazia dello Spirito Santo, così anche il Sinodo dei Vescovi rimane aperto all’ispirazione dello Spirito del Signore risorto e presente nella Sua Chiesa, soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, per la gloria di Dio Padre e la salvezza del mondo.

Il segno tangibile della giovinezza del Sinodo è pure il fatto che oltre la metà dei padri sinodali dell’XI Assemblea Generale Ordinaria partecipa per la prima volta ad un’assemblea sinodale. È un segno di speranza per il futuro della Chiesa che, nonostante le avversità di varia indole, piena di fiducia nella divina provvidenza, continua a svolgere la missione affidatale dal Signore Gesù: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo” (Mt 28, 19).

Quindi, sono state presentate in Aula le seguenti relazioni e comunicazioni:

I. RELAZIONI

● Il Sinodo dei Vescovi compie 40 anni - Aspetti teologici del Sinodo dei Vescovi
S.Em.R. Card. Jozef TOMKO, Prefetto emerito della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, Presidente del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali

● Quattro decenni di sviluppo istituzionale - Aspetti giuridici del Sinodo dei Vescovi
S.Em.R. Card. Péter ERDÖ, Arcivescovo di Esztergom-Budapest


II. COMUNICAZIONI

● Il Sinodo Particolare per Batavia - Assemblea Speciale per i Paesi Bassi
S.Em.R. Card. Adrianus SIMONIS, Arcivescovo di Utrecht (Membro dell'Assemblea sinodale)

● Convocation of the Special Assembly -Assemblea Speciale per l'Africa
S. E. R. Mons. Paul VERDZEKOV, Arcivescovo di Bamenda (Membro dell'Assemblea sinodale e del Consiglio postsinodale)

● Le Synode des Évêques dans son Assemblée Speciale pour le Liban - Assemblea Speciale per il Libano
S.E.R. Mons. Cyrille Salim BUSTROS, M.S.S.P., Eparca di Newton, Stati Uniti d'America (Relatore Generale dell'Assemblea sinodale e membro del Consiglio postsinodale)

● Frutos del Sínodo de América - Assemblea Speciale per l'America
S.Em.R. Card. Juan SANDOVAL IÑIGUEZ, Arcivescovo di Guadalajara (Relatore Generale dell'Assemblea sinodale e membro del Consiglio post-sinodale)

● Some positive results of the Special Assembly for Asia of the Synod of Bishops - Assemblea Speciale per l'Asia
S.Em.R. Card. Paul SHAN KUO-HSI, S.I., Vescovo di Kaohsiung (Relatore Generale dell'Assemblea sinodale e membro del Consiglio post-sinodale)

● The Special Assembly of the Synod of Bishops for Oceania - Assemblea Speciale per l'Oceania
S.E.R. Mons. John Atcherley DEW, Arcivescovo di Wellington (Membro dell'Assemblea Speciale) legge il testo del Cardinale Thomas S. Williams, Arcivescovo emerito di Wellington (Presidente delegato dell’Assemblea Speciale)

● II Assemblea Especial para Europa del Sínodo de los Obispos - I e II Assemblea Speciale per l'Europa
S. Em. R. Card. Antonio Maria Rouco V ARELA, Arcivescovo di Madrid (Relatore Generale della II Assemblea Speciale e membro del Consiglio post-sinodale)


Pubblichiamo qui di seguito il testo integrale delle relazioni e comunicazioni presentate in Aula:

I. RELAZIONI

● Il Sinodo dei Vescovi ha 40 anni - Aspetti teologici del Sinodo dei Vescovi
S.Em.R. Card. Jozef TOMKO, Prefetto emerito della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli; Presidente del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali


Introduzione

Il Sinodo dei Vescovi ha compiuto quarant'anni. Paolo VI lo ha annunciato nella sua allocuzione all'inizio dell 'ultima sessione del Concilio Vaticano II e lo istituì con il motu proprio "Apostolica sollicitudo" del 15 settembre 1965. Da allora, esso è ormai entrato nella vita della Chiesa cattolica come un organismo vivo che esprime, qualifica e anima la vita della Chiesa. Oggi ringraziamo Dio per la sua esistenza.
Sono stato chiamato dalla fiducia del Santo Padre Benedetto XVI, su proposta dell'Eccellentissimo Segretario Generale, a commemorare questo anniversario illustrando gli aspetti teologici del Sinodo dei Vescovi. Ringrazio per la gradita designazione che è per me non solo un onore ma soprattutto un'occasione di rendere la personale testimonianza della vitalità dell'istituto sinodale, come l'ho sperimentata nei lunghi anni. Ho potuto assistere alla prima assemblea generale del Sinodo nel 1967 come uno dei cinque segretari speciali. Nel luglio 1979 il giovane Papa Giovanni Paolo II mi ha chiamato a sostituire il primo Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, Mons. Wladyslaw Rubin, nominato Cardinale. In sei anni di attività ho potuto organizzare sotto la personale guida dell'amato Pontefice due Assemblee generali (sul matrimonio e la famiglia e sulla riconciliazione e la penitenza) e l'Assemblea particolare per l'Olanda, lanciando la preparazione di due altre Assemblee: quella generale ordinaria sui laici e l'altra straordinaria sugli adempimenti del Concilio Vaticano II. Nell 'aprile del 1985 ho passato le redini della Segreteria Generale del Sinodo al compianto Cardinale Jan Schotte, ma in seguito ho potuto assistere quale Prefetto del Dicastero missionario a tutte le Assemblee sinodali, con funzione di Presidente Delegato per l'Assemblea speciale per l'Asia.
Mi sia concessa venia se menziono queste esperienze per poter di più corroborare la mia gioiosa testimonianza sul Sinodo dei Vescovi. Il tempo assegnatomi mi obbliga ad essere fin troppo sintetico sull'istituzione sinodale che concentra varie realtà teologiche, in specie ecclesiologiche. Dividerò il discorso in seguenti temi: 1° Fonti, origine e sviluppi del Sinodo dei Vescovi, 2° Struttura e finalità, 3° Basi ecclesiologiche: communio e collegialitas, 4° Rappresentanza dell'intero Episcopato, 5° Il voto collegiale al Sinodo, 6° Conclusione.

1. Fonti, origine e sviluppi del Sinodo dei Vescovi

Come ha rilevato Giovanni Paolo II, il Sinodo dei Vescovi è germogliato nel fertile terreno del Concilio Vaticano II ed ha potuto vedere il sole grazie alla sensibile mente di Paolo VI. Pur avendo qualche limitata analogia con altre forme collegiali come i sinodi romani, medievali, regionali, patriarcali, il "sobor" e il "synodos endemousa" delle chiese orientali, il Sinodo dei Vescovi è un'istituzione nuova, diversa da queste forme e anche dal Concilio Ecumenico (1).
Paolo VI ha colto un'imprecisa idea, che girava nell'ambiente conciliare, di un consiglio stabile dei Vescovi che affiancasse il Papa e la Curia Romana nel reggere la Chiesa universale, e nell'aprire l'ultima sessione del Concilio Vaticano II ha, in data 15 settembre 1965, con il motu proprio "Apostolica sollicitudo" solennemente istituito il Sinodo dei Vescovi, per "rafforzare con più stretti vincoli la Nostra unione con i Vescovi,... affinchè non Ci venga a mancare il sollievo della loro presenza, l'aiuto della loro prudenza ed esperienza, la sicurezza del loro consiglio, l'appoggio della loro autorità", nonché "per dare ai medesimi la possibilità di prendere parte in maniera più evidente e più efficace alla Nostra sollecitudine per la Chiesa universale"(2). Dopo questa introduzione, Paolo VI ha dato in 12 articoli un solido impianto teologico e giuridico al nuovo istituto sulle basi dei decreti conciliari già approvati.
Il Sinodo dei Vescovi ha potuto trovare ancora la menzione nei due Decreti votati nella susseguente ultima sessione del Vaticano II, e cioè nel Decreto sui Vescovi "Christus Dominus", al n.5, e in quello sulle missioni "Ad Gentes", al n.29.
Giovanni Paolo II, che si riteneva "cresciuto nel Sinodo" (3), ne ha approfondito la teologia, consolidata l'autonomia, accresciuta l'autorità e collegialità. Membro di tutte le Assemblee sinodali, presente in tutte da Arcivescovo o da Papa, salvo in una (per solidarietà con il Cardinale Wyszynski, impedito dal governo), relatore al Sinodo del 1974, Egli ha elaborato un'elevata "visione" teologica e giuridica sull'istituzione sinodale ed ha voluto sottolinearne l’autorità collegiale anche nel titolo delle Esortazioni apostoliche con l'aggiunta "post-sinodali". Già nel 1972 il giovane Arcivescovo Karol Wojtyla ha pubblicato sul settimanale cattolico "Tygodnik powszechny" un lungo e penetrante studio teologico sul Sinodo dei Vescovi (4) che è stato tradotto in italiano nel 1980 (5). In prossimità del ventennio del Sinodo il Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo ha dedicato cinque giorni, dal 26 al 30 aprile 1983, allo studio della natura e del funzionamento del Sinodo (6). Alla fine della riunione il Papa ha rivolto ai partecipanti un denso discorso che è una profonda sintesi del suo pensiero. In esso accenna alle tre fasi del Sinodo dei Vescovi: preparativa, assembleare e la terza che chiama "post-sinodale" e individua nell' applicazione concreta che viene data alle conclusioni sinodali. Più tardi, nel 1994, il Sinodo speciale, continentale, sull' Africa gli ha fornito l'occasione per considerare come terza fase, - cioè "celebrativa" come l'ha chiamata -, la solenne consegna delle conclusioni alle particolari chiese direttamente interessate.
Un ulteriore sviluppo si è avuto con il nuovo Codice di Diritto Canonico nel 1983, che tratta succintamente del Sinodo dei Vescovi nei canoni 342-348, rimandando per i dettagli al "diritto peculiare", cioè al motu proprio "Apostolica sollicitudo" (AS) e al Regolamento del Sinodo dei Vescovi.

2. Struttura e finalità del Sinodo

Riprendendo quasi letteralmente il voto espresso nel Decreto del Concilio Vaticano II "Christus Dominus" (num.5), Paolo VI ha istituito il Sinodo come " consiglio permanente di Vescovi per la Chiesa universale", soggetto direttamente al Papa, ed ha precisato la sua natura come:
"a) un'istituzione ecclesiastica centrale, b) rappresentante tutto l'episcopato cattolico, c) perpetua per su natura" (AS, art.I). Le finalità sono descritte nell'art.II dell'AS. Nell'art.III viene assegnata al Sinodo la sua funzione: "Al Sinodo dei Vescovi spetta per sua natura il compito di dar informazioni e consigli. Potrà anche godere di potestà deliberativa, quando questa gli sia stata conferita dal Romano Pontefice, al quale spetta in tal caso ratificare le decisioni del Sinodo".
Il nuovo Codice di Diritto Canonico delimita la struttura e le fmalità del Sinodo nei primi due dei sette canoni. Nel can.342 ne presenta quasi una definizione giuridico-teologica: "Il Sinodo dei Vescovi è un' Assemblea dei Vescovi i quali, scelti dalle diverse Regioni dell'orbe, si riuniscono in tempi determinati per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi stessi, e per prestare aiuto con il loro consiglio al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi, nell'osservanza e nel consolidamento della disciplina eccleiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo". Voglio notare che il Decreto del Concilio Vaticano II Ad Gentes" attribuisce al Sinodo il compito poco menzionato nella prassi di "seguire con particolare sollecitudine l'attività missionaria" (AG,n.29). Il can.343 stabilisce: "Spetta al Sinodo dei Vescovi discutere sulle questioni proposte ed esprimere dei voti, non però dirimerle ed emanare decreti su tali questioni, a meno che in casi determinati il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso ratificare le decisioni del Sinodo, non gli abbia concesso potestà deliberativa".
Queste descrizioni sono essenziali anche sotto l’aspetto teologico.

3. Basi teologiche: communio e collegialitas.

Come si colloca l'istituzione del Sinodo dei Vescovi nella Chiesa? Su quali basi teologiche ed in specie ecclesiologiche poggia?
Paolo VI nel Documento costitutivo del Sinodo lo definisce come "uno speciale consiglio permanente di sacri pastori" e parla genericamente della "viva unione (del Papa) con i Vescovi", sperimentata durante il Concilio che potrebbe portare anche dopo il Concilio al popolo cristiano la larga abbondanza di benefici" (7). Senza menzionare espressamente la collegialità, egli la utilizza nel significato elaborato nella Costituzione dogmatica "Lumen Gentium" e nella "Nota praevia".
Giovanni Paolo II trova la fondazione teologica del Sinodo dei Vescovi remotamente nell 'unità della Chiesa che si esprime concretamente e dinamicamente nella vita di comunione tra le singole chiese locali, e di collegialità tra tutti i Vescovi, incluso in particolare quello di Roma. Le due realtà intimamente collegate, la comunione e la collegialità, tornano continuamente nei suoi discorsi sul Sinodo, ma con particolare vigore e rigore nell' Allocuzione al Consiglio della Segreteria Generale del 30 aprile 1983. Egli afferma: "Il Sinodo è lo strumento della collegialità ed un potente fattore della comunione...Si tratta di uno strumento efficace, agile, tempestivo, puntuale a servizio di tutte le chiese locali e della collegialità" (8). L'unità dinamica ossia la "communio" ecclesiale è per Giovanni Paolo II l'ultimo fondamento in cui si radica il Sinodo dei Vescovi che sorge come un'esigenza dell'unità e della comunione. Ma allo stesso tempo il Sinodo, una volta esistente e funzionante, diventa uno strumento che trova nell'unità e nella comunione ecclesiale la sua più profonda finalità. Attraverso la viva collegialità dei Vescovi, compreso quello di Roma, il Sinodo dei Vescovi raggiunge la comunione dei fedeli tutti nelle chiese particolari.
La ricca visione del Sinodo dei Vescovi del grande Papa parte quindi dalla esigenza della comunione e tocca una delle note fondamentali della Chiesa e cioè la sua unità, esigenza nella quale questo Organismo trova le sue radici ultime e ad essa contribuisce. Ma la base immediata della "sinodalità" è la collegialità, o come Egli si esprime nella prima Enciclica "Redemptor hominis ", "il principio della collegialità"(9). Per Giovanni Paolo II il Sinodo dei Vescovi è "un'espressione particolarmente fruttuosa e lo strumento della collegialità" (lO), ed anche "un'espressione privilegiata della collegialità episcopale, con la quale i pastori delle diocesi partecipano con il Vescovo di Roma alla sollecitudine per tutte le chiese" (11).
Però di quale collegialità parlava Giovanni Paolo II e parliamo noi in rapporto al Sinodo dei Vescovi? Come è ben noto, il Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica "Lumen Gentium" e nella "Nota praevia" parlano del Collegio dei Vescovi e del suo potere nel senso di una stretta collegialità. Come si esprime Giovanni Paolo II, "tutti i Vescovi della Chiesa con a capo il Vescovo di Roma, successore di Pietro, "perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità" (LG,23) dell 'episcopato, formano il collegio che succede a quello apostolico con a capo Pietro. La solidarietà che li lega e la sollecitudine per l'intera Chiesa si manifestano in sommo grado quando tutti i Vescovi sono radunati "cum Petro et sub Petro" nel Concilio ecumenico. Tra il Concilio e il Sinodo esiste evidentemente una differenza qualitativa, ma, ciò nonostante, il Sinodo esprime la collegialità in maniera altamente intensa seppur non uguale a quella realizzata dal Concilio" (12).
Secondo il Concilio Vaticano II il Collegio dei Vescovi "esercita la potestà sulla Chiesa universale anche mediante l'azione congiunta dei Vescovi sparsi nel mondo, se essa come tale è indetta o liberamente recepita dal Romano Pontefice, così che si realizzi un vero atto collegiale" (CJ.C., can.337, §2 e LG,22). Il Concilio ammette tuttavia, oltre la collegialità nel senso stretto anche altre forme di collegialità nel senso più largo. Giovanni Paolo II si muove nel contesto di questa collegialità che si può applicare, con varia gradualità e intensità, a diverse forme in cui può trovare la sua espressione "l' affectus collegialis" (che non è un semplice sentimento!) dei gruppi più ristretti dei Vescovi, come per esempio il Collegio cardinalizio, le Conferenze episcopali e altre strutture collegiali a carattere internazionale o continentale (cfr. Enc. “Redemptor hominis”, 5).

4. Il Sinodo dei Vescovi come rappresentanza dell'intero episcopato

Ma come si deve allora intendere la qualità attribuita da Paolo VI nello stesso Documento costitutivo al Sinodo dei Vescovi come "rappresentante di tutto l’episcopato cattolico" (AS, art.I) e come si spiega alla luce del Decreto conciliare "Christus Dominus" la natura collegiale del Sinodo dei Vescovi "che rappresentando tutto l'episcopato cattolico, insieme dimostra che tutti i Vescovi sono partecipi, in gerarchica comunione, della sollecitudine della Chiesa universale" (CD, 5) ? L'inciso, per di più, è stato omesso nella descrizione strettamente giuridica del Sinodo nel Codice di Diritto Canonico (del 1983), can.342. Nel primo ventennio si discuteva se i Vescovi partecipanti con il Papa al Sinodo rappresentassero l'intero episcopato cattolico, ossia il collegio dei Vescovi nel senso proprio, oppure soltanto nel senso morale. Nel primo caso il Sinodo potrebbe agire a nome del Collegio episcopale ed avere il potere deliberativo per sua natura (suapte natura). Nel secondo caso bisogna intendere questa rappresentanza nel senso che attraverso i Vescovi scelti e partecipanti viene rispecchiata la composizione dell'intero episcopato anche nella sua distribuzione geografica, per cui questo gruppo di Vescovi al Sinodo non può avere il potere deliberativo di per sé ma solo per delega del Papa.
Il vero significato dell'inciso è stato chiarito nel senso morale-teologico e non nel senso proprio giuridico sulla base degli Atti del Concilio Vaticano II, ed in specie della Relazione del Vescovo Mons.J.Gargitter, Relatore per questa parte del Decreto "Christus Dominus". Anche la Costituzione dogmatica "Lumen Gentium" esclude ai singoli Vescovi la possibilità di decidere con atti di giurisdizione sulle altre chiese particolari (LG, 23), ciò che vale pure per i gruppi di Vescovi. La loro sollecitudine riguarda la promozione e la difesa dell'unità della fede e della disciplina comune, la propagazione della fede e l'amore per tutto il Corpo mistico, in specie per le membra povere, sofferenti e perseguitate (Cfr.ibid.). La rappresentanza dell'intero episcopato cattolico al Sinodo deve essere intesa in tal senso. Non si vede come questa "rappresentanza" sia di tale natura da poter - senza un ricorso speciale ai poteri primaziali petrini- essere considerata capace di un atto strettamente collegiale dell'intero collegio, oppure vincolare l'intero collegio e tutta la Chiesa. Né si vede come il Sinodo con tali poteri deliberativi "suapte natura" differisca dal Concilio ecumenico.
Pur riconoscendo che il numero dei Vescovi necessari per "rappresentare" l'intero episcopato non può essere stabilito secondo un criterio rigidamente matematico (in alcuni Concili ecumenici era piuttosto basso), sembra fuori ogni misura supporre che 200 Vescovi possano obbligare con le loro deliberazioni 4. 700 Vescovi e più di un miliardo di cattolici, senza che un tale potere venga loro delegato da colui che è il principio dell'unità nella Chiesa, cioè dal Papa.
Il Card.Ratzinger l'ha espresso in maniera lapidaria in una frase: "La suprema autorità su tutta la Chiesa, di cui gode il Collegio dei Vescovi unito al Romano Pontefice può essere esercitata solo in due modi: in modo solenne nel Concilio Ecumenico, in altro modo con un atto comune dei Vescovi sparsi per tutta la terra (LG, 22). Ma secondo la tradizione cattolica, orientale e occidentale, non si può concepire che i Vescovi possano concedere ad alcuni Vescovi da loro scelti questa loro facoltà partecipativa al governo della Chiesa universale" (13)
In conclusione, i Vescovi nel Sinodo rappresentano l'episcopato cattolico del mondo in maniera morale e manifestativa e il loro voto è per sé consultivo, potendo diventare deliberativo soltanto per delega del Romano Pontefice.

5. Il voto consultivo al Sinododei Vescovi

Il Card. Wojtyla si è soffermato sull'importanza teologica del voto sinodale fin dal 1972, vedendo il suo peso "principalmente nel modo collegiale di pronunciarsi, come pure in ciò che viene dichiarato" (14). A distanza di undici anni ha sviluppato questa riflessione affermando: "Tale collegialità si manifesta principalmente nel modo collegiale di pronunciarsi da parte dei pastori delle chiese locali. Quando essi, specialmente dopo una buona preparazione comunitaria nelle proprie chiese e collegiale nelle proprie Conferenze episcopali, con la responsabilità per le proprie chiese particolari ma assieme con la sollecitudine per la Chiesa intera, testimoniano in comune la fede e la vita di fede, il loro voto, se moralmente unanime, ha un peso qualitativo ecclesiale che supera l'aspetto semplicemente formale del voto consultivo"(15).
In tale maniera teologica il grande Papa supera il lato puramente formale e giuridico del voto sinodale e lo colloca nel contesto della Chiesa come organismo di comunione di fede. Ho avuto modo di sperimentarlo in concreto, quando Egli domandava se tutte le proposizioni approvate dal Sinodo fossero incluse nei relativi progetti dei Documenti finali. Egli, inoltre, desiderava che tali Documenti fossero anche nel titolo designati non solo come suoi ma anche come sinodali. Da qui si è avuta la serie delle Esortazioni non solo "apostoliche" ma anche "post-sinodali".
Questa impostazione delle proposizioni approvate nel Sinodo è quindi considerata dal Papa teologicamente e qualitativamente più vincolante che una semplice consultazione qualsiasi. Ma essa è anche più esigente nei riguardi delle Conferenze episcopali, dei Vescovi partecipanti e di tutti i Vescovi del mondo, sia nella preparazione collegiale e comunitaria delle assemblee sinodali, che nell'applicazione delle loro conclusioni. Così "il Sinodo fa risaltare il nesso intimo tra la collegialità e il primato" (16).
Conclusione.
Attraverso l'istituzione del Sinodo dei Vescovi il primato valorizza l' episcopato e la collegialità, ma quasi di ritorno ne esce valorizzata la stessa funzione primaziale, a beneficio dell' intero organismo vivo della Chiesa. Vorrei concludere con un'immagine
Il Sinodo dei Vescovi è come un cuore, cioè come una pompa che raccoglie prima nelle e dalle comunità del corpo ecclesiale i suggerimenti e le esperienze positive e negative della vita della fede nelle chiese particolari del mondo, appunto come il cuore aspira dalle membra il sangue consumato per ossigenarlo e rimandarlo come fonte di nuove energie nelle membra. Così pure nelle assemblee generali e nei circoli si opera il confronto e il discernimento evangelico delle esperienze ecclesiali alla luce della fede, e nello spirito della comunione si formulano le direttive che, con l'autorità del Papa, principio visibile dell'unità, vengono rifuse come sangue ossigenato e rinnovato, verso le chiese particolari a profitto della vita ecclesiale in tutte le parti del Corpo mistico di Cristo Una meravigliosa osmosi ecclesiale che si compie da quarant' anni per opera della provvidenziale istituzione del Sinodo dei Vescovi. Perciò il nostro augurio per questo "cammino insieme" ("syn¬odos") dei Vescovi è: vivat, crescat, floreat !

Note:
(1) La bibliografia sul Sinodo dei Vescovi è ormai ampia. Si veda in: F.DUPRE LA TOUR OSB, Le Synode des Eveques dans le contexte de la collégialitè, Rome 2002, 325-344, più breve in: J.TOMKO, Il Sinodo dei Vescovi, natura-metodo-prospettive, Libreria Editrice Vaticana, 1985, p.13,n.1.
(2) PAOLO VI, Motu proprio "Apostolica sollicitudo", AAS, 57 (1965), p.776.
(3) GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, 16 dicembre 1978, AAS, 71 (1980), p.107.
(4) K. WOJTYLA, O Synodzie Biskupov, in: Tygodnik powszechny, 5 marzo 1972.
(5) "Il Sinodo dei Vescovi", traduz.ital. di A.Kurczab, in: "Karol Wojtyla e il Sinodo dei Vescovi" (a cura di G. SARRAF), Libr.Ed Vaticana 1980, p.305-311
(6) J.TOMKO ha curato, nell'opera citata, la pubblicazione dei principali contributi di questa riunione di studio: TOMKO J., Il Sinodo dei Vescovi e Giovanni Paolo I/, p.13-44; RATZINGER J., Scopi e metodi del Sinodo dei Vescovi, p.45-58; ANTON A., La collegialità nel Sinodo dei Vescovi,p.59-111; MARRANZINI A., Sinodo dei Vescovi e collegialità, p.112-120; CAPRILE G., Il Sinodo dei Vescovi e il suo funzionamento, p.121-157.
(7) PAOLO VI, Motu proprio "Apostolica sollicitudo ", introduz.
(8) GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, 30 aprile 1983, AAS, 75 (1983), p.649.
(9) GIOVANNI PAOLO II, Enc. "Redemptor hominis", n. 5, AAS, 71 (1979), p.264-265.
(10) GIOVANNI PAOLO II, Omelia per l'Ordinazione episcopale di J. Tomko, 15 settembre 1979, L'Osservatore Romano, 17 -18 settembre 1979
(11) GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, 23 febbraio 1980, in L 'Osserv.Rom., 25-26febbraio 1980.
(12) GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, 30 aprile 1983, cit., p.651
(13) J.RATZINGER, Scopi e metodi del Sinodo dei Vescovi, in: J. TOMKO, Il Sinodo dei Vescovi, o.c., p.48.
(14) K. WOJTYLA, Il Sinodo dei Vescovi, in: Tygodnik powszechny, 5 marzo 1972.
(15) GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione del 30 aprile 1983, cit., p.651 (16) Ibid, p.651

[00164-01.05] [NNNNN] [Testo originale: italiano]

● Quattro decenni di sviluppo istituzionale - Aspetti giuridici del Sinodo dei Vescovi
S. Em. R. Card. Péter ERDÖ, Arcivescovo di Esztergom-Budapest


I. OSSERVAZIONI PRELIMINARI

La natura teologica del Sinodo dei Vescovi è stata appena presentata in modo autorevole. Tra le basi teologiche immediate delle norme giuridiche che regolamentano l'istituto quarantennale del Sinodo dei Vescovi spiccano i principi che si trovano nei testi rispettivi del Concilio Vaticano II sul collegio dei Vescovi, specialmente il numero 22 della “Lumen Gentium” con le sue "Nota explicativa praevia", la menzione concreta fatta sul Sinodo dei Vescovi nel decreto “Christus Dominus” (5) che è stato approvato dopo l'istituzione pontificia del Sinodo, avvenuta nel Motu Proprio “Apostolica sollcitudo”[1], nonché nel ricco magistero di Papa Paolo VI e di Giovanni Paolo II, il quale aveva a cuore in modo particolare l'istituto del Sinodo dei Vescovi, al cui sviluppo ha contribuito sostanzialmente durante i decenni del suo grande pontificato. Dato che le caratteristiche fondamentali dell'istituto del Sinodo sono state presentate in occasione del ventesimo anniversario di questa istituzione[2], alla luce della visione di Giovanni Paolo II, dal Cardo Jozef Tomko, allora Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, ci limiteremo alla breve presentazione della fisionomia giuridica del Sinodo dei Vescovi secondo il diritto canonico vigente, cercando di riflettere sulla sua natura giuridica come organo e anche sulle sue singole forme, funzioni e manifestazioni che si sono cristallizzate nella prassi degli ultimi decenni. In conclusione, cercheremo di individuare alcune linee maestre del suo sviluppo ed alcuni punti centrali del suo ministero nella promozione della collegialità episcopale e della comunione, nonché nello studio e nella soluzione dei problemi connessi con la missione della Chiesa nel mondo attuale.

II. LA NATURA GIURIDICA DEL SINODO DEI VESCOVI

1. Secondo i primi documenti costitutivi del Sinodo

Dopo diverse discussioni teoriche[3] oggi risulta pacifico che il Sinodo dei Vescovi per sua natura non è un organo provvisto di potestà di governo nella Chiesa. La sua natura e i suoi compiti sono stati descritti già nel Motu Proprio “Apostolica sollicitudo” e precisati nell'Ordo Synodi Episcoporum”[4].
Il documento pontificio costitutivo del Sinodo precisa la sua natura descrivendo il Sinodo come: "a) un'istituzione ecclesiastica centrale; b) rappresentante tutto l'episcopato cattolico; c) perpetua per sua natura”[5]. Le finalità del Sinodo, sempre secondo il Motu Proprio, sono: "a) favorire una stretta unione e collaborazione fra il Sommo Pontefice e i Vescovi di tutto il mondo; b) procurare un’ informazione diretta ed esatta circa i problemi e le situazioni che riguardano la vita interna della Chiesa e l'azione che essa deve condurre nel mondo attuale; c) rendere più facile l'accordo delle opinioni almeno circa i punti essenziali della dottrina e circa il modo di agire nella vita della Chiesa”[6]. Circa la funzione del Sinodo il Motu Proprio stabilisce: "Al Sinodo dei Vescovi spetta per sua natura il compito di dar informazioni e consigli. Potrà anche godere di potestà deliberativa, quando questa gli sia stata conferita dal Romano Pontefice, al quale spetta in tal caso ratificare le decisioni del Sinodo"[7].

2. Secondo il vigente Codice di Diritto Canonico

Il vigente Codice di Diritto Canonico dedica un intero capitolo al Sinodo dei Vescovi (cann. 342-348) inserendolo nella I Sezione del Libro II che tratta della Suprema Autorità della Chiesa. La regolamentazione adottata dal Codice riporta fedelmente le disposizioni del Motu Proprio e dell' “Ordo Synodi Episcoporum”[8] o rimanda al diritto peculiare (cioè a questi stessi documenti). Si osserva comunque un certo sviluppo nel Codice rispetto ai testi precedenti. Mentre il Motu Proprio parla di tre tipi di Assemblee sinodali[9], cioè di Assemblea generale, straordinaria e speciale, il Codice distingue due tipi principali: Assemblee generali e quelle speciali, sottodistinguendo poi le Assemblee generali in ordinarie e straordinarie (can. 345). All'Assemblea speciale è da "assimilare"[10] quella particolare praticata per i Vescovi olandesi[11]. L'uso della parola "particolare" per indicare tali Assemblee sembra essere in armonia con il linguaggio canonistico, nel quale le leggi si chiamano "particolari" se si riferiscono soltanto ad un territorio determinato, mentre la legge "speciale" riguarda un gruppo di persone determinate secondo un criterio diverso da quello del territorio. Le Assemblee "speciali" convocate per diversi continenti potrebbero essere chiamati pure "Assemblee particolari". L'aspetto particolare, in ogni caso, va crescendo e le Assemblee non generali (continentali ed altri) costituiscono ormai nella prassi una forma importante del funzionamento dell'istituto del Sinodo dei Vescovi.

a. La questione della rappresentatività

Già questa importanza dell'aspetto particolare spiega, perché il Codice, a differenza del Motu Proprio e del decreto “Christus Dominus”, nella definizione giuridica generale del Sinodo, data nel canone 342, non dice più che il Sinodo è "l'Assemblea dei Vescovi che rappresenta tutto l'Episcopato cattolico"(totius Episcopatus catholici partes agens). I motivi dell'omissione dell'inciso utpote totius catholici Episcopatus partes agens nel testo del canone 342 vengono indicati in allegato della risposta della Pontificia Commissione per la Revisione del Codice di Diritto Canonico del 20 settembre 1983[12]. L'autore di questo allegato è stato Mons. Willy Onelin, Segretario aggiunto e Relatore del coetus "De sacra Hiererchia". I motivi da lui addotti sono:
1) L'espressione "rappresentante dell'Episcopato cattolico" è "imprecisa giuridicamente", mentre, naturalmente "in una dichiarazione teologica si presuppone, ed esattamente, come affermazione di quella sollecitudine che tutti i Vescovi hanno non solo della propria Chiesa particolare, ma anche delle altre Chiese e della Chiesa universale", poiché secondo la Lumen Gentium (22-23) e il Christus Dominus (6), "per divina disposizione e comando del dovere apostolico ognuno, insieme con gli altri Vescovi, è garante della Chiesa [13]. Dal punto di vista strettamente giuridico invece non si può dire che un Vescovo abbia dei ruoli nelle altre Chiese, perché la stessa Costituzione Lumen Gentium (23) dichiara che "i singoli Vescovi, che sono a capo di Chiese particolari, esercitano il governo pastorale sulla porzione del popolo di Dio affidata loro, non sulle altre Chiese né su tutta la Chiesa". Teologicamente si può dire che i Vescovi nel Sinodo devono avere sollecitudine anche di quelle Chiese cui non presiedono, ma in senso giuridico "non si può dire che i Vescovi nel Sinodo dei Vescovi rappresentano anche le altre Chiese o sono delegati dalle stesse”[14]. Riflettendo oggi sulla terminologia del Codice possiamo aggiungere, che i Vescovi diocesani son rappresentanti ipso iure delle loro diocesi (can. 393), ma non delle altre.
2) Come secondo argomento Mons. Onclin aggiunge che, se il Sinodo dei Vescovi rappresentasse veramente tutti i Vescovi, sarebbe come il Concilio ecumenico e dovrebbe avere voto deliberativo, cosa che il diritto canonico vigente non contempla.
3) Come terzo argomento viene indicato un fatto che oggi, con la cresciuta importanza delle Assemblee particolari, diventa sempre più attuale, e cioè che delle Assemblee speciali fanno parte soprattuto dei Vescovi scelti da quelle regioni per le quali il Sinodo è stato convocato. Non si può parlare quindi di rappresentanza di tutto l'Episcopato cattolico come nota essenziale del Sinodo dei Vescovi in generale.
Per tutto ciò è chiaro che nel Sinodo dei Vescovi non agisce l'intero Collegio dei Vescovi, per cui i suoi atti non sono atti da attribuire giuridicamente all'intero Collegio. (Synodus Episcoporum, Dec. Part., Pastor Aeternus, 1967. X. 27, nr. II, 2: Leges IV, 5669: "Celebratio Synodi Episcoporum proprie actus Collegii Episcoporum dici nequit"). Secondo il parere autorevole del Cardo JozefTomko, questa doveva esser stata la ragione per cui Papa Paolo VI, nel Motu Proprio Apostolica Sollicitudo ha evitato in modo assoluto l'uso della parola "collegialità", "intesa troppo spesso nelle discussioni conciliari nel senso stretto canonico"[15].
Se confrontiamo la posizione giuridica del Sinodo con le forme dell' esercizio della suprema potestà del Collegio dei Vescovi stesso che vengono elencate nel canone 337, la differenza risulta chiarissima. Oltre al Concilo ecumenico si danno due altre forme dell' esercizio di questa suprema potestà: le azioni dei Vescovi dispersi nel mondo che vengono indette o accettate come tali dallo stesso Sommo Pontefice (§ 2), o altri modi scelti dal Papa per l'esercizio collegiale di queste funzioni potestative (o altre funzioni del Collegio dei Vescovi) (§ 3). Siccome il diritto che costituisce e regolamenta l'istituto del Sinodo dei Vescovi dice espressamente di non dare come regola generale potestà "decisionale" cioè potestà di governo nel senso tecnico del Codice vigente al Sinodo (can. 343), certo che il Sinodo non entra nella categoria accennata nel § 3 del canone 337 per l'esercizio della potestà suprema del Collegio dei Vescovi. Senza il consenso del Papa, iVescovi del mondo non potrebbero neanche delegare dei rappresentanti per esercitare questa funzione potestativa del Collegio, perché già la delega dovrebbe essere un atto dell'intero Collegio che non si dà senza il consenso del suo capo[16]. I membri eletti del Sinodo dei Vescovi vengono eletti, inoltre, non da tutti i Vescovi cattolici[17] del mondo, cioè da tutti i membri del Collegio dei Vescovi (cf. Lumen Gentium 22; can. 336), ma dalle Conferenze Episcopali nazionali[18], delle quali non sono membri di diritto i Vescovi emeriti (can. 450) che proprio negli ultimi tempi cominciano costituire una parte importante dell’Episcopato e che sono naturalmente membri di pieno diritto del Collegio dei Vescovi (can. 336). Questo rimane vero anche se, secondo la risposta del 10 ottobre 1991 della Pontificia Commissione per l'Interpretazione dei Testi Legislativi, i Vescovi emeriti (cf. can. 402 § 1) possono essere eletti a membri dell'Assemblea del Sinodo dei Vescovi[19].
Per quanto riguarda la questione della rappresentanza delle Conferenze Episcopali che scelgono diversi membri del Sinodo, è stato ufficialmente precisato che i Vescovi delegati al Sinodo "possono esprimere il loro parere personale e nella votazione votare secondo la propria scienza e coscienza”[20]. Questo sembra ancor più necessario se prendiamo in considerazione la natura delle Conferenze Episcopali e della loro funzione magisteriale, chiarita nel Motu Proprio Apostolos suos del 21 maggio 1998[21]. Appartiene inoltre alla fisionomia del Sinodo dei Vescovi una mutua comunicazione. Come aveva formulato l'allora Cardinale Wojtyla nel suo intervento nell'Aula sinodale, il 15 ottobre 1969: "Comunione...indica anche una certa comunicazione reciproca...Una tale comunicazione consiste in un dare non semplicemente esterno dei beni, ma implicante anche un'interna partecipazione delle persone stesse. Essa consiste, altresì, nel ricevere i beni”[22]. Questo processo così ricco di scambio di beni non può essere pieno, se il risultato delle discussioni non si esprime anche nel voto. Un mandato vincolato dei padri sinodali, limitato da qualche Conferenza Episcopale, sarebbe quindi una diminuzione delle funzioni del Sinodo stesso.

b. Potestà del Sinodo dei Vecovi?

Come abbiamo già accennato, il Sinodo dei Vescovi come tale non ha potestà di governo ecclesiastico. Bisogna aggiungere però che il chiarimento tecnico della nozione della potestas regiminis nella Chiesa è avvenuto in modo autorevole con la promulgazione del Codice di Diritto Canonico del 1983 (soprattutto nei cann. 129-135). Prima si parlava spesso di potestas iurisdictionis e potestas ordinis o - nel contesto dell' insegnamento del Concilio Vaticano II - anche di una sacra potestas. Nel linguaggio giuridico-canonico attuale si cerca di evitare l'uso della parola potestas per funzioni o capacità che non entrano nell'ambito della potestà di governo. Per alcune autorizzazioni che sono connesse con l'esercizio del sacramento dell'ordine il Codice preferisce l'uso della parola facultas, dove il Codice Pio - Benedettino parlava ancora di giurisdizione. È stato precisato già nella Nota explicativa praevia aggiunta alla Costituzione “Lumen Gentium” che, benché ogni Vescovo riceva con l'ordinazione episcopale una partecipazione ontologica speciale alla tria munera, alla triplice funzione o missione di Cristo (n. 2), ha bisogno di una determinazione giuridica da parte dell'autorità competente per poter esercitare concretamente una potestà. Secondo il canone 129 del Codice vigente con l'ordinazione si dà una capacità ad ottenere la potestà di governo (potestatis regiminis..habiles sunt, qui ordine sacro sunt insigniti). Nel diritto canonico attuale si evita ormai di chiamare "potestà" le capacità ontologiche o i diritti soggettivi semplici.
Per tutto questo sviluppo secondo la terminologia giuridico-canonica attuale non si potrebbe più dire in senso tecnico - come a fatto ha suo tempo Bertrams[23] - che il Sinodo ha una "potestà consultiva" che sarebbe inoltre "propria ed ordinaria" di questo organo della Chiesa. Il Codice vigente conosce la divisione di "potestà ordinaria e delegata" soltanto per quanto riguarda la potestà di governo (can. 131). Per tutto ciò non ha senso usare concetti tecnici come quello della potestà per analizzare la funzione consultiva veramente tipica ed importante del Sinodo dei Vescovi [24]. Il Sinodo ha il prezioso diritto di far conoscere al Papa i suoi pareri che sono stati accettati secondo un modello collegiale, ma questo diritto non può chiamarsi potestà di governo[25].
Abbiamo già costatato sopra, che il Sinodo dei Vescovi non ha neanche potestà delegata dal Collegio dei Vescovi. Qui bisogna aggiungere che esso non può avere neppure una vera potestà di governo delegata dai singoli Vescovi, dato che, secondo il canone 135 § 2 la potestà legislativa non può essere delegata che dalla Suprema Autorità della Chiesa, ma anche per la potestà esecutiva e quella giudiziaria vale che i singoli Vescovi diocesani non hanno una potestà di governo propria e concretamente capace ad essere esercitata per altre Chiese particolari o per la Chiesa universale. La Costituzione “Lumen Gentium”, al suo n. 23, infatti, dice: "I singoli Vescovi, che sono preposti alle Chiese particolari, esercitano il loro pastorale governo sopra la porzione del popolo di Dio che è stata loro affidata, non sopra le altre Chiese, né sopra la Chiesa universale".

III. LE FUNZIONI DEL SINODO

1. Oggetti da trattare nel Sinodo

Il Codice vigente riassume le finalità, i diritti e gli obblighi del Sinodo dei Vescovi in un elenco più conciso di quello del Motu Proprio Apostolica Sollicitudo. Non vengono più distinti i fini generali da quelli speciali. Secondo il canone 342 il Sinodo ha per scopo di "favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi" e di "prestare aiuto con...consiglio al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi, nell' osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica" e inoltre di "studiare i problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo". Da questo elenco risulta chiaro che cosa si può trattare nel Sinodo. Tre sono le materie indicate, ma viene precisato nel canone pure il punto di vista della trattazione sinodale.
Sulla fede e sui costumi si deve trattare per la loro salvaguardia e incremento, cioè "non si può mettere in dubbio la fede della Chiesa," ma si può esaminare, cercare le più adeguate espressioni della fede, non solo quelle verbali "ma , in vari modi, reali”[26]. Così non possono essere oggetto di discussione i documenti del Sommo Pontefice come tali, "poiché l'autorità del Sinodo proviene da quella del Papa, ma anche il Concilio Ecumenico, come assemblea del Collegio dei Vescovi, non ha nessuna autorità attualmente o potenzialmente opposta al suo Capo”[27]. Ciò non impedisce la ricerca di dare una spiegazione più chiara o una più profonda esposizione all'argomento. Per quanto riguarda l'esame dei documenti dei dicasteri della Curia Romana approvati in forma semplice dal Sommo Pontefice, una discussione rispettosa sembra pensabile. Il Sinodo certamente potrebbe esprimere - come scrisse Papa Benedetto XVI, allora Cardinale Joseph Ratzinger - un consiglio anche per confermare o modificare una disposizione disciplinare[28]. Così siamo arrivati all'aspetto disciplinare della funzione del Sinodo.
Quanto all'osservanza e al consolidamento della disciplina, dalla formula usata nel Codice si vede che non si tratta, tra i compiti del Sinodo, di indebolire la disciplina, ma neanche di riformare soltanto per il cambiamento stesso. Una modifica a qualche norma giuridico-canonica non è scopo di sè, ma deve consolidare quella disciplina che risponde alla realtà teologica della Chiesa, alla realtà dei sacramenti e, in generale, alla missione della Chiesa considerata teologicamente con sensibilità anche per le situazioni che si presentano nella vita quotidiana. Per la conoscenza di queste situazioni il Sinodo può essere un quadro istituzionale utilissimo, prestando occasione allo scambio di informazioni ed esperienze, per fornire notizie dalle chiese particolari al Romano Pontefice, dal Sommo Pontefice ai singoli Vescovi, ma anche tra i Vescovi. Quanto al carattere giuridico e alla forma di questa attività del Sinodo, il canone 343 chiarisce che al Sinodo non spetta dirimere le questioni "ed emanare decreti su di esse, a meno che in casi determinati il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso ratificare le decisioni del Sinodo, non gli abbia concesso potestà deliberativa". Per tale concessione però non conosciamo alcun esempio nella storia di questa istituzione. In conformità a quello che abbiamo detto sulle questioni dottrinali, vale anche in materia disciplinare che il Sinodo non può mettere in discussione delle norme disciplinari di diritto divino. In questi casi può trattarsi piuttosto dei modi migliori della loro esecuzione. Per norme di puro diritto umano sono pensabili delle proposte di modifiche, indirizzate al Romano Pontefice.
Il terzo campo in cui il Sinodo è chiamato a prestare aiuto al Successore di Pietro è lo studio dei problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo. In questo settore sembra ancor più necessario lo scambio di informazioni e notizie, e ciò non soltanto per i Vescovi e per le chiese particolari che sono direttamente interessate nella questione trattata, ma anche per tutti gli altri che possono organizzare aiuti spirituali e materiali per i più bisognosi e possono vedere la propria situazione nel contesto più grande della Chiesa universale e del mondo. Tale confronto sembra pure utilissimo per poter valutare o, se del caso, anche ridimensionare conflitti o pretese teologicamente problematiche che si presentano nella propria chiesa locale. Benché il Sinodo debba dare i suoi consigli al Romano Pontefice, può sembrare a volte necessario che esso alzi la sua voce nell'unità sui grandi problemi del mondo. La forza di tali manifestazioni è tuttavia più grande se anche queste prese di posizioni vengono dirette non ai 'mass-media, ma al Papa, il quale potrà poi rilasciare una dichiarazione con riferimento anche al consiglio sinodale. Quando tuttavia il Sinodo dei Vescovi o qualsiasi altro organo ecclesiale prende posizione in queste questioni generali del mondo, bisogna tener presente che tali organi partecipano all'esercizio della missione della Chiesa stessa. La competenza della Chiesa, infatti, si estende in questo campo a due ambiti principali, come riassume, in base al n. 76 della Gaudium et spes, il canone 747 § 2. Essi sono l'esposizione dei principi morali circa l'ordine sociale, e la facoltà di giudicare le attività umane, in quanto lo esigono i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime.
La situazione del mondo può essere trattata anche da un altro punto di vista, cioè sotto l'aspetto dell'attività della Chiesa che deve svolgersi a volte tra circostanze straordinarie o del tutto nuove. Così può essere a volte opportuno che il Sinodo, oltre a proporre delle dichiarazioni di tipo teologico-morale, suggerisca al Romano Pontefice qualche norma giuridico-canonica perché l'attività della Chiesa possa rispondere meglio alle circostanze del mondo.

2. Il modo di esercitare le funzioni del Sinodo

La formula usata nel canone 342 chiarisce che i Vescovi partecipanti al Sinodo danno i loro consigli al Romano Pontefice, cioè non al Collegio dei Vescovi, nè direttamente all'intero popolo di Dio e neanche alle autorità politiche o al mondo. A questo accento giuridico risponde in modo eccellente il genere delle esortazioni apostoliche post-sinodali, nelle quali il Sommo Pontefice utilizza la ricchezza dei consigli del Sinodo e si rivolge all'intera Chiesa o ad una parte di essa. Benché il Motu Proprio “Apostolica Sollicitudo” abbia accennato al fatto che i Vescovi radunati al Sinodo "apportano al Supremo Pastore della Chiesa un aiuto”[29], parlando dei consigli esso non precisava ancora che questi consigli vanno dati al Romano Pontefice[30]. La più chiara precisazione adottata nel Codice è in armonia con quella affermazione generale che si trova nel canone 334, dove parlando del Romano Pontefice viene ribadito che il Sinodo dei Vescovi (insieme con il Collegio dei Cardinali o anche con altre istituzioni come sarebbero, secondo gli interpreti, gli organi della Curia Romana) è una delle espressioni dell'aiuto e della collaborazione che i Vescovi prestano al Succesore di Pietro. Non ci sono però casi o questioni indicati nel diritto canonico, nei quali il Papa dovrebbe consultare il Sinodo dei Vescovi. Il Sinodo quindi ha il diritto di esprimere la propria opinione o il proprio desiderio verso il Romano Pontefice, se egli lo domanda, ma il Pontefice non è giuridicamente obbligato a chiedere un consiglio sinodale. Per conseguenza non esistono atti pontifici, per la validità dei quali sarebbe necessaria una tale consultazione nel senso del canone 127.
"Il fatto che il Sinodo abbia normalmente una funzione solo consultiva - come ribadisce Giovanni Paolo II, nella sua esortazione apostolica post-sinodale “Pastores gregis”[31] - non ne diminuisce l'importanza. Nella Chiesa, infatti, il fine di qualsiasi organo collegiale, consultivo o deliberativo che sia, è sempre la ricerca della verità o del bene della Chiesa. Quando poi si tratta della verifica della medesima fede, il consensus Ecclesiae non è dato dal computo dei voti, ma è frutto dell'azione dello Spirito, anima dell'unica Chiesa di Cristo".
Quanto al metodo concreto che si è sviluppato lungo i decenni, possiamo costatare che esso è interamente collegiale nel senso che tutto il dinamismo sinodale viene animato da tale spirito. Seguendo l'elenco del Cardo Jozef Tomko e confrontandolo con lo sviluppo degli ultimi anni si delinea il quadro seguente:
l. La scelta del tema viene fatta in modo collegiale, perché la Segreteria del Sinodo chiede alle Conferenze Episcopali di presentare temi per la futura assemblea. Le proposte vengono studiate dal Consiglio della Segreteria generale. Il Consiglio presenta poi il risultato delle sue analisi con i propri suggerimenti al Santo Padre.
2. Successivamente il Consiglio elabora i Lineamenta che si inviano alle Conferenze Episcopali. Sin dalla preparazione del Sinodo del 1983 sulla riconciliazione e sulla penitenza, i Lineamenta vengono pubblicati. Questo favorisce certamente una discussione più larga dell' argomento.
3. Le reazioni e i suggerimenti vengono sintetizzate dalle Conferenze Episcopali, dai Sinodi delle Chiese cattoliche orientali sui iuris, dai Dicasteri della Curia Romana, dall'Unione dei Superiori Maggiori e mandate alla Segreteria del Sinodo. In base a questo il Consiglio della Segreteria generale del Sinodo con l'aiuto di esperti elabora l' Instrumentum laboris. Tale documento serve come base per il lavoro del Sinodo. Così è logico che lo ricevono generalmente quei Vescovi che sono stati eletti dalle Conferenze Episcopali come partecipanti al Sinodo e i presidenti delle Conferenze Episcopali. Dal 1983 esso è stato mandato a tutti i Vescovi, ed è stato anche pubblicato, nonostante il suo carattere preliminare e sussidiario. Ma il fatto della pubblicazione indica che la discussione pubblica del tema del Sinodo può anche aiutare quello scambio di esperienze e suggerimenti che è uno degli scopi del Sinodo stesso. Negli anni successivi sono stati pubblicati anche altri Instrumentum laboris[32].
4. I Vescovi partecipanti al Sinodo possono quindi, oltre alle loro riflessioni personali, rendere noti all'assemblea anche i suggerimenti dei Vescovi del loro paese, anche se non sono mandatari nel senso giuridico più stretto della loro Conferenza Episcopale, ma hanno un voto libero (vedi sopra). L'opinione di una Conferenza Episcopale come tale in materia dottrinale sarebbe del resto molto problematica sia per quanto riguarda la maggioranza necessaria che per la qualità della presa di posizione stessa[33]. Più importante sembra ancora la possibilità che i padri sinodali confrontano le loro esperienze concrete della vita di fede e cercano di formulare delle linee direttrici. All'Assemblea generale, sia negli interventi, che dopo nelle discussioni nei circuli minores e finalmente nella formulazione e votazione delle proposizioni o conclusioni è abbastanza largo lo spazio per lo scambio di doni. È anche per questo che non pochi padri sinodali tornano nella loro patria con il senso di aver imparato molto.
5. Lo spirito e il metodo collegiale sono presenti anche alla fine del Sinodo e nella fase successiva che negli ultimi tempi è sempre più collegata con la redazione dei documenti, specialmente dal Consiglio della Segreteria Generale. Questo Consiglio, secondo il canone 348 § 1 è "composto di Vescovi, alcuni dei quali vengono eletti,...dallo stesso sinodo dei Vescovi, altri nominati dal Romano Pontefice; l'incarico di tutti costoro però cessa quando inizia la nuova assemblea generale". Il documento finale o i documenti del Sinodo possono avere varie forme. Alla fine dell'Assemblea generale del 1971 sono state pubblicate due dichiarazioni sinodali con approvazione pontificia[34]. Al Sinodo del 1974 non si è riusciti a redigere un documento finale, ma si è rivolto al Papa chiedendo la composizione di un documento in base ai lavori sinodali. Il documento pontificio è stato chiamato poi ufficialmente "Esortazione Apostolica”[35]. Nei Sinodi del 1977, 1980, 1983 e successivi è stato pubblicato un Messaggio dei Padri sinodali[36], mentre le proposizioni sono state trasmesse al Sommo Pontefice, il quale ha raccolto i frutti del lavoro sinodale in esortazioni apostoliche promulgate con la propria suprema autorità. Questo metodo è stato adottato anche successivamente con la differenza che il documento pontificio che ha seguito il Sinodo è stato chiamato "Esortazione Apostolica post-sinodale", sin dalla “Reconciliatio et paenitentia”. Anche le proposizioni accettate alla fine delle Assemblee generali sono state, sin dal 1987, più volte, abusivamente, pubblicate[37] Mentre la pubblicazione dell' “Instrumentum laboris” sembra per sua stessa natura favorire la preparazione del Sinodo, la pubblicazione delle Propositiones non sembra essere richiesta dalla natura delle cose, perché questo documento si dirige unicamente al Romano Pontefice, non essendo il Sinodo chiamato per dare consigli a tutto il mondo, ma specialmente al Papa. Del metodo e del significato delle esortazioni apostoliche che valorizzano i risultati dei lavori sinodali, a proposito dell'Esortazione Apostolica “Familiaris Consortio”, il Segretario Generale, ha rilevato all' Assemblea generale del 1983, per volontà di Giovanni Paolo II, che questa forma "avrebbe da un lato l'autorità morale di una assemblea così altamente qualificata e dall'altro l'autorità giuridica oltreché morale vincolante per tutta la Chiesa, proveniente ex munere petrino Summi Pontificis adprobantis. Un tale documento potrebbe essere un ulteriore segno della collegialità e della più marcata sinodalità”[38]. Il riferimento al valore giuridico del documento pontificio emanato dopo il Sinodo sembra esprimere prima di tutto l'obbligatorietà anche giuridica delle dichiarazioni magisteriali del Romano Pontefice. Ma implicitamente questa spiegazione della natura del documento pontificio contiene anche la possibilità che il Romano Pontefice, servendosi dei risultati dei lavori di un' Assemblea del Sinodo dei Vescovi, magari ascoltando le notizie delle difficoltà pratiche nelle diverse chiese particolari e le rispettive proposte sinodali, emani una norma giuridica con contenuto strettamente disciplinare. Tale documento potrebbe far riferimento, anch'esso ai lavori sinodali che lo hanno preceduto. In questo senso sembra senz'altro possibile nel futuro anche la promulgazione di un Motu Proprio post-synodale, con contenuto disciplinare-normativo.

IV. CONCLUSIONI

Riassumendo i fenomeni dello sviluppo del Sinodo dei Vescovi risulta prima di tutto che esso rende possibile che i grandi problemi della vita della Chiesa e del mondo vengano affrontati in un ambiente dove tutti hanno la possibilità di esprimere il proprio pensiero. E questo contribuisce al consolidamento dell'unità dei Vescovi intorno al Romano Pontefice. Tutti hanno anche la possibilità di conoscere la posizione della Santa Sede e del Successore di Pietro, e possono scambiare opinioni con gli altri Vescovi. L'esperienza maturata in quarant'anni dimostra che il Sinodo è uno strumento utile che ha reso grandi servizi al rafforzamento della comunione della Chiesa e nel miglioramento dell'esercizio del ministero pastorale[39].
Il fatto che i risultati dei Sinodi vengano pubblicati sempre di più in forma Esortazione Apostolica, e che dalla metà degli anni Ottanta questa porti persino nella sua denominazione ufficiale l'espressione "post-sinodale", sembra molto appropriato, anzi più adatto che le altre forme praticate all'inizio della storia del Sinodo dei Vescovi, perché è veramente il Sommo Pontefice che deve far tesoro dei consigli sinodali che per la natura del Sinodo sono indirizzati a lui e non direttamente al pubblico. Sembra una soluzione fortunata anche il fatto che il Santo Padre fa menzione delle basi sinodali di questi suoi documenti.
Alcuni si lamentano della lunghezza di questi documenti. Tale problema è piuttosto generale nella cultura occidentale. Il pubblico legge meno, e dei documenti lunghi moltissimi si informano attraverso i mass-media. Accontentarsi di tali informazioni non è in nessun modo sufficiente quando si tratta di un'Esortazione Apostolica, ricca di sfumature teologiche e pastorali. L'accessibilità a questi documenti anche su internet aiuta molto nella consultazione diretta. Sembra necessario, però, cercare anche altre forme appropriate perché la voce del Papa e dei Vescovi arrivi ai sacerdoti e ai fedeli del mondo. Questi problemi non riguardano solo il Sinodo dei Vescovi, perché sono tipici della cultura odierna. Da una parte cresce la quantità dell’informazione, dall’altra parte diventa sempre più difficile per i singoli lettori studiare e capire a fondo tutto quello che viene offerto. Eppure è anche necessario per l'effetto sociale di un pensiero una certa quantità di presenza nei mass-media. Anche le consultazioni di diversi gruppi di persone devono avere una certa frequenza e dimensione, malgrado il peso per i partecipanti. Pare che il Sinodo sia riuscito a trovare un giusto equilibrio anche sotto questo aspetto.
Riguardo ai consigli sinodali in materia disciplinare sembrano possibili anche altri generi di documenti con carattere giuridico-normativo, nei quali il Sommo Pontefice, dopo consultazioni così importanti coi Vescovi, come sono i Sinodi, aiuta le chiese particolari nel risolvere i loro problemi disciplinari in unione con la Chiesa universale. Non si tratterebbe qui di una forma collettiva della legislazione, ma di un modo sfumato di approccio della realtà.
Un altro fenomeno caratteristico dello sviluppo dell'istituto del Sinodo dei Vescovi è che le assemblee speciali o particolari, specialmente quelle continentali sembrano diventare ormai regolari. Dato che il Sinodo non rappresenta giuridicamente l'intero Collegio dei Vescovi, risponde bene alla sua natura anche questa nuova forma. L'insieme delle chiese particolari di un continente comincia formare ormai ovunque una realtà speciale di grande importanza pastorale.
Preghiamo con fiducia la Provvidenza divina affinchè il Sinodo dei Vescovi, questo eccellente strumento di comunione, possa portare dei frutti preziosi anche nel futuro.

[1] PAOLO VI, Motu Proprio Apostolica sollicitudo, 15 settembre 1965: AAS 57 (1965) 775-780.
[2] J. TOMKO, Il Sinodo dei Vescovi e Giovanni Paolo II, in A. ANTON - G. CAPRILE - A. MARRANZINI - J. RA TZINGER - J. TOMKO, Il Sinodo dei Vescovi. Natura, metodo, prospettive, a cura di J. Tomko (Storia e attualità XI), Città del Vaticano 1985, 13-44.
[3] Per un riassunto di queste discussioni vedi per es. TOMKO, Il Sinodo 23-29; G. P. MILANO, Il Sinodo dei vescovi, Milano 1985, 67-68; ID., Il sinodo dei vescovi. Natura, funzioni, rappresentatività, in AA VV., La synodalité. La participation au gouvernement dans l'Église. Actes du VIle congrès international de Droit canonique. Paris, Unesco, 21-28 septembre 1990, Paris 1992 (= L'Année Canonique. Hors série, voI. I), I, 167-182; 1. L ARRIETA, El Sinodo de los Obispos, Pamplona 1987,70-71; F. DUPRÉ LA TOUR, Le Synode des Éveques dans le contexte de la collégia/ité. Une étude théologique de Pastor Aeternus à Apostolos Suos (Pontificia Universitas Sanctae Crucis. Facultas Theologiae. Thesis ad Doctoratum in Theologia), Romae 2002, 217-237.
[4] Ordo Synodi Episcoporum Celebrandae 1966: AAS 59 (1967) 91 ss.; Ordo Synodi Episcoporum Celebrandae Recognitus et Auctus 1969: AAS 61 (1969) 525-539; Ordo Synodi Episcoporum Celebrandae Recognitus et Auctus cum Additamentis, Typ. PoI. Vat. 1971.
[5] PAOLO VI, Motu Proprio Apostolica sollicitudo, 15 settembre 1965, n. I: AAS 57 (1965) 776.
[6] Ibid. n. II, 776-777.
[7] Ibid. n. III, 777.
[8] Per l'iter della codificazione di questa materia vedi M. BRAVI, Revisione e legislazione codiciale (del Sinodo), in Il Sinodo dei Vescovi, P.U.G., Roma 1995, 169-186.
[9] PAOLO VI, Motu Proprio Apostolica sollicitudo, 15 settembre 1965, n. IV: AAS 57 (1965) 777.
[10] TOMKO 17.
[11] AAS 72 (1980) 215-250.
[12] Prot. N. 5150/83, pubblicato con l'allegato in A. ANTON - G. CAPRlLE - A. MARRANZINI - J. RATZINGER - J. TOMKO, Il Sino do dei Vescovi. Natura, metodo, prospettive, a cura di J. Tomko (Storia e attualità XI), Città del Vaticano 1985, 179-181.
[13] Ibid. 180.
[14] Ibid.
[15] TOMKO 20.
[16] Cann. 331,336; Conc. Vat. II, Const. Lumen Gentium 22b; Nota explicativa praevia 4; Decr. Christus Dominus 4, ecc.
[17] O più precisamente: aventi la piena comunione con il Successore di Pietro. Sui diversi sensi della parola cattolico nel diritto vedi P. ERDÖ, Il cattolico, il battezzato e ilfedele in piena comunione
[18] Ordo Synodi Episcoporum Celebrandae Recognitus et Auctus cum Additamentis, Typ. Pol. Vat. 1971, Art. 5, § 1, 1) a.
[19] AAS 83 (1991) 1093.
[20] TOMKO 27; cf. Explicationes quaedam circa "Ordinem Synodi Episcoporum celebrandae recognitum et auctum" (1977), art. 38.
[21] AAS 90 (1998) 641-658.
[22] Citato in TOMKO 32.
[23] W. BERTRAMS, Commentarium in Litteras Apostolicas "Apostolica Sollecitudo", in Periodica 55 (1966) 124. Cf. DUPRÉ LA TOUR218-219.
[24] Questa posizione è stata già fonnulata prima della promulgazione del Codice vigente (cf. W. A YMANS, Das synodale Element in der Kirchenverfassung, Milnchen 1970,255-260), ma è stata confennata in modo decisivo dal testo definitivo del Codice di Diritto Canonico del 1983.
[25] Cf. A YMANS 260.
[26] J. RA TZINGER, Scopi e metodi del Sinodo dei Vescovi, in A. ANTON - G. CAPRILE - A. MARRANZINI ¬J. RA TZINGER - J. TOMKO, Il Sinodo dei Vescovi. Natura. metodo, prospettive, a cura di J. Tomko (Storia e attualità XI), Città del Vaticano 1985,55.
[27] Ibid.
[28] Ibid. (il Sinodo "potrebbe... esprimere un consiglio sia per confermare che per modificare, anche, una disciplina").
[29] PAOLO VI, Motu Proprio Apostolica sollicitudo, 15 settembre 1965, n. I: AAS 57 (1965) 776.
[30] Ibid. n. II: AAS 57 (1965) 776.
[31] N. 58.
[32] Vedi per es. GIOVANNI PAOLO II, Ep., Rursus Episcoporum et Instrumentum laboris, Il tema, 22 aprile 1987: Enchiridion Vaticanum X, 1140-1211, m. 1581-1731.
[33] Cf. GIOVANNI PAOLO II, Motu Proprio Apostolos suos, 21 maggio 1998: AAS 90 (1998) 641-658.
[34] Decl., Ultimis temporibus, 30 novembre 1971: AAS 63 (1971) 898-922; Decl, Convenientes ex, 30 novembre 1971: AAS 63 (1971) 923-942.
[35] Evangelii Nuntiandi, cf. Decl. part., In Spiritu Sancto, 25 ottobre 1974: Leges Ecclesiae V, 6860-6863.
[36] Nuntius part., Cum iam, 28 ottobre 1977: LegesEcclesiae V, 7361-7368; Nuntius part., Nos Patres 25 ottobre 1980: Leges Ecclesiae VI, 8061-8065; Nuntius part., Cor hominum, 25 ottobre 1983: Leges Ecclesiae VI, 8687-8688; Decl. part., Experientia spiritualis, 8 dicembre 1985: Leges Ecclesiae VI, 9238-9247; Nuntius part., Nos episcopi, 8 dicembre 1985: Leges Ecclesiae VI, 9247-9249;. Nuntius, Iam instante, 29 ottobre 1987: Enchiridion Vaticanum X, 1516-1532, m. 2215-2243; Nuntius ad populum Dei, Per viginti et quinque, 28 ottobre 1990: Leges Ecclesiae VIII, 11962-11966; Nuntius, At the end ofthe Synod, 27 ottobre 1994: Leges Ecclesiae VIII, 13238-13244; Messaggio, Riuniti a Roma, 25 ottobre 2001: Enchiridion Vaticanum XX, 1305-1316, nr. 2016-2046.
[37] Propositiones, Post disceptationem, 29 ottobre 1987: Enchiridion Vaticanum X, 1438-1514, nr. 2103-2214. [38] SYNODUS EPISCOPORUM, Relatio Secretarii Generalis de laboribis Secretariae Generalis Synodi et praesertim Consilii eiusdem Secretariae inter duos Coetus Generales Synodi Episcoporum 1980-1983, Typ. PoI. Vat. 1983, 13. Cit. in TOMKO 22.
[39] Cf. DUPRÉ 322.

[00135-01.07[NNNNN] [Testo originale: italiano]

II. COMUNICAZIONI

● Il Sinodo Particolare per Batavia - Assemblea Speciale per i Paesi Bassi
S. Em. R. Card. Adrianus SIMONIS, Arcivescovo di Utrecht (Membro dell'Assemblea sinodale)


L’origine di questo Sinodo fu determinata dalla situazione molto difficile della Chiesa in Olanda dopo il cosiddetto “Concilio di Noordwijkerhout” degli anni 1966 - 1969, nel periodo che seguì il Concilio Vaticano II e anche dopo il famoso catechismo olandese del 1966. In questo “Concilio di Noordwijkerhout”, organizzato dai vescovi olandesi di allora, furono affrontati tutti quei temi che in seguito avrebbero interessato tutta la Chiesa dell’Ovest: come l’autorità nella Chiesa, la liturgia, il sacerdozio ministeriale in relazione al sacerdozio comune, il celibato, la posizione della donna nella Chiesa, l’ecumenismo e naturalmente la morale sessuale. La tendenza di questo “Concilio” era molto progressista e aveva suscitato la curiosità dei mass-media interessati nelle discussioni che rappresentavano una svolta riguardo al Vaticano II.
Conseguenza fu una grande polarizzazione fra i fedeli, ancora più rafforzata dalla nomina, come vescovo di Rotterdam, alla fine dell’anno 1970, di un certo Cappellano Simonis e, un anno dopo, di Mons. Gijsen. Ambedue erano considerati conservatori e “vassalli di Roma”. Infatti la polarizzazione era anche entrata nella Conferenza episcopale all’interno della quale andava crescendo una situazione di conflitto e incompresione tra gli stessi Vescovi.
Anche il Cardinale Willebrands, il quale adesso ha 96 anni e che saluta cordialmente tutti i presenti, e che nel 1975 era successo al Cardinale Alfrink, non riusciva a ristabilire l’unità. Fu lui a parlare prima con il Papa Paolo VI e poi con il Papa Giovanni Paolo II. Ricordo ancora bene: era un sabato sera quando, insieme, fummo ricevuti da Papa Giovanni Paolo II alla sua tavola. Era il dicembre del 1978. Quella sera il Papa s’interessò solamente alla situazione riguardante le scuole e le università cattoliche, la formazione del clero e la novità dei cosi detti operatori pastorali: laici, uomini e donne con una formazione completa di teologia, in numero sempre più crescente i quali erano considerati come una nuova specie di ministero pastorale nelle parrocchie con tutti i problemi del loro “status” e competenze in campo liturgico e pastorale. Sono convinto che in quella sera naque l’idea del Sinodo Speciale per i Paesi Bassi. Dopo i colloqui personali fra il Papa e tutti i vescovi olandesi il Sinodo fu convocato, dallo stesso Santo Padre dal 14 al 31 gennaio del 1980. Comunque sia, il Papa deve avere capito che la problematica della Chiesa in Olanda avrebbe potuto influire, in futuro, su tutta la Chiesa: la sua fede, la dottrina, la morale e la disciplina. In ogni caso il Papa dedicò più di due settimane del suo tempo prezioso per realizzare questo Sinodo, in cui furono discussi, in segreto ma anche con franchezza, tutti i problemi “caldi” che i Vescovi possono immaginare.
Presenti sempre il Santo Padre stesso, e il Presidente delegato, da lui nominato, il Cardinal Danneels. Con grande stima penso a lui che accettò questa nomina delicata, anche se poche settimane prima era stato trasferito da Antwerpen a Brussel, come successore del Cardinal Suenens. Erano presenti alcuni capi dicasteri, e il Cardinal Tomko, l’allora Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi e che certamente può raccontare tanti particolari di quel Sinodo. Presenti erano, naturalmente, tutti i 7 vescovi residenziali, due ausiliari e due rappresentanti dei religiosi, fra cui l’attuale vescovo di Rotterdam Mons. Van Luyn, salesiano.
Il Sinodo stesso fu un evento intenso, una vera scuola di fraternità, di collegialità effettiva ed affettiva. Il risultato del Sinodo venne riassunto in 44 risoluzioni riguardanti i vescovi ed il loro compito, i sacerdoti e il loro significato essenziale, i religiosi, i laici in genere, ed in specie gli operatori pastorali e le loro competenze e, poi, alcuni settori della vita ecclesiale.
Durante la messa conclusiva del 31 gennaio, nella Cappella Sistina, queste decisioni furono sottoscritte in modo solenne da tutti i 17 partecipanti, nove dei quali già sono morti.
Come Vescovi abbiamo vissuto una atmosfera di gioia, ma anche di timore perché sapevamo che le decisioni, dopo la loro pubblicazione, avrebbero incontrato, nella grande maggoranza dei sacerdoti e degli operatori pastorali, un clima di scontento e disapprovazione. Rientrati in patria tutti i Vescovi si adoperarono per incontrare, personalmente, sacerdoti ed operatori pastorali, per spiegare l’importanza di queste decisioni, ma, generalmente, non furono accettate. Così che taluni Vescovi dopo un anno, pubblicamente dichiararono che il Sinodo particolare non aveva giovato. Però, per 14 anni il Card. Schotte, successore del Card. Tomko, convocò ogni anno una Commissione speciale, di cui anche il Card. Danneels ed io eravamo membri, per promuovere l’applicazione delle risoluzioni sinodali. Personalmente penso che il Sinodo particolare ha portato, certamente, una rinnovata chiarezza nel campo della fede e della disciplina nella nostra Chiesa. Ho vissuto questo Sinodo come l’inizio di un processo e di una sicura strada.
E anche se le decisioni non sono ancora pienamente effettuate, lentamente vedo una crescita nell’accettazione, soprattutto dai giovani che non sanno niente del passato della polarizzazione ma vogliono essere cattolici normali. Il Sinodo particolare, tuttavia, rimane attuale per i vescovi odierni nel nostro compito di guidare il popolo di Dio in Batavia, come chiama l’Instrumentum Laboris il nostro paese.

[00124-01.07] [NNNNN] [Testo originale: italiano]

● Convocation of the Special Assembly -Assemblea Speciale per l'Africa
S. E. R. Mons. Paul VERDZEKOV, Arcivescovo di Bamenda (Membro dell'Assemblea sinodale e del Consiglio postsinodale)


Almost twenty-four years after the decision of Pope Paul VI to establish the Synod of Bishops, his Successor, Pope John Paul II, announced on 6 January 1989, the Solemnity of the Epiphany, that he decided to convoke a Special Assembly for Africa of the Synod of Bishops. It was his desire right from the very onset, “to ensure that this Synod would be authentically and unequivocally African. At the same time, it was of fundamental importance that the Special Assembly should be celebrated in full communion with the universal Church.” To this Special Assembly for Africa of the Synod of Bishops, Pope John Paul II assigned the following theme: “The Church in Africa and her Evangelising Mission Towards the Year 2000: ‘You shall be my witnesses’ (Acts 1:8).”
In the eyes of Pope John Paul II, it seemed appropriate to convoke this Special Assembly for the purpose of promoting “an organic pastoral solidarity throughout Africa and the adjacent Islands.” He added, furthermore, that in preparation for the Special Assembly, all concerned “should cover all the important aspects of the life of the Church in Africa, and in particular should include evangelization, inculturation, dialogue, pastoral care in social areas and the means of social communications.”
Preparation for the Special Assembly, and the celebration of the Special Assembly itself, achieved a great deal to raise awareness and consciousness about the unity of the Catholic Church in every part of the African continent. In particular, African Catholics became more conscious of the unity of Catholics of North Africa and of Egypt with the Catholics of all the countries of the Sub-Saharan Africa.

AFRICA HAS CHANGED SINCE THE SPECIAL ASSEMBLY

In an Address presented to the Twelfth Plenary Assembly of SECAM held at Mondo Migliore, near Rome, in October 200, five years after the promulgation of the Post-Synodal Apostolic Exhortation Ecclesia in Africa, Cardinal Jan Pieter Schotte, the then-General Secretary of the Synod of Bishops, said, inter alia:
“Of the fifty-three African countries, seventeen, or one-third, have been the object of armed conflicts of varying length and varying intensity, but which have once again sown death and desolation on this continent. Cardinal Schotte went on to cite Pope John Paul II who manifestly spoke of this political situation, saying: “Today, in the greatest silence, intimidation and killing still continue....I wish to address the political leaders of these countries: if violent attainment of power becomes the norm, if democratic representation is systematically put aside, if corruption and the arms trade continue to rage, then Africa will never experience peace or development.

WHAT HAS THE CHURCH IN AFRICA DONE WITH THE POST-SYNODAL APOSTOLIC EXHORTATION ECCLESIA IN AFRICA?

In an effort to implement the guidelines and Orientations given by Pope John Paul II in Ecclesia in Africa, the Church in Africa has striven, over the last ten years, to carry out what the Special Assembly prescribed with regard to Evangelisation, namely: Proclamation, Inculturation, Dialogue, Justice and Peace and the Media of Social Communication.
Mindful of the fact that only 14% of the total population of Africa was made up of Catholics ten years ago, the Church in Africa has striven, over the last ten years, to intensify its Proclamation of the Gospel to Non-Christians, increasingly and unceasingly updating her channels for that Proclamation. Mindful of Christ’s mandate: “Go, therefore, make disciples of all nations” (Mt 28:19), the Church in Africa has recognised, over the last ten years, that the Proclamation of the Gospel is meant for all the people of Africa, without exception.
With regard to Inculturation, namely, the process b y which Catechesis takes flesh in the various African cultures, the Church in Africa has certainly endeavoured to carry out the clear Orientations of the Special Assembly in this regard,. Two fundamental criteria of genuine Inculturation have ever been kept in mind by African bishops, namely, compatibility with the Gospel and communion with the Universal Church.
With regard to the Liturgy in particular, it must be recognised that errors have indeed occurred, here and there, out of ignorance of what Ecclesia in Africa actually said about Inculturation. While such few and scattered errors certainly need to be firmly corrected, the overall picture, with regard to Inculturation, especially in the Liturgy, demonstrates that over the last ten years, the Church in Africa has endeavoured to be uncompromisingly faithful to the following words of Pope John Paul II addressed to the Bishops of Kenya in May 1980:
“By respecting, preserving and fostering the particular riches and values of your people’s cultural heritage, you will be in a position to lead them to a better understanding of the mystery of Christ, which is also to be lived in the noble, concrete and daily experience of African life. There is no question of adulterating the Word of God, or emptying the Cross of its power (cf. 1 Cor 1:17), but rather of bringing Christ into the very centre of African life and of lifting up all African life to Christ. Thus, not only is Christianity relevant to Africa, but Christ, in the Members of his Body, is African.”
With regard to Dialogue, the Church in Africa has certainly endeavoured, ever since the publication of Ecclesia in Africa ten years ago, to foster and encourage better relationships and cooperation with other Christian Churches and Ecclesial Communities. Wherever possible, the Church in Africa has concretely manifested her willingness to engage in constructive dialogue and cooperation with Islamic Communities.
With regard to dialogue with African Traditional Religion, the Particular Churches of Africa have certainly striven over the last ten years, in different ways, to follow the Orientations of Ecclesia in Africa. In this Dialogue with Adherents of African Traditional Religion, the African Bishops, while openly rejoicing on account of the innumerable “seeds of the Word” which they contain, and on account of the fact that they can constitute a preparation for the Gospel, have, nevertheless, been mindful at all times of the following words of Pope Paul VI:
“We wish to point out, above all today, that neither respect for these religions nor the complexity of the questions raised, is an invitation to the Church to withhold from these non-Christians the proclamation of Christ. On the contrary the Church holds that these multitudes have the right to know the riches of the mystery of Christ....”
In the realm of Justice and Peace, the Church in Africa has certainly striven to be “the voice of the voiceless” as demanded by the Special Assembly. Active Justice and Peace Commissions have been set up in most Parishes, in most Particular Churches, and at the level of several Episcopal Conferences.
Finally, with regard to the Means of Social Communication, Ecclesia in Africa certainly gave our Particular Churches much needed impulsion towards active evangelising action in the world of the Media which are more recognised as a cultural world of its own and in need of being evangelised.

THE CHURCH IN AFRICA HAS CHANGED SINCE THE PROMULGATION OF ECCLESIA IN AFRICA

The Post-Synodal Apostolic Exhortation Ecclesia in Africa, came twenty-six years later, in harmonious continuity with the famous phrase pronounced by Pope Paul VI in Rubaga Cathedral, Uganda, on 31 July 1969: “By now, you Africans are missionaries to yourselves. The Church of Christ is well and truly planted on this blessed soil.” The Pontiff was addressing the closing session of the Symposium of Episcopal Conferences of Africa and Madagascar (SECAM).
In an Address given by the current Chairman of SECAM at Notre Dame University, Indianapolis, on 3 March 2005, we are informed that “the African Church itself has taken a new face since 1994...In the ten years between 1994 and 2004...about 65% of the African episcopate has been replaced since our last Synod ten years ago.”
In his Address to the Plenary Assembly of SECAM in October, 2300, Cardinal Jan Pieter Schotte made the following pertinent observation:
“While on the one hand, the rapidity of Episcopal renewal is a cause of joy because of the new sap that is flowing in the veins of the episcopal body and the fountain fo youth which it is procuring for it, on the other hand, it implies a certain apprehension, for most of the new Pastors have not fully participated in the Synod. Now the implementation of the resolutions of Ecclesia in Africa require first of all, a change in mentality in order to go beyond ethnic ideology—each Pastor taking pains to act in such a way that each of his faithful feels truly a member in a total capacity of the Church—Family of God—to combat the corruption in society and to encourage civil peace.”
At the General Audience on Wednesday, 22 June 2005, the Successor of St. Peter, Benedict XVI, received the Members of the Special Council for Africa of the Synod of Bishops. To all, Pope Benedict XVI said, inter alia:
“In a special way, I greet the Members of the Special Council for Africa of the Synod of Bishops who are meeting during these days at the General Secretariat of the Synod. Confirming what my venerable and dear Predecessor, Pope John Paul II, had decided on 13 November last year, I wish to announce my intention to convoke the Second Special Assembly of the Synod of Bishops for Africa. I have the hope that such an Assembly will give a new impetus to evangelisation on the African Continent, to a consolidation and growth of the Church and to the promotion of reconciliation and peace.”
The decision of our Holy Father Pope Benedict XVI, to convoke, in the future, the Second Special Assembly of the Synod of Bishops for Africa, in harmonious continuity with the First Special Assembly, happily meets the hopes, desires and prayers of the Catholics of the African Continent.

[00123-01.06] [NNNNN] [Testo originale: inglese]

● Le Synode des Évêques dans son Assemblée Speciale pour le Liban - Assemblea Speciale per il Libano
S. E. R. Mons. Cyrille Salim BUSTROS, M.S.S.P., Eparca di Newton, Stati Uniti d'America (Relatore Generale dell'Assemblea sinodale e membro del Consiglio postsinodale)


Le 13 avril 1975 un conflit armé éclata à Beyrouth entre les membres d‘un parti politique chrétien et des miliciens palestiniens armés. Ce conflit déclencha la guerre libanaise qui dura 15 ans. Commencée pour des motifs politiques, cette guerre prit par la suite un visage religieux, les musulmans libanais s’étant vite rangés du côté des palestiniens qui sont en grande majorité musulmans. Ces palestiniens, venus au Liban en réfugiés en 1948 à la suite de la guerre israélo-arabe en Palestine, ont constitué avec le temps des organisations armées dont l’effectif militaire a dépassé l‘effectif même de l’armée libanaise.
Au cours de ces années de guerre, des conflits sanglants opposèrent les chrétiens d’un côté et les musulmans soutenus par les organisations palestiniennes armées de l’autre côté. L’armée libanaise s’effrita, la république libanaise était sur le point de se dissoudre. L’accord de Taëf conclu entre les parlementaires libanais sous le patronage de l’Arabie Saoudite en 1989 mit fin à la guerre, mais mit le Liban sous la domination directe de la Syrie. Les libanais demeurèrent divisés tant au point de vue politique qu’au point de vue religieux. Des chrétiens ont même pensé à la partition du Liban en deux pays: l’un chrétien et l’autre musulman. Devant cette situation dramatique, le Pape Jean-Paul II eut une initiative prophétique. Il convoqua une «Assemblée Spéciale du Synode des Evêques pour le Liban», qui se réunit à Rome en novembre 1995.
Des délégués orthodoxes et protestants y furent invités ainsi que des délégués des trois communautés musulmanes: chiite, sunnite et druze. Ce synode fut pour le Liban une nouvelle résurrection et une nouvelle Pentecôte. L’Esprit d’unité et de collaboration s’y répandit à travers toutes les institutions et structures de la société libanaise.
L’Exhortation Apostolique qui suivit le synode fut signée par le pape Jean-Paul II lors de sa visite historique au Liban le 10 mai 1997, qui fut accueillie avec une grande affection par tous les libanais, chrétiens et musulmans, tant au niveau officiel qu’au niveau populaire, qui groupa un million de personnes, ce qui veut dire le quart de la population du Liban.
Cette Exhortation Apostolique, avec son titre “une espérance nouvelle pour le Liban”, devint pour tous les libanais, chrétiens et musulmans, un document de première importance, et fut l’objet de nombreux congrès, conférences, sessions d’études dans les universités, les paroisses, les cercles de jeunesse, à la télévision, à la radio et dans la presse écrite. Elle fut aussi pendant plusieurs années le document d’étude de l’ “Assemblée des Patriarches et Évêques du Liban” car elle appelle au renouveau de l’Église catholique au Liban tant au niveau de sa vie intérieure qu’au niveau de ses relations avec les autres Églises Orthodoxes et Protestantes et de ses relations avec les communautés musulmanes, et au niveau de sa mission dans la société et la politique libanaise et dans l‘ensemble des pays arabes. Et les libanais, tant musulmans que chrétiens, ne cessent de répéter jusqu’à présent le mot par lequel le pape Jean-Paul II a défini la mission du Liban: “le Liban est plus qu’une patrie; il est un message pour l’Orient et l’Occident, un message de convivialité et de collaboration entre diverses religions”.
Des musulmans qui ont participé en tant que délégués au synode ont même proposé de présenter ce message comme modèle de convivialité à des pays tels que l’Afghanistan et l’Irak où vivent les uns à côté des autres des croyants de diverses communautés religieuses.
Dans le climat international actuel d’‘opposition entre le monde occidental libre et démocrate et certaines parties du monde musulman imprégnées de fondamentalisme et d’extrémisme, le Synode pour le Liban conserve sa mission d’appel à l’Orient comme à l’Occident, ainsi qu’aux diverses religions du monde, pour vivre l’unité dans la diversité, à l’image des 18 communautés religieuses qui constituent la mosaïque de la société libanaise: l’unité dans la promotion des valeurs humaines de paix, de justice, de collaboration et d’acceptation de l’autre, et diversité des religions, des communautés et des cultures. Le Synode pour le Liban a été une grande grâce accordée par le Seigneur à tous les libanais, ainsi qu’aux chrétiens du monde arabe, et restera, avec la mémoire du pape Jean-Paul II, un événement d’extrême importance et de grande date dans l’histoire du Liban et de l’Église universelle.

[00162-03.04] [NNNNN] [Texte original: français]

● Frutos del Sínodo de América - Assemblea Speciale per l'America
S. Em. R. Card. Juan SANDOVAL IÑIGUEZ,Arcivescovo di Guadalajara (Relatore Generale dell'Assemblea sinodale e membro del Consiglio postsinodale)


Su Santidad Juan Pablo II de feliz memoria, tuvo una intuición profética que se convierte en una tarea para los pastores y fieles del Continente Americano. En 1992, al celebrarse en Santo Domingo los 500 años del comienzo de la evangelización del Nuevo Mundo, dijo el Papa a los obispos ahí reunidos para la IV Conferencia General del Episcopado Latinoamericano que sería conveniente celebrar alguna reunión con los obispos de América del Norte.
La propuesta del Papa nos sorprendió por lo inesperada, pero se fue difundiendo y encontró un eco positivo en los episcopados de uno y otro hemisferio. De tal manera que en 1994 pudo el Papa precisar su idea y convocar a un Sínodo de América en el contexto de la preparación del Gran Jubileo de la Encarnación.
Estábamos acostumbrados a hablar de América del Norte, del Centro, del Sur y del Caribe y sobre todo, estábamos acostumbrados a vivir, en lo que a Iglesia se refiere, paralelamente. No obstante algunas sugerencias sobre la terminología en uso, el Papa mantuvo firme la expresión "Sínodo de América" para indicar sobre todo una tarea, la de construir la unidad del Continente Americano en base a la fe en Cristo.
Eran dos Iglesias: la de Estados Unidos y Canadá de más reciente fundación, nacidas en medio de una sociedad prevalentemente protestante, y la de América Latina que nació católica desde sus orígenes por la acción evangelizadora de España y Portugal. Dos iglesias que vivieron separadas, en las que se dieron contactos esporádicos, pero podemos decir, que ni oficiales ni programados.
Ya durante los trabajos de preparación los integrantes de la "Comisión Preparatoria del Sínodo", nos fuimos percatando de los muchos elementos de unidad del Continente. El primero y más importante de todos, la fe en Cristo. América es hoy el continente cristiano, con un 62% de católicos y poco más de un 30% de hermanos protestantes de distintas denominaciones; el deseo de libertad y de democracia con la valoración del individuo tienen su asiento en América; la presencia multiétnica de europeos: sajones, latinos, eslavos, así como de los indios aborígenes y los grupos de americanos de origen africano, se da en varios países; problemas comunes son la pobreza, la migración, el narcotráfico, etc.
El Sínodo de América se realizó del 16 de noviembre al 12 de diciembre de 1997, concluyendo, en la fiesta de Nuestra Señora de Guadalupe, que es otro elemento unificador de gran importancia religiosa y cultural para América.
El mutuo conocimiento durante y después del Sínodo se ha ido traduciendo en cercanía afectiva y estima, en conciencia compartida de muchos problemas comunes que requieren ser abordados en un esfuerzo común. Este espíritu de cercanía y colaboración ha facilitado los contactos, ya sea de Conferencias Episcopales, como de obispos o de comunidades religiosas y movimientos de apostolado para pedir y ofrecer ayuda, en un intercambio de dones espirituales y materiales. Estos contactos no son ya esporádicos sino fruto del espíritu propiciado por el Sínodo de América y la consecuente carta post-sinodal "Ecclesia in America" de su santidad Juan Pablo II. El lema del Sínodo "Encuentro con Jesucristo vivo, camino de conversión, de comunión y de solidaridad de América" ha centrado en Jesucristo todas las motivaciones para la comunión eclesial, la colaboración y los proyectos pastoral es de las distintas iglesias.
La Secretaria General del Sínodo en nombre del Consejo post-sinodal ha enviado sucesivas cartas circulares a las conferencias episcopales, a los dicasterios de la Curia Romana, a los organismos de la vida consagrada y a otras entidades eclesiásticas, solicitando informes sobre las actividades que se están realizando en orden a llevar a la práctica las indicaciones del documento post-sinodal.
Las respuestas recibidas ofrecen un amplio panorama de encuentros y realizaciones que empiezan a poner en práctica la visión de unidad y comunión que tuvo el Papa Juan Pablo II al convocar el Sínodo de América.
Se enumeran algunos ejemplos. Han respondido a las preguntas de la Secretaría del Sínodo 19 Conferencias Episcopales, es decir, el 80% del total. Hay respuestas del CELAM y de las reuniones de obispos de Estados Unidos, Canadá y Latinoamérica. Es muy significativo el cambio de denominación de estas reuniones que antes del Sínodo de América se llamaban "Reunión Interamericana de Obispos", ahora se llaman "Reunión de los obispos de la Iglesia en América". En ellas se han tratado problemas como el de la deuda externa (cfr. EA, 59), las migraciones (cfr. EA, 65) o las respuestas que hay que dar desde la fe en Cristo a la globalización (cfr. EA, 20, 25).
De igual manera la mayoría, por no decir la totalidad, de los dicasterios de la Curia Romana han dado respuesta a la Secretaria General del Sínodo sobre la aplicación de la Carta post-sinodal "Ecclesia in America". Varios organismos de la vida consagrada han informado de la recepción y aplicación de la carta post-sinodal.
El texto de la exhortación apostólica fue firmado por el Papa Juan Pablo II en México en la Basílica de Guadalupe, el 25 de enero de 1999 y publicado por la Libreria Editrice Vaticana en cinco lenguas: italiano, español, francés, inglés y portugués. Además, el texto ha sido difundido ampliamente a través de importantes publicaciones: por el Secretariado del Consejo Episcopal Latinoamericano, por la Comisión Pontificia para América Latina, por la Arquidiócesis de Guadalajara con prólogo de un servidor para difundirlo en México y por la Conferencia Episcopal de los Estados Unidos.
Es necesario que el texto se siga difundiendo, ya sea en ediciones completas o sintéticas con carácter de resumen, como lo han hecho las Conferencias Episcopales de Canadá, Perú y Argentina.
Muchas Conferencias Episcopales han dedicado más de una asamblea plenaria al estudio y aplicación de la doctrina y propuestas pastorales de "Ecclesia in America" y a la luz de ella, han estructurado sus planes de pastoral, vgr. Argentina, Bolivia, Brasil, Cuba, Chile, Ecuador, Guatemala, Venezuela y México. El plan pastoral del CELAM 1999-2003. Lleva por título "Encuentro con Jesucristo vivo en el horizonte del tercer milenio".
Se puede afirmar, que casi no existe documento de Conferencias Episcopales o de obispos en que no se cite la carta post- sinodal "Ecclesia in America". Es la siembra de una semilla que ya está comenzando a dar fruto abundante.
Proyectos que ha propiciado el espíritu del Sínodo de América, son por ejemplo: la fiesta litúrgica de Nuestra Señora de Guadalupe del 12 de diciembre extendida a todo el Continente Americano por la Congregación para el Culto Divino (25-3-1999); fue una petición del Sínodo vivamente recomendada por el Papa Juan Pablo II (cfr. EA, 11).
La canonización de Juan Diego, humilde mensajero de la Virgen de Guadalupe, realizada en México por el Papa Juan Pablo II el 31 de julio de 2002, había sido pedida por el Consejo post-sinodal juntamente con la Comisión Pontificia para América Latina en orden a poner en práctica el n. 15 de "Ecclesia in America" que invita a exaltar los frutos de santidad del Continente Americano.
El Catecismo de Doctrina Social de la Iglesia, recientemente publicado por el Pontificio Consejo de Justicia y Paz, fue una petición del Sínodo de América, benignamente acogida e impulsada por el Papa Juan Pablo II.
Entre los encuentros para poner en práctica la exhortación post-sinodal merecen destacarse el de la Comisión Pontificia para América Latina (CAL) del 20 al 23 de marzo de 2001, de la Conferencia de Obispos Católicos de Estados Unidos, que centró sus esfuerzos en el año 2000 sobre los temas de evangelización, comunión entre las iglesias locales, preparación y distribución del clero, formación de los laicos, quehacer de la parroquia, ecumenismo, migraciones, y comunicaciones sociales. El Pontificio Consejo para la Cultura organizó en Puebla, México, del 4 al 7 de junio de 2001 una reunión para reflexionar sobre las posibilidades de responder a la petición del Santo Padre en el n. 70 de "Ecclesia in America" sobre la evangelización de la cultura. La Conferencia Episcopal de México hizo una aplicación a la realidad nacional el año 2000 en una carta que lleva por título: "Del Encuentro con Jesucristo a la Solidaridad con Todos", que ha tenido hondas repercusiones en los ámbitos religioso y social.
El Congreso Misionero Latinoamericano (COMLA) que se venía celebrando periódicamente en el ámbito latinoamericano, adquirió dimensión continental y pasó a ser: "Congreso Americano Misionero" (CAM).
Un ejemplo concreto del espíritu de solidaridad lo constituye una iniciativa denominada "Texas- Oklahoma" en el que 16 diócesis de Estados Unidos, apadrinan a 7 diócesis de Honduras.
Los obispos de las diócesis fronterizas de México y Estados Unidos, lugar donde se da el mayor flujo de personas que cruzan una frontera, legal o ilegalmente, han organizado varias reuniones sobre migrantes (cfr. EA, 65), y recientemente se ha publicado un documento conjunto de las Conferencias Episcopales de Estados Unidos y México sobre el tema de las migraciones.
Respondiendo a la expresado en el n. 37 de "Ecclesia in America", algunas diócesis de uno y otro país han establecido vínculos de hermandad y cooperación. Un ejemplo de ello es el Seminario abierto en la ciudad de México para preparar sacerdotes que atiendan principalmente a los fieles de habla hispana en Estados Unidos. Va creciendo el intercambio de seminaristas y sacerdotes que van de Estados unidos a México para aprender español y conocer la cultura, y de sacerdotes y seminaristas que van de México a Estados Unidos a atender pastoralmente a los hispanoparlantes.
Por razón de la brevedad del tiempo se omiten otras experiencias, estimando que éstas son suficientes para darse una idea de los frutos que comienza a dar el Sínodo de América, el mayor de los cuales es, sin lugar a dudas, la nueva mentalidad que se va difundiendo de construir la unidad del Continente Americano sobre la base de las hondas raíces de su identidad cristiana.
En el contexto del fenómeno más o menos reciente pero irreversible de la globalización, la intuición del Papa Juan Pablo II alertó oportunamente a los Pastores de América en orden a caminar al ritmo de la sociedad actual e imprimir a la globalización el sello de la unidad y de la caridad de Cristo.

[00137-04.07] [NNNNN] [Texto original: español]

● Some positive results of the Special Assembly for Asia of the Synod of Bishops - Assemblea Speciale per l'Asia
S. Em. R. Card. Paul SHAN KUO-HSI, S.I., Vescovo di Kaohsiung (Relatore Generale dell'Assemblea sinodale e membro del Consiglio postsinodale)


FOREWORD

I was asked to present a report on the positive results of the The Special Assembly for Asia of the Synod of Bishops. To present a brief but also comprehensive report on all the positive results seems difficult, not only because the time given to me is too short, but also because there is a great variety of particular Churches with different Apostolic traditions, liturgies, spiritualities, theological schools, missionary activities, etc., not to mention their socio-economical, geo-political, cultural and racial differences. I choose, therefore, to highlight only some positive results on the following three thological areas, namely Christological, Pneumatological and Ecclesiological for which the Synod Fathers have had special concerns.

1. ON CHRISTOLOGICAL AREA: 'THE UNIQUENESS AND UNIVERSALITY OF SALVATION IN JESUS' ("Ecclesia in Asia" n.14)

This fundamental article of the Christian faith has been challenged in the last decades even by some Christian theologians. They proposed their arguments from two sources. One source is the statistical fact that there are so many great religions, such as Judaism, Islam, Hinduism, Buddhism, Taoism and Christianity in Asia, except in the Philippines is still a tiny minority after two thousand years of Jesus' birth. Another source is from the Vatican Council II's document"Lumen Gentium" (n.16) on the salvation of the non-Christians. Their conclusion from both arguments is that Jesus Christ is not the unique but one of many saviours.
Here is not the proper place to discuss and refute the above mentioned arguments against the uniqueness and universality of salvation in Jesus, but only to present a brief report on the positive result of the Special Assembly in this special Christological area. To my own knowledge, all the particular Churches in Asia under the leadership of their Bishops now are grasping the above mentioned article of doctrine of faith more firmly than before the Special Assembly. And the few people, who provoked the arguments against the article of faith, are keeping quiet either in teaching or in writing.

2. ON PNEUMATOLOGICAL AREA: 'THE SPIRIT IS NOT AN ALTERNATIVE TO CHRIST' ("ECCLESIA IN ASIA' N.l6)

The tendency of the above mentioned few people to separate the activity of the Holy Spirit from that of Christ would jeopardize the truth of Jesus as the unique Saviour of all. Most of them who proposed that the Holy Spirit as an alternative to Christ works separately through the other religions for the salvation of people, would like to promote more easily the interreligious dialogue.
It is not the proper purpose of this paper to discuss and refute the above mentioned tendency, but only to present the positive result of the Special Assembly for Asia of the Synod of Bishops in the Pneumatological area. After the publication of "Ecclesia in Asia", at least I have not read any new books or articles contrary to the consensus of the Synod Fathers and teaching of "Ecclesia in Asia" in regard to the pneumatological theology.

3. ON ECCLESIASTICAL AREA: 'THE UNION AND UNITY OF TIlE CATHOLIC CHURCH' ("ECCLESIA IN ASIA" DO. 24-28)

Communion and unity are the characteristics of the Catholic Church. But some political powers in Asia assume the very internal affairs of communion and unity of the Catholic Church as their own national affairs. Their main purpose of doing this is to create an "Independent Church" modeled on that of the Anglican Church.
The great concern of the Synod Fathers for the above mentioned danger is reflected very clearly in the Post-Synodal Apostolic Exhortation "Ecclesia in Asia" (nn. 24-28). After the publication of "Ecclesia in Asia", both the particular Churches and the political powers know very well that the bottomline of the Catholic Church's doctrine of faith on communion and unity cannot be compromised, though the danger is not yet over. But there are signs that the position of the political powers on this area is mitigated as little bit lately.

CONCLUSION

In a very short time and limited space I have pointed out some positive results of the Special Assembly for Asia of the Synod of Bishops on the above mentioned three theological areas. There are many other positive results in many other areas, such as pastoral, missionary, social, charitable, etc. If you want to know more, you can read my longer report.

[00163-02.06] [NNNNN] [Original text: English]

● The Special Assembly of the Synod of Bishops for Oceania - Assemblea Speciale per l'Oceania
S. E. R. Mons. John Atcherley DEW, Arcivescovo di Wellington (Membro dell'Assemblea Speciale) legge il testo del Cardinale Thomas S. Williams, Arcivescovo emerito di Wellington (Presidente delegato dell’Assemblea Speciale)


PRE-SYNOD PLANNING
The Oceania Synod very nearly did not take place.

The notes prepared by Pope John Paul II for the 1995 Consistory to plan for the Jubilee Year 2000 envisaged only four regional (or continental) synods. Oceania was to be subsumed under Asia. That seemed logical. Although the Pacific Ocean (which gives the region its name) covers 181 millionsquare kilometres, about one-third of the world's surface, the twenty-six nations encompassed by it contain a population of less than 35 million, 0.6% of the world's 6 billion inhabitants.
The appeal of the Oceania Cardinals for a specifically Oceania Synod was supported by the Consistory, and accepted by the Holy Father. Had there been the one combined synod for Oceania and Asia, the voice of Oceania would not have been heard. Asian concerns, ecclesial, political and economic, the interface of the Asian Church with the great World Religions, the Church's struggle to survive in nations under antagonistic totalitarian regimes - these would have taken over the agenda. The handful or two of delegates from Oceania would have been inevitably have been marginalised. So rather than Oceania being swallowed and silenced by artificial alignment with Asia, the Holy Father presided over Oceania's own Assembly.
The Oceania Synod differed from the other four regional Synods in that it was the shortest in duration, the smallest in terms of numbers, and the most inclusive in the sense that all Oceania's active bishops were present.
A fourth difference was that, in order to achieve a properly balanced Synod membership, Pope John Paul II accepted the Pre-Synodal Council's recommendation that the Curial members be reduced from the normal 23 to 14.

PASTORAL PREPARATION

A significant number of dioceses involved their clergy, religious, parishes and lay associations in responding to the Lineamenta. Thus, even before the Synod had commenced, it was bearing good fruit through the pastoral formation of the faithful as they joined their bishops in exploring the theme of "Jesus Christ and the Peoples of Oceania: Walking his Way, Telling his Truth, Living his Life".

THE SYNOD ASSEMBLY

The Synod proper commenced with the impressive opening Mass in St Peter's Basilica. It included the dancing and singing which are an intrinsic part of major liturgical celebrations in the Pacific. That some Curial officials took exception to the sight of tattooed Samoan men in traditional dress dancing in the Basilica was perhaps indicative of the gulf which can exist between those striving for inculturation in the Liturgy, and those making judgments on it from outside the culture and from within their own cultures.
The normal Synodal process was followed over the next three weeks. There was the inevitable dilution of heartfelt appeals and prophetic insights voiced by individual bishops in the plenary sessions, as consensus propositions were formulated in the “circoli minori”. The desire to speak with a united voice ruled out putting to the vote proposals which enjoyed considerable general support, but in regard to which some did not wish to "rock the boat"... on the ordination to priesthood of 'viri probati', for example, to remedy the situation in some parts of Oceania where the Mass, as some bishops phrased it, has become for the faithful a rare privilege rather than a right.
In total, 48 propositions were voted on. All but a handful achieved large majorities and were submitted to the Holy Father.

BACK IN OCEANIA

When the bishops returned to their dioceses, two or three days travel from Rome, they found considerable interest in what had taken place. In Australia, unfortunately, the media confused the Synod with another meeting which had taken place a week prior to the Synod. At the request of the Holy See, a number of Australian bishops had met with the Heads of some Dicasteries. The "Statement of Conclusions" from that meeting was released to the media as the Synod commenced. As a result, the returning bishops were met with a barrage of media interest in the "Statement", while the Synod was virtually ignored.

PATIENT EXPECTATION

During the three full years waiting for the Post-Synodal Apostolic Exhortation, "Ecclesia in Oceania", bishops found it difficult to maintain the interest of their priests and people in the Synod. Without that document, there could be no Synodal input into pastoral planning and programmes.
Almost eleven months before "Ecclesia in Oceania" was electronically promulgated to the local Churches on 22 November 2001, Pope John Paul II gifted to the Church of the third millennium his remarkable Apostolic Letter, "Novo Millennio Ineunte". There is no conflict between the two documents, of course. Each, the regional and the universal, complements the other. Together they assist the dioceses as they confront the challenges ahead. "Novo millennio ineunte" explicitly states (n.29) that the "rich legacy of reflection (in the regional Synods) must not be allowed to disappear, but must be implemented in practical ways".

LOOKING BACK

Nearly seven years have passed since the Oceania Synod. The celebration of the 40th anniversary of the establishment of the Synod of Bishops provides an opportune occasion for assessing the benefits of the Special Assembly for Oceania.

The Synod's gifts to Oceania:
- First and foremost, the Synod confirmed Oceania's identity as a region in its own right. More importantly, it provided a genuine experience of 'communio': 'communio' between the dioceses of Oceania and their 'communio' with the Church Universal. That experience meant a great deal to the Oceania bishops. Vast distances separate them from one another. And if Rome is the centre of the world, then the Churches of Oceania are truly at the ends of the earth.
- A second major benefit was the guidance given through the Synod interventions and workshop discussions, and through the Apostolic Exhortation, "Ecclesia in Oceania", not only to the individual bishops and Conferences, but also to the Federation of the Catholic Bishops of Oceania, in discerning pastoral priorities and in achieving a more effective measure of collaboration between the dioceses of the region.

Oceania's gifts:
A regional Synod is intended to enable the dioceses of that region to contribute to the life and mission of the Universal Church. The Oceania Synod served to indicate some of the gifts the local Churches of Oceania have to offer:
- Oceania has youthfulness and freshness. It comprises young nations and young Churches. My own diocese, the Archdiocese of Wellington in New Zealand, is one of the oldest in the region. Yet it was not until a year after the Synod that it celebrated its 150th anniversary.
- Oceania was able to bring its gifts to the Church through the Synod. One is that Oceania is acquiring considerable experience in inculturation. It has immense cultural diversity, as testified by the more than 1,200 languages (not dialects!) spoken in the region. Although Oceania has but 0.6% of the world's population, it has 25% of the world's languages. Speakers of many of these languages now live outside their home countries, particularly in Australia and New Zealand. Immigration from other parts of the world in recent years has resulted in even greater linguistic and cultural complexity.
- Many parts of the Oceania region are characterised by a more relaxed way of life, and by sharing and hospitality. The clock is not the supreme arbiter in daily life. The tradition of exchanging gifts is a customary means of maintaining cohesion and harmony in Polynesian, Melanesian and Micronesian societies.
- A further characteristic is that the laity are actively involved in the life of Oceania's local Churches. Papua New Guinea and the Pacific Islands have effective Catechist systems, and throughout the region there are strong lay structures and sound lay formation.
- Yet another gift worthy of mention is that the local Churches of Oceania - a goodly number of them, at least - take their place in the Church Universal as "wounded healers". Their small size makes them almost invisible and therefore very vulnerable players on the world stage. Colonial powers have used the region for nuclear testing and for dumping nuclear waste. Militaristic powers value the region as a location for strategic bases. Economic giants over-fish its waters, despoil its forests, pillage its mineral resources, pollute its rivers, and threaten the rights of its indigenous peoples. The social teachings of the Church are not for Oceania the stuff of text-books, but engage and challenge its peoples in their everyday lives. The local Churches of Oceania, despite comprising relatively small minorities within their territories, are forthright and courageous in wrestling with social justice isues. They have been greatly heartened by the sections in "Ecclesia in Oceania" encouraging them in their work for justice, peace and integral human development.

"ECCLESIA IN OCEANIA"

As is expected of a Post-Synodal Apostolic Exhortation, "Ecclesia in Oceania" responds to the concerns of Synod members.
The background of all the Synod deliberations, and of the Post-Synodal Exhortation, is “communio”: “communio” as the fruit of God's loving initiative, and the Church as essentially a mystery of communion. The Bishops recognised clearly that the challenge for the Church in Oceania is to come to a deeper understanding of local and universal 'communio', and to a more effective implementation of its practical implications.
Against this background, the importance of inculturation was emphasised. Authentic inculturation of the Christian Faith is grounded in the mystery of the Incarnation. It is born out of respect for both the Gospel message and the culture in which it is proclaimed and welcomed. The Synod Fathers saw further inculturation as the way leading to the fullness of ecclesial “communio”.
“Communio” is also to be the aim of evangelisation in Oceania, and the basis of pastoral planning. The Gospel must be re-presented through new methods of evangelisation and by further bulding on the directives of the Second Vatican Council.
But the Synod Fathers were convinced that evangelisation cannot take place without prayer and intensification of the interior life in union with Christ. They recognised the need to give fresh impetus and encouragement to the spiritual life of the faithful, and its nourishment by a renewed appreciation of Scripture.
While the Catholics of Oceania understand well the central place of the Eucharist in their lives, the Bishops expressed their anxiety that many communities are deprived of the Mass for long periods because of the diminishing number of clergy and the distance they are required to travel. The Bishops drew attention also to the urgent need for a renewed catechesis and practice of the Sacrament of Penance.
The social apostolate and work for justice and peace is seen by the Synod Fathers as integral to the Church's evangelising mission. Events subsequent to the Oceania Synod have underlined the need for the Church to undertake a major role in regaining and maintaining social, political and economic stability. The Church is able to contribute to the correct understanding of human rights and social order. Its education, healthcare and social welfare services are vital in the aftermath of political coups in Fiji, the decade of warfare in Bougainville, armed insurrection in the Solomon Islands, civil unrest in Tonga, economic recession in the Cook Islands compelling a third of the population to emigrate, refugees from West Papua seeking sanctuary in Papua New Guinea, and the mounting toll of AIDS.
Other themes which emerged include: the defence and strengthening of family life, the pastoral care of youth, the use of communications media in the service of evangelisation, promotion of vocations, renewal of ecumenical endeavours, protection of human life, and care of the environment.

PASTORAL OUTCOMES

The pastoral fruits of the Oceania Synod have been many and various. "Ecclesia in Oceania" was widely disseminated to priests and people in English, French, Tok Pisin and a number of the Islands languages in booklet form, through diocesan newspapers, and on the Internet. Its content has been discussed - in priests' senates, diocesan and parish pastoral councils, meetings of religious, adult education programmes and special seminars.
The Post-Synodal Apostolic Exhortation, along with "Novo Millennio Ineunte", has become a primary source of reference in pastoral planning, and will continue to be so at parish, diocesan, conference and Federation level.
Among national initiatives which resulted from "Ecclesia in Oceania" was Papua New Guinea's programme of reflection and discussion in every parish over the 18-month period from January 2003 to July 2004, culminating in a national General Assembly of the Catholic Church. The programme was wholly based on "Ecclesia in Oceania", and its teaching is now being put into practice through diocesan assemblies.
While it cannot be claimed that all post-Synodal activities and new initiatives are the direct outcome of the Synod, there is no doubt that the ongoing work of each diocese has been given new impetus and vitality through "Ecclesia in Oceania". The document has become the yardstick by which to establish pastoral priorities and assess the relevance of pastoral plans.
"Ecclesia in Oceania" has helped give direction to diocesan synods, a number of which have already taken place or are in the planning stages. Its study assists in preparing participants and motivating them to carry through their decisions. As well, it is a dynamic influence on continuing apostolic and pastoral activities, giving them new purpose and energy.

THE FUTURE

The Oceania Synod interventions and workshops addresses a wide range of topics. Hence "Ecclesia in Oceania" is a comprehensive document. While it does not have the focus and immediacy of other magisterial material, it is a road-map for the longer journey. It cannot be treated in isolation from the Synods of Bishops on specific themes and papal documents. Yet because it is directed intentionally to the challenges and hopes of the local Churches of Oceania, it will long continue as a source of inspiration and guidance.
The ripples made by the Oceania Synod will lap the shores of the Pacific Island nations for a good time to come!

[00165-02.07] [NNNNN] [Original text: English]

● II Assemblea Especial para Europa del Sínodo de los Obispos - I e II Assemblee Speciali per l'Europa
S. Em. R. Card. Antonio Maria Rouco V ARELA, Arcivescovo di Madrid (Relatore Generale della II Assemblea speciale e membro del Consiglio postsinodale)


El Siervo de Dios, Su Santidad el Papa Juan Pablo II, me hizo el gran honor de nombrarme Relator General de la II Asamblea Especial para Europa del Sínodo de los Obispos, que tuvo lugar en Roma del 1 al 23 de octubre de 1999. Recuerdo con viveza y emoción aquellos días de intenso trabajo y diálogo fraterno; como todas la Asambleas sinodales a las que he podido asistir, fue un verdadero acontecer de Iglesia. Las deliberaciones desembocaron en la confección de un amplio elenco de Propositiones que el Papa citará ochenta y seis veces en su memorable Exhortación Apostólica “Ecclesia in Europa”, firmada el 28 de junio de 2003.
A modo de evocación, sin pretensión alguna de exhaustividad, recordaré brevemente algunos datos referentes a la ocasión de aquella Asamblea Especial de 1999, a su composición y a sus argumentos centrales, retomados y ampliados luego en “Ecclesia in Europa”.

I. La ocasión: la Iglesia hace revisión jubilar de conciencia en una Europa reunificada y amenazada

La ciudad de Berlín, símbolo de la división que marcó al Viejo Continente durante buena parte del siglo XX, fue el lugar escogido por Juan Pablo II para anunciar la convocatoria de la II Asamblea Especial para Europa, durante su viaje a Alemania en 1996.
En diciembre de 1991 se había celebrado la I Asamblea Especial para Europa del Sínodo de los Obispos "después de pasados dos años del comienzo del colapso tan repentino y verdaderamente extraordinario del sistema comunista, en el que tuvo una gran parte el testimonio heroico de las Iglesias cristianas"(1). El tiempo transcurrido desde la caída del muro de Berlín en 1989 había sido verdaderamente corto. Para entonces, muchas iglesias apenas habían tenido tiempo de normalizar mínimamente su vida. Por otro lado, la evolución de las cosas en los años siguientes había sido tan rápida y, en parte, tan poco alentadora, que parecía muy conveniente una nueva convocatoria sinodal que permitiera reflexionar con más perspectiva sobre la situación de Europa y de "sus dos pulmones", del Este y del Oeste.
Ése habría de ser, sin duda, para Europa el trasfondo del examen de conciencia al que la celebración del Gran Jubileo de la Encarnación en el año 2000 invitaba a toda la Iglesia Católica. En la carta apostólica Tertio millennio adveniente, de 1994, el Papa había previsto la convocatoria de un Sínodo de carácter continental para América, Asia y Oceanía "en la línea de los ya celebrados para Europa y África" - escribía en aquel momento(2). No dejó de causar cierta sorpresa que, dos años después, en 1996, manifestara su voluntad de convocar de nuevo también un sínodo continental para Europa para "analizar la situación de la Iglesia ante el Jubileo" con la mirada puesta en la nueva evangelización del Continente. La II Asamblea para Europa vino así a ser la última de las continentales convocadas en orden a la renovación jubilar de la vida de la Iglesia, con las peculiaridades propias de la situación europea aludida.

II. Composición: por fin, todas las Iglesias de Europa

Los 288 participantes que formaban la II Asamblea Especial para Europa procedían de todos los países del Viejo Continente y eran de todas las edades, desde veinticinco a ochenta y cinco años. La mayoría, como es natural, eran miembros del episcopado europeo, junto con algunos pocos de otros continentes. Allí estaban los presidentes de las 32 Conferencias Episcopales de Europa y de otras 10 circunscripciones eclesiásticas, 76 obispos elegidos expresamente por sus respectivas Conferencias para participar en esta Asamblea y 23 nombrados por el Santo Padre. A estos se añaden, igualmente como miembros de pleno derecho, 27 presidentes de los dicasterios romanos y 8 superiores elegidos por la Unión de Superiores Generales de institutos de vida consagrada. Con voz, pero sin voto, formaron parte del Sínodo 38 auditores, clérigos y laicos representantes de diversos ámbitos significativos de la vida eclesial, así como 10 delegados fraternos, representantes de otras confesiones cristianas. Por fin, 17 teólogos al servicio de la Secretaría especial y los 24 asistentes.
Este amplio grupo humano, en particular los obispos, hablaba todas las lenguas de Europa, conocía por experiencia situaciones tan diversas como las de las grandes ciudades del oeste y del este, desde Lisboa a Moscú, la de sociedades industrializadas y democráticas desde hace siglos o la de sociedades que habían salido hacía tan sólo diez años de la dura experiencia de los regímenes comunistas y se encontraban sumidas en la inestabilidad social y en la pobreza. El mayor de ellos, el cardenal Casimiro Swiatek, de Bielorrusia, con ochenta y cinco años, había sufrido durante largos años las cárceles soviéticas y había logrado escapar de una condena a muerte; el más joven, el obispo de la Rusia Europea, Klemens Pickel, con treinta y cinco años, vivía la experiencia del humilde, pero vigoroso renacer de la vida de la Iglesia en su inmensa diócesis. Allí estaban obispos que ejercen su ministerio en sociedades homogéneamente católicas (al menos culturalmente) y otros que trabajan en entornos donde sus comunidades no son más que una pequeña minoría.
Para la mayoría de los participantes, aquélla era la primera vez que se veían. Más de la mitad de los obispos ni siquiera habían participado nunca en una Asamblea sinodal. Sin embargo, la diversidad y el desconocimiento muto, como es habitual en nuestras Asambleas, cedieron ante la unidad católica casi palpable en tantas cosas: la liturgia, actuante de la presencia del único Señor; la presidencia del Papa, haciéndose puntualmente presente en el aula sinodal, mañana y tarde, y el mismo procedimiento sinodal.

III. El argumento central: esperanza para Europa

Juan Pablo II, en su alocución a los hombres de la cultura y la ciencia en la catedral de Maribor-Eslovenia, citada en el Instrumentum Laboris (n° 24), había afirmado, en mayo de 1996, que "ésta es la hora de la verdad para Europa". El Mensaje final del Sínodo de 1999 fue una vibrante llamada a la esperanza a una Europa en la que se percibían, ciertamente, signos de vida, pero también preocupantes muestras de desfallecimiento y resignación. Entre los sinodales había una profunda sintonía en torno a este diagnóstico y también sobre los motivos fundamentales de la seriedad que encierra.
Tras la reunificación geográfica y política, pudo percibirse mejor la magnitud del daño espiritual causado por el humanismo inmanentista en sus diversas versiones ideológicas. En muchas regiones de los antiguos países comunistas la mayoría de la población está sin bautizar, mientras que en los países de tradición católica la transmisión de la fe a las nuevas generaciones aparece con frecuencia en peligro. La familia, la escuela, el trabajo y el ocio se alejan de la inspiración cristiana en la vida y en las leyes.
Sin embargo, siendo ésta la hora de la verdad para Europa, es por eso mismo igualmente la hora del Evangelio. La convinción de los sinodales era en este punto clara y esperanzada. El Papa aludía también a ella en la homilía de la misa de clausura: ésta es, como en el tiempo de la predicación de San Pedro, la hora del anuncio renovado del kerygma; "después de veinte siglos, la Iglesia se presenta en el umbral del tercer milenio con este mismo anuncio, que constituye su único tesoro: Jesucristo es el Señor; en Él y en ningún otro está la salvación”(3).
En efecto, tampoco en Europa se puede presuponer ya nada. No se puede presuponer el conocimiento ni la comprensión de lo más elemental de la vida y de la fe cristiana. Hay que comenzar por el principio.
La palabra ha de ser fundamentalmente kerygmática, es decir, una propuesta esencial y nítida del misterio de Cristo(4). Una palabra que, por tanto, no se reduce nunca a hacerse eco de los tópicos, ni siquiera de los valores de la cultura europea de hoy, sino que remite al juicio de salvación que Dios ha pronunciado en la cruz del Hijo eterno sobre la humanidad. Una palabra que anuncia el perdón de los pecados, la resurrección y la vida eterna; que abre los horizontes del ser humano, tentado de encerrarse sobre sí mismo y alienado en la cultura de la pura inmanencia, a los horizontes de la Verdad, del Bien y de la Belleza plenos. La palabra de la nueva evangelización anunciará con humildad, pero con firmeza, que sólo el Espíritu de Cristo conduce al hombre a la verdad y a la libertad plenas, porque sólo en Jesucristo se ha dado el encuentro victorioso de Dios mismo con el tiempo y con la muerte.
La vida sacramental de la Iglesia es también parte ineludible de la nueva evangelización(5). En ella se prolonga el encuentro vivo del Resucitado con cada uno de sus seguidores de hoy. De la Eucaristía y de los demás sacramentos, brota la vida cristiana, que pone en los labios de la Iglesia la palabra y hace de su corazón y de sus manos instrumentos de la caridad del mismo Cristo. Los sinodales hablaron mucho de la renovación de la vida sacramental a la que va unida necesariamente la vitalización de la diaconía, del servicio del amor(6). De este servicio también se habló mucho, dado el inmenso abanico en el que puede y debe ejercerse: desde las instituciones de la vida política, social y cultural de Europa, hasta las obras de acogida de los inmigrantes y de apoyo de los que no tienen trabajo, de los ancianos y, en general, de los marginados en las sociedades "satisfechas" de occidente o en las todavía "insatisfechas" con los cambios recientes en el este.
La nueva evangelización tiene y busca sus instrumentos, de los que se habló con amplitud en la Asamblea sinodal; y tiene también su estilo. El diálogo es el instrumento y el estilo, a la vez, de la nueva empresa del anuncio de Jesucristo a los europeos de hoy: el diálogo con la cultura y con la sociedad, a través de instituciones adecuadas, entre las que destacan los centros escolares y universitarios, así como los sanitarios y asistenciales, sin olvidar, según recordó el cardenal Sodano, la presencia eclesial específica en las instituciones políticas; el diálogo ecuménico entre las diversas confesiones cristianas: se destacó, en particular, la necesidad de la mutua inteligencia y caridad entre católicos y ortodoxos, que no debe cesar de avanzar a pesar de las dificultades existentes; el diálogo interreligioso con los que profesan credos distintos, cuyo número crece hoy en Europa; diálogo que, como los anteriores, se ha de basar en la verdad y la comprensión recíproca a un tiempo.
En lo que toca, por así decir, al interior de la Iglesia católica, los llamados nuevos movimientos y comunidades eclesiales son uno de los instrumentos que el Espíritu Santo ha regalado a la Iglesia en orden la nueva evangelización. Pero en el Sínodo se hizo también un llamamiento al diálogo entre todos: los movimientos nuevos y las instituciones antiguas; y, por supuesto, a la comunión de todos con el Obispo en la Iglesia local, una de cuyas instituciones fundamentales sigue siendo la parroquia. La nueva evangelización nos convoca a todos y nos necesita a todos.
La Vieja Europa espera palabras de futuro y de esperanza. El Sínodo de 1999 y la Exhortación Apostólica “Ecclesia in Europa” salen al paso de esa espera con una propuesta y una llamada: Jesucristo y la conversión a Él, que tiene palabras de Vida eterna.

1 Asamblea Especial del Sínodo de los Obispos para Europa, Declaración 1, 1.
2 Carta Apost. Tertio millennio adveniente, 38.
3 Citado en Ecclesia in Europa, 18; CL 13-14; 18-22.
4 Cf. Ecclesia in Europa, Capítulo III: "Anunciar el Evangelio de la esperanza".
5 Cf. Ecclesia in Europa, Capítulo IV: "Celebrar el Evangelio de la esperanza".
6 Cf. Ecclesia in Europa, Capítulo V: "Servir al Evangelio de la esperanza".

[00136-04.06] [NNNNN] [Texto original: español]

 
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